PROGETTO STILI DI VITA - SIDP
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Società Italiana di Parodontologia Progetto Stili di Vita Rapporti tra fattori legati agli Stili di Vita e Patologie Infiammatorie Croniche: Correlazioni tra Malattie Parodontali e Malattie Sistemiche Considerazioni cliniche e consigli pratici Revisione della letteratura scientifica 1
Presidente eletto SIdP e Promotore del Progetto Stili di Vita Luca Francetti La Commissione per il Progetto Stili di Vita Pierpaolo Cortellini (Coordinatore) Antonio Carrassi Daniela Lucini Massimo Pagani Maurizio Tonetti Paolo Veronesi Revisione della letteratura a cura di: Francesco Cairo Mauro Farneti Nicola M. Sforza Roberto Rotundo 2
INDICE - Prefazione pag. 4 - Sindrome metabolica, diabete e rischio cardiovascolare: il ruolo degli stili di vita pag. 6 - Premessa pag. 6 - Gli stili di vita e l’influenza sul rischio di sindrome metabolica e diabete pag. 7 - Gli stili di vita e l’influenza sul rischio cardiovascolare pag. 11 - Discussione pag. 14 - Conclusioni pag. 15 - Bibliografia pag. 16 - Stress e stili di vita pag. 21 - La risposta psicologica allo stress pag. 21 - Lo stress psicologico ed il rischio di patologia cardiovascolare pag. 22 - Lo stress da lavoro pag. 23 - Lo stress psicologico e la sindrome metabolica pag. 24 - Meccanismi psiconeuroimmunologici pag. 25 - Come lo stress e altri fattori psicosociali influenzano la patogenesi di malattie pag. 25 - Stress, depressione e malattia parodontale pag. 26 - Potenziale meccanismo psiconeuroimmunologico pag. 26 - La capacità di adattamento/il comportamento individuale pag. 27 - Conclusioni pag. 28 - Bibliografia pag. 28 - L’esercizio fisico come stile di vita pag. 33 - Introduzione pag. 33 - Definizione di attività fisica o sport pag. 33 - Quale attività fisica pag. 34 - La prescrizione dell’esercizio fisico pag. 35 - Esercizio aerobico pag. 36 - Esercizio di resistenza pag. 37 - Esercizio di flessibilità (Stretching) pag. 37 - Esercizio fisico e malattie pag. 38 - Sindrome metabolica pag. 39 - Diabete tipo 2 pag. 39 - Ipertensione arteriosa pag. 40 - Obesità pag. 40 - Malattia cardio-coronarica o cardiopatia ischemica pag. 41 - Insufficienza cardiaca pag. 41 - Cancro pag. 42 - Depressione pag. 42 - Esercizio fisico e malattie parodontali pag. 43 - Conclusioni pag. 44 - Bibliografia pag. 45 - Il fumo di tabacco pag. 49 - Il fumo come fattore di rischio per la salute dell’individuo pag. 49 - Epidemiologia pag. 49 - Fisiopatologia pag. 52 - I costi del fumo pag. 54 - Metodi per la cessazione dell’abitudine al fumo pag. 55 - Il fumo come fattore di rischio per la salute parodontale pag. 59 - Bibliografia pag. 61 3
Prefazione La parodontite rappresenta una delle patologie infiammatorie croniche a più elevata prevalenza nella popolazione dei Paesi occidentali: in Italia, si stima che essa interessi, nella sua forma grave, circa il 10-15% dei soggetti adulti mentre, una percentuale compresa tra il 20 e il 30%, sarebbe affetta da una forma lieve. Essendo la principale causa della perdita di elementi dentali, è responsabile di un grave deficit funzionale e nello stesso tempo è in grado di influenzare in modo negativo la vita di relazione con un importante impatto sulla sfera psicologica, compromettendo il sorriso e determinando alitosi. Recentemente sono stati pubblicati numerosi studi clinici e sperimentali che hanno messo in evidenza una stretta correlazione tra le parodontiti e alcune malattie sistemiche molto diffuse. Questi studi ipotizzano che le malattie parodontali possano avere effetti sistemici diretti, attraverso la disseminazione per via ematica di batteri patogeni o effetti sistemici indiretti, attraverso il ruolo negativo esercitato dalla infiammazione sistemica. E’ importante sottolineare che sia le parodontiti che le malattie sistemiche correlate rappresentano fenomeni patologici la cui eziopatogenesi è multifattoriale, condividendo numerosi fattori di rischio legati agli stili di vita (ad esempio la cattiva igiene orale, il fumo, gli errori alimentari) oppure legati al patrimonio genetico e dipendenti da una maggiore suscettibilità nei confronti di una determinata malattia. Lo scopo di questo progetto è quello di informare e sensibilizzare il pubblico, attraverso gli operatori sanitari di area odontoiatrica (dentisti ed igienisti dentali), sull’influenza che le abitudini di vita possono avere nei confronti di uno stato infiammatorio sistemico. Questa iniziativa si inserisce all’interno di una strategia di comunicazione, iniziata nel 1999 con il Progetto Diagnosi, seguito dal Progetto Impianti e dal Progetto Terapia il cui obiettivo complessivo è stato quello di offrire conoscenze aggiornate su argomenti di cultura parodontale. Più recentemente, il Progetto Periomedicine ha portato l’attenzione sui rapporti esistenti tra patologie parodontali ed alcune malattie sistemiche di elevato rilievo epidemiologico. In considerazione dall’articolo 2 del nostro statuto, secondo il quale la Società ha lo scopo di promuovere la salute della popolazione italiana attraverso il miglioramento degli stili di vita, la prevenzione, la diagnosi, ed il ripristino funzionale ed estetico dei tessuti parodontali, il progetto che stiamo realizzando ci è parso la logica prosecuzione di questo percorso e prevede un'allargamento degli ambiti convenzionalmente di nostra pertinenza per affrontare una prevenzione globale che tenga conto non solo di un distretto o di un apparato ma dell' individuo nella sua integrità. Il canale di comunicazione identificato è rappresentato in primo luogo dal team odontoiatrico e si rivolge al singolo paziente ma anche e soprattutto al nucleo familiare, identificato come ambiente ideale all’interno del quale introdurre i concetti legati a uno stile di vita sano. Se consideriamo l’igiene orale come punto di partenza per l’igiene di vita, la trasversalità dei messaggi che vengono dall’odontoiatra nei confronti del controllo del biofilm batterico, di una corretta alimentazione, dei danni derivati dal fumo nei confronti delle patologie di sua competenza, si riflettono automaticamente su patologie a elevatissima prevalenza come le malattie cardiocircolatorie, la sindrome metabolica, il diabete, la broncopatia cronica ostruttiva o su patologie meno prevalenti ma ben più gravi come le neoplasie. Questo “canale di comunicazione” è da molto tempo attivo nell’ambito 4
della prevenzione ed il paziente è abituato a ricevere messaggi di questo tipo nel setting odontoiatrico: un ampliamento dei concetti di educazione sanitaria verrebbe quindi facilmente recepito e rappresenterebbe una promozione della figura del dentista e dell’igienista dentale i quali, inoltre, hanno il grande vantaggio di vedere una fascia di popolazione molto ampia e di tutte le età (in Italia circa il 40% della popolazione viene visitato dall’odontoiatra ogni anno). Il progetto prevede anche una metrica soggettiva destinata a indagare alcune abitudini della popolazione e le eventuali modifiche che, perlomeno a breve termine, sarà possibile individuare. Il documento che segue contiene una revisione aggiornata della letteratura scientifica relativa ai principali aspetti degli stili di vita che, se modificati, possono contribuire a migliorare non solo la qualità della vita ma anche la sopravvivenza degli individui nella logica di fornire un’informazione sintetica ma allo stesso tempo precisa e puntuale sulla prevenzione intesa in senso globale nei confronti dei cittadini. Luca Francetti 5
Sindrome metabolica, diabete e rischio cardiovascolare: il ruolo degli stili di vita Francesco Cairo Premessa La parodontite è una malattia infiammatoria cronica che produce la distruzione dei tessuti di supporto del dente e che è causata da un’infezione poli-microbica di batteri gram negativi anaerobi (Sanz & Quirynen 2005). Oltre il 30% degli adulti negli Usa ed in Europa presentano malattia parodontale (Albandar et al. 1999; Hugoson et al. 1998) ed oltre il 10% in forma grave (Albandar et al. 1999). Stili di vita poco salutari come scarsa igiene orale, fumo di sigaretta, ma anche predisposizione genetica possono aumentare la suscettibilità alla malattia parodontale (Nunn 2003). Negli ultimi 15 anni numerosi studi clinici ed epidemiologici hanno riportato un’associazione fra la parodontite e diverse malattie sistemiche fra cui l’aterosclerosi e le sue complicanze, il diabete e le nascite di neonati sottopeso (Mustapha et al. 2007). L’accurata analisi della letteratura dimostra che tali associazioni sono presenti anche dopo un bilanciamento statistico con i più comuni fattori di rischio quali il fumo, lo stress, l’aumento dei lipidi, l’ipertensione, ecc. (Paquette et al. 2007). Nonostante questa quantità di dati la plausibilità biologica di tale associazione ancora non è stata completamente compresa. Diversi studi sperimentali supportano l’ipotesi che batteri parodontopatogeni e le loro tossine possano raggiungere il torrente ematico e determinare effetti infettivi a distanza (Chiu 1999; Haraszthy et al. 1999), anche se queste osservazioni non sono condivise da tutte le ricerche effettuate (Cairo et al. 2004; Aimetti et al 2007). Accanto all’ipotesi infettiva ha riscosso notevole interesse l’ipotesi infiammatoria, supportata dall’osservazione che nei pazienti affetti da grave parodontite sia presente una notevole risposta sistemica caratterizzata dall’aumento di citochine pro-infiammatorie (Loos et al. 2000) e proteine di fase acuta come la proteina C-reattiva (Ebersole et al. 1997). Tale stato potrebbe interagire con la patogenesi di altre malattie infiammatorie come l’aterosclerosi. Altri ricercatori hanno però messo in dubbio la causalità dell’associazione (Hujoel 2002; Hujoel et al. 2002) suggerendo che la parodontite ed altre malattie sistemiche come l’aterosclerosi siano patologie che coesistono nello stesso paziente-tipo, caratterizzato dalla presenza di fattori come il fumo, lo stress, scarsa attenzione ai problemi della salute ecc., in grado di favorire lo sviluppo sia della parodontite che delle malattie cardiovascolari. Queste osservazioni sono state suffragate da ri-analisi statistiche dei dati epidemiologici precedentemente pubblicati che suggeriscono come, in particolare, il bilanciamento del fumo di sigaretta può condizionare il peso dell’associazione (Hujoel 2002; Hujoel et al. 2002). Al tempo stesso però tali studi hanno sottolineato l’impatto che gli stili di vita possono avere nel condizionare l’insorgenza sia della parodontite che di altre malattie nello stesso individuo. Secondo il rapporto del 2002 dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) esistono alcuni fattori in grado di influenzare concretamente e in modo negativo la durata della vita di un uomo nei paesi industrializzati. Tali aspetti sono determinati espressamente dal comportamento o dalle abitudini dell’individui e sono perciò fattori modificabili. Tali fattori sono il fumo, l’uso di sostanze alcoliche, la vita sedentaria, il soprappeso/obesità, il ridotto consumo di frutta e verdura, l’uso di sostanze stupefacenti etc. Tali sostanze sono associate 6
ad una riduzione in anni della vita media dell’individuo. Ad esempio il fumo si associa ad una riduzione di 12,2 anni di vita, l’alcolismo ad una riduzione di 9,2 anni, la vita sedentaria a 3,3 anni in meno di vita. Ovviamente, il peso dei vari fattori si somma con rischio totale di perdita di anni di vita nel momento in cui più stili di vita dannosi coesistono nello stesso individuo. Lo scopo della seguente revisione narrativa è l’analisi dei dati presenti in letteratura circa l’associazione fra stili di vita ed il rischio cardiovascolare/diabete nella popolazione dei paesi industrializzati. Gli stili di vita e l’influenza sul rischio di sindrome metabolica e diabete Numerosi studi clinici ed epidemiologici hanno contribuito ad identificare una serie di fattori che aumentano il rischio di sviluppare alcune gravi patologie come il diabete e le malattie cardiovascolari. La coesistenza di fattori come l’obesità, la resistenza insulinica, l’alterazione del metabolismo lipidico, l’ipertensione ed uno stato pro-infiammatorio vengono in genere definiti sindrome metabolica (SM) (Grundy et al. 2004). Tale sindrome viene considerata una condizione pre-clinica e predittiva di malattia futura. Interventi diagnostici e terapeutici tempestivi potrebbero influenzare positivamente l'aspettativa di vita di questi soggetti e ridurre notevolmente la spesa sanitaria. La SM è definita dalla presenza di almeno 3 dei seguenti 5 criteri (Sacks et al. 2009): Circonferenza vita > 102 cm negli uomini e >88 nelle donne Livello di trigliceridi di almeno 150 mg/dl (1.69 mmol per litro), Livello di HDL (highdensity Lipoprotein) minore di 40 mg/dl (1.03 mmol per litro) negli uomini o minore di 50 mg/dl (1.29 mmol per litro) nelle donne Pressione arteriosa di almeno 130/85 mm Hg Livelli di glucosio di almeno 110 mg/dl (6.1 mmol per litro). Diversi studi dimostrano che la SM si manifesta nei soggetti predisposti che vivono una vita sedentaria e si alimentano in maniera eccessiva (Esposito et al. 2008). Tale condizione porta ad un aumento del peso corporeo e in particolare ad un accumulo eccessivo di grasso addominale. Il grasso addominale sembra essere il punto comune a tutte le alterazioni metaboliche e vascolari presenti nella SM. La terapia pertanto non può essere rivolta ai singoli sintomi (es. l’ipertensione) ma alla causa che le alimenta, in particolare il cambiamento degli stili di vita con una dieta equilibrata ed attività fisica. La SM è fortemente associata allo sviluppo futuro di Diabete (Reaven 2009). Uno studio inglese (Nibali et al. 2007) ha analizzato il profilo infiammatorio (conta dei leucociti, livelli di lipidi e glucosio) di 302 pazienti con parodontite e 182 controlli. I risultati dello studio dimostrano che la parodontite era predittiva di SM con un aumento dei parametri infiammatori sistemici, aumentati livelli di lipidi e glucosio. L'obesità è una malattia cronica fortemente influenzata dagli stili di vita, caratterizzata da un eccesso di massa grassa distribuita in maniera differente nei vari distretti corporei e nei diversi soggetti. Tale condizione è fortemente associata al futuro sviluppo di malattie cardiovascolari (Guh et al. 2009). La prevalenza dell'obesità è in aumento in tutti i paesi occidentali, al punto da essere definita come una epidemia. In USA contribuisce a 300.000 morti/anno, diventando in tal modo la 2a causa di morte dopo il fumo. In base alla 7
distribuzione della massa adiposa l'obesità si distingue in androide (addominale) e ginoide (gluteo-femorale). Il parametro più semplice e quindi più utilizzato per definire il grado di obesità è l'Indice di Massa Corporea (Body Mass Index -BMI) che si ricava dal rapporto tra il peso espresso in chilogrammi e l'altezza in metri al quadrato. Qui di seguito viene riportato il BMI in diversi profili di pazienti per una facile definizione: Paziente sottopeso BMI 40. Altro indice usato per la definizione dell’obesità è la misura della circonferenza addominale definita come la circonferenza minima tra la gabbia toracica e l'ombelico con il soggetto in piedi e con i muscoli addominali rilassati. Valori superiori a 94 cm nell'uomo e ad 80 cm nella donna sono indice di obesità viscerale e si associano ad un "rischio moderato". Valori superiori a 102 cm nell'uomo e ad 88 cm nella donna sono associati ad un "rischio accentuato" (ACSM 2005). Un dato molto preoccupante è l’aumento dell’incidenza dell’obesità nei bambini. Ad esempio per i bambini dai 6 ai 12 anni tra il 1976 e il 1980 il tasso di obesità era del 7% mentre, nella stessa fascia d'età, dal 1988 al 1994 era del 12% per poi passare alla punta del 15% nel 2000. In una revisione della letteratura Demattia et al. (2007) hanno sottolineato come la modifica degli stili di vita comprendendo una dieta equilibrata e l’esercizio fisico possa essere in grado di ridurre il rischio obesità nei bambini. Negli ultimi anni alcuni studi hanno fatto emergere un’associazione fra parodontite ed obesità. Dalla Vecchia et al. (2005) hanno analizzato 706 soggetti di età compresa fra i 30 e 65 anni. I pazienti vennero analizzati dal punto di vista parodontale e del peso corporeo. La parodontite era presente nel 50.7% dei maschi e nel 35.3% delle femmine. L’obesità era fortemente associata alla parodontite in donne non fumatrici (OR=2.1). Genco et al. (2005) hanno invece analizzato l’associazione parodontite-obesità in 12.367 soggetti non diabetici nell’ambito del progetto NHANES III. In questo studio il BMI era associato alla gravità della parodontite ed in particolare i livelli sierici di TNF- erano predittivi sia della parodontite che dell’obesità. Questo gruppo di ricercatori ha ipotizzato che il TNF- prodotto dagli adipociti favorisca uno stato iper-infiammatorio che aumenta sia il rischio parodontite che la resistenza insulinica (Genco et al. 2005). Diversi studi clinici hanno analizzato l’effetto dei cambiamenti degli stili di vita sull’obesità. Galani & Schneider (2007) hanno effettuato una revisione sistematica su studi clinici randomizzati (RCTs) con un periodo di osservazione di almeno 1 anno che prevedevano un cambiamento degli stili di vita in pazienti a rischio obesità. Le variabili considerate erano il peso corporeo, il BMI, la pressione arteriosa ed il profilo glucidico/lipidico. Gli autori complessivamente identificarono 13 RCTs per la prevenzione dell’obesità e 17 per il trattamento della stessa. Confrontati con la sola terapia farmacologia, la modifica degli stili di vita favoriva differenze statisticamente significative in termini di riduzione di BMI, peso corporeo e pressione arteriosa. Questi risultati positivi erano mantenuti per almeno 3 anni. 8
La conclusione della revisione sistematica era che la modifica degli stili di vita era efficace nel ridurre il peso corporeo ed il rischio cardiovascolare in persone obese o a rischio obesità. Il diabete è una patologia molto comune fortemente associata alla SM e/o obesità e a stili di vita poco salutari ed è suddiviso in tipo 1 e tipo 2. Il tipo 1 o giovanile è caratterizzato dalla distruzione delle cellule B pancreatiche con linfociti CD4+ e CD8+ e infiltrazione dei macrofagi nelle isole pancreatiche comportando solitamente insulino-deficienza. Esistono due sottoforme, il tipo 1A con caratteristiche immuno-mediate ed il tipo 1B o idiopatico, che colpisce maggiormente giovani africani e asiatici. Il diabete di tipo 1 comprende solo il 5- 10% di tutte le forme. Il diabete di tipo 2 o alimentare è associato a patogenesi non immunitaria. È correlato alla presenza di geni in prossimità del sito HLA sul cromosoma 6. È detto anche non chetosico. Comprende quasi la maggioranza dei casi, il 90-95% di tutte le forme. La percentuale di popolazione mondiale affetta da diabete viene stimata intorno al 5%, mentre circa il 90% della popolazione diabetica è affetta da DM di tipo 2. In Italia la percentuale di individui affetti da tale patologia è mediamente del 3%. Nel 2002 si sono contati nei soli USA più di 18 milioni di persone affette da tale patologia e si calcola che una persona ogni 5 anziani di età superiore ai 65 anni ne sia affetto. Il diabete non compensato è riconosciuto essere un fattore di rischio per la progressione della parodontite. Thorstensson & Hugoson (1993) hanno esaminato 83 pazienti con diabete tipo 2 e 90 pazienti controllo di età simile. I risultati dimostravano che l’incidenza della parodontite era maggiore nel gruppo diabetico in particolare nella fascia di età compressa fra i 40-49 anni e che la durata del diabete fosse un fattore predittivo del rischio parodontite. Shlossman et al. (1990) pubblicarono i risultati di uno studio su 3219 Indiani Pima (popolazione ad alto rischio diabete) controllati per un periodo almeno di 5 anni. L’incidenza della parodontite era in relazione alle condizioni diabetiche. Da un punto di vista patogenetico, il diabete non compensato è in grado di agire a diversi livelli nella progressione della parodontite con alterazioni microbiologiche che favoriscono la selezione dei batteri parodontopatogeni, alterazioni della risposta dell’ospite con riduzione dei fenomeni di diapedesi e chemiotassi dei polimorfonucleati, ed alterazioni tissutali nel connettivo parodontale con deposizione di prodotti metabolici del glucosio (Advanced Glycation end-Products AGEs). Recentemente è stato ipotizzato che l'associazione diabete- parodontite sia di tipo bi-direzionale e che il controllo dell’infezione parodontale e dell’infiammazione ad essa associata possa contribuire a migliorare il livello di controllo glicemico nei diabetici (Grossi & Genco 1998). Alcune citochine pro-infiammatorie prodotte nei siti colpiti da parodontite, quali IL-6 e TNF- , favorirebbero infatti lo sviluppo di meccanismi di insulino-resistenza (Grossi & Genco 1998). Revisioni della letteratura condotte sugli studi che hanno valutato gli effetti del trattamento parodontale sul controllo glicemico non hanno però fornito conclusioni definitive circa questo argomento (Taylor 2006; Tan et al. 2006). Una meta-analisi ha esaminato 10 studi di intervento comprensivi di 456 pazienti affetti da diabete Tipo 1 o 2 (Janket et al. 2005). Questo studio ha individuato una riduzione statisticamente non significativa della HbA1C (0.38%) rappresentativa del miglioramento del controllo glicemico, soprattutto nei soggetti affetti da diabete Tipo 2. Gli autori hanno ricordato che ulteriori studi sono necessari per comprendere meglio il potenziale peso dell’influenza della parodontite sul peggioramento del controllo glicemico (Janket et al. 2005). 9
L'OMS stima che ci sarà un fortissimo incremento di prevalenza di DM negli USA, in Medio Oriente e nel Sud-Est asiatico mentre in Europa l'incremento sarà più modesto. Si ritiene che l’aumento della vita sedentaria possa essere fra i fattori predisponenti allo sviluppo del diabete. Una ricerca dell’università del Colorado (Morrato et al. 2007) su circa 23.000 adulti sottoposti a questionario per valutare la frequenza dell’esercizio fisico nella loro vita quotidiana dimostra che solo il 39% tra i partecipanti diabetici svolgeva regolare attività fisica, mentre tra i non diabetici la percentuale saliva al 58%. Le osservazioni della ricerca sottolineavano che la maggioranza dei soggetti a rischio di sviluppare diabete di tipo 2 faceva una vita sedentaria. Uno studio clinico randomizzato danese (Gaede et al. 2008) ha analizzato 160 pazienti con diabete di tipo 2 trattati con un protocollo di terapia intensiva (modificazione degli stili di vita, terapia farmacologia specifica per l’iperglicemia, l’ipertensione, dislipidemia e microalbuminuria) o terapia convenzionale (solo farmacologica). La durata del trattamento medio era di 7.8 anni. Successivamente i pazienti vennero seguiti per altri 5.5 anni fino al follow-up finale (13.3 anni di osservazione). I risultati dello studio dimostrano che la sola terapia farmacologia si associa ad un maggior numero di morte per complicanze diabetiche (40 versus 24). Inoltre la terapia intensiva si associava a ridotto rischio di eventi cardiovascolari e di morte per eventi cardiovascolari. Le conclusioni degli autori erano che la terapia intensiva con modifica degli stili di vita era più efficace di quella convenzionale nel prevenire la morte e le complicanze cardiovascolari del diabete di tipo 2. Altri RCTs dimostrano che almeno 150minuti/settimana di attività fisica e dieta con perdita di peso di circa 5-7% riduce il rischio progressione del diabete di tipo 2 nel 58% dei casi (Diabetes Prevention Program 1999; Toumilehto et al. 2001). Una revisione sistematica della letteratura (Orozco et al. 2008) ha analizzato l’impatto dell’esercizio fisico e della dieta sulla prevenzione del diabete di tipo 2 in pazienti a rischio (alterato metabolismo glucidico o sindrome metabolica). Gli autori hanno incluso 8 studi che analizzavano l’esercizio fisico e la dieta per un totale di 2241 partecipanti. Due studi hanno valutato la sola dieta (167 pazienti) o il solo esercizio (178 pazienti). Il follow-up degli studi era da 1 ad 8 anni. Complessivamente l’esercizio fisico e la dieta riducevano il rischio di diabete rispetto alle semplici raccomandazioni (RR 0.63, 95% CI 0.49 to 0.79). Ciò aveva effetti positivi in termini di riduzione del BMI e della circonferenza vita. Più modesti erano gli effetti sui livelli lipidici. Si registrava inoltre una riduzione media della pressione sistolica e diastolica (riduzione media di 4 mm/Hg e di 2 mm/Hg rispettivamente). Non si riscontravano effetti sulla prevenzione del diabete quando la modifica di stile di vita era la sola dieta o il solo esercizio fisico. Pertanto questa revisione sistematica dimostra che nei soggetti a rischio la modifica degli stili di vita con aumento dell’attività fisica insieme alla dieta è in grado di ridurre il rischio di diabete di tipo 2. Sulla base delle evidenze scientifiche l’American Diabetes Association (Sigal et al. 2006) raccomanda la modifica degli stili di vita con l’esercizio fisico fra gli approcci preventivi al diabete di tipo 2. In particolare si raccomanda: In pazienti con alterata tolleranza al glucosio si consigliano almeno 150 minuti/settimana di attività fisica moderata/forte ed una dieta bilanciata. I pazienti con diabete di tipo 2 in assenza di altre controindicazioni dovrebbero essere incoraggiati ad effettuare attività fisica 3 volte a settimana. 10
Recentemente l’American Hearth Association (AHA) ha invece introdotto delle linee guida per la prevenzione del rischio cardiovascolare nel paziente diabetico di tipo 2 attraverso l’attività fisica (Marwick et al. 2009): almeno 150 minuti a settimana di esercizio fisico intensa-moderata e/o 90 minuti a settimana di esercizi cardio-respiratori, attività fisica in almeno 3 giorni non consecutivi per massimizzare i benefici, le sessioni dovrebbero durare almeno 10 minuti, L’esercizio fisico dovrebbe essere costantemente monitorato dal medico e personalizzato. Gli stili di vita e l’influenza sul rischio cardiovascolare Le malattie cardiovascolari sono la più importante causa di morte nei paesi industrializzati (Graham et al. 2007) e sono una importante causa di inabilità. La loro incidenza è fortemente associata con l’aumento dei costi per la sanità pubblica. Aumentati livelli lipidici, fumo, ipertensione, diabete, uso di alcool, scarsa attività fisica e aumento del BMI sono universalmente considerati fattori di rischio per le malattie cardiovascolari (Yusuf et al. 2006). Negli ultimi anni diversi studi hanno riportato un’associazione fra la parodontite e le malattie cardiovascolari, anche dopo il bilanciamento per i comuni fattori di confondimento statistico. (Mattila et al. 1993; DeStefano et al. 1993; Mattila et al. 1995; Beck et al. 1996). I possibili meccanismi di interazione fra le due patologie potrebbero essere associate alla carica batterica sottogengivale (Haraszthy et al. 2000; Chiu 1999; Cairo et al. 2004) e/o alla produzione di mediatori infiammatori (Offenbacher et al. 1999). Alcuni studi sperimentali supportano la plausibilità biologica di tale associazione, dimostrando la capacità dei parodontopatogeni di indurre aggregazione piastrinica (Herzberg & Weyer 1998), la formazione di cellule schiumose (Qi et al. 2003) e lo sviluppo dell’ateroma (Lalla et al. 2003). Altri studi inoltre dimostrano l’efficacia della terapia parodontale nel ridurre i livelli di proteina C-reattiva (Ebersole et al. 1997, D’Aiuto et al. 2004) e di favorire il miglioramento della funzione endoteliale (Elter et al. 2006; Tonetti et al. 2007). Le malattie cardiovascolari e gli eventi acuti ad essi correlati (ictus, infarto, ecc.) in genere occorrono dopo anni di alterazione silente delle pareti vascolari. L’ecografia dei vasi rappresenta con la misura degli spessori dell’intima-media rappresenta un mezzo efficace per valutare le fasi precoci dell’aterosclerosi (Touboul et al. 2004). In particolare la valutazione dello spessore della tonaca intima media carotidea (IMT carotideo) permette di monitorare l’aterosclerosi sistemica che ancora non ha determinato sintomi clinici (aterosclerosi sub-clinica) (Touboul et al. 2004; Touboul et al. 2007). I valori di IMT sono influenzati dall’aumento di peso, età e fattori razziali (Touboul et al. 2004; Touboul et al. 2007). Valori di IMT aumentati rispetto al normale sono fortemente associati ad un aumentato rischio cardiovascolare (Howard et al. 1993; Burke et al. 1995; O'Leary et al. 1999). Valori di IMT superiori a 0.75-0.82 mm sono considerati associati ad aumentato rischio cardiovascolare nel paziente asintomatico rispetto a valori minori della soglia (Aminbakhsh & Mancini 1999). Alcuni studi hanno riportato un’associazione fra IMT carotideo e parodontite nella popolazione superiore ai 50 anni (Beck et al. 2001; Leivadaros et al. 2005; Soder et al. 2005). Recentemente uno studio italiano (Cairo et al. 2008) ha esplorato la possibile associazione fra parodontite ed aterosclerosi sub-clinica in giovani adulti sani di età < 40 anni. Sono stati 11
arruolati 90 pazienti senza malattie sistemiche, 45 affetti da grave parodontite (età media 36.35 ± 3.65 anni) e 45 controlli con anamnesi negativa per parodontite (età media 33.78 ± 3.28 anni) accoppiati per età, sesso, fumo, BMI. L’IMT carotideo è stato valutato con esame ecografico a livello dell’arteria carotide comune; i prelievi ematici hanno permesso una valutazione dei parametri infiammatori sistemici. I risultati dello studio dimostrano che i casi di parodontite avevano valori significativamente maggiori di IMT a tutti i livelli di analisi comparativa rispetto ai controlli. Quando si considerava un valore di IMT 0.82 mm come soglia di aumentato rischio cardiovascolare, i pazienti con parodontite avevano un OR=8.55 CI 95%: 2.38; 39.81 rispetto ai controlli di superare tale soglia. I dati di questo studio dimostrano come la grave parodontite sia associata ad aterosclerosi sub-clinica in giovani adulti e che essa potrebbe predire un aumento di rischio cardiovascolare in individui altresì sani (Cairo et al. 2008). Una recente ri-analisi dei dati di questo studio dimostra come alcuni parametri clinici parodontali siano associati ad alcuni fattori sistemici predittori di rischio cardiovascolare. In particolare, la media di profondità al sondaggio era associata a IMT medio (p=0.0005), BMI (p=0.0002), pressione sistolica (p=0.0300) e diastolica (p=0.0199). Il Full Mouth Bleeding Score era associato ai livelli di proteina C-reattiva (p=0.0218) (Cairo et al. 2009). Il rapporto fra parodontite ed aterosclerosi è un chiaro esempio di come gli stili di vita (fumo, errori alimentari ecc.) ma anche predisposizione genetica possano in realtà favorire entrambe le malattie nello stesso paziente. Questo ovviamente implica però che nella moderna prevenzione/terapia parodontale ci sia un corretto inquadramento dei fattori di rischio e stili di vita del paziente al fine di favorire i risultati della terapia parodontale ma anche la prevenzione di altre malattie sistemiche. Un tipo esempio di fattore di rischio in grado di influenzare l’insorgenza delle malattie cardiovascolari è rappresentato da un’alimentazione ricca di grassi e povera di verdure/frutta. Infatti gli acidi grassi regolano l’equilibrio del colesterolo e la concentrazione/precipitazione delle lipoproteine plasmatiche sulla superficie vascolare. Una dieta ricca di grassi costituisce un fattore causale nella patogenesi delle malattie cardiovascolari (Graham et al. 2007). Altre evidenze invece suggeriscono invece che una dieta ricca di frutta/verdura sia associata ad una ridotta incidenza degli eventi cardiovascolari (Graham et al. 2007). In uno studio condotto negli Stati Uniti d’America (Appel et al 1997) furono arruolati 459 pazienti di età >22 anni. Per tre settimane i pazienti evitarono di mangiare vegetali/frutta e furono sottoposti alla tipica dieta americana ricca di grassi. A questo punto in modo randomizzato furono assegnati ad una dieta ricca di frutta e verdura oppure ad una dieta combinata ricca di frutta e verdura e con pochi grassi. Alla fine del follow-up la dieta combinata aveva determinato una riduzione media di pressione sisto/diastolica di 5.0 e 3.3 mm/Hg rispettivamente mentre la sola dieta vegetale aveva prodotto una riduzione media di pressione sisto/diastolica di 2.8 e 1.1 mm/Hg rispetto ai controlli e tali differenze erano statisticamente significative. Nei pazienti che all’inizio dello studio presentavano ipertensione tali riduzioni determinate dalla dieta combinata erano ancora più marcate (riduzione media di pressione sisto/diastolica di 11.4 e 5.5 mm/Hg) rispetto ai controlli. Le conclusioni di questo studio supportano l’ipotesi che una dieta ricca di frutta/vegetali e povera di grassi saturi è in grado di favorire il controllo dell’ipertensione. Uno studio condotto in 11 paesi europei (Knoops et al. 2004) ha invece analizzato la relazione fra la dieta mediterranea associata all’attività fisica in oltre duemila individui di età compresa fra i 70 ed 90 anni. Il follow-up dello studio era di 10 anni. I risultati dimostravano che la dieta mediterranea, il moderato uso di alcool, l’attività fisica ed il non fumare erano 12
associati ad una ridotta mortalità. In individui di età compresa fra 70 ed 90 anni l’adesione ad una dieta mediterranea dimezzava la mortalità. In uno studio israeliano (Shai et al. 2008) 322 pazienti moderatamente obesi furono assegnati a 3 tipi di diete: a) pochi grassi e calorie controllate; b) mediterranea con calorie controllate; c) pochi carboidrati senza limitazioni di calorie. A due anni l’aderenza allo studio era del 84%. La perdita di peso media era 3.3 kg, 4.6 kg e 5.5 kg rispettivamente. I risultati di questo studio dimostrano che la dieta mediterranea e la dieta con pochi carboidrati possono essere una valida alternativa ad una dieta povera di grassi. In uno studio randomizzato americano (Sacks et al. 2009) 811 adulti in sovrappeso furono sottoposti a 4 differenti tipi di dieta con 4 diversi bilanciamenti di grassi, proteine e carboidrati (a:20, 15 e 65% ; b: 20, 25 e 55%; c: 40, 15 e 45%; d: 40, 25 e 35%). L’obiettivo principale era dello studio era valutare il calo di peso nei pazienti a due anni. Dopo 6 mesi tutti avevano perso una media di 6 chili (circa il 7% del peso iniziale). A due anni l’80% dei pazienti aveva aderito alla dieta con una perdita media di 4 kg. Le diete testate erano tutte efficaci indipendentemente dalle loro caratteristiche macronutritive. Allo stesso modo, diversi studi dimostrano che l’uso di bevande ricche di zuccheri (soft drinks) (Dhingra et al. 2007; Sutherland et al. 2008) è associata ad un aumento di incidenza di sindrome metabolica ed aumentato rischio cardiovascolare. In particolare il consumo di almeno una bevanda al giorno si associa ad aumento di obesità, aumento della circonferenza-vita, ipertensione ad alterato metabolismo del glucosio (Dhingra et al. 2007). Similmente ad una dieta ricca di grassi e povera di frutta/verdura, una vita sedentaria favorisce l’insorgenza delle malattie cardiovascolari. Infatti, l’attività fisica praticata in modo regolare e costante è in grado di influenzare significativamente il profilo di rischio cardiovascolare di ciascun individuo, senza differenze per età, sesso, razza e indipendentemente dal livello di rischio cardiovascolare globale preesistente. Questo effetto è dovuto ad una migliore performance generale del sistema cardiocircolatorio, ma anche ad uno stimolo indiretto che modifica altri fattori di rischio quali peso corporeo, profilo metabolico (riduzione dei livelli di lipidemia totali e specifici, miglioramento del compenso glicemico), valori di pressione arteriosa. Uno studio finlandese (Hu et al. 2007) ha analizzato una popolazione di individui con anamnesi negativa per cardiopatia ischemica o malattia cerebro-vascolare valutando il rischio di eventi coronarici in un periodo di 10 anni in un gruppo di soggetti giovani-adulti (età compresa fra 25 e 64 anni), attribuendo un differente punteggio di rischio cardiovascolare secondo il Framingham Risk Score (indice di rischio molto basso 20%). Il livello di attività fisica è stato distinto in basso, medio ed intenso ed è stata presa in considerazione separatamente l’attività fisica praticata nel tempo libero e quella effettuata nell’ambito dell’occupazione di lavoro. L’esercizio fisico, sia quello praticato come attività ludico-sportiva che all’interno dell’attività lavorativa, è risultato in grado di ridurre significativamente l’incidenza di eventi coronarici, in percentuale crescente con il livello di intensità dell’attività fisica praticata. Comunque da questo studio risulta che anche carichi di lavoro bassi o intermedi sono in grado di esercitare un effetto favorevole: ad esempio nelle donne il solo recarsi al lavoro camminando o pedalando su una bicicletta è risultato sufficiente per migliorare il profilo di rischio cardiovascolare. Alla luce di tali dati è fondamentale raccomandare di praticare un’attività fisica anche di intensità non particolarmente elevata per prevenire lo sviluppo di malattie cardiovascolari. In un altro studio prospettico finlandese Hu et al. (2004) è stato analizzata la possibile relazione fra attività fisica ed il rischio ipertensione in soggetti normo-peso o in soprappeso. 13
Sono stati monitorati un totale di 8302 maschi e 9139 femmine di età compresa fra i 25 e i 64 anni con anamnesi negativa per uso di farmaci anti-ipertensivi, patologie cardiovascolari o ictus. Durante gli 11 anni di follow-up circa 1600 pazienti furono trattati con farmaci anti- ipertensivi. L’analisi statistica multivariata dimostrava che l’attività fisica regolare ed il controllo del peso riducevano il rischio di ipertensione e che l’effetto protettivo dell’attività fisica era presente indipendentemente dal sesso. Uno studio randomizzato tedesco (Hambrecht et al. 2004) ha confrontato l’angioplastica versus il regolare esercizio fisico in pazienti di età minore di 70 anni selezionati dopo regolare angiografia di controllo. L’attività fisica regolare consisteva in 20 minuti di cyclette/giorno. I due approcci terapeutici furono testati ad 1 anno in termini di sintomi clinici, perfusione del miocardio e rapporti costo-benefici. Furono arruolati un totale di 101 pazienti. Al follow-up finale i pazienti arruolati nel programma di esercitazione fisica dimostravano minore incidenza di sintomatologie cliniche durante il follow-up e minore incidenza di costi sanitari. Una recente revisione sistematica della letteratura (Kodama et al. 2009) ha analizzato il ruolo dell’attività fisica (definita come fitness cardio-respiratorio) in relazione agli eventi cardiovascolari o alla mortalità. L’attività fisica fu tipizzata in base alla massima attività aerobica in METs (unità metaboliche equivalenti) come bassa (10.8 METs). Gli autori selezionarono un totale di 33 studi epidemiologici. I risultati della meta-analisi dimostravano che esisteva un’associazione fra il fitness ed il rischio relativo (RR) di morte ed eventi cardiovascolari: in particolare una bassa attività fisica era associata ad RR=1.7 di morte ed RR=1.56 per eventi cardiovascolari vari rispetto ad alta attività fisica. Numerosi sono pertanto i dati presenti in letteratura che supportano il concetto che l’attività fisica sia in grado di favorire la riduzione del rischio cardiovascolare tanto che oggi si ritiene che la raccomandazione di praticare un regolare e costante esercizio rappresenti una delle regole principali di miglioramento dello stile vita nella prevenzione sia primaria che secondaria delle malattie cardiovascolari. Discussione Nella moderna medicina il controllo dei fattori di rischio rappresenta una tappa fondamentale della prevenzione e cura delle malattie. In particolare la modifica/controllo di alcuni stili di vita come l’uso di sostanze alcoliche, il fumo, la vita sedentaria, il soprappeso/obesità, il ridotto consumo di frutta e verdura sembra essere in grado di influenzare la vita media dell’individuo. Un vasto lavoro prospettico con 16 anni di follow-up (Yates et al. 2008 ) su 2357 maschi americani sani (età media 72 anni) ha analizzato l’impatto dei diversi stili di vita sulla mortalità. In particolare, gli obiettivi di questo studio erano capire quali fattori fossero associati ad una sopravvivenza di almeno 90 anni e quale la loro influenza sulle malattie in individui di età >90 anni. Al follow-up finale il 41% degli individui aveva superato la soglia dei 90 anni. Il fumo di sigaretta, il diabete, l’obesità e l’ipertensione erano associati ad un più alto rischio di mortalità prima dei 90 anni. In particolare la probabilità di raggiungere i 90 anni per un individuo di 70 raddoppiava in assenza di fumo, ipertensione, diabete o vita sedentaria. Comparando le caratteristiche di questi individui con quelle dei deceduti, i soggetti che superavano la soglia dei 90 anni avevano mantenuto globalmente uno stile di vita più salutare e presentavano una ridotta incidenza di malattie croniche. Se presenti, 14
l’esordio della malattie croniche era successivo di circa 3-5 anni in questi individui. L’esercizio fisico regolare migliorava mentre il fumo e l’obesità peggioravano significativamente le aspettative di vita. Il fumo era inoltre associato con la riduzione della memoria. L’importanza della modifica degli stili di vita pare essere fondamentale fin dall’infanzia. Un vasto studio prospettico (Baker et al. 2007) su oltre 276 mila individui danesi ha analizzato il possibile rapporto fra BMI nell’ infanzia (bambini di età compresa fra i 7 e i 13 anni visitati nelle scuole pubbliche ogni anno) ed incidenza di patologie cardiovascolari negli adulti (età >25 anni). I risultati dello studio dimostrano che esiste un’associazione soprattutto nei maschi fra BMI ed aumento dell’incidenza di patologie cardiovascolari negli adulti. Al tempo stesso diversi studi longitudinali che hanno analizzato la possibile associazione fra parodontite ed incidenza delle malattie cardiovascolari supportano l’impatto degli stili di vita nel predire la mortalità e gli eventi acuti cardiovacolari. In particolare in uno studio prospettico Destefano et al. (1993) hanno analizzato la sopravvivenza e l’incidenza di malattie cardiovascolari in 9760 individui per una media di 14 anni. Al follow-up finale gli individui con parodontite avevano un aumento di rischio del 25% di avere patologie cardiovascolari rispetto agli individui senza parodontite. La scarsa igiene orale, quantificata con i livelli di placca e tartaro, era associata ad un’aumentata incidenza di malattie cardiovascolari. Individui di età minore di 50 anni con parodontite all’inizio dello studio avevano un RR di 1.72 di sviluppare patologie cardiovascolari. Parodontite e scarsa igiene orale erano predittori della mortalità e delle patologie cardiovascolari. Questo studio dimostra come la salute parodontale possa essere considerata un indicatore della salute sistemica e più in generale del livello di prevenzione delle malattie cardiovascolari. Conclusioni Esiste convincente evidenza scientifica che la parodontite sia influenzata da stili di vita poco salutari come fumo e scarsa igiene orale. Esiste convincente evidenza scientifica che alcuni stili di vita come dieta ricca di grassi e povera di verdure, fumo e scarso esercizio fisico favoriscano la patogenesi di diabete e malattie cardiovascolari riducendo le aspettative di vita nei paesi industrializzati. Esistono dati convincenti circa la possibilità di prevenire la parodontite modificando gli stili di vita. Esistono dati convincenti che si possano prevenire il diabete e le patologie cardiovascolari modificando gli stili di vita. Esiste una convincente evidenza scientifica sulla associazione tra parodontite e diverse malattie sistemiche: in particolar modo, essa predice l’aterosclerosi sub- clinica e gli eventi acuti cardiovascolari. La terapia parodontale inoltre riduce la risposta infiammatoria sistemica e migliora la funzione endoteliale, considerati marcatori di rischio cardiovascolare. La parodontite, il diabete e le malattie cardiovascolari sono malattie croniche e multifattoriali che condividono diversi stili di vita/fattori di rischio simili. Il parodontologo può essere una figura chiave nel modificare stili di vita poco salutari favorendo così la prevenzione della parodontite, del diabete e delle malattie cardiovascolari. 15
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