VIA MOSÈ BIANCHI 94 - MILANO - LE PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE DELL'ADOLESCENTE ALL'ATTENZIONE DEL MEDICO DI FAMIGLIA - OMCEOMI

Pagina creata da Federica Petrucci
 
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VIA MOSÈ BIANCHI 94 - MILANO - LE PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE DELL'ADOLESCENTE ALL'ATTENZIONE DEL MEDICO DI FAMIGLIA - OMCEOMI
Le problematiche psicologiche dell’adolescente
                all’attenzione del Medico di Famiglia

Sabato 1 ottobre 2016 – ore 8.15-13.30
Sala Girardi - PIME
Via Mosè Bianchi 94 – Milano

                            n. Evento 1834 - 170543
                                    Crediti 5
VIA MOSÈ BIANCHI 94 - MILANO - LE PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE DELL'ADOLESCENTE ALL'ATTENZIONE DEL MEDICO DI FAMIGLIA - OMCEOMI
Il nostro Ordine è particolarmente impegnato nell’ambito della
formazione e dell’aggiornamento dei propri iscritti.
    Questo evento che rappresenta una tappa del percorso e dell’impegno
profuso da parte degli organizzatori merita il nostro ringraziamento e plauso.
    Numerosi sono gli altri corsi in programma a testimonianza della vitalità
e dell’impegno dei nostri iscritti per far crescere e rendere sempre più vicina
la nostra professione ai bisogni dei nostri ammalati.
    Non sfugge ad una attenta riflessione che tali eventi rappresentano non
solo opportunità di aggiornamento scientifico ma vitali strumenti per una
crescita professionale ed etica.
    Questo obiettivo verrà perseguito con particolare determinazione e il
nostro Ordine sarà sempre pronto ad accogliere suggerimenti e proposte per
poter migliorare la professione medica.

          Il Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri
                            Dott. Roberto Carlo Rossi
LE PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE DELL’ADOLESCENTE
             ALL’ATTENZIONE DEL MEDICO DI FAMIGLIA

                       Sabato 1 ottobre 2016 – ore 8.15-13.30
                                 Sala Girardi - PIME
                            Via Mosè Bianchi 94 – Milano

                                      Coordinatore
                                       Giuseppe Pasini
                                    Medico psicoterapeuta ANEB

                                        Moderatore
                                   Giorgio Cavallari
                                  Psichiatra e psicoterapeuta ANEB

                                         PROGRAMMA

8.15-8.45     Registrazione Partecipanti

8.45-9.00     Saluto del Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri
              di Milano o di altro Consigliere da lui delegato

9.00-9.05     Giorgio Cavallari
              Presentazione del convegno

9.05-09.25    Giorgio Cavallari
              Dinamiche familiari fra ansia e destabilizzazione

9.25-9.50     Giuliana Gola
              Psichiatra e psicoterapeuta – Servizio Adolescenti ARP
              Genitori alle prese con l’insuccesso scolastico

9.50-10.15    Claudio Tacchini
              Psichiatra e psicoterapeuta
              Il sottile confine tra normalità e psicopatologia in adolescenza

10.15-10.30   Intervallo

10.30-10.55   Luca Micheletti
              Psichiatra e psicoterapeuta
              Adolescenti ed aggressività, tra cambiamenti culturali e psicopatologia

10.55-11.20   Daniele Barattini
              Psichiatra e psicoterapeuta
              La problematica narcisistica in adolescenza nel rito di passaggio in età adulta

11.20-11.45   Giuseppe Pasini
              Suggestioni junghiane intorno all’adolescenza

11.45-13.00   Discussione
13.00-13.30   Compilazione schede di valutazione e di verifica
Dinamiche familiari fra ansia e destabilizzazione
                                                                            Giorgio Cavallari

Quando un ragazzo o una ragazza entrano nella fase dell’adolescenza, gli stessi, e le famiglie
in cui questi vivono, entrano in una condizione di rapido, intenso, spesso drammatico
cambiamento. Il cambiamento riguarda in primo luogo il corpo, e questo per noi medici è
molto importante, l’adolescente si sente, si vede, si sperimenta diverso-diversa fisicamente,
la pubertà, non scelta e non chiamata, arriva, e impone l’evidenza dello sviluppo sessuale,
della crescita, della voce che cambia, del peso e dell’altezza che crescono tumultuosamente.
Cambia l’assetto psicologico, legato anche alla maturazione neurale e ormonale, con
l’emergere di tratti di evidente tumultuosità prima non presenti o almeno non così evidenti.
Cambiano gli interessi, le motivazioni, le relazioni, le attività, con l’apparire di
comportamenti che spesso sono accomunati da una caratteristica: sono diversi, spesso
polemicamente contrapposti a quelli propri dalla famiglia e dal mondo adulto, che
nell’infanzia erano condivisi o almeno accettati. In una parola cambia l’identità, il modo di
essere sul piano del comportamento, dei modelli di riferimento, dei valori.
L’adolescente vuole fare di testa sua, anche in aree che riguardano il medico, come la
alimentazione e l’uso degli anticoncezionali. Con il mutamento dell’identità si modifica
profondamente anche il rapporto di necessaria, ma conflittuale dipendenza che
l’adolescente ha con il mondo adulto: con i genitori in primo luogo, ma anche con gli
insegnanti e con i professionisti della salute. Figure da cui il ragazzo e la ragazza dipendono,
economicamente, psicologicamente, affettivamente, a cui chiedono, ma anche a cui si
ribellano, in quanto proprio l’adolescenza è un periodo nodale in cui il soggetto umano pone
le basi di un fondamento della sua esistenza psicologica e sociale, la autonomia.
L’adolescente si colloca di fronte alle figure adulte di riferimento, fra cui i professionisti
della salute, ponendo la duplice necessità di essere rispettato come soggetto che sta
divenendo autonomo, e quindi ascoltato, informato, coinvolto, ma anche necessariamente
guidato in decisioni importanti che non sono solo la scelta della scuola, degli stili di vita,
degli ambienti frequentati, ma anche della salute: pensiamo a cose che coinvolgono i
genitori ma anche il medico come le diete, l’assunzione di farmaci o di sostanze voluttuarie,
le condotte sessuali.
Mutamenti di identità, tensione fra autonomia e dipendenza, bisogno di mettersi alla prova
non raramente anche con l’assunzione di rischi fanno dell’adolescenza una età che è stata
definita da più voci come una sorta di “fisiologica patologia”, di disregolazione, di
disarmonia entro certi limiti sana e necessaria che riguarda la psiche, la dimensione sociale,
ma anche il corpo degli adolescenti, sia maschi che femmine.
Tutto questo è entro certi limiti inevitabile, ma produce una conseguenza che ha un nome:
la crescita dei livelli di ansia. La pur fisiologica destabilizzazione che l’adolescenza comporta
può sfociare, in assetti psicologici e familiari più vulnerabili e meno resilienti, in un’ansia
che assume il rilievo qualitativo e quantitativo di vera patologia, nel soggetto adolescente
ma anche in coloro che gli vivono intorno, genitori in particolare, con l’emergere di
manifestazioni con i quali il medico è chiamato a confrontarsi, e per i quali deve essere
preparato: attacchi di panico, ansia generalizzata, e sempre più frequentemente ipocondria
e somatizzazioni.
Genitori alle prese con l’insuccesso scolastico
                                                                                  Giuliana Gola

                                                           L’amor che move il sole e l’altre stelle
                                                                 Dante – Paradiso – XXXIII, 145

In questo intervento parlerò delle riflessioni che ho maturato nella mia esperienza
decennale di sportello per genitori in un grande liceo di Milano.
Non intendo occuparmi di teorie dell’apprendimento, quanto piuttosto delle criticità
relazionali.
L’adolescenza è una stagione cruciale della vita per lo sviluppo della persona.
Questi anni di scuola, oltre ad essere l’unica e ultima occasione per acquisire competenze
culturali di base, sdoganano l’essere umano dall’infanzia all’età adulta.
Si creano le basi della stabilità emotiva, relazionale e corporea: si impara a “mentalizzare”,
cioè a contenere nella mente gli stati d’animo, capirli, tradurli in pensieri e parole, elaborarli.
Diversamente si può determinare una tendenza a somatizzare.
Nell’arco di questi anni, oltre a studiare il latino, la matematica e tutte le altre materie, i
ragazzi devono imparare a conoscere e gestire le loro capacità e i loro limiti e devono
trovare le strategie per muoversi nel mondo e nelle relazioni.
Arrivano bambini e se ne vanno “maturi”.
Nella prima infanzia si sono poste le basi per l’organizzazione della struttura (diciamo lo
scheletro della mente), per cui il funzionamento futuro può essere più o meno armonico.
Nel processo evolutivo dell’adolescenza si entra con il fardello delle difficoltà e delle
possibili lesioni, che nell’infanzia non sono state risolte o sono passate inosservate, ma che
inevitabilmente in adolescenza emergono.
Le criticità di temperamento, lo stile relazionale, i modelli educativi e le paure dei genitori,
inevitabilmente si riflettono sui figli: l’adolescenza è un’occasione unica, e per certi versi
ultima, per trovare equilibri e compensazioni più efficaci e anche per riparare le lesioni
pregresse.
Nel corpo succede che tutto si trasforma, a partire dagli organi sessuali, per arrivare fino al
cervello. Dalla fine degli anni ’90 numerose ricerche svolte presso il National Institute of
Mental Health (Bethesda, Maryland) si sono dedicate allo studio in follow-up dello sviluppo
del cervello in centinaia di adolescenti: tali studi hanno mostrato che attorno ai 10/11 anni
inizia un importante rimaneggiamento strutturale della corteccia prefrontale, la cui
ottimizzazione si protrae fino ai 30 anni. In particolare all’inizio dell’adolescenza si ha una
nuova massiccia sinaptogenesi, simile a quella dell’età neonatale: è un fatto unico nella vita
e irripetibile. In seguito, in tempi diversi e specifici per ogni area corticale, si osserva uno
sfoltimento delle sinapsi. I circuiti vengono così ridefiniti e acquistano maggiore efficienza
funzionale, fenomeno che il premio Nobel Gerald Edelman ha definito “darwinismo
neurale”. Tali modifiche, che determinano una significativa maturazione funzionale,
presentano tuttavia un notevole scarto temporale tra le aree deputate ai processi automatici
intuitivi/affettivi rispetto a quelle legate ai processi cognitivi. Se ne deduce che esistono
motivi anatomici specifici per cui gli adolescenti tendono ad operare scelte impulsive e con
effetti a breve termine, sulla base di spinte emozionali, mentre possono essere in difficoltà
nel valutare consapevolmente gli effetti sul medio e lungo termine, dei loro comportamenti
e delle loro scelte.
Come ha illustrato Sabba Orefice ad un recente convegno proprio in questa sede,
l'adolescenza è una stagione in cui si realizza una profonda discontinuità dell’equilibrio
fisico e mentale raggiunto nell’arco dell’infanzia: questa fase di passaggio è sempre un
momento di crisi, ma evidentemente vi sono le risorse per uscirne.
Prima di tutto è importante avere chiaro cosa succede: distinguere la crisi fisiologica da
quella che si può considerare come patologica.
I ragazzi si sentono diversi e vogliono essere diversi da prima, perché provano un forte e
coraggioso impulso a liberarsi da tutto quello che c’era nella loro vita di bambini e affrontare
con slancio il futuro, sperimentando le loro risorse.
Nei confronti di questa nuova conquistata libertà, sul piano emotivo sono cruciali due
sentimenti molto contrastanti tra loro: l’ebbrezza e la paura.
Diverso è superare i limiti, spingersi oltre i confini delle paure, diverso è cercare una totale
destrutturazione, come accade a volte con l’uso delle varie sostanze.
Nel primo caso la trasformazione si svolge, pur con le inevitabili turbolenze, entro parametri
di adeguatezza, diversamente si osserva un arresto, o una deriva che sconfina in quadri
patologici.
Secondo il modello elaborato in venticinque anni di esperienza e di studio dal Servizio
Adolescenti in ARP, la crisi è fisiologica quando l’adolescente, potendo contare su una
sufficiente fiducia nelle proprie risorse, affronta il cambiamento con la consapevolezza che
si cresce per gradi e che lo scorrere del tempo è un alleato e non un nemico.
Se ha chiaro questo, allora può tollerare l'incertezza e l'attesa con il sentimento che "non
sono ancora grande, ma lo sarò…”, "non so ancora chi sono... Non so ancora cosa farò, ma
matureranno delle chiarezze...", “non so tante cose, ma le posso imparare…”.
Ci si trova invece di fronte ad una distorsione del processo evolutivo se l’adolescente,
completamente sfiduciato, si convince che la crisi durerà per sempre, e non riesce ad
immaginare di poter evolvere per piccoli passi. In questo caso può solo pensare di doversi
trasformare in un'altra persona: era un moccioso e magicamente, all’improvviso, deve
saper dimostrare a sé e al mondo di essere grande.
In questo caso può capitare che si scoraggi e si arrenda, pensando che per sapere le cose
non serve studiarle, ma bisognerebbe averle già tutte acquisite.
Intendo qui occuparmi delle criticità in cui si può incorrere pur in situazioni fisiologiche
Anche l’adolescente sano è sempre alle prese con un’inevitabile serie di paure, che
possono produrre nella mente un rumore di fondo, a volte fortemente fuorviante. Ma
l’adolescente ha un fisiologico stimolo e ha le risorse necessarie al superamento di questa
confusione.
A volte si sente annichilito dai propri difetti, fisici o psichici: spia ansiosamente la loro
comparsa, li percepisce come insormontabili e definitivi. E’ evidente che questa attività
esplorativa dei difetti consuma molte energie e distoglie l’attenzione dai compiti. Per questo
motivo si osservano frequentemente dei cali di prestazione, e anche dei blocchi, in tutte le
attività: nello studio come nello sport e anche nelle capacità di relazione.
“Se scoprono che non so tutte queste cose, penseranno che sono un fallito, i miei genitori si
vergogneranno di me, deluderò gli insegnanti, tutti mi prenderanno in giro, sarò spregevole e
non potrò essere amato”.
Da questa trasformazione deriva un senso di estraneità, che in parte è attivamente cercata
(“mi voglio liberare di tutto quello che era la mia vita di bambino”).
Da fuori si nota solo la distrazione (“perde un sacco di tempo! Ha la testa tra le nuvole!”),
ma dentro è una folla di pensieri che invadono la mente: come si fa a mettersi lì tranquilli a
studiare il latino e la matematica?
Gli adulti, genitori, insegnanti, dottori, sono spettatori partecipi di questa avventura, ed è
importante che capiscano il lavorìo che si svolge nella mente. Anche la difficoltà a
concentrarsi, la svogliatezza e la bizzarria fanno parte dell’evoluzione: l’adolescente sta
cambiando e cambierà ancora, crescerà.
Gli adulti possono avere un fondamentale ruolo stabilizzatore, ma a loro volta possono
avere ansie, insicurezze e ferite irrisolte, che creano un allarme di fondo, e riducono le loro
capacità riparative: anzi determinano un contagio della paura.
Essi hanno oggi molti buoni motivi di essere preoccupati per il futuro dei ragazzi: il mondo
appare inquietante e sembra avere sempre meno da offrire alle nuove generazioni.
Per questo, possono cadere nella trappola di un eccessivo sentimento di responsabilità,
come se la possibilità dei ragazzi di costruirsi un decoroso futuro dipendesse
esclusivamente dalle capacità di chi li educa.
La nostra civiltà è per certi versi patogena, perché propone modelli molto competitivi e
tempi accelerati.
I genitori sono ingaggiati in una gara: sentendosi osservati e giudicati dal mondo (parenti,
amici, insegnanti) crescono i figli in un clima frettoloso, per cui bisogna essere già tutto da
subito. Possono essere orgogliosi del proprio bambino solo se arriva alle elementari che sa
già leggere e scrivere, va in piscina e gioca a tennis.
Se appena ce lo si può permettere, i figli vengono cresciuti bilingui.
Ma saper fare tutte queste cose non è per divertirsi con il piacere di funzionare al meglio!
Un bambino deve essere il primo della classe e vincere le gare per vedere i genitori
tranquilli.
E questa è la premessa psicopatogenetica degli attacchi di panico: non si può mai dire
“non ce la faccio” senza essere certi della catastrofe.
L’ansia prestazionale degli adulti, non è per pretese ambiziose o arroganti, ma è dovuta
ad eccessivo sentimento di responsabilità: alle prese con il compito di crescere i figli,
perdono di vista il fatto che il tempo è determinante nei processi di apprendimento e hanno
fretta di vedere i risultati.
Questo disturbo inizia da subito, fin dalle elementari, ma può restare subdolamente
nascosto ed esplodere al liceo, quando le trasformazioni del corpo determinano un
particolare stordimento, e quando improvvisamente le aspettative diventano esplicite.
E’ importante che gli adulti trasmettano l’idea che per crescere e per imparare occorre
prendersi del tempo.
Diversamente si crea nei ragazzi molta confusione: non è previsto che, per poter studiare,
bisogna avere la mente tranquilla.
Tutto questo si complica, perché in adolescenza occorre maturare un più chiaro sentimento
della propria identità: per sapere “chi sono” e diventare un adulto sano, è necessario
prendere confidenza con le proprie capacità e con i limiti, anche in quanto studente.
Negli anni di scuola l’adolescente deve abbandonare le strategie adottate per imitazione dei
genitori (o per obbedienza) e imparare a capire come funziona la sua mente: studia
meglio alla mattina o alla sera? E’ più concentrato se si mette a fare i compiti appena torna
da scuola o ha bisogno di fare uno stacco, magari anche una dormita? Ricorda meglio
sottolineando il libro, con gli appunti presi a lezione, ripetendo ad alta voce o facendosi degli
schemi? Studia meglio da solo o in compagnia?
Il pungolo del castigo per il brutto voto o la minaccia di una bocciatura possono evocare,
è vero, una reazione di maggiore impegno, ma si tratta di un impegno transitorio e parziale:
lo stress che ne deriva attiva anche paura e vergogna, sentimenti che ingombrano in modo
negativo lo spazio mentale dell’apprendimento.
E’ importante ricordare che il più potente motore nella vita è “il piacere di funzionare”:
esattamente come nello sport, anche nello studio, la motivazione principale si ricava
dall’esperienza che prima si soffre, ma poi si prova il piacere di essere diventati capaci.
In tutta la fase evolutiva bisognerebbe interferire il meno possibile con questa esperienza,
di modo che possa essere chiaramente percepita.
Il modello educativo che utilizza il premio e la punizione distoglie l’attenzione:
fondamentale è poter verificare che la mente ha le sue strategie e risorse, che si studiano
alcune cose e che queste restano e sono la base per altri apprendimenti, e che è molto bello
sentirsi competenti.
Questo processo può avvenire con naturalezza o con difficoltà, ma può essere gravemente
interferito dalle intemperanze frettolose degli adulti, che pensano di sapere come si deve
fare e si sentono inadempienti se non si impegnano a trasmetterlo ai figli.
I figli non sono come una creta da plasmare, ma hanno delle intrinseche propensioni, che
possono svilupparsi solo se lasciate libere di esprimersi: attraverso una difficile
sperimentazione, per prove ed errori, troveranno il proprio metodo.
E’ naturale che gli adulti si sentano chiamati a fornire loro tutti gli strumenti necessari per
affrontare la crescente complessità del mondo, ma questo può far insorgere un eccessivo
sentimento di responsabilità, e far perdere di vista i fondamentali elementi affettivi della
relazione educativa.
L’educazione infatti è un atto sostanzialmente relazionale, si esprime anche al di là della
dimensione dell’imparare, e comporta emozioni e sentimenti: gli adolescenti imparano per
identificazione amorosa.
Anche il docente funziona bene se si sente libero di trasmettere la sua passione per la
disciplina che insegna: se è troppo preoccupato dei risultati, perde di vista questi
fondamentali aspetti affettivi.
E’ evidente che la funzione degli adulti dovrebbe essere quella di fare in modo che gli
studenti apprendano, ma se alla loro età si studia la materia dell’insegnante che prende il
cuore, qual è la via per raggiungere il cuore degli studenti, oltre che la loro mente?
Di fronte a difficoltà specifiche di apprendimento, naturalmente è fondamentale poter fare
una corretta diagnosi: se si tratta di un ostacolo emotivo o di eventuali disturbi
dell’apprendimento, che ormai sono ben codificati.
Se invece l’insegnante pensa che dipenda solo da lui “far funzionare” bene quell’allievo, se
è vittima dello stress ingenerato dalla competitività con i colleghi, dalle pretese dei genitori,
dal prestigio della scuola, allora soccombe alla paura di essere inefficace e perde di vista il
suo fondamentale ruolo di educatore.
L’educazione si realizza aprendo la mente ai ragazzi, rendendoli capaci di pensare, di
accogliere i diversi punti di vista, di porsi delle domande di senso (questo pensiero dove mi
porta?), di vedere al di là delle apparenze, di trovare le argomentazioni per far valere le
proprie ragioni e di avere una capacità di ascolto dell’altro. Il processo dell’educazione
avviene solo nella misura in cui, aiutando i ragazzi ad acquisire strumenti di conoscenza, li
si aiuta a diventare più sicuri di sé, più solidi e capaci di critica.
Per realizzare ciò, gli adulti devono poter tollerare di percepire che i ragazzi hanno le loro
timidezze, insicurezze, blocchi della mente, nella consapevolezza che queste fragilità sono
anche la ricchezza dell’essere umano. Deve essere chiaro che la dimensione dell’imparare
comporta emozioni e sentimenti. Se questi vengono connotati negativamente, si crea un
pregiudizio, che ha ripercussioni spaventose sullo studente: finirà col pensare che il suo
essere timido e bloccato, e le sue difficoltà di rendimento a scuola, siano fattori irrimediabili
di fallimento nella vita.
Ma se i figli vanno male a scuola, la frustrazione per questa “bocciatura in quanto
educatori” produce un fastidioso effetto nei genitori: non solo si sentono bocciati ad uno dei
fondamentali esami della vita, ma rischiano di sentirsi loro stessi “persone fallite”, si
vergognano di fronte ai parenti, agli amici, ai colleghi, vengono travolti dalla paura del
futuro. Essere genitori diventa un incubo.
Ne risulta un malumore e spesso una reazione fortemente rancorosa, che ricade sui figli
con un’escalation di atteggiamenti punitivi, restrittivi e di controllo, a volte francamente
maltrattanti.
L’insuccesso scolastico può mandare in crisi tutto il sistema: ci si avvita in una difficoltà
relazionale che può sfociare in un vero e proprio clima di guerra.
Non basta dunque fare il passo indietro, per rispettare e anzi proteggere il delicato
momento della crescita: è importante che questo avvenga in un clima di fiduciosa e
affettuosa comprensione.
Non funziona se si è sempre alle prese con rancori litigiosi: quando succede così, il ragazzo
si sente “scaricato”, come se fare da solo fosse una punizione, perché “deve imparare,…deve
responsabilizzarsi e poi…, tanto non ascolta più i consigli, …e si ribella”.
Non funziona nemmeno se litiga continuamente con i genitori, se percepisce che, a causa
delle sue difficoltà, i genitori litigano tra di loro, oppure litigano con i docenti. Questa
situazione infatti può alterare profondamente l’accordo all’interno della coppia
genitoriale e anche l’atteggiamento della famiglia nei confronti della scuola.
Più gli adulti si arrabbiano perché sono preoccupati di non riuscire a mettere a regime la
situazione, e più i ragazzi si spaventano e peggio vanno a scuola.
Può accadere allora che l’adolescente sperimenti un sentimento di profonda solitudine di
fronte alle difficoltà dello studio, ma anche della vita.
In questa situazione ci sono due possibilità: o l’adolescente si scatena contro la scuola, gli
insegnati, i genitori, le istituzioni, le regole; oppure si deprime, si vergogna e si isola nella
solitudine della sua stanza o del mondo virtuale di internet.
In una civiltà dove il successo deve essere immediato e pieno, andare bene a scuola finisce
con l’essere la “prova del nove” per tutti gli attori della scena: è l’esame della vita, per gli
studenti e per gli educatori.
Se dunque si inizia ad andare male, si crea facilmente un clima di panico, che travolge
genitori, studenti e anche gli insegnanti: i ragazzi sono sovraccaricati dalla colpa di
produrre negli adulti sentimenti anche violenti di scontento, frustrazione e sconfitta.
Invece di impegnarsi per capire come si è inceppato il meccanismo dell’apprendimento, si
realizza una “caccia alle streghe” per scoprire di chi è la colpa: è degli studenti pigri e
menefreghisti, è dei docenti inetti e sadici, del ministero che cambia i programmi, o è della
società o dei genitori, che non hanno saputo infondere un adeguato senso del dovere? E’
colpa di un genitore permissivo e assente o dell’altro, che è intrusivo e prevaricatore?
Il risultato di tutto ciò è purtroppo l’inasprirsi dei problemi e quasi sempre un
peggioramento delle prestazioni.
Accade allora che per effetto delle paure degli adulti, il loro sguardo sui giovani finisca col
diventare molto miope: i figli vengono guardati solo per il loro profitto scolastico, e non
più come persone, con una loro storia, vicessitudini di vita, relazionali e affettive.
In questa fase della vita invece i ragazzi non dovrebbero farsi carico delle apprensioni dei
genitori, perchè possono avere maggiore bisogno di solidi punti di riferimento affettivo e
di spazi tranquilli di conforto, che aiutino a calmare la paura del mondo e del vivere.
La miopia dello sguardo fa perdere di vista il fatto che il funzionamento cognitivo dei
ragazzi (e quindi la loro “prestazione scolastica”) è inevitabilmente condizionato dal loro
benessere generale: parliamo di salute nel senso più strettamente fisico, ma anche di salute
in termini di serenità. La miopia dello sguardo degli adulti rende asfittica la relazione,
creando i presupposti per la sofferenza.
Uscendo dalla logica limitata della scuola, si trovano sempre anche i motivi esistenziali
della crisi, perché non c’è solo la scuola, ma anche la vita.
E nella vita dei ragazzi possono esserci tanti altri motivi che distolgono dallo studio: oltre
alle difficoltà intrinseche alla loro età, i primi amori e le amicizie, e il corpo che cambia, e la
sessualità, e la mente confusa, possono esserci anche le malattie, i lutti, la disoccupazione e
il divorzio dei genitori, e infine le preoccupazioni per come va il mondo.
Ci dimentichiamo troppo spesso che i giovani ci osservano, a volte impotenti, e
partecipano affettivamente con grande intensità alle nostre vicende e desiderano
immensamente vederci contenti. La loro stabilità emotiva dipende strettamente dalla
nostra.
E’ per esempio accertato che i figli di genitori in corso di divorzio, specie se molto
conflittuale, vadano incontro più frequentemente a bocciatura.
Ma sarebbe davvero importante studiare quanto interferisce la condizione di
disoccupazione dei genitori, oggi tanto frequente: si crea in famiglia un clima di grande
apprensione, con l’idea che sia necessario far crescere ancora più in fretta e bene i figli, per
collocarli rapidamente negli ultimi spazi residuali del mondo del lavoro.
E infine, queste generazioni sono state cresciute dai nonni: l’invalidità, la malattia, la morte
dei nonni cambia completamente la loro vita. Sono stati sempre coccolati, e
improvvisamente arrivano a casa e sono soli.
Ricostruire la complessità della crisi restituisce una maggiore dignità alla difficoltà
scolastica, e aiuta i genitori ad abbandonare la funzione di controllori, per imparare ad
essere alleati più soccorrevoli dei loro figli.
Se si riesce a mantenere la sufficiente calma per esplorare i motivi della difficoltà,
l’adolescenza dei ragazzi può essere una buona occasione di crescita anche per gli adulti:
si impara ad avere fiducia nelle risorse evolutive e nelle proprie capacità riparative, si
impara ad essere pazienti e si può finalmente apprezzare il piacere di evolvere insieme.
Infatti anche i genitori non nascono imparati: se possono osservare con curiosità quali
attitudini sviluppano i loro figli e che soluzioni trovano per le loro difficoltà, come attingono
al fisiologico e sano coraggio, allora possono anche imparare a sviluppare la fondamentale
funzione di essere di conforto.
In definitiva si tratta di interrompere il circolo vizioso della paura e attivare una
meccanismo virtuoso: noi dottori possiamo ritagliarci questo ruolo.
I medici di famiglia che raccolgono le lamentele e le ansie, gli psicologi e tutti gli operatori
coinvolti, possono avere un ruolo fondamentale nel farsi carico delle paure dei genitori e
nell’aiutarli a trovare la calma necessaria per garantire ai figli delle priorità affettive.
Occorre infatti tranquillizzare i genitori, con l’idea che possono avere fatto del loro meglio,
ma che strafare a volte comporta il danno di un’ansia che ricade a cascata su tutto il
sistema.
E’ importante accompagnarli a stabilire delle priorità chiare: per un buon funzionamento
della mente è fondamentale che prima venga la qualità della relazione.
I figli hanno bisogno di sentire che i genitori hanno profonda fiducia nelle loro risorse, e che
credano fermamente nelle loro capacità di uscire dalla crisi.
Il sottile confine
                                                      tra normalità e psicopatologia
                                                                      in adolescenza

                                                                                Claudio Tacchini

L'adolescenza    ha sempre rappresentato, per il mondo degli adulti, una difficoltà di
interpretazione e di confronto. I motivi consistono, a mio avviso, sia nella presenza di
comportamenti e di linguaggi che tendono a proporsi in modo estremo, sia per la fatica degli
adulti nel ripensarsi adolescenti, anche per tutti quei cambiamenti generazionali che rende
la società in continuo divenire psicologico.
Credo tutti siano in grado di riconoscere la necessità di una fase di trasformazione fra
l'infanzia e l'età adulta ma, quando si tratta di accettarne i lati oscuri, confusi, contraddittori
e rigidi, la maggior parte degli adulti reagisce con aspetti difensivi che, da un lato, non
permettono il riconoscimento della loro parte adolescenziale, dall'altro scatena emozioni
con una valenza reattiva.
Il risultato di questo confronto ci porta cosı̀, spesso, a valutare i comportamenti degli
adolescenti in modo poco congruo, vale a dire tarandolo sui comportamenti degli adulti, con
una pretesa di crescita irrealistica. Da qui è facile attribuire componenti psicopatologiche a
tutto ciò che esce da una norma, che non è quella dell'adolescenza.
I genitori degli adolescenti, coinvolti emotivamente nelle dinamiche familiari non riescono,
spesso, ad avere una visione equilibrata e coerente delle tempeste emotive dei loro figli, ed
è a questo punto che, in molti casi, si rivolgono a medici e psicologi.
Il nostro difficile ruolo consiste in una disamina del profilo psicologico dell'adolescente, ma
anche delle dinamiche familiari: la questione diagnostica, infatti, deve essere impostata,
eventualmente, dopo questa disamina per evitare di iniziare la nostra consultazione già con
la presunzione di un malato, per altro già predefinito, come fosse un capro espiatorio. Sono
assai frequenti, invece, assetti familiari disfunzionali nei quali è l'adolescente che mostra le
reazioni più evidenti o sgradevoli, ma non per questo è portatore di una psicopatologia che,
più frequentemente affligge uno dei genitori, se non entrambi.
E', quindi, solo dopo un'attenta disamina delle dinamiche familiari che si può porre un
dubbio diagnostico sull'adolescente e, di conseguenza, fare un invio ad uno specialista.
Tale invio non può essere concordato con i soli genitori, pur trattandosi di un minorenne,
perché il rischio di una mancata compliance è molto alto in questa fascia d'età .
Dobbiamo tenere presente che, nella grande maggioranza dei casi, ci si trova di fronte a
sintomi reattivi, vale a dire segni di un disagio che ancora non si è cristallizzato in una
psicopatologia e che, molto spesso, sono una reazione sana ad una situazione di dinamiche
familiari che, invece, è patologica. Queste possibilità devono essere comunicate al ragazzo,
spiegando bene che non si vuole affibbiare un'etichetta di follia, ma indagare meglio sui
motivi del dolore psichico e del disagio, senza dare per scontato che tutto nasca da una colpa
o da una malattia.
Mi aiuto con un esempio: sono sempre più frequenti le psicopatologie d'ansia, a tutte le età ,
e fra queste spiccano quelle con caratteristiche ossessive e di controllo.
In realtà queste caratteristiche psicologiche possono trovare spazio in strutture psichiche
normali, nelle quali le formazioni reattive hanno la funzione di sedare un'ansia con
caratteristiche normali, per lo più episodiche e legati ad accadimenti o periodi della vita
particolari. Questa è un'esperienza che abbiamo provato tutti.
Nelle strutture psichiche nevrotiche il dipanarsi di questi elementi ossessivi è più
continuativo, si sono formati meccanismi di difesa piuttosto rigidi ma, il paziente, è spesso
capace di critica e cerca di arginare la sintomatologia, per non permetterle di permeare
l'intera vita. Anche questa è un'esperienza abbastanza frequente, soprattutto in fasi precise
della vita, come in adolescenza.
Questa stessa sintomatologia, basata su meccanismi di difesa ancor più primitivi e profondi,
può essere evidente in strutture psichiche molto alterate, come i disturbi della personalità
o le psicosi. Stessi sintomi per psicopatologie che poggiano su strutture psichiche molto
distanti fra loro, con il rischio di confondere stati della mente assai differenti e con gravità e
prognosi infinitamente diverse.
La presenza di sintomi ossessivi in un adolescente non deve, quindi, indurci a porre una
diagnosi di psicopatologia: solo attraverso un'attenta diagnosi (ricordando il significato
etimologico: capire attraverso) possiamo apprezzare la situazione reale.
Questa è più opera da specialista, ma ritengo importante che anche il medico di medicina
generale possa disporre di questa forma mentis.
Il rischio consiste nel disporsi ad affrontare una psicopatologia, magari colludendo con
l'emotività dei genitori, che riesce a spiegarsi i comportamenti del figlio solo con questa
considerazione di malattia. E' da tenere presente che l'adolescente, anche in modo
provocatorio, fa propria la diagnosi di psicopatologia e giustifica ogni comportamento a
causa di tale afflizione. Viene cosı̀ a perdersi l'aspetto di responsabilità , sia della funzione
genitoriale, sia di quella personale del ragazzo: la malattia mentale come impotenza e come
delega all'operato del medico.
Quanto detto finora non significa che la psicopatologia adolescenziale non esista; ritengo,
però , sia sopravvalutata, soprattutto in un momento storico in cui i comportamenti
adolescenziali si estremizzano, senza che gli adulti siano capaci di contenerli. E' evidente
l'utilizzo massiccio di stupefacenti, con tipologie assai variate e con assunzioni sempre più
precoci. L'uso di nuovi mezzi di comunicazione permette a molti ragazzi, psicologicamente
predisposti, di chiudersi in casa, senza neppure più frequentare la scuola e tenendosi in
contatto con gli amici solo in modo virtuale. Sono frequenti gli atti autolesivi, i
comportamenti parasuicidari e i tentativi di suicidio.
Sono tutti comportamenti estremi, spesso accompagnati ad una scarsissima comunicazione
con il mondo degli adulti: non sono, però , necessariamente sintomi di psicopatologie,
soprattutto perché manifestati da adolescenti (diverso sarebbe se li manifestassero degli
adulti). Vale sempre la pena di domandarsi quale sia, per questi ragazzi, il senso di tali
manifestazioni, lo scopo, cosa vogliono dirci, quale sia la fonte del disagio e del dolore
(proviene da loro stessi, dall'ambiente sociale, dalla famiglia?). I ragazzi sono, per lo più ,
disponibili a confrontarsi con un adulto che sia curioso di loro e, possibilmente, non il loro
genitore.
Si tratta, in definitiva, di rimanere saldi in situazioni nelle quali tutti, in famiglia e nella
scuola, sono messi a dura prova da questi inevitabili estremisti che sono gli adolescenti e
che, purtroppo, troppo spesso dimentichiamo d'essere stati.
Adolescenti ed aggressività,
                                                           tra cambiamenti culturali
                                                                   e psicopatologia

                                                                              Luca Micheletti

L’adolescenza è forse uno dei momenti più complessi, delicati e evolutivi di tutta l’esistenza.
Si verifica una quantità di cambiamenti che mai si attueranno ancora nel corso della vita e
non tutti i ragazzi sono pronti per sopportare la velocità con cui tali cambiamenti si
manifestano. Il disagio giovanile, condizione da molti attribuita alla sempre maggiore
precarietà del contesto sociale, è una realtà concreta pur cangiante nelle sue manifestazioni
in relazione a una quantità di variabili personologiche e ambientali. Sempre più spesso la
sofferenza emotiva dei giovani si manifesta con condotte aggressive, che tuttavia possono
assumere una connotazione disturbante che travalica la sofferenza stessa e non è da essa
giustificata.
Al contempo occorre ricordare che la violenza, come suggerito da Girard, è insita nel
comportamento umano e può essere considerata come inevitabile atto fondativo della
società: l’identificazione di un colpevole esterno, responsabile della crisi interna, comporta
necessariamente la sua uccisione o espulsione. Alcune forme di violenza fra i giovani sono
generate dal bisogno di auto affermarsi o differenziarsi attraverso la prevaricazione
dell’altro o dalla necessità di contrastare la noia, in un mondo in cui lo spazio del desiderio
è abolito come potenziale generatore di dipendenza, aspetto relazionale da cui ora bisogna
fuggire. Ne deriva un’espansione illimitata della libertà in assenza dei movimenti di
conquista che hanno caratterizzato le dinamiche giovanili delle precedenti generazioni.
Di fronte ad un comportamento aggressivo il sistema sanitario è in crisi, in bilico fra il
bisogno di curare e quello di controllare. Questa apparente contraddizione solleva problemi
di natura etica e sociale non facilmente risolvibili, anche a causa di una quantità di variabili
confondenti legate ai cambiamenti del sistemi con cui l’adolescenza e la giovane età adulta
si confrontano e si articolano.
La presentazione si propone di analizzare varie forme di violenza nei giovani, cercando di
distinguere tra forme sintomatiche e forme primitive che con la psicopatologia non hanno
rapporto. Viene anche presentato uno spaccato epidemiologico della distribuzione per
sesso, età e diagnosi di comportamenti violenti nella popolazione giovanile che ha avuto
accesso presso il Centro Psico-Sociale di Legnano durante quest’anno.
La problematica narcisistica in adolescenza
                                               nel rito di passaggio in età adulta

                                                                             Daniele Barattini

Come ha osservato     Diatkine (1997): “L’adolescenza è un’età della vita ma è anche una
disposizione particolare della psiche umana e un’esperienza i cui effetti si possono
osservare al di là della prima giovinezza… Si può dire che certi pazienti non hanno mai
cominciato la loro adolescenza, mentre altri, al di là dell’età reale, non ne sono mai usciti.”
Si tratta dunque di un momento di passaggio cruciale che, nella transizione all’età adulta, è
contrassegnato dai cambianti fisici della pubertà, dalla fragilità e dall’ancoraggio alla
dimensione corporea, dalla ricerca di nuove e differenti identità e dalla conflittualità tra il
bisogno di emancipazione e quello di dipendenza che viene negato, configurando uno spazio
relazionale in cui le aspettative verso di sé e gli altri diventano più intense e confuse.
Uno “spazio psichico allargato” (Jeammet, 1999) che è “una delle dominanti del
funzionamento mentale dell’adolescente”, in cui gli investimenti narcisistici sono
ampiamente confusi per la perdita dell’appoggio narcisistico prima delegato ai genitori, che
garantiva uno “schermo protettivo” (Kestemberg, 1987), di sostegno nelle fasi della vita
infantile.
Ora lo sguardo dell’adolescente è rivolto all’esterno, al gruppo e ad altri “garanti” della
società.
La ricapitolazione delle tappe dello sviluppo, in questa fase, come già aveva evidenziato
Freud nell’opera “Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905), comporta una riattualizzazione dei
traumi e dei conflitti della vita psichica precedente che mette in discussione
l’organizzazione degli investimenti oggettuali e narcisistici che era stata raggiunta.
Pertanto, si tratta di compiere un lavoro di lutto dei precedenti investimenti e delle istanze
ideali, dei vissuti di onnipotenza infantile e delle proiezioni, dei desideri e delle aspettative
nel futuro, compito questo reso tanto più difficoltoso quanto più il trascorso periodo di
sviluppo è stato difettuale o traumatico, soprattutto con riferimento alle interazioni
dell’ambito familiare.
In questo “spazio allargato” è importante il ruolo giocato dal contesto sociale di
appartenenza che, sin dalle società cosiddette “primitive” e sino a quelle attuali
appartenenti al mondo occidentalizzato, ha predisposto “dei riti di iniziazione e di
passaggio” all’età adulta, caratterizzati dalle funzioni di controllo e di contenimento delle
istanze trasgressive e degli aspetti potenzialmente aggressivi.
Il rito segnava un ingresso nel mondo degli adulti, offrendo nuove occasione di identità
all’individuo e di condivisione, attraverso prove fisiche e momenti di sofferenza. Ciò
rappresentava un innegabile vantaggio narcisistico.
Le società attuali hanno attraversato nel tempo diverse fasi di modificazione e di
cambiamento nell’apparato rituale. Soprattutto nelle società moderne, dove è stata messa
più in rilievo la dimensione soggettiva dell’individuo, i riti hanno così perso la funzione di
“unanimità”, e le istanze di “carattere liberalistico” che li contraddistinguono possono
essere “percepite” più come un ritiro che talvolta assomiglia, e spesso lo è, ad un abbandono
(Jeammet, 1999).
Così, se da un lato la società contemporanea fornisce innegabili benefici sul piano della
formazione culturale, dello studio e dell’accesso alla comunicazione (per nominarne solo
alcuni dei molti), dall’altro determina il venir meno di quei “contratti narcisistici
strutturanti” (Kaës, 2013) che sono fondamentali nella costituzione di una identità
soggettiva necessaria a stabilire delle rappresentazioni di sé e dell’altro, che permettano di
sostenere i legami collettivi.
In questa prospettiva diventa importante monitorare “il processo di soggettivazione” (Cahn,
2000) in cui è immerso l’adolescente, nella sua oscillazione tra investimenti interni ed
esterni (con una predilezione verso questi ultimi), di continuo rimaneggiamento psichico
delle identificazioni che lo avevano sostenuto nell’età infantile.
Spesso si assiste ad un “crollo del processo di soggettivazione” in quelle personalità che non
hanno superato questo passaggio, rimanendo bloccate in un percorso evolutivo che diventa
patologico. Ne sono un esempio le crisi narcisistiche che possiamo riscontrare in diversi
stati limite, caratterizzate dalla perdita del senso di continuità e dalla capacità di
rappresentarsi.
Bergeret (2002) descrive questi arresti della “evoluzione libidica” del soggetto come
“pseudolatenza” che si prolungherà al di là dell’adolescenza “tanto da invadere una parte
della vita dell’adulto…”, inibendone le possibilità di cambiamento e di trasformazione.
Dove la famiglia ha difficoltà nel fare fronte alle problematiche poste dall’adolescente,
acquista rilievo la funzione vicaria costituita dalla società, sia da parte degli specialisti della
psiche, che degli agenti della salute a vario titolo.
Tuttavia occorre tenere presente, come ci ha insegnato Winnicott (1970), che gli adolescenti
sono difficili, in quanto (a differenza dei bambini) hanno “a loro disposizione tecniche
proprie degli adulti” e hanno “una fiera intolleranza per le false soluzioni”.
Appare quindi appropriato accostarsi all’adolescente problematico con un atteggiamento
improntato sia alla comprensione, sia alla capacità di porre limiti, sapendo trovare, negli
elementi di realtà esterni, uno spazio di condivisione e di possibile alleanza terapeutica, in
quella ricerca di verità e di autenticità sottesa a molti comportamenti di grandiosità, di sfida
e di provocazione.
Il lavoro presentato sarà integrato da alcune brevi illustrazioni cliniche, che
esemplificheranno l’argomentazione.

Orientamenti Bibliografici

     Bergeret, J., Cahn, R., Diatkine, R., Jeammet, Ph., Kestemberg, E., Lebovici, S. (1983).
        Adolescenza terminata, adolescenza interminabile. Roma: Borla, 1987.
     Bergeret, J. (1996). La personalità normale e patologica. Le strutture mentali, il carattere, i
        sintomi. Milano: Raffaello Cortina, 2002.
     Cahn, R. (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Roma:
        Borla (2000).
     Freud, S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale (Vol. IV, pp. 441-546) in OSF. Torino: Bollati
        Boringhieri, 2007.
     Freud, S. (1912-13). Totem e tabú: alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei
        nevrotici (Vol. VII, pp. 1-164) in OSF. Torino: Bollati Boringhieri, 2007.
     Freud, S. (1914). Introduzione al narcisismo (Vol. VII, pp. 439-472) in OSF. Torino: Bollati
        Boringhieri, 2007.
     Freud, S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io (Vol. IX, pp. 257-330) in OSF. Torino:
        Bollati Boringhieri, 2007.
     Jeammet, Ph. (1992). Psicopatologia dell’adolescenza. Roma: Borla, 1999.
     Kaës, R. (2012). Il malessere. Roma: Borla, 2013.
     Ronningstam, F., E. (a cura di, 1998). I disturbi del narcisismo. Diagnosi, clinica, ricerca.
        Milano: Raffaello Cortina, 2001.
     Winnicott, W., D. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente. Roma: Armando Armando, 1974.
Suggestioni Junghiane intorno all’adolescenza
                                                                             Giuseppe Pasini

Questo intervento cerca di svelare lo scenario archetipico dell'adolescenza.
Prendendo spunto dal concetto di Jung di individuazione, si cerca di mettere in luce come
questo stadio della vita, nel contesto archetipico, esprima, attraverso traumi inquietudini e
fantasie, la spinta dell'adolescente verso la realizzazione del Sè .
L'attenzione si incentra in particolare sull' archetipo dell'iniziazione: un tempo, nelle varie
culture, vi erano dei riti di passaggio dall'infanzia alla vita adulta attraverso tutta
l'adolescenza.
Oggi l'adolescente, spesso disperato, attua dei tentativi di auto-iniziazione: sforzi per
frantumare la loro adolescenza ferendo, sforzi per costruirsi la capacità di sopportare le
frustrazioni, navigando attraverso tradimenti, separazioni e morti simboliche, sforzi di
esprimere la purezza dei loro ideali.
Gli atteggiamenti estremi dell'adolescenza quindi non devono essere penetrati con le lenti
dell'infanzia e della vita adulta ma attraverso la visione archetipica.
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