Effetto serra, metodi di rimozione e smaltimento della CO2

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Effetto serra, metodi di rimozione e smaltimento della CO2
Effetto serra, metodi di rimozione e smaltimento della CO2
1. Introduzione
L’effetto serra è un processo naturale, che permette alle radiazioni solari di attraversare
l’atmosfera terrestre ed impedisce a buona parte della radiazioni infrarosse riflesse di
tornare nello spazio esterno.
Il bilancio di energia del pianeta terra è quindi definito da un termine positivo, costituito
dal flusso della radiazione entrante (l'energia solare assorbita nel visibile/ultravioletto, a
piccole lunghezze d’onda), e da un termine negativo dovuto al flusso della radiazione
uscente (l'energia emessa nell'infrarosso termico, a grandi lunghezze d'onda). Il termine di
flusso entrante è dato dalla sola radiazione solare essendo del tutto trascurabili i contributi
della radiazione stellare, di quella riflessa dalla luna e dai raggi cosmici. Il termine di flusso
uscente è sostanzialmente costituito dalla somma di due termini: il primo è legato alla
radiazione emessa dalla superficie terrestre che riesce a passare attraverso l’atmosfera,
mentre il secondo è dato dalla radiazione emessa dai vari strati atmosferici verso lo spazio.
Si ricordi che la radiazione viene emessa nell’infrarosso ad una temperatura inferiore (283
K) rispetto a quella ricevuta (6000 K).
Durante il suo passaggio attraverso l’atmosfera terrestre, la radiazione solare subisce
numerosi processi di assorbimento e diffusione in tutte le direzioni ad opera di diversi
costituenti atmosferici (Fig. 1). Parte della radiazione solare incidente viene intercettata
dalle nubi, riflessa all’indietro o diffusa verso la superficie terrestre. Altra radiazione solare
viene diffusa in tutte le direzioni dalle molecole dell’aria (scattering di Rayleigh) e dalle
particelle di aerosol. Un’altra percentuale non trascurabile viene assorbita dal materiale
particolato ed un’altra frazione dal vapore acqueo e dagli altri gas atmosferici (ozono,
anidride carbonica, ossigeno, metano,…). Valutazioni medie globali delle percentuali di
radiazione solare coinvolte in tutti questi processi permettono di indicare i seguenti valori:
- il 33% circa è riflessa all’indietro dal pianeta (suolo ed oceani) a lunghezze d’onda
     maggiori, sottoforma di infrarossi,
- il 24% circa è assorbita dall’atmosfera,
- il 43% circa è assorbita dalla superficie terrestre.
La radiazione assorbita dai gas atmosferici viene a sua volta irradiata in tutte le direzioni,
sia verso l’alto che verso il basso.
Dato che la concentrazione dei gas atmosferici diminuisce esponenzialmente con l’altezza,
anche la capacità di assorbire ed emettere radiazione da parte dei vari strati diminuisce con
la quota. Pure la temperatura dell’atmosfera diminuisce con l’altezza presentando un
gradiente medio che nei primi 10 km assume il valore di 6.5 K/km. Gli strati atmosferici
più bassi sono pertanto più caldi ed emettono quindi più radiazione termica di quelli
soprastanti: la densità di flusso della radiazione infrarossa emessa in atmosfera verso l’alto
risulta essere considerevolmente più piccola di quella emessa verso il basso (208 W/m2
contro 304 W/m2). La proprietà dell’atmosfera terrestre di assorbire la maggior parte della
radiazione emessa dalla superficie e di emettere verso la superficie in misura maggiore che
verso lo spazio (con un rapporto di circa 1 a 0.6) prende il nome di effetto serra1.

1 Il nome deriva dal fenomeno analogo che sta alla base della coltivazione delle piante nelle serre, dove il
vetro è trasparente alla radiazione luminosa ma opaco a quella infrarossa.

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Fig. 1. Schema semplificato dell'effetto serra.

Tale effetto naturale ha mantenuto la temperatura della superficie terrestre circa 33°C più
calda di quanto sarebbe stata senza atmosfera, permettendo lo sviluppo della vita. L’effetto
serra prodotto dai gas atmosferici presenti in condizioni normali non causa, di per sé, alcun
effetto straordinario di riscaldamento dell’atmosfera ma contribuisce solamente a
mantenere sul pianeta le condizioni di equilibrio climatico indispensabili alla vita
dell’uomo. In mancanza dell’azione di “intrappolamento” della radiazione esercitata
dall’atmosfera la temperatura media della superficie terrestre sarebbe presumibilmente pari
a -15°C. Questo valore si ricava imponendo che il pianeta re-irradi verso lo spazio la stessa
quantità di energia media Im ricevuta dal sole, pari a 345.5 W/m2, secondo la formula:
                                       I m (1 − a m ) = ε mσ T 4
dove am e εm corrispondono ai valori medi dell’albedo (0.3÷0.34) e dell’emissività del
pianeta (0.95). Si specifica che l’albedo indica la frazione di radiazione incidente che viene
riflessa indietro.
Senza l’effetto serra la vita sulla terra sarebbe dunque impossibile. Perché, allora, l’effetto
serra preoccupa tanto gli esperti del settore? La risposta è legata al fatto che le attività
antropiche generano gas serra che si aggiungono a quelli già esistenti in atmosfera,
accumulandosi. E’ il rapido aumento delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra a
causare un incremento dei processi di assorbimento ed emissione tale da provocare il
riscaldamento dell’atmosfera terrestre.

2. I gas serra
Anidride carbonica (Fig. 2), protossido di azoto (Fig. 3) e metano (Fig. 4) sono gas
responsabili dell’effetto serra. Oltre a questi vi sono il vapor d’acqua, presente in atmosfera
in seguito all’evaporazione da tutte le fonti idriche e come prodotto delle varie
combustioni, e tutti quei gas non presenti in natura, ma generati da diversi processi
industriali, come gli idrofluorocarburi (HFC), i perfluorocarburi (PFC) e l’esafluoruro di
zolfo (SF6). Questi gas (GHGs, Greenhouse gases) vengono generati da una grande
quantità di attività umane, fra cui l'uso di combustibili fossili, lo smaltimento di rifiuti in
discariche, la deforestazione e varie pratiche agricole ed industriali (Fig. 7).

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Fig. 2. Concentrazione di CO2 in atmosfera.

                            Fig. 3. Concentrazione di N2O in atmosfera.

             ppb

                            Fig. 4. Concentrazione di CH4 in atmosfera.

Il bilancio radiativo terrestre nella regione spettrale dell’infrarosso è fortemente dipendente
dalla concentrazione dei gas serra che assorbono la radiazione emessa dalla superficie
terrestre contribuendo al riscaldamento dell'atmosfera. La Fig. 5 mostra la dipendenza
spettrale del fattore serra e, insieme alla Fig. 6, identifica i gas che contribuiscono
maggiormente all'assorbimento della radiazione termica da parte dell'atmosfera: la CO2 e il
vapor d’acqua risultano avere l’effetto predominante.

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Fig. 5. Fattore serra.

                      Fig. 6. Bande di assorbimento dei principali gas serra.

3. L’effetto serra
I vari gas serra prodotti contribuiscono all'effetto serra in modo differente per la diversa
quantità con cui vengono emessi, per il diverso potere di assorbimento degli infrarossi e
per il tempo di permanenza in atmosfera, altrimenti detto “vita media atmosferica”.

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Quest’ultima indica l’approssimativo ammontare di tempo necessario affinché
l’incremento della concentrazione di un inquinante dovuto all’attività umana scompaia e si
ritorni ad un livello naturale. Ben più noto è il potenziale di riscaldamento globale, o GWP,
Global Warming Potential, che rappresenta il rapporto fra il riscaldamento globale, causato
in un determinato periodo di tempo, di solito 100 anni, da una particolare inquinante ed il
riscaldamento provocato dalla stessa quantità di CO2. Naturalmente, si fissa il GWP della
CO2 pari ad 1.

                                                       CO2             CH4   N2O
          Potenziale effetto serra (GWP)                1               21   290
          Vita media atmosferica (anni)                100              12   120
          Concentrazione (ppm)                         380             1,7   0,3
                              Tab. 1. Caratteristiche di alcuni gas serra.

L'anidride carbonica è uno dei principali responsabili dell'incremento dell'effetto serra. La
concentrazione di CO2 fino al 1800 è stata di circa 280 ppm2, mentre ai giorni nostri è
cresciuta fino a 360 ppm. Attualmente vengono emesse in atmosfera circa 27 Gt di CO2
all’anno che equivalgono a 7.4 Gt di carbonio (GtC). Continuando con questo ritmo
secondo le stime dell’IPCC3 arriveremo fino a 15-20 GtC nell’anno 2050 e fino a 20-35
GtC nel 2100: per il periodo 1990-2100 si stima dunque una emissione totale di CO2
compresa fra 1450 e 2200 GtC. Gli USA e i paesi dell'OECD4 da soli producono circa il
48% della CO2 mondiale.
L’attuale concentrazione di CO2 in atmosfera è la più alta che si sia mai verificata negli
ultimi 650 mila anni e molto probabilmente anche nell’ultimo milione di anni, come hanno
dimostrato le più recenti ricerche in Antartide. L’aumento di CO2 in atmosfera (35% in
250 anni di cui ben 8% negli ultimi 20 anni) sta avvenendo con un tasso di crescita (circa 2
ppm per anno) che è il più alto mai verificatosi degli ultimi 20 mila anni.

                               Fig. 7. Fonti di emissioni dei gas serra.

Questo aumento ha provocato un incremento di calore fornito alla superficie terrestre pari a
circa 2.8 W/m2. Per quanto riguarda la temperatura, si è avuto un incremento di 0.3-0.65°C
a partire dalla fine del XIX secolo (Fig. 8). Occorre precisare che allo stato attuale non si ha

2 Parti per milione
3 Intergovernmental Panel on Climate Change
4 Organization of Economic Cooperation and Development

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la completa certezza che ciò sia conseguenza diretta dell’effetto serra, essendo la
variazione dello stesso ordine delle fluttuazioni spontanee di temperatura. È tuttavia
evidente che esiste una correlazione fra la concentrazione di CO2 e la variazione della
temperatura terrestre. L’analisi dei dati storici è riportata in Fig. 9. Sono molte le
complicazioni che impediscono di mettere direttamente in relazione l’aumento della
concentrazione dei gas serra con l’aumento della temperatura. In primo luogo, la presenza
di particelle solide o liquide (aerosol) nell’atmosfera scherma parzialmente la superficie
terrestre dalla radiazione solare e porta quindi al raffreddamento della troposfera ed al
riscaldamento della stratosfera. Le particelle possono derivare sia da cause naturali, come
le eruzioni vulcaniche, sia da attività umane, come la combustione di carbone. In secondo
luogo, l’effetto delle nuvole e le reazioni derivanti dalla biosfera accrescono l’incertezza
sull’entità dell’influenza dei gas serra sul riscaldamento globale.
Nonostante la complessità del problema e la scarsa conoscenza dei meccanismi di reazione
e contro-reazione che caratterizzano l’evoluzione dei sistemi naturali, è possibile costruire
dei modelli matematici aventi l’obiettivo di prevedere cosa accadrà in futuro. Questi
identificano degli scenari possibili in funzione delle scelte energetiche, economiche e
politiche e giungono a proiezioni ben diverse fra loro. Alcuni modelli di previsione
suggeriscono che l'aumento di gas serra in atmosfera (Fig. 10) provocherà:
- un incremento del riscaldamento di 3÷8 W/m2 con conseguente aumento della
temperatura terrestre compreso fra 1.5 e 4.5°C entro il 2100;
- un incremento dell'evaporazione, dovuta al riscaldamento della superficie terrestre, e
quindi un aumento delle precipitazioni e della frequenza di quelle molto intense. A
cambiare in maniera molto evidente è la distribuzione delle precipitazioni nel corso
dell’anno piuttosto che i valori medi annuali. Si nota, soprattutto nelle aree intertropicali,
una tendenza alla estremizzazione di tali fenomeni, con aumenti delle intensità delle
precipitazioni ed una diminuzione della loro durata. Di pari passo è aumentata la frequenza
dei periodi siccitosi con conseguente promozione dei processi di desertificazione dei suoli.
- un’intensificazione dei fenomeni meteorologici più violenti, come tempeste ed uragani,
con aumento delle inondazioni e delle erosioni a carico del terreno;
- una riduzione dell'umidità del suolo nelle regioni continentali e tropicali con conseguente
calo della resa agricola;
- un aumento del livello dei mari compreso fra 15 e 55 cm entro la fine del prossimo
secolo, principalmente a causa dell’espansione termica degli oceani e dello scioglimento
dei ghiacci (Fig. 11).

           Fig. 8. Andamento della temperatura media sulla superficie terrestre (1880-2001).

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Fig. 9. Concentrazione di CO2 e variazione della temperatura media superficiale della terra (ultimi 420000
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                 Fig. 10. Previsioni delle emissioni di CO2 secondo sei differenti scenari.

Fig. 11. Previsioni dell’incremento della temperatura media della superficie terrestre e del livello del mare
                                       secondo sei differenti scenari.

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4. Sorgenti di emissioni di CO2
Prima della rivoluzione industriale le emissioni naturali di CO2 ed il suo assorbimento da
parte dei mari, degli alberi, del suolo e della copertura vegetale, erano tali da mantenere
questo ciclo in equilibrio. Oggi questo equilibrio non esiste più a causa dell’incremento
delle emissioni antropiche. Analizzando il complesso ciclo biogeochimico del carbonio
sulla terra (Fig. 12), ci si rende conto di come le quantità di CO2 scambiate fra oceani,
atmosfera, suolo e biosfera siano molto più grandi del contributo dovuto alle attività
umane. Tuttavia lo scostamento dalla condizione di equilibrio che da secoli governa il ciclo
sta portando a delle conseguenze non trascurabili.
Le principali sorgenti di CO2 sono legate all’uso di combustibili fossili. Il valore
complessivo deriva da una serie di attività fra cui: riscaldamento di costruzioni private o
commerciali, produzione di energia elettrica, uso di combustibili in processi industriali e
alimentazione per autoveicoli. Differenziando le emissioni in funzione del tipo di
combustibile si stima che il 42% delle emissioni derivino dall’utilizzo di petrolio, il 36%
dal carbone ed il 22% da gas naturale. Altre fonti di emissioni di CO2 dipendono dall’uso
di combustibili ricavati da biomassa, da processi industriali (nelle trasformazioni chimiche
di materiali si può avere rilascio di CO2), dalla deforestazione ed dalle discariche di rifiuti.

                                    Fig. 12. Ciclo del carbonio.

5. Il Protocollo di Kyoto
Il Protocollo di Kyoto, sottoscritto da più di 160 paesi nell’omonima città giapponese l’11
dicembre 1997, è il primo atto esecutivo globale di attuazione di alcuni degli impegni della
Convenzione UN-FCCC (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici) in materia ambientale circa il riscaldamento globale. Il trattato è entrato in vigore
il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. Infatti affinché il trattato potesse
entrare in vigore, si richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e
che le nazioni che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni

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inquinanti; quest’ultima condizione è stata raggiunta solo quando anche la Russia ha
perfezionato la sua adesione. Gli USA hanno dichiarato ufficialmente la loro uscita dal
Protocollo nel marzo 20015. All'aprile 2007 gli stati aderenti sono 169.

Il protocollo prevede l'obbligo in capo ai paesi industrializzati di operare una riduzione
delle emissioni inquinanti (anidride carbonica ed altri cinque gas serra, ovvero metano,
ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) in misura non
inferiore al 5,2% (inteso come valore medio) rispetto alle emissioni registrate nel 1990,
considerato come anno base, nel periodo 2008-2012. In questa ottica, trentotto nazioni
dovranno tagliare le loro emissioni di gas serra di una percentuale che varia di stato in
stato, secondo le relative potenzialità: per i paesi dell’Unione Europea la riduzione media
deve essere dell’8%, per il Giappone del 6%. Nessuna riduzione, ma solo stabilizzazione è
prevista per la Federazione Russa, la Nuova Zelanda e l’Ucraina. Possono invece
aumentare le loro emissioni, fino all’1% la Norvegia, fino all’8% l’Australia e fino al 10%
l’Islanda. L'India e la Cina, che hanno ratificato il protocollo, non sono tenute a ridurre le
emissioni di anidride carbonica nel quadro del presente accordo. Cina, India e altri paesi in
via di sviluppo sono stati esonerati dagli obblighi del protocollo di Kyoto perché essi non
sono stati tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra fino ad oggi. L'Italia ha
assunto l'obbligo di una riduzione del 6.5% (Tab. 2).

               Stati europei        Evoluzione emissioni gas          Obiettivi 2008-2012
                                        serra 1990-1999                 secondo Kyoto
               Austria                       +2,6%                           -13%
               Belgio                        +2,8%                           -7,5%
               Danimarca                      -4,6%                         -21,0%
               Finlandia                      -1,1%                           0,0%
               Francia                        -0,2%                           0,0%
               Germania                      -18,7%                          -21%
               Grecia                       +16,9%                          +25,0%
               Irlanda                      +22,1%                          +13,0%
               Italia                        +4,4%                           -6,5%
               Lussemburgo                   -43,3%                         -28,0%
               Paesi Bassi                    6,1%                           -6,0%
               Portogallo                   +22,4%                          +27,0%
               Spagna                       +23,2%                          +15,0%
               Svezia                        +1,5%                           +4,0%
               Regno Unito                    -14%                          -12,5%
               Totale UE                       -4%                            -8%
       Tab. 2. Quote di riduzione delle emissioni di gas serra nell'UE, secondo il protocollo di Kyoto.

Il protocollo di Kyoto prevede per i Paesi aderenti la possibilità di servirsi di un sistema di
meccanismi flessibili per l'acquisizione di crediti di emissioni:
- Clean Development Mechanism (CDM):
Consente ai paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti nei
paesi in via di sviluppo, che producano benefici ambientali in termini di riduzione delle

5 In principio, il presidente Bill Clinton aveva firmato il Protocollo durante gli ultimi mesi del suo mandato,
ma George W. Bush, poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l'adesione inizialmente
sottoscritta.

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emissioni di gas-serra e di sviluppo economico e sociale dei Paesi ospiti e nello stesso
tempo generino crediti di emissione per i Paesi che promuovono gli interventi.
- Joint Implementation (JI): consente ai paesi industrializzati e ad economia in transizione
di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas-serra in un altro paese dello
stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti, congiuntamente con il paese ospite.
- Emissions Trading (ET): consente lo scambio di crediti di emissione tra paesi
industrializzati e ad economia in transizione; un paese che abbia conseguito una
diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così
cedere tali "crediti" ad un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri
impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra.
In tale contesto il Consiglio e il Parlamento Europeo hanno approvato la Direttiva
2003/87/CE (di seguito Direttiva ETS) che ha istituito un sistema comunitario per lo
scambio di quote di emissioni di gas al fine di ridurre le emissioni di CO2 “secondo criteri
di efficacia dei costi ed efficienza economica”. Tale sistema consente di rispondere agli
obblighi di riduzione delle emissioni attraverso l’acquisto dei diritti di emissione.
Il sistema di Emission Trading introdotto dalla Direttiva è un sistema di tipo “Cap and
Trade” che prevede la fissazione di un limite massimo (cap) alle emissioni realizzate dagli
impianti industriali che producono gas ad effetto serra; tale limite è fissato attraverso
l’allocazione di un determinato numero di quote di emissioni a ciascun impianto che rientra
nelle categorie previste dalla direttiva (attività energetica, lavorazione dei metalli ferrosi,
industria dei prodotti minerali, talune attività del settore cartaceo). Le quote (European
Unit Allowance - EUA) attribuiscono il diritto ad immettere una tonnellata di biossido di
carbonio equivalente in atmosfera nel corso dell’anno di riferimento della quota stessa, e
vengono assegnate agli impianti regolati dalla Direttiva ETS attraverso i Piani Nazionali di
Assegnazione (PNA); questi sono soggetti all’approvazione da parte della Commissione
Europea.
Gli impianti che svolgono una delle attività previste dalla Direttiva ETS (Fig. 13) a partire
dal gennaio 2005 possono esercitare la propria attività solo se muniti di un’apposita
autorizzazione rilasciata dall’autorità competente. In Italia le autorizzazioni sono state
rilasciate con Decreti congiunti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e
del Ministero delle Attività Produttive.
Ogni anno ai gestori degli impianti verranno assegnate delle quote di emissione,
previa apertura di un conto di deposito nel registro dell’APAT (Agenzia per la Protezione
dell’Ambiente e per i servizi tecnici), e tali quote dovranno essere restituite in un
numero pari alle emissioni reali annuali prodotte dallo stesso impianto. L’eventuale
surplus di quote (differenza positiva tra le quote assegnate ad inizio anno e le emissioni
effettivamente immesse in atmosfera) potrà essere accantonato o venduto sul mercato,
mentre il deficit potrà essere coperto attraverso l’acquisto delle quote. La mancata resa
di una quota d’emissione prevede una sanzione pecuniaria di 40 euro/quota nel triennio di
riferimento e di 110 euro/quota nei periodi successivi.
Secondo un rapporto della Banca Mondiale e dell’Emission Trading Association, il valore
degli scambi di crediti per la riduzione delle emissioni è cresciuto da 11,05 miliardi di $ nel
2005 a 21,5 miliardi di $ nei primi nove mesi del 2006. Praticamente l’intero incremento si
è sviluppato sul mercato delle EUA, passato dai 324,3 milioni di t nel 2005 a 763 milioni
di t nei primi nove mesi del 2006. Un andamento opposto hanno invece seguito le
transazioni di tipo project-based, ossia JI e CDM. Queste cifre testimoniano come i
meccanismi di tipo project-based stiano attualmente vivendo una fase di pausa di

                                                                                               10
riflessione e ripensamento nell’ambito di un trend di lungo periodo che, tuttavia, si ha
ragione di poter ritenere ancora fortemente espansivo.

                 Attività nel Settore Energetico
             - Installazioni di combustione con capacità termica superiore a 20 MW, sono esclusi
             impianti di incenerimento - Rifiuti (pericolosi e non)
             - Raffinerie di olio minerale
             - Forni a carbone
                 Metalli Ferrosi: produzione e processo
             - Minerali metalliferi
             - Produzione di ferro and acciaio
                 Industria dei minerali
             - Cemento
             - Calce
             - Vetro
             - Ceramica
                 Altri
             - Pasta-carta
             - Carta e cartone

                         Fig. 13. Attività previste dalla Direttiva 2003/87/CE.

6. Soluzioni per ridurre le emissioni
Gli interventi per mitigare l’effetto serra passano inevitabilmente per la riduzione delle
emissioni, obiettivo raggiungibile mediante
        promozione del risparmio energetico;
        incremento dell’efficienza dei processi che producono energia, mediante impianti
        capaci di ridurre i kg di CO2 prodotti per kWh;
        sfruttamento delle fonti rinnovabili;
        utilizzo dell’energia nucleare;
        separazione della CO2 e relativo stoccaggio in oceani, acquiferi, pozzi esausti;
        impiego di combustibili puliti, a bassa emissione di CO2, come il gas naturale.
A questi si aggiunge la riforestazione, operazione che può potenziare i meccanismi naturali
di rimozione dell’anidride carbonica.
Considerando che le emissioni di CO2 generate dai processi di produzione di potenza sono
circa 1/3 del totale e che gli impianti di potenza rappresentano una fonte di emissioni
concentrate è logico pensare di modificare opportunamente le tecnologie attualmente
disponibili in funzione della cattura della CO2.
Si ricorda che le tecnologie dominanti per la produzione di energia a partire dai
combustibili fossili includono i cicli combinati a gas naturale (ηmedio=57%) ed i cicli a
vapore con caldaia alimentata a carbone (ηmedio=40%). Gli IGCC (Integrated Gasification
Combined Cycle), nonostante siano stati realizzati in scala commerciale, rappresentano
un’alternativa non altrettanto appetibile sia dal punto di vista economico che da quello
della continuità di esercizio.

7. Tecniche di rimozione della CO2
La separazione dell’anidride carbonica nei convenzionali impianti di produzione di energia
a combustibili fossili richiede un notevole sforzo sia dal punto di vista economico che da
quello energetico. In generale la CO2 deve essere separata da N2, H2O, O2 e impurità
presenti nel gas. I principali motivi dell’alto costo energetico ed economico delle tecniche
di separazione sono:
- l’anidride carbonica è presente nei fumi in basse concentrazioni, a basse pressioni,
condizioni che sfavoriscono il processo di separazione;

                                                                                                   11
- i processi di separazione sono ostacolati dal largo numero di componenti chimiche
presenti (N2, CO2, H2O, O2, H2S, CO, SOx, NOx) e dalla natura corrosiva di alcune di
queste specie;
- il vapore acqueo presente nei gas di scarico deve essere rimosso prima di effettuare il
processo di separazione;
- l’anidride carbonica separata deve rimanere in pressione per essere trasportata, sotto
forma di liquido, alla destinazione finale;
- la domanda di utilizzo di anidride carbonica è più bassa rispetto alla quantità prodotta
dagli impianti di produzione di energia, quindi il costo di separazione non può essere
coperto tramite la vendita.
Il tipo di tecnologia per una data applicazione dipende da molti fattori fra cui: la pressione
parziale della CO2 nei fumi di scarico, la quantità di CO2 recuperata, la sensitività della
tecnologia alle impurità come gas acidi e particolato eventualmente presenti nei fumi, il
grado di purezza della CO2 in uscita, i costi di capitale e operativi del processo.
Le soluzioni per la cattura della CO2 prodotta in un impianto di potenza si dividono in tre
categorie a seconda della tipologia dell’intervento:

1) le tecnologie “post-combustione” separano la CO2 dai gas combusti per mezzo di
solventi liquidi;

Criticità: Estrazione del vapore , Compressione della CO2

2) nelle tecnologie “pre-combustione” il combustibile viene fatto reagire con ossigeno
separato dall’aria e/o vapore a dare CO e H2 (syngas). Il monossido di carbonio reagisce poi
con il vapore in un secondo reattore: ne deriva una miscela di CO2 e H2 dalla quale si
possono separare sia la CO2 che l’H2.

                                                                                           12
Criticità: Unità di separazione dell’aria, Massificazione, Depurazione syngas, Turbina a gas
ad idrogeno.

3) nell’oxyfuel combustion si utilizza ossigeno anziché aria per l’ossidazione del
combustibile in modo tale da ottenere gas combusti composti da vapor d’acqua e CO2 ad
alta concentrazione.

Criticità: Unità di separazione dell’aria, Boiler.

7.1. Metodi ad assorbimento chimico
L’assorbimento della CO2 coinvolge una o più reazioni chimiche reversibili fra questo
composto e altre sostanze come mono-, di-, tri- etanolammina6, isopropanolammina,
idrossido di sodio, carbonato di sodio, carbonato di potassio. In queste reazioni si formano
dei composti solidi o liquidi che, tramite riscaldamento, si dissociano liberando l’anidride
carbonica e rigenerando il solvente.
Questi processi richiedono:
- vapore per la rigenerazione del solvente, o in maniera diretta o tramite l’utilizzo di uno
scambiatore di calore,
- energia elettrica per pompare il solvente e per comprimere gas,
- acqua per raffreddare il gas dopo la rigenerazione.
Vi possono essere notevoli vantaggi dal punto di vista del risparmio energetico utilizzando
un solvente che abbia un’alta capacità assorbente a basse temperature pressioni e che sia
rigenerabile ad alte pressioni.
La tecnica di assorbimento tramite ammine (MEA) è la più utilizzata, anche perché è
l’unica in grado di raggiungere buoni rendimenti depurativi (percentuale di recupero della
CO2 pari al 98%) quando si ha di fronte un gas con basse percentuali di anidride carbonica
(3÷15% in volume). Attualmente diversi impianti di potenza impiegano le ammine per la
cattura della CO2 su larga scala.
Lo schema tipico di un processo ad assorbimento è indicato in Fig. 14. L’impianto è
composto da due colonne a riempimento, una per l’assorbimento della CO2 ed una per lo
strippaggio. Nella prima colonna i fumi di scarico, dopo essere stati raffreddati, vengono in
contatto controcorrente con il solvente (che in genere è composto da un mix di ammine ed

1.   6Le ammine più utilizzate sono la Monoetanolammina (MEA), la Dietanolammina (DEA) e la
     Metildietanolammina (MDEA)

                                                                                          13
acqua) nel quale rimane intrappolata la CO2; i gas senza la CO2 escono dall’alto, mentre la
soluzione che esce dalla base della colonna contenente la CO2 passata in soluzione viene
convogliata nella seconda colonna; qui viene fornito calore tramite un reboiler o tramite
iniezione di vapore, provocando così la rottura dei legami che la CO2 ha formato con le
ammine. La soluzione rigenerata che esce dalla parte bassa della colonna di strippaggio
viene utilizzata per preriscaldare il flusso in ingresso allo stripper, prima di essere
reimmessa nell’assorbitore. Dalla parte alta dello stripper si ha invece un’uscita di vapore
acqueo e CO2; tramite un condensatore si ha la separazione del vapore dall’anidride
carbonica, che è così pronta per essere compressa e trasportata.
Solitamente le torri operano ad una pressione vicina a quella atmosferica per limitare gli
alti costi di compressione. La temperatura a cui lavora la torre di assorbimento può variare
fra i 40 e i 65°C, mentre la torre di strippaggio opera a temperature intorno ai 100-120°C.

        Fig. 14. Schema d'impianto di un processo di assorbimento e rigenerazione con ammine.

I principali problemi operativi che possono presentarsi durante questo tipo di processo
sono: la corrosione, la formazione di schiume e la degradazione del solvente.
La corrosione è un problema standard negli impianti che operano con ammine ed è per lo
più causata dai gas acidi disciolti in soluzione. Test di laboratorio dimostrano che la
corrosione aumenta al crescere della CO2 libera e del tenore di ammine nella soluzione.
Altri agenti corrosivi sono i prodotti della degradazione dei reagenti, dovuti alle reazioni
irreversibili fra i solventi ed i costituenti dei gas esausti. Altro problema comune in questi
impianti è la formazione di schiume nelle colonne di assorbimento, dovuta alla
contaminazione della soluzione da parte di idrocarburi leggeri condensati, solidi sospesi
molto fini, prodotti della degradazione delle ammine o particolari agenti superficiali
trasportati dai gas con conseguente riduzione dell’efficienza del processo. Non trascurabile
è pure la questione relativa alla degradazione delle ammine causata dall’ossidazione. Una
possibile soluzione consiste nel far passare la soluzione rigenerata su filtri a carbone attivo
per eliminare la formazione di schiume ed i prodotti della degradazione delle ammine ad
alto peso molecolare, la cui presenza alla lunga provoca una sempre minore rigenerabilità
della soluzione.

                                                                                                14
7.2. Sistemi a membrane
Per membrane si intendono strutture solide, porose o semiporose che lasciano passare
alcune specie chimiche e ne trattengono altre. Vi sono tre tipi di membrane utilizzate per i
processi di trattamento dei gas: le membrane a separazione, le membrane ad assorbimento
e quelle a trasporto facilitato.

            Fig. 15. Rappresentazione dei processi di separazione e di assorbimento con membrane.

Le membrane a separazione sono solide e operano sfruttando il fatto che la loro struttura
porosa permette il passaggio di alcune specie gassose trattenendone altre; i parametri
fondamentali che le caratterizzano sono la selettività e la permeabilità. Il gas in cui è
presente la CO2 è introdotto ad elevata pressione7 nel separatore a membrane, che è
composto, di solito, da un grande numero di cilindri cavi formati da membrane, posti in
parallelo; la CO2 passa attraverso le membrane per poi venire recuperata e compressa per il
trasporto. In generale si può affermare che nei processi di separazione con membrane il
costo energetico più elevato è da attribuirsi alla compressione, mentre nei metodi ad
assorbimento e strippaggio chimico al calore da fornire per avere la rigenerazione del
solvente.
Le membrane ad assorbimento sono membrane solide microporose in contatto con un
liquido assorbente. Il gas da separare viene diffuso sulla membrana, poi assorbito e rimosso
dal liquido assorbente che, posto dall’altro lato della membrana, è selettivo nei confronti di
una specie gassosa. In questo caso non è necessario che la membrana sia selettiva, poiché
essa deve fungere unicamente da area di contatto, impedendo che il gas ed il liquido si
miscelino. La selettività del processo dipende unicamente dal liquido assorbente; inoltre
non è necessario che vi sia un gradiente di pressione fra il liquido assorbente e il flusso
gassoso. A livello impiantistico questa soluzione risulta essere più compatta e più
conveniente dal punto di vista energetico rispetto al caso delle membrane a separazione,
ma pone il problema del trattamento del liquido assorbente carico di CO2, che deve
comunque essere rigenerato o smaltito.
Un’opzione molto interessante e di recente acquisizione è costituita dall’utilizzo di sistemi
a membrane che funzionano ad assorbimento in luogo delle normali colonne a piatti,
nell’ambito di impianti ad assorbimento e stripping di tipo chimico come quelli analizzati

7   Il rapporto di pressione fra il lato di alimentazione e quello permeato è di solito pari a 3

                                                                                                    15
nel precedente paragrafo. La stessa tecnologia è applicabile anche per la fase di strippaggio,
riscaldando la soluzione con del vapore all’interno del desorbitore a membrane, invece che
nel reboiler.
Le membrane a trasporto facilitato sono liquide: la struttura di sostegno è impregnata di un
liquido in grado di assorbire le specie chimiche al suo interno in maniera selettiva. La CO2
viene assorbita nel lato superiore della membrana dove reagisce con i vettori formando un
composto instabile; viene poi trasportata attraverso la membrana liquida fino alla parte
inferiore della stessa dove avviene il rilascio (Fig. 16).

                              Fig. 16. Membrana a trasporto facilitato.

Esiste la possibilità di sviluppare un processo che accoppi sistemi a membrane con quelli
ad assorbimento tenendo presente che le unità ad ammine richiedono un’energia crescente
all’aumentare della concentrazione di CO2 mentre le membrane a separazione risultano più
efficaci per alte concentrazioni di anidride carbonica. In un sistema misto il reattore a
membrane posto a monte rimuove la maggior parte della CO2, mentre le ammine vengono
utilizzate per la pulizia finale dell’effluente gassoso, in modo da ottenere il rendimento
depurativo richiesto.
Tuttavia, allo stato attuale la tecnologia delle membrane non ha ancora raggiunto uno
sviluppo tale da consentirne l’applicazione su larga scala.

7.3. Adsorbimento
L’adsorbimento è un processo esotermico che realizza l’accumulo di una sostanza dispersa
in fase gassosa (sostanza adsorbita) su una superficie solida (adsorbente). Le forze
coinvolte nel processo sono sia di natura fisica (forze di Van Der Waals) che di natura
chimica (forze di legame chimico). Il processo di de-adsorbimento, che consente il
recupero e il riciclo della sostanza adsorbita e dell’adsorbente, si basa sulla reversibilità del
fenomeno esotermico ad elevata temperatura ed è realizzato rimuovendo la sostanza
adsorbita tramite forti riduzioni di pressione, con flussi di gas caldi o di vapore d’acqua,
con l’impiego del vuoto e con tecniche combinate. In generale l’applicabilità del metodo è
regolata dalla disponibilità di adsorbenti in grado di trattenere con efficienza accettabile la
sostanza da rimuovere.
Essendo l’adsorbimento un fenomeno di superficie, tutte le sostanze utilizzate a tale scopo
sono caratterizzate da una superficie specifica elevata, dell’ordine di 1000-1500 m2/g. Altre
caratteristiche richieste alle sostanze adsorbenti sono: elevate temperature di ossidazione ed
elevata resistenza all’abrasione allo scopo di garantire efficienze adeguate di adsorbimento

                                                                                              16
per più cicli di utilizzo. Per la depurazione dell’aria, il materiale adsorbente più diffuso è il
carbone attivo; per l’adsorbimento della CO2 oltre al carbone attivo si utilizzano gli zeoliti,
l’allumina e i gel al silicio.
L’impianto di adsorbimento classico prevede che il flusso gassoso venga compresso e
raffreddato prima di essere immesso in una colonna in cui attraversa la massa di adsorbente
posta al suo interno. Possono essere impiegati impianti a letto fisso o a letto mobile, in cui
l’adsorbente fluisce in controcorrente, in genere per gravità, rispetto al flusso di gas da
trattare. L’energia richiesta è utilizzata per la compressione e il raffreddamento
dell’effluente in ingresso e per la rigenerazione dell’adsorbente.
Il principale vantaggio di questa soluzione consiste nella possibilità di recuperare le
sostanze adsorbite, eliminando la complicazione dovuta alla gestione di scarichi residui,
(ad eccezione dell’acqua di condensa, quando il deadsorbimento è realizzato con vapore).
Analogamente alle membrane, anche l’adsorbimento non è attrattivo per la rimozione della
CO2 in impianti di larga scala poiché la capacità selettiva degli adsorbenti è troppo bassa.

7.4. Altre tecniche di separazione
Oltre ai metodi già esposti che corrispondono a quelli più diffusi, vi sono altre tecniche
degne di nota:
   Rimozione con solventi non riciclabili: il solvente impiegato in questo caso deve avere
un costo ridotto ed un basso impatto ambientale visto che non viene rigenerato. Di solito
viene usata l'acqua di mare. I costi per l'approvvigionamento dell'acqua ed il trasporto
dell'effluente rimangono elevati ed incidono sulla convenienza economica di tale
soluzione.
   Separazione criogenica: la CO2 viene separata dagli altri gas mediante condensazione a
temperature molto basse. Questa tecnica è utilizzata solo per flussi gassosi ad alta pressione
ed elevata concentrazione di CO2 (>90%) tipici delle tecnologie “pre-combustione”. Lo
svantaggio principale è la grande richiesta di energia per il raffreddamento; il vantaggio
consiste nel disporre di CO2 liquida.

7.5. Quale soluzione scegliere?
Al termine della descrizione delle tecnologie per la separazione della CO2 si può impostare
un confronto fra le varie soluzioni mirato all’individuazione di quella più economica ed
efficiente. La cattura della CO2, oltre a ridurre drasticamente le emissioni degli impianti di
potenza (Fig. 17), comporta un aumento dei costi di investimento (Fig. 19) accompagnato
dalla riduzione del rendimento del ciclo (Fig. 18) e quindi della potenza elettrica netta
prodotta, a causa dell’aumento dei consumi degli ausiliari (compressori per la CO2, unità di
separazione dell’aria…). Introducendo un ulteriore parametro di merito, ossia il costo
relativo dell’elettricità (Fig. 20), si può concludere che la tecnologia della pre-combustione
applicata in un impianto IGCC si profila come la migliore soluzione.
Occorre precisare che i dati di Fig. 17 e Fig. 18 sono stati calcolati ipotizzando impianti di
taglia pari a 500 MWel. Nell’IGCC la CO2 è separata mediante pre-combustione mentre
negli altri due casi si è pensato ad una tecnologia post-combustione con ammine. Sono stati
inclusi anche i costi per la compressione dell’anidride carbonica fino alla pressione di 110
bar.
In riferimento alla Fig. 18, la riduzione del rendimento imputabile alla separazione della
CO2 è compreso fra l’8 e il 13%. La penalizzazione sull’efficienza è minore per l’impianto
a gas naturale perché questo produce meno CO2 per kWh prodotto rispetto a quelli a
carbone. Confrontando le due soluzioni che adottano carbone, la penalizzazione sul

                                                                                              17
rendimento è minore nell’impianto IGCC poiché la cattura pre-combustione è più efficiente
di quella post-combustione.

            Fig. 17. Effetto della cattura della CO2 sulle emissioni degli impianti di potenza.

            Fig. 18. Effetto della cattura della CO2 sul rendimento degli impianti di potenza.

     Fig. 19. Costi per la compressione e la cattura della CO2 (SCPC: supercritical pulverized coal).

                                                                                                        18
Fig. 20. Costo relativo dell’elettricità.

8. Riutilizzo e smaltimento della CO2
Una volta separata dal resto dei fumi, la CO2 viene liquefatta ad elevata pressione (>80 bar)
in modo da consentirne il trasporto verso il sito di utilizzo/stoccaggio (Fig. 21).
Fra i possibili utilizzi si possono citare:
- processi per la produzione di composti chimici,
- incremento della produzione di petrolio grezzo,
- crescita di piante o alghe per la produzione di combustibili biologici.
L'incremento nel recupero del petrolio (EOR = Enhanced Oil Recovery), stimato in
percentuale variabile fra il 10% e il 15%, mediante CO2 è attualmente già praticato in
alcuni giacimenti. In molti casi le compagnie petrolifere ricavano un guadagno
dall’applicazione della tecnologia, tanto da acquistare la CO2 dai produttori (raffinerie,
impianti di gassificazione del carbone, acciaierie, cementifici..). Circa 33 milioni di t. di
CO2 vengono impiegate ogni anno negli USA per progetti EOR, come quello denominato
Weyburn, in Canada.

                             Fig. 21. Diagramma di stato della CO2.

                                                                                          19
Per quanto riguarda il sequestro della CO2, molto lavoro deve essere ancora fatto
nell’ambito della ricerca scientifica: oltre alle numerose incertezze dal punto di vista
dell’impatto ambientale, restano da risolvere i problemi legati alla disponibilità di siti di
stoccaggio collocati possibilmente nelle vicinanze dell'impianto. Al momento le migliori
proposte (Fig. 22) sono:
- dispersione negli oceani;
- accumulo in acquiferi salini profondi;
- accumulo in giacimenti di petrolio o gas esausti;
- recupero di metano da miniere di carbone.

                     Fig. 22. Soluzioni per il confinamento geologico della CO2.

Questo gruppo di tecnologie, che di fatto si ingegnano di rispedire “al mittente” cioè al
sottosuolo il carbonio in forma ossidata dopo che è stato combusto dall’uomo partendo
dalla sua forma ridotta (CH4, petrolio e carbone), si basa sull’evidenza basilare che
l’anidride carbonica non è un refluo inquinante se iniettato nel sottosuolo, ma è un reagente
acido che interagisce con la roccia, con i fluidi del sottosuolo e con le caratteristiche
reologiche (di resistenza al taglio, di viscosità, permeabilità…) della roccia ospitante. La
CO2 è, fin dalla nascita del pianeta, un componente del nostro sottosuolo come gli
idrocarburi: in molti paesi esistono infatti depositi naturali di CO2 in formazioni geologiche
stabili da milioni di anni. Dato che alcune situazioni geologiche hanno intrappolato
idrocarburi per milioni di anni è più che ragionevole assumere che, nello stesso modo,
anche la CO2 possa essere intrappolata per altrettanti milioni di anni.
Per essere inviata negli strati geologici la CO2 viene compressa e portata in condizioni
super critiche: presenta così una densità simile a quella dei liquidi ma proprietà di trasporto
(diffusività e viscosità) più simili a quelle dei gas. Ciò consente di iniettare più facilmente
grandi quantità di CO2 nelle formazioni destinate a contenerla. Queste devono essere
profonde almeno 800 m, valore oltre il quale la pressione mantiene la CO2 in condizioni
supercritiche. In tali siti la CO2 interagisce in vari modi con i fluidi presenti (acqua, olio,

                                                                                            20
gas naturale) e con le matrici rocciose. I meccanismi di confinamento sono diversi ed
operano su scale temporali diverse (Fig. 23). Nelle prime decine di anni prevalgono
meccanismi fisici: parte della CO2 si dissolve nei fluidi di formazione ed una piccola
frazione viene intrappolata dalle forze capillari nei pori della roccia. In tempi più lunghi,
dell’ordine delle centinaia di anni, prevalgono meccanismi di tipo chimico: è ormai
consistente la frazione di CO2 catturata dai pori delle rocce perciò iniziano processi di
interazione con la matrice rocciosa che portano alla formazione di minerali. Dopo un
periodo compreso fra 1000 e 10000 anni prevalgono i meccanismi di intrappolamento
attraverso precipitazione di minerali. Il processo che è ben più complesso di quanto
descritto dipende dalle caratteristiche fisiche, geochimiche e mineralogiche dei siti scelti
per lo stoccaggio. Questi devono presentare alta porosità e permeabilità ed essere sovrastati
da adeguati strati di copertura sigillanti, come avviene per i depositi di idrocarburi.
I principali rischi sono connessi al trasporto ed al confinamento. Per quanto riguarda la
prima operazione, il rischio non è superiore a quello del trasporto di gas naturale in
condotte, peraltro già presenti in molti paesi europei. Si ricorda che la CO2, a differenza del
gas naturale, non è infiammabile. Per quanto riguarda la seconda fase, i siti dovranno
essere scelti lontano da aree a rischio di fagliazione superficiale in modo che siano stabili
nel tempo. Il problema più grave che si potrebbe verificare in seguito all’iniezione di CO2
in un sito difettoso è la fuga di CO2 verso la superficie. La probabilità che ciò accada è
estremamente ridotta e paragonabile alla fuga di gas naturale da un pozzo. Le perdite di
CO2 dopo l’iniezione sono stimate minori dell’1%: all’aumentare del tempo di stoccaggio
la CO2 si mineralizza ed è intrappolata definitivamente.

                 Fig. 23. Fenomeni di intrappolamento della CO2 in funzione del tempo.

Altri rischi di fuoriuscita sono tutti legati alla cattiva scelta del sito dovuta alle insufficienti
informazioni circa la sua natura geologica. Comunque, anche se una piccola frazione
dovesse sfuggire dallo strato di rocce impermeabili, l’impatto sulla biosfera sarebbe
incomparabilmente inferiore a quello che si avrebbe immettendo in atmosfera tutta la CO2
prodotta.

                                                                                                 21
Dispersione della CO2 negli oceani
La CO2 catturata e liquefatta viene rilasciata in mare. La natura dell'interazione fra anidride
carbonica e acqua di mare dipende dalla profondità a cui avviene il rilascio. Un fattore da
tenere in considerazione è la possibilità che nel rilascio di CO2 liquida si formi un idrato
solido che, essendo più denso dell’acqua, potrebbe depositarsi sul fondale. Certamente
questo processo necessita di approfondimento prima che il rilascio in oceano divenga
operativo al fine di evitare problemi ambientali. Infatti se le particelle che si formano sono
grandi e pesanti si possono avere spesse deposizioni sul fondale con il conseguente
seppellimento della fauna del fondo dell'oceano. Se al contrario si formano particelle
piccole e leggere la deposizione è più lenta con diffusione su di un'area maggiore e
sedimentazione di uno spessore inferiore, che può creare disturbo per possibili interferenze
con sostanze nutritive.
Considerazioni di tipo economico fanno propendere a favore di profondità di rilascio
minori possibili e dagli studi effettuati sembra che una profondità di 800-1000 m, possa
essere sufficiente per dissolvere le gocce di CO2.

Accumulo in acquiferi salini profondi
Gli acquiferi adatti per lo stoccaggio della CO2 si trovano a notevoli profondità e
contengono acqua salata, per cui non potabile. L’anidride carbonica dissolta in acqua
reagisce con i minerali presenti in loco a dare carbonati: questi dovrebbero intrappolarla in
modo permanente. Uno strato di rocce impermeabile è indispensabile per minimizzare il
rischio di perdite. L’iniezione di CO2 avviene in via preferenziale in rocce sedimentarie
silicatiche, come nel caso del progetto Sleipner, nel Mare del Nord, dove la STATOIL
effettua ogni anno lo stoccaggio di quasi 1 milione di t. di anidride carbonica ricavate dalla
separazione dagli idrocarburi estratti.

Accumulo in giacimenti di petrolio o gas esausti
Composti da rocce porose coperte da uno strato impermeabile, questi giacimenti, in seguito
al perpetuarsi dello sfruttamento della risorse petrolifere da più di 100 anni, sono in buona
parte prossimi alla fine della loro vita produttiva. Risultano un ottimo contenitore per la
CO2 in quanto si conosce tutto delle loro caratteristiche geologiche.

Recupero di metano da miniere di carbone
Capita che i depositi sotterranei di carbone non possano essere coltivati poiché troppo
esigui o profondi. Questi solitamente contengono del metano. Quando si inietta la CO2
questa si fissa al carbone meglio del metano. Quest’ultimo viene così liberato. Attraverso
tale tecnica il giacimento di carbone non soltanto intrappola la CO2 ma produce pure gas
naturale, a patto che il carbone non venga mai estratto. Una considerevole quantità di
metano è prodotta secondo questa tecnologia negli USA: tuttavia, al momento è attivo
soltanto un progetto denominato “CO2-enhanced coal bed methane” in New Mexico. Più di
100000 t. di CO2 sono state iniettate in un deposito di carbone della Alloson Unit in un
periodo di tre anni.

I principali progetti dimostrativi e di ricerca tuttora in corso, oltre a quello Sleipner, sono
elencati in Tab. 3. Il progetto Weyburn è il più importante svolto sino ad ora negli USA. Si
tratta di un’azione di recupero nel giacimento di olio Weyburn, nel sud del Canada, tramite
iniezione di 5000 t./giorno di CO2 prodotta in un impianto di gassificazione nel Dakota e
trasportata attraverso un gasdotto. Il progetto In Salah prende il nome dal giacimento di gas

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più importante scoperto nel deserto centrale dell’Algeria. La frazione di CO2 contenuta nel
gas estratto verrà re-iniettata nelle aree periferiche del giacimento per aumentare il
recupero complessivo del gas.

Dal punto di vista economico, è comodo riferire i costi alla quantità di CO2 di cui si evita il
rilascio in atmosfera8. Attualmente la cattura ha un costo compreso tra i 25 e i 60 euro per t
di CO2 evitata. Con il procedere delle ricerche si confida nel dimezzamento di tali costi. Al
confronto, i costi per il trasporto sono relativamente modesti: trasportare in condotte la CO2
per circa 100 km costa da 1 euro a 4 euro per t. CO2 evitata. I costi per il confinamento
dipendono fortemente dal tipo di serbatoio naturale in cui essa viene iniettata: in acquiferi
salini o giacimenti di petrolio esausti, i costi variano da 10 a 20 euro per t. di CO2.
Sommando tutti questi contributi è possibile concludere che il costo medio totale per le
operazioni di cattura e stoccaggio della CO2 è circa pari a 50$ per t di CO2 evitata. Le
tecnologie CCS (carbon capture and storage) sono dunque competitive con le altre
soluzioni per l’abbattimento delle emissioni (Fig. 24).

       Fig. 24. Confronto fra le soluzioni per la riduzione delle emissioni di CO2 in termini di costo.

In conclusione si può affermare che le tecnologie CCS sebbene siano caratterizzate da
livelli di maturità diversi (Tab. 4) sono di fatto già disponibili. Tuttavia lo stoccaggio
geologico della CO2 può realmente contribuire a stabilizzarne la concentrazione in
atmosfera soltanto se verrà applicato su ampia scala. Attualmente i principali fattori che ne
limitano l’impiego sono:
- il costo elevato della cattura
- l’accettazione da parte della popolazione
- la stesura di una legislazione che consenta di attuare il confinamento geologico.
I progetti in corso mirano pertanto
- ad ottimizzare le tecniche di cattura in modo da ridurne i costi,
- a validare metodi per la scelta dei siti e per la valutazione dei rischi connessi,

8 Si noti che la quantità di CO2 evitata è inferiore rispetto a quella catturata, poiché l’energia spesa per la
cattura equivale ad una produzione addizionale di anidride carbonica.

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- a sviluppare tecniche di controllo dell’evoluzione degli strati geologici profondi in cui la
CO2 è iniettata
- a definire best practice per tutte le fasi operative. Queste stanno alla base della definizione
delle procedure autorizzative e delle responsabilità correlate alla scelta dei siti, alla
realizzazione del confinamento ed al controllo dei siti nel breve e nel lungo periodo.

                          Tab. 3. I progetti di ricerca sulle tecnologie CCS.

                            Tab. 4. La maturità corrente dei sistemi CCS.

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