VIA MOSÈ BIANCHI 94 - MILANO - LE PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE DELL'ADOLESCENTE ALL'ATTENZIONE DEL MEDICO DI FAMIGLIA - OMCEOMI
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Le problematiche psicologiche dell’adolescente all’attenzione del Medico di Famiglia Sabato 1 ottobre 2016 – ore 8.15-13.30 Sala Girardi - PIME Via Mosè Bianchi 94 – Milano n. Evento 1834 - 170543 Crediti 5
Il nostro Ordine è particolarmente impegnato nell’ambito della formazione e dell’aggiornamento dei propri iscritti. Questo evento che rappresenta una tappa del percorso e dell’impegno profuso da parte degli organizzatori merita il nostro ringraziamento e plauso. Numerosi sono gli altri corsi in programma a testimonianza della vitalità e dell’impegno dei nostri iscritti per far crescere e rendere sempre più vicina la nostra professione ai bisogni dei nostri ammalati. Non sfugge ad una attenta riflessione che tali eventi rappresentano non solo opportunità di aggiornamento scientifico ma vitali strumenti per una crescita professionale ed etica. Questo obiettivo verrà perseguito con particolare determinazione e il nostro Ordine sarà sempre pronto ad accogliere suggerimenti e proposte per poter migliorare la professione medica. Il Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri Dott. Roberto Carlo Rossi
LE PROBLEMATICHE PSICOLOGICHE DELL’ADOLESCENTE ALL’ATTENZIONE DEL MEDICO DI FAMIGLIA Sabato 1 ottobre 2016 – ore 8.15-13.30 Sala Girardi - PIME Via Mosè Bianchi 94 – Milano Coordinatore Giuseppe Pasini Medico psicoterapeuta ANEB Moderatore Giorgio Cavallari Psichiatra e psicoterapeuta ANEB PROGRAMMA 8.15-8.45 Registrazione Partecipanti 8.45-9.00 Saluto del Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Milano o di altro Consigliere da lui delegato 9.00-9.05 Giorgio Cavallari Presentazione del convegno 9.05-09.25 Giorgio Cavallari Dinamiche familiari fra ansia e destabilizzazione 9.25-9.50 Giuliana Gola Psichiatra e psicoterapeuta – Servizio Adolescenti ARP Genitori alle prese con l’insuccesso scolastico 9.50-10.15 Claudio Tacchini Psichiatra e psicoterapeuta Il sottile confine tra normalità e psicopatologia in adolescenza 10.15-10.30 Intervallo 10.30-10.55 Luca Micheletti Psichiatra e psicoterapeuta Adolescenti ed aggressività, tra cambiamenti culturali e psicopatologia 10.55-11.20 Daniele Barattini Psichiatra e psicoterapeuta La problematica narcisistica in adolescenza nel rito di passaggio in età adulta 11.20-11.45 Giuseppe Pasini Suggestioni junghiane intorno all’adolescenza 11.45-13.00 Discussione 13.00-13.30 Compilazione schede di valutazione e di verifica
Dinamiche familiari fra ansia e destabilizzazione Giorgio Cavallari Quando un ragazzo o una ragazza entrano nella fase dell’adolescenza, gli stessi, e le famiglie in cui questi vivono, entrano in una condizione di rapido, intenso, spesso drammatico cambiamento. Il cambiamento riguarda in primo luogo il corpo, e questo per noi medici è molto importante, l’adolescente si sente, si vede, si sperimenta diverso-diversa fisicamente, la pubertà, non scelta e non chiamata, arriva, e impone l’evidenza dello sviluppo sessuale, della crescita, della voce che cambia, del peso e dell’altezza che crescono tumultuosamente. Cambia l’assetto psicologico, legato anche alla maturazione neurale e ormonale, con l’emergere di tratti di evidente tumultuosità prima non presenti o almeno non così evidenti. Cambiano gli interessi, le motivazioni, le relazioni, le attività, con l’apparire di comportamenti che spesso sono accomunati da una caratteristica: sono diversi, spesso polemicamente contrapposti a quelli propri dalla famiglia e dal mondo adulto, che nell’infanzia erano condivisi o almeno accettati. In una parola cambia l’identità, il modo di essere sul piano del comportamento, dei modelli di riferimento, dei valori. L’adolescente vuole fare di testa sua, anche in aree che riguardano il medico, come la alimentazione e l’uso degli anticoncezionali. Con il mutamento dell’identità si modifica profondamente anche il rapporto di necessaria, ma conflittuale dipendenza che l’adolescente ha con il mondo adulto: con i genitori in primo luogo, ma anche con gli insegnanti e con i professionisti della salute. Figure da cui il ragazzo e la ragazza dipendono, economicamente, psicologicamente, affettivamente, a cui chiedono, ma anche a cui si ribellano, in quanto proprio l’adolescenza è un periodo nodale in cui il soggetto umano pone le basi di un fondamento della sua esistenza psicologica e sociale, la autonomia. L’adolescente si colloca di fronte alle figure adulte di riferimento, fra cui i professionisti della salute, ponendo la duplice necessità di essere rispettato come soggetto che sta divenendo autonomo, e quindi ascoltato, informato, coinvolto, ma anche necessariamente guidato in decisioni importanti che non sono solo la scelta della scuola, degli stili di vita, degli ambienti frequentati, ma anche della salute: pensiamo a cose che coinvolgono i genitori ma anche il medico come le diete, l’assunzione di farmaci o di sostanze voluttuarie, le condotte sessuali.
Mutamenti di identità, tensione fra autonomia e dipendenza, bisogno di mettersi alla prova non raramente anche con l’assunzione di rischi fanno dell’adolescenza una età che è stata definita da più voci come una sorta di “fisiologica patologia”, di disregolazione, di disarmonia entro certi limiti sana e necessaria che riguarda la psiche, la dimensione sociale, ma anche il corpo degli adolescenti, sia maschi che femmine. Tutto questo è entro certi limiti inevitabile, ma produce una conseguenza che ha un nome: la crescita dei livelli di ansia. La pur fisiologica destabilizzazione che l’adolescenza comporta può sfociare, in assetti psicologici e familiari più vulnerabili e meno resilienti, in un’ansia che assume il rilievo qualitativo e quantitativo di vera patologia, nel soggetto adolescente ma anche in coloro che gli vivono intorno, genitori in particolare, con l’emergere di manifestazioni con i quali il medico è chiamato a confrontarsi, e per i quali deve essere preparato: attacchi di panico, ansia generalizzata, e sempre più frequentemente ipocondria e somatizzazioni.
Genitori alle prese con l’insuccesso scolastico Giuliana Gola L’amor che move il sole e l’altre stelle Dante – Paradiso – XXXIII, 145 In questo intervento parlerò delle riflessioni che ho maturato nella mia esperienza decennale di sportello per genitori in un grande liceo di Milano. Non intendo occuparmi di teorie dell’apprendimento, quanto piuttosto delle criticità relazionali. L’adolescenza è una stagione cruciale della vita per lo sviluppo della persona. Questi anni di scuola, oltre ad essere l’unica e ultima occasione per acquisire competenze culturali di base, sdoganano l’essere umano dall’infanzia all’età adulta. Si creano le basi della stabilità emotiva, relazionale e corporea: si impara a “mentalizzare”, cioè a contenere nella mente gli stati d’animo, capirli, tradurli in pensieri e parole, elaborarli. Diversamente si può determinare una tendenza a somatizzare. Nell’arco di questi anni, oltre a studiare il latino, la matematica e tutte le altre materie, i ragazzi devono imparare a conoscere e gestire le loro capacità e i loro limiti e devono trovare le strategie per muoversi nel mondo e nelle relazioni. Arrivano bambini e se ne vanno “maturi”. Nella prima infanzia si sono poste le basi per l’organizzazione della struttura (diciamo lo scheletro della mente), per cui il funzionamento futuro può essere più o meno armonico. Nel processo evolutivo dell’adolescenza si entra con il fardello delle difficoltà e delle possibili lesioni, che nell’infanzia non sono state risolte o sono passate inosservate, ma che inevitabilmente in adolescenza emergono. Le criticità di temperamento, lo stile relazionale, i modelli educativi e le paure dei genitori, inevitabilmente si riflettono sui figli: l’adolescenza è un’occasione unica, e per certi versi ultima, per trovare equilibri e compensazioni più efficaci e anche per riparare le lesioni pregresse. Nel corpo succede che tutto si trasforma, a partire dagli organi sessuali, per arrivare fino al cervello. Dalla fine degli anni ’90 numerose ricerche svolte presso il National Institute of Mental Health (Bethesda, Maryland) si sono dedicate allo studio in follow-up dello sviluppo
del cervello in centinaia di adolescenti: tali studi hanno mostrato che attorno ai 10/11 anni inizia un importante rimaneggiamento strutturale della corteccia prefrontale, la cui ottimizzazione si protrae fino ai 30 anni. In particolare all’inizio dell’adolescenza si ha una nuova massiccia sinaptogenesi, simile a quella dell’età neonatale: è un fatto unico nella vita e irripetibile. In seguito, in tempi diversi e specifici per ogni area corticale, si osserva uno sfoltimento delle sinapsi. I circuiti vengono così ridefiniti e acquistano maggiore efficienza funzionale, fenomeno che il premio Nobel Gerald Edelman ha definito “darwinismo neurale”. Tali modifiche, che determinano una significativa maturazione funzionale, presentano tuttavia un notevole scarto temporale tra le aree deputate ai processi automatici intuitivi/affettivi rispetto a quelle legate ai processi cognitivi. Se ne deduce che esistono motivi anatomici specifici per cui gli adolescenti tendono ad operare scelte impulsive e con effetti a breve termine, sulla base di spinte emozionali, mentre possono essere in difficoltà nel valutare consapevolmente gli effetti sul medio e lungo termine, dei loro comportamenti e delle loro scelte. Come ha illustrato Sabba Orefice ad un recente convegno proprio in questa sede, l'adolescenza è una stagione in cui si realizza una profonda discontinuità dell’equilibrio fisico e mentale raggiunto nell’arco dell’infanzia: questa fase di passaggio è sempre un momento di crisi, ma evidentemente vi sono le risorse per uscirne. Prima di tutto è importante avere chiaro cosa succede: distinguere la crisi fisiologica da quella che si può considerare come patologica. I ragazzi si sentono diversi e vogliono essere diversi da prima, perché provano un forte e coraggioso impulso a liberarsi da tutto quello che c’era nella loro vita di bambini e affrontare con slancio il futuro, sperimentando le loro risorse. Nei confronti di questa nuova conquistata libertà, sul piano emotivo sono cruciali due sentimenti molto contrastanti tra loro: l’ebbrezza e la paura. Diverso è superare i limiti, spingersi oltre i confini delle paure, diverso è cercare una totale destrutturazione, come accade a volte con l’uso delle varie sostanze. Nel primo caso la trasformazione si svolge, pur con le inevitabili turbolenze, entro parametri di adeguatezza, diversamente si osserva un arresto, o una deriva che sconfina in quadri patologici. Secondo il modello elaborato in venticinque anni di esperienza e di studio dal Servizio Adolescenti in ARP, la crisi è fisiologica quando l’adolescente, potendo contare su una sufficiente fiducia nelle proprie risorse, affronta il cambiamento con la consapevolezza che si cresce per gradi e che lo scorrere del tempo è un alleato e non un nemico. Se ha chiaro questo, allora può tollerare l'incertezza e l'attesa con il sentimento che "non sono ancora grande, ma lo sarò…”, "non so ancora chi sono... Non so ancora cosa farò, ma matureranno delle chiarezze...", “non so tante cose, ma le posso imparare…”.
Ci si trova invece di fronte ad una distorsione del processo evolutivo se l’adolescente, completamente sfiduciato, si convince che la crisi durerà per sempre, e non riesce ad immaginare di poter evolvere per piccoli passi. In questo caso può solo pensare di doversi trasformare in un'altra persona: era un moccioso e magicamente, all’improvviso, deve saper dimostrare a sé e al mondo di essere grande. In questo caso può capitare che si scoraggi e si arrenda, pensando che per sapere le cose non serve studiarle, ma bisognerebbe averle già tutte acquisite. Intendo qui occuparmi delle criticità in cui si può incorrere pur in situazioni fisiologiche Anche l’adolescente sano è sempre alle prese con un’inevitabile serie di paure, che possono produrre nella mente un rumore di fondo, a volte fortemente fuorviante. Ma l’adolescente ha un fisiologico stimolo e ha le risorse necessarie al superamento di questa confusione. A volte si sente annichilito dai propri difetti, fisici o psichici: spia ansiosamente la loro comparsa, li percepisce come insormontabili e definitivi. E’ evidente che questa attività esplorativa dei difetti consuma molte energie e distoglie l’attenzione dai compiti. Per questo motivo si osservano frequentemente dei cali di prestazione, e anche dei blocchi, in tutte le attività: nello studio come nello sport e anche nelle capacità di relazione. “Se scoprono che non so tutte queste cose, penseranno che sono un fallito, i miei genitori si vergogneranno di me, deluderò gli insegnanti, tutti mi prenderanno in giro, sarò spregevole e non potrò essere amato”. Da questa trasformazione deriva un senso di estraneità, che in parte è attivamente cercata (“mi voglio liberare di tutto quello che era la mia vita di bambino”). Da fuori si nota solo la distrazione (“perde un sacco di tempo! Ha la testa tra le nuvole!”), ma dentro è una folla di pensieri che invadono la mente: come si fa a mettersi lì tranquilli a studiare il latino e la matematica? Gli adulti, genitori, insegnanti, dottori, sono spettatori partecipi di questa avventura, ed è importante che capiscano il lavorìo che si svolge nella mente. Anche la difficoltà a concentrarsi, la svogliatezza e la bizzarria fanno parte dell’evoluzione: l’adolescente sta cambiando e cambierà ancora, crescerà. Gli adulti possono avere un fondamentale ruolo stabilizzatore, ma a loro volta possono avere ansie, insicurezze e ferite irrisolte, che creano un allarme di fondo, e riducono le loro capacità riparative: anzi determinano un contagio della paura. Essi hanno oggi molti buoni motivi di essere preoccupati per il futuro dei ragazzi: il mondo appare inquietante e sembra avere sempre meno da offrire alle nuove generazioni. Per questo, possono cadere nella trappola di un eccessivo sentimento di responsabilità, come se la possibilità dei ragazzi di costruirsi un decoroso futuro dipendesse esclusivamente dalle capacità di chi li educa.
La nostra civiltà è per certi versi patogena, perché propone modelli molto competitivi e tempi accelerati. I genitori sono ingaggiati in una gara: sentendosi osservati e giudicati dal mondo (parenti, amici, insegnanti) crescono i figli in un clima frettoloso, per cui bisogna essere già tutto da subito. Possono essere orgogliosi del proprio bambino solo se arriva alle elementari che sa già leggere e scrivere, va in piscina e gioca a tennis. Se appena ce lo si può permettere, i figli vengono cresciuti bilingui. Ma saper fare tutte queste cose non è per divertirsi con il piacere di funzionare al meglio! Un bambino deve essere il primo della classe e vincere le gare per vedere i genitori tranquilli. E questa è la premessa psicopatogenetica degli attacchi di panico: non si può mai dire “non ce la faccio” senza essere certi della catastrofe. L’ansia prestazionale degli adulti, non è per pretese ambiziose o arroganti, ma è dovuta ad eccessivo sentimento di responsabilità: alle prese con il compito di crescere i figli, perdono di vista il fatto che il tempo è determinante nei processi di apprendimento e hanno fretta di vedere i risultati. Questo disturbo inizia da subito, fin dalle elementari, ma può restare subdolamente nascosto ed esplodere al liceo, quando le trasformazioni del corpo determinano un particolare stordimento, e quando improvvisamente le aspettative diventano esplicite. E’ importante che gli adulti trasmettano l’idea che per crescere e per imparare occorre prendersi del tempo. Diversamente si crea nei ragazzi molta confusione: non è previsto che, per poter studiare, bisogna avere la mente tranquilla. Tutto questo si complica, perché in adolescenza occorre maturare un più chiaro sentimento della propria identità: per sapere “chi sono” e diventare un adulto sano, è necessario prendere confidenza con le proprie capacità e con i limiti, anche in quanto studente. Negli anni di scuola l’adolescente deve abbandonare le strategie adottate per imitazione dei genitori (o per obbedienza) e imparare a capire come funziona la sua mente: studia meglio alla mattina o alla sera? E’ più concentrato se si mette a fare i compiti appena torna da scuola o ha bisogno di fare uno stacco, magari anche una dormita? Ricorda meglio sottolineando il libro, con gli appunti presi a lezione, ripetendo ad alta voce o facendosi degli schemi? Studia meglio da solo o in compagnia? Il pungolo del castigo per il brutto voto o la minaccia di una bocciatura possono evocare, è vero, una reazione di maggiore impegno, ma si tratta di un impegno transitorio e parziale: lo stress che ne deriva attiva anche paura e vergogna, sentimenti che ingombrano in modo negativo lo spazio mentale dell’apprendimento.
E’ importante ricordare che il più potente motore nella vita è “il piacere di funzionare”: esattamente come nello sport, anche nello studio, la motivazione principale si ricava dall’esperienza che prima si soffre, ma poi si prova il piacere di essere diventati capaci. In tutta la fase evolutiva bisognerebbe interferire il meno possibile con questa esperienza, di modo che possa essere chiaramente percepita. Il modello educativo che utilizza il premio e la punizione distoglie l’attenzione: fondamentale è poter verificare che la mente ha le sue strategie e risorse, che si studiano alcune cose e che queste restano e sono la base per altri apprendimenti, e che è molto bello sentirsi competenti. Questo processo può avvenire con naturalezza o con difficoltà, ma può essere gravemente interferito dalle intemperanze frettolose degli adulti, che pensano di sapere come si deve fare e si sentono inadempienti se non si impegnano a trasmetterlo ai figli. I figli non sono come una creta da plasmare, ma hanno delle intrinseche propensioni, che possono svilupparsi solo se lasciate libere di esprimersi: attraverso una difficile sperimentazione, per prove ed errori, troveranno il proprio metodo. E’ naturale che gli adulti si sentano chiamati a fornire loro tutti gli strumenti necessari per affrontare la crescente complessità del mondo, ma questo può far insorgere un eccessivo sentimento di responsabilità, e far perdere di vista i fondamentali elementi affettivi della relazione educativa. L’educazione infatti è un atto sostanzialmente relazionale, si esprime anche al di là della dimensione dell’imparare, e comporta emozioni e sentimenti: gli adolescenti imparano per identificazione amorosa. Anche il docente funziona bene se si sente libero di trasmettere la sua passione per la disciplina che insegna: se è troppo preoccupato dei risultati, perde di vista questi fondamentali aspetti affettivi. E’ evidente che la funzione degli adulti dovrebbe essere quella di fare in modo che gli studenti apprendano, ma se alla loro età si studia la materia dell’insegnante che prende il cuore, qual è la via per raggiungere il cuore degli studenti, oltre che la loro mente? Di fronte a difficoltà specifiche di apprendimento, naturalmente è fondamentale poter fare una corretta diagnosi: se si tratta di un ostacolo emotivo o di eventuali disturbi dell’apprendimento, che ormai sono ben codificati. Se invece l’insegnante pensa che dipenda solo da lui “far funzionare” bene quell’allievo, se è vittima dello stress ingenerato dalla competitività con i colleghi, dalle pretese dei genitori, dal prestigio della scuola, allora soccombe alla paura di essere inefficace e perde di vista il suo fondamentale ruolo di educatore. L’educazione si realizza aprendo la mente ai ragazzi, rendendoli capaci di pensare, di accogliere i diversi punti di vista, di porsi delle domande di senso (questo pensiero dove mi
porta?), di vedere al di là delle apparenze, di trovare le argomentazioni per far valere le proprie ragioni e di avere una capacità di ascolto dell’altro. Il processo dell’educazione avviene solo nella misura in cui, aiutando i ragazzi ad acquisire strumenti di conoscenza, li si aiuta a diventare più sicuri di sé, più solidi e capaci di critica. Per realizzare ciò, gli adulti devono poter tollerare di percepire che i ragazzi hanno le loro timidezze, insicurezze, blocchi della mente, nella consapevolezza che queste fragilità sono anche la ricchezza dell’essere umano. Deve essere chiaro che la dimensione dell’imparare comporta emozioni e sentimenti. Se questi vengono connotati negativamente, si crea un pregiudizio, che ha ripercussioni spaventose sullo studente: finirà col pensare che il suo essere timido e bloccato, e le sue difficoltà di rendimento a scuola, siano fattori irrimediabili di fallimento nella vita. Ma se i figli vanno male a scuola, la frustrazione per questa “bocciatura in quanto educatori” produce un fastidioso effetto nei genitori: non solo si sentono bocciati ad uno dei fondamentali esami della vita, ma rischiano di sentirsi loro stessi “persone fallite”, si vergognano di fronte ai parenti, agli amici, ai colleghi, vengono travolti dalla paura del futuro. Essere genitori diventa un incubo. Ne risulta un malumore e spesso una reazione fortemente rancorosa, che ricade sui figli con un’escalation di atteggiamenti punitivi, restrittivi e di controllo, a volte francamente maltrattanti. L’insuccesso scolastico può mandare in crisi tutto il sistema: ci si avvita in una difficoltà relazionale che può sfociare in un vero e proprio clima di guerra. Non basta dunque fare il passo indietro, per rispettare e anzi proteggere il delicato momento della crescita: è importante che questo avvenga in un clima di fiduciosa e affettuosa comprensione. Non funziona se si è sempre alle prese con rancori litigiosi: quando succede così, il ragazzo si sente “scaricato”, come se fare da solo fosse una punizione, perché “deve imparare,…deve responsabilizzarsi e poi…, tanto non ascolta più i consigli, …e si ribella”. Non funziona nemmeno se litiga continuamente con i genitori, se percepisce che, a causa delle sue difficoltà, i genitori litigano tra di loro, oppure litigano con i docenti. Questa situazione infatti può alterare profondamente l’accordo all’interno della coppia genitoriale e anche l’atteggiamento della famiglia nei confronti della scuola. Più gli adulti si arrabbiano perché sono preoccupati di non riuscire a mettere a regime la situazione, e più i ragazzi si spaventano e peggio vanno a scuola. Può accadere allora che l’adolescente sperimenti un sentimento di profonda solitudine di fronte alle difficoltà dello studio, ma anche della vita.
In questa situazione ci sono due possibilità: o l’adolescente si scatena contro la scuola, gli insegnati, i genitori, le istituzioni, le regole; oppure si deprime, si vergogna e si isola nella solitudine della sua stanza o del mondo virtuale di internet. In una civiltà dove il successo deve essere immediato e pieno, andare bene a scuola finisce con l’essere la “prova del nove” per tutti gli attori della scena: è l’esame della vita, per gli studenti e per gli educatori. Se dunque si inizia ad andare male, si crea facilmente un clima di panico, che travolge genitori, studenti e anche gli insegnanti: i ragazzi sono sovraccaricati dalla colpa di produrre negli adulti sentimenti anche violenti di scontento, frustrazione e sconfitta. Invece di impegnarsi per capire come si è inceppato il meccanismo dell’apprendimento, si realizza una “caccia alle streghe” per scoprire di chi è la colpa: è degli studenti pigri e menefreghisti, è dei docenti inetti e sadici, del ministero che cambia i programmi, o è della società o dei genitori, che non hanno saputo infondere un adeguato senso del dovere? E’ colpa di un genitore permissivo e assente o dell’altro, che è intrusivo e prevaricatore? Il risultato di tutto ciò è purtroppo l’inasprirsi dei problemi e quasi sempre un peggioramento delle prestazioni. Accade allora che per effetto delle paure degli adulti, il loro sguardo sui giovani finisca col diventare molto miope: i figli vengono guardati solo per il loro profitto scolastico, e non più come persone, con una loro storia, vicessitudini di vita, relazionali e affettive. In questa fase della vita invece i ragazzi non dovrebbero farsi carico delle apprensioni dei genitori, perchè possono avere maggiore bisogno di solidi punti di riferimento affettivo e di spazi tranquilli di conforto, che aiutino a calmare la paura del mondo e del vivere. La miopia dello sguardo fa perdere di vista il fatto che il funzionamento cognitivo dei ragazzi (e quindi la loro “prestazione scolastica”) è inevitabilmente condizionato dal loro benessere generale: parliamo di salute nel senso più strettamente fisico, ma anche di salute in termini di serenità. La miopia dello sguardo degli adulti rende asfittica la relazione, creando i presupposti per la sofferenza. Uscendo dalla logica limitata della scuola, si trovano sempre anche i motivi esistenziali della crisi, perché non c’è solo la scuola, ma anche la vita. E nella vita dei ragazzi possono esserci tanti altri motivi che distolgono dallo studio: oltre alle difficoltà intrinseche alla loro età, i primi amori e le amicizie, e il corpo che cambia, e la sessualità, e la mente confusa, possono esserci anche le malattie, i lutti, la disoccupazione e il divorzio dei genitori, e infine le preoccupazioni per come va il mondo. Ci dimentichiamo troppo spesso che i giovani ci osservano, a volte impotenti, e partecipano affettivamente con grande intensità alle nostre vicende e desiderano immensamente vederci contenti. La loro stabilità emotiva dipende strettamente dalla nostra.
E’ per esempio accertato che i figli di genitori in corso di divorzio, specie se molto conflittuale, vadano incontro più frequentemente a bocciatura. Ma sarebbe davvero importante studiare quanto interferisce la condizione di disoccupazione dei genitori, oggi tanto frequente: si crea in famiglia un clima di grande apprensione, con l’idea che sia necessario far crescere ancora più in fretta e bene i figli, per collocarli rapidamente negli ultimi spazi residuali del mondo del lavoro. E infine, queste generazioni sono state cresciute dai nonni: l’invalidità, la malattia, la morte dei nonni cambia completamente la loro vita. Sono stati sempre coccolati, e improvvisamente arrivano a casa e sono soli. Ricostruire la complessità della crisi restituisce una maggiore dignità alla difficoltà scolastica, e aiuta i genitori ad abbandonare la funzione di controllori, per imparare ad essere alleati più soccorrevoli dei loro figli. Se si riesce a mantenere la sufficiente calma per esplorare i motivi della difficoltà, l’adolescenza dei ragazzi può essere una buona occasione di crescita anche per gli adulti: si impara ad avere fiducia nelle risorse evolutive e nelle proprie capacità riparative, si impara ad essere pazienti e si può finalmente apprezzare il piacere di evolvere insieme. Infatti anche i genitori non nascono imparati: se possono osservare con curiosità quali attitudini sviluppano i loro figli e che soluzioni trovano per le loro difficoltà, come attingono al fisiologico e sano coraggio, allora possono anche imparare a sviluppare la fondamentale funzione di essere di conforto. In definitiva si tratta di interrompere il circolo vizioso della paura e attivare una meccanismo virtuoso: noi dottori possiamo ritagliarci questo ruolo. I medici di famiglia che raccolgono le lamentele e le ansie, gli psicologi e tutti gli operatori coinvolti, possono avere un ruolo fondamentale nel farsi carico delle paure dei genitori e nell’aiutarli a trovare la calma necessaria per garantire ai figli delle priorità affettive. Occorre infatti tranquillizzare i genitori, con l’idea che possono avere fatto del loro meglio, ma che strafare a volte comporta il danno di un’ansia che ricade a cascata su tutto il sistema. E’ importante accompagnarli a stabilire delle priorità chiare: per un buon funzionamento della mente è fondamentale che prima venga la qualità della relazione. I figli hanno bisogno di sentire che i genitori hanno profonda fiducia nelle loro risorse, e che credano fermamente nelle loro capacità di uscire dalla crisi.
Il sottile confine tra normalità e psicopatologia in adolescenza Claudio Tacchini L'adolescenza ha sempre rappresentato, per il mondo degli adulti, una difficoltà di interpretazione e di confronto. I motivi consistono, a mio avviso, sia nella presenza di comportamenti e di linguaggi che tendono a proporsi in modo estremo, sia per la fatica degli adulti nel ripensarsi adolescenti, anche per tutti quei cambiamenti generazionali che rende la società in continuo divenire psicologico. Credo tutti siano in grado di riconoscere la necessità di una fase di trasformazione fra l'infanzia e l'età adulta ma, quando si tratta di accettarne i lati oscuri, confusi, contraddittori e rigidi, la maggior parte degli adulti reagisce con aspetti difensivi che, da un lato, non permettono il riconoscimento della loro parte adolescenziale, dall'altro scatena emozioni con una valenza reattiva. Il risultato di questo confronto ci porta cosı̀, spesso, a valutare i comportamenti degli adolescenti in modo poco congruo, vale a dire tarandolo sui comportamenti degli adulti, con una pretesa di crescita irrealistica. Da qui è facile attribuire componenti psicopatologiche a tutto ciò che esce da una norma, che non è quella dell'adolescenza. I genitori degli adolescenti, coinvolti emotivamente nelle dinamiche familiari non riescono, spesso, ad avere una visione equilibrata e coerente delle tempeste emotive dei loro figli, ed è a questo punto che, in molti casi, si rivolgono a medici e psicologi. Il nostro difficile ruolo consiste in una disamina del profilo psicologico dell'adolescente, ma anche delle dinamiche familiari: la questione diagnostica, infatti, deve essere impostata, eventualmente, dopo questa disamina per evitare di iniziare la nostra consultazione già con la presunzione di un malato, per altro già predefinito, come fosse un capro espiatorio. Sono assai frequenti, invece, assetti familiari disfunzionali nei quali è l'adolescente che mostra le reazioni più evidenti o sgradevoli, ma non per questo è portatore di una psicopatologia che, più frequentemente affligge uno dei genitori, se non entrambi. E', quindi, solo dopo un'attenta disamina delle dinamiche familiari che si può porre un dubbio diagnostico sull'adolescente e, di conseguenza, fare un invio ad uno specialista.
Tale invio non può essere concordato con i soli genitori, pur trattandosi di un minorenne, perché il rischio di una mancata compliance è molto alto in questa fascia d'età . Dobbiamo tenere presente che, nella grande maggioranza dei casi, ci si trova di fronte a sintomi reattivi, vale a dire segni di un disagio che ancora non si è cristallizzato in una psicopatologia e che, molto spesso, sono una reazione sana ad una situazione di dinamiche familiari che, invece, è patologica. Queste possibilità devono essere comunicate al ragazzo, spiegando bene che non si vuole affibbiare un'etichetta di follia, ma indagare meglio sui motivi del dolore psichico e del disagio, senza dare per scontato che tutto nasca da una colpa o da una malattia. Mi aiuto con un esempio: sono sempre più frequenti le psicopatologie d'ansia, a tutte le età , e fra queste spiccano quelle con caratteristiche ossessive e di controllo. In realtà queste caratteristiche psicologiche possono trovare spazio in strutture psichiche normali, nelle quali le formazioni reattive hanno la funzione di sedare un'ansia con caratteristiche normali, per lo più episodiche e legati ad accadimenti o periodi della vita particolari. Questa è un'esperienza che abbiamo provato tutti. Nelle strutture psichiche nevrotiche il dipanarsi di questi elementi ossessivi è più continuativo, si sono formati meccanismi di difesa piuttosto rigidi ma, il paziente, è spesso capace di critica e cerca di arginare la sintomatologia, per non permetterle di permeare l'intera vita. Anche questa è un'esperienza abbastanza frequente, soprattutto in fasi precise della vita, come in adolescenza. Questa stessa sintomatologia, basata su meccanismi di difesa ancor più primitivi e profondi, può essere evidente in strutture psichiche molto alterate, come i disturbi della personalità o le psicosi. Stessi sintomi per psicopatologie che poggiano su strutture psichiche molto distanti fra loro, con il rischio di confondere stati della mente assai differenti e con gravità e prognosi infinitamente diverse. La presenza di sintomi ossessivi in un adolescente non deve, quindi, indurci a porre una diagnosi di psicopatologia: solo attraverso un'attenta diagnosi (ricordando il significato etimologico: capire attraverso) possiamo apprezzare la situazione reale. Questa è più opera da specialista, ma ritengo importante che anche il medico di medicina generale possa disporre di questa forma mentis. Il rischio consiste nel disporsi ad affrontare una psicopatologia, magari colludendo con l'emotività dei genitori, che riesce a spiegarsi i comportamenti del figlio solo con questa considerazione di malattia. E' da tenere presente che l'adolescente, anche in modo provocatorio, fa propria la diagnosi di psicopatologia e giustifica ogni comportamento a causa di tale afflizione. Viene cosı̀ a perdersi l'aspetto di responsabilità , sia della funzione genitoriale, sia di quella personale del ragazzo: la malattia mentale come impotenza e come delega all'operato del medico.
Quanto detto finora non significa che la psicopatologia adolescenziale non esista; ritengo, però , sia sopravvalutata, soprattutto in un momento storico in cui i comportamenti adolescenziali si estremizzano, senza che gli adulti siano capaci di contenerli. E' evidente l'utilizzo massiccio di stupefacenti, con tipologie assai variate e con assunzioni sempre più precoci. L'uso di nuovi mezzi di comunicazione permette a molti ragazzi, psicologicamente predisposti, di chiudersi in casa, senza neppure più frequentare la scuola e tenendosi in contatto con gli amici solo in modo virtuale. Sono frequenti gli atti autolesivi, i comportamenti parasuicidari e i tentativi di suicidio. Sono tutti comportamenti estremi, spesso accompagnati ad una scarsissima comunicazione con il mondo degli adulti: non sono, però , necessariamente sintomi di psicopatologie, soprattutto perché manifestati da adolescenti (diverso sarebbe se li manifestassero degli adulti). Vale sempre la pena di domandarsi quale sia, per questi ragazzi, il senso di tali manifestazioni, lo scopo, cosa vogliono dirci, quale sia la fonte del disagio e del dolore (proviene da loro stessi, dall'ambiente sociale, dalla famiglia?). I ragazzi sono, per lo più , disponibili a confrontarsi con un adulto che sia curioso di loro e, possibilmente, non il loro genitore. Si tratta, in definitiva, di rimanere saldi in situazioni nelle quali tutti, in famiglia e nella scuola, sono messi a dura prova da questi inevitabili estremisti che sono gli adolescenti e che, purtroppo, troppo spesso dimentichiamo d'essere stati.
Adolescenti ed aggressività, tra cambiamenti culturali e psicopatologia Luca Micheletti L’adolescenza è forse uno dei momenti più complessi, delicati e evolutivi di tutta l’esistenza. Si verifica una quantità di cambiamenti che mai si attueranno ancora nel corso della vita e non tutti i ragazzi sono pronti per sopportare la velocità con cui tali cambiamenti si manifestano. Il disagio giovanile, condizione da molti attribuita alla sempre maggiore precarietà del contesto sociale, è una realtà concreta pur cangiante nelle sue manifestazioni in relazione a una quantità di variabili personologiche e ambientali. Sempre più spesso la sofferenza emotiva dei giovani si manifesta con condotte aggressive, che tuttavia possono assumere una connotazione disturbante che travalica la sofferenza stessa e non è da essa giustificata. Al contempo occorre ricordare che la violenza, come suggerito da Girard, è insita nel comportamento umano e può essere considerata come inevitabile atto fondativo della società: l’identificazione di un colpevole esterno, responsabile della crisi interna, comporta necessariamente la sua uccisione o espulsione. Alcune forme di violenza fra i giovani sono generate dal bisogno di auto affermarsi o differenziarsi attraverso la prevaricazione dell’altro o dalla necessità di contrastare la noia, in un mondo in cui lo spazio del desiderio è abolito come potenziale generatore di dipendenza, aspetto relazionale da cui ora bisogna fuggire. Ne deriva un’espansione illimitata della libertà in assenza dei movimenti di conquista che hanno caratterizzato le dinamiche giovanili delle precedenti generazioni. Di fronte ad un comportamento aggressivo il sistema sanitario è in crisi, in bilico fra il bisogno di curare e quello di controllare. Questa apparente contraddizione solleva problemi di natura etica e sociale non facilmente risolvibili, anche a causa di una quantità di variabili confondenti legate ai cambiamenti del sistemi con cui l’adolescenza e la giovane età adulta si confrontano e si articolano. La presentazione si propone di analizzare varie forme di violenza nei giovani, cercando di distinguere tra forme sintomatiche e forme primitive che con la psicopatologia non hanno rapporto. Viene anche presentato uno spaccato epidemiologico della distribuzione per sesso, età e diagnosi di comportamenti violenti nella popolazione giovanile che ha avuto accesso presso il Centro Psico-Sociale di Legnano durante quest’anno.
La problematica narcisistica in adolescenza nel rito di passaggio in età adulta Daniele Barattini Come ha osservato Diatkine (1997): “L’adolescenza è un’età della vita ma è anche una disposizione particolare della psiche umana e un’esperienza i cui effetti si possono osservare al di là della prima giovinezza… Si può dire che certi pazienti non hanno mai cominciato la loro adolescenza, mentre altri, al di là dell’età reale, non ne sono mai usciti.” Si tratta dunque di un momento di passaggio cruciale che, nella transizione all’età adulta, è contrassegnato dai cambianti fisici della pubertà, dalla fragilità e dall’ancoraggio alla dimensione corporea, dalla ricerca di nuove e differenti identità e dalla conflittualità tra il bisogno di emancipazione e quello di dipendenza che viene negato, configurando uno spazio relazionale in cui le aspettative verso di sé e gli altri diventano più intense e confuse. Uno “spazio psichico allargato” (Jeammet, 1999) che è “una delle dominanti del funzionamento mentale dell’adolescente”, in cui gli investimenti narcisistici sono ampiamente confusi per la perdita dell’appoggio narcisistico prima delegato ai genitori, che garantiva uno “schermo protettivo” (Kestemberg, 1987), di sostegno nelle fasi della vita infantile. Ora lo sguardo dell’adolescente è rivolto all’esterno, al gruppo e ad altri “garanti” della società. La ricapitolazione delle tappe dello sviluppo, in questa fase, come già aveva evidenziato Freud nell’opera “Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905), comporta una riattualizzazione dei traumi e dei conflitti della vita psichica precedente che mette in discussione l’organizzazione degli investimenti oggettuali e narcisistici che era stata raggiunta. Pertanto, si tratta di compiere un lavoro di lutto dei precedenti investimenti e delle istanze ideali, dei vissuti di onnipotenza infantile e delle proiezioni, dei desideri e delle aspettative nel futuro, compito questo reso tanto più difficoltoso quanto più il trascorso periodo di sviluppo è stato difettuale o traumatico, soprattutto con riferimento alle interazioni dell’ambito familiare. In questo “spazio allargato” è importante il ruolo giocato dal contesto sociale di appartenenza che, sin dalle società cosiddette “primitive” e sino a quelle attuali appartenenti al mondo occidentalizzato, ha predisposto “dei riti di iniziazione e di
passaggio” all’età adulta, caratterizzati dalle funzioni di controllo e di contenimento delle istanze trasgressive e degli aspetti potenzialmente aggressivi. Il rito segnava un ingresso nel mondo degli adulti, offrendo nuove occasione di identità all’individuo e di condivisione, attraverso prove fisiche e momenti di sofferenza. Ciò rappresentava un innegabile vantaggio narcisistico. Le società attuali hanno attraversato nel tempo diverse fasi di modificazione e di cambiamento nell’apparato rituale. Soprattutto nelle società moderne, dove è stata messa più in rilievo la dimensione soggettiva dell’individuo, i riti hanno così perso la funzione di “unanimità”, e le istanze di “carattere liberalistico” che li contraddistinguono possono essere “percepite” più come un ritiro che talvolta assomiglia, e spesso lo è, ad un abbandono (Jeammet, 1999). Così, se da un lato la società contemporanea fornisce innegabili benefici sul piano della formazione culturale, dello studio e dell’accesso alla comunicazione (per nominarne solo alcuni dei molti), dall’altro determina il venir meno di quei “contratti narcisistici strutturanti” (Kaës, 2013) che sono fondamentali nella costituzione di una identità soggettiva necessaria a stabilire delle rappresentazioni di sé e dell’altro, che permettano di sostenere i legami collettivi. In questa prospettiva diventa importante monitorare “il processo di soggettivazione” (Cahn, 2000) in cui è immerso l’adolescente, nella sua oscillazione tra investimenti interni ed esterni (con una predilezione verso questi ultimi), di continuo rimaneggiamento psichico delle identificazioni che lo avevano sostenuto nell’età infantile. Spesso si assiste ad un “crollo del processo di soggettivazione” in quelle personalità che non hanno superato questo passaggio, rimanendo bloccate in un percorso evolutivo che diventa patologico. Ne sono un esempio le crisi narcisistiche che possiamo riscontrare in diversi stati limite, caratterizzate dalla perdita del senso di continuità e dalla capacità di rappresentarsi. Bergeret (2002) descrive questi arresti della “evoluzione libidica” del soggetto come “pseudolatenza” che si prolungherà al di là dell’adolescenza “tanto da invadere una parte della vita dell’adulto…”, inibendone le possibilità di cambiamento e di trasformazione. Dove la famiglia ha difficoltà nel fare fronte alle problematiche poste dall’adolescente, acquista rilievo la funzione vicaria costituita dalla società, sia da parte degli specialisti della psiche, che degli agenti della salute a vario titolo. Tuttavia occorre tenere presente, come ci ha insegnato Winnicott (1970), che gli adolescenti sono difficili, in quanto (a differenza dei bambini) hanno “a loro disposizione tecniche proprie degli adulti” e hanno “una fiera intolleranza per le false soluzioni”.
Appare quindi appropriato accostarsi all’adolescente problematico con un atteggiamento improntato sia alla comprensione, sia alla capacità di porre limiti, sapendo trovare, negli elementi di realtà esterni, uno spazio di condivisione e di possibile alleanza terapeutica, in quella ricerca di verità e di autenticità sottesa a molti comportamenti di grandiosità, di sfida e di provocazione. Il lavoro presentato sarà integrato da alcune brevi illustrazioni cliniche, che esemplificheranno l’argomentazione. Orientamenti Bibliografici Bergeret, J., Cahn, R., Diatkine, R., Jeammet, Ph., Kestemberg, E., Lebovici, S. (1983). Adolescenza terminata, adolescenza interminabile. Roma: Borla, 1987. Bergeret, J. (1996). La personalità normale e patologica. Le strutture mentali, il carattere, i sintomi. Milano: Raffaello Cortina, 2002. Cahn, R. (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Roma: Borla (2000). Freud, S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale (Vol. IV, pp. 441-546) in OSF. Torino: Bollati Boringhieri, 2007. Freud, S. (1912-13). Totem e tabú: alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici (Vol. VII, pp. 1-164) in OSF. Torino: Bollati Boringhieri, 2007. Freud, S. (1914). Introduzione al narcisismo (Vol. VII, pp. 439-472) in OSF. Torino: Bollati Boringhieri, 2007. Freud, S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io (Vol. IX, pp. 257-330) in OSF. Torino: Bollati Boringhieri, 2007. Jeammet, Ph. (1992). Psicopatologia dell’adolescenza. Roma: Borla, 1999. Kaës, R. (2012). Il malessere. Roma: Borla, 2013. Ronningstam, F., E. (a cura di, 1998). I disturbi del narcisismo. Diagnosi, clinica, ricerca. Milano: Raffaello Cortina, 2001. Winnicott, W., D. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente. Roma: Armando Armando, 1974.
Suggestioni Junghiane intorno all’adolescenza Giuseppe Pasini Questo intervento cerca di svelare lo scenario archetipico dell'adolescenza. Prendendo spunto dal concetto di Jung di individuazione, si cerca di mettere in luce come questo stadio della vita, nel contesto archetipico, esprima, attraverso traumi inquietudini e fantasie, la spinta dell'adolescente verso la realizzazione del Sè . L'attenzione si incentra in particolare sull' archetipo dell'iniziazione: un tempo, nelle varie culture, vi erano dei riti di passaggio dall'infanzia alla vita adulta attraverso tutta l'adolescenza. Oggi l'adolescente, spesso disperato, attua dei tentativi di auto-iniziazione: sforzi per frantumare la loro adolescenza ferendo, sforzi per costruirsi la capacità di sopportare le frustrazioni, navigando attraverso tradimenti, separazioni e morti simboliche, sforzi di esprimere la purezza dei loro ideali. Gli atteggiamenti estremi dell'adolescenza quindi non devono essere penetrati con le lenti dell'infanzia e della vita adulta ma attraverso la visione archetipica.
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