Poste Italiane entra nel consorzio Hyperledger
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Poste Italiane entra nel consorzio Hyperledger ROMA– Poste Italiane è entrata a far parte della community Hyperledger, un consorzio globale della Linux Foundation che raggruppa oltre 260 operatori mondiali, appartenenti a diversi settori industriali, uniti nello sviluppo di uno standard open source per la blockchain e le Distributed Ledger Technologies (DLT). La blockchain e le DLT sono registri condivisi di informazioni ai quali hanno accesso tutti i partecipanti a una rete. Quando un registro condiviso è formato da blocchi di informazioni collegati fra di loro e resi immutabili, si parla di blockchain. Si tratta di soluzioni ritenute capaci di un salto qualitativo, ottenuto grazie a tecnologie destinate a cambiare il modello di conservazione e condivisione delle informazioni, con il ribaltamento del paradigma secondo il quale al controllo fisico centralizzato dei dati corrisponde una sicurezza maggiore. L’adesione a Hyperledger è coerente con le linee strategiche individuate dal Piano industriale Deliver 2022 che mirano a rafforzare la leadership digitale di Poste Italiane, e accelera il percorso di acquisizione di nuove competenze e di sperimentazione della tecnologia blockchain e delle DLT per meglio comprenderne potenzialità capaci di generare innovazione nel business. Hyperledger è un progetto che coinvolge numerosi operatori attivi nel
segmento delle tecnologie blockchain e DLT. Tra i membri di questo consorzio globale sono presenti le maggiori aziende del settore finanziario, bancario, manifatturiero, distributivo e tecnologico. In una fase nella quale l’evoluzione digitale abilita rapidamente nuovi servizi, la sicurezza dei dati appare sempre più importante. In questo contesto la blockchain si candida a costituire una risposta efficace ai problemi di sicurezza, trasparenza, interoperabilità e privacy, e Poste Italiane è impegnata a renderla di facile fruizione per porla al servizio del sistema Paese. Incredibile ma vero ! Il Consiglio disciplina campano archivia Luigi Di Maio. Dopo assoluzione della Raggi aveva dato degli "sciacalli" ai cronisti ROMA – Il Consiglio di Disciplina Territoriale dell’ Ordine dei Giornalisti della Campania ha deliberato l’archiviazione del procedimento nei confronti di Luigi Di Maio, aperto dopo le sue dichiarazioni in seguito all’assoluzione della sindaca di Roma Virginia Raggi: “La sua condotta è riconducibile non al giornalista iscritto all’albo dei pubblicisti, ma al suo ruolo di parlamentare così come evidenziato dall’avvocato Maurizio Lojacono che lo ha rappresentato“.
In poche parole il Consiglio di disciplina campano si è ginuflesso ed ha accolto la tesi del legale di Di Maio, ritenendo quindi di non essere competente ad esprimersi. L’istruttoria era stata avviata a novembre, dopo il clamore e le proteste suscitate dalle dichiarazioni del vicepremier dopo l’assoluzione di Virginia Raggi: “Il peggio in questa vicenda – aveva dichiarato Di Maio – lo hanno dato la stragrande maggioranza di quelli che si autodefiniscono ancora giornalisti, ma che sono solo degli infimi sciacalli, corrotti intellettualmente e moralmente“. Da qui il deferimento al Consiglio di disciplina per Di Maio, iscritto come pubblicista all’Ordine della Campania. Nelle scorse settimane era stato convocato dal Consiglio lo stesso Di Maio che, impegnato all’estero, aveva inviato una memoria tramite il suo legale. “Le parole usate da Di Maio – ha affermato l’avvocato Maurizio Lojacono – non erano rivolte a tutta la categoria dei giornalisti ma a coloro che fanno un uso politico della cassa di risonanza offerta dalla stampa. Comunque si esprimeva nel suo ruolo di uomo politico, non di giornalista“.
La decisione del collegio disciplina territoriale della Campania, crea un vergognoso precedente nel nostro ordinamento professionale. Ad un qualsiasi iscritto all’ Ordine basta quindi essere eletto in parlamento per poter definire ed appellare pubblicamente ” infimi sciacalli, corrotti intellettualmente e moralmente” la nostra categoria. Come non vergognarsi di questa decisione adottata in ginocchio dinnanzi all’arroganza del potere politico espressa dall’ attuale Governo ? Tav, i fatti e le "bufale" di Di Battista ROMA – Di ritorno dal Sudamerica l’esponente grillino Alessandro Di Battista ieri è andato in televisione da Fabio Fazio su RAIUNO per “sostenere” il NO del M5S alla realizzazione nuova linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione, sostenendo contrariamente al vero, che la Tav costa 20 miliardi, la montagna da scavare è piena amianto, e che la vogliono realizzare per intascare le tangenti. Quanto alla Tav, Di Battista rimane fedele alla sua linea: “È la più grossa sciocchezza che possa fare questo Paese. E cioè spendere 20 miliardi di euro quando servono altre infrastrutture” avanzando un sospetto: “Non ho le prove -premette – ma ci sono intercettazioni di ‘ndranghetisti per le quali, per come conosco il Paese, non si vuole uscire dalla Tav perché qualcuno si è già steccato (diviso, ndr.)
delle tangenti, che ai tempi attuali hanno la forma più elegante delle consulenze“. La realtà però, ancora una volta, è infatti molto diversa da quella “spacciata” dai grillini. Infatti la Tav non costa 20 miliardi ma soltanto 2,8 al nostro Paese. La spesa complessiva per la realizzazione della tratta internazionale, cioè il tunnel di base di 57 chilometri e i due chilometri di ferrovia sul versante italiano fino a Susa) è di 8,6 miliardi. Di questi 3,51 milioni li paga l’Unione Europea, 2,22 milioni la Francia (che ha una tratta più lunga da realizzare sul suo versante) e 2,87 l’Italia. Ai 2,87 miliardi della tratta internazionale si possono sommare per l’Italia (ma non sono oggi ancora oggetto dei lavori) gli 1,7 miliardi necessari ad ammodernare la linea tra Susa e Torino. In avvio il progetto prevedeva una spesa di 4,3 miliardi sulla tratta italiana. I costi successivamente sono stati abbattuti posticipando la realizzazione di alcune gallerie che verranno realizzate con molta probabilità dopo molti anni dall’entrata in funzione del tunnel principale. Quindi perché Di Battista parla di 20 miliardi? Semplice. Perché in modo errato e falso somma ai costi che si accolla l’Italia, anche i costi sostenuti dalla Francia sul suo versante (7,7 miliardi), la quota dell’Unione europea (3,51) e la quota di lavori già spesa (1,4 miliardi). Inoltre considera l’adeguamento teorico all’inflazione che avrebbe potuto portare il costo della tratta internazionale dagli 8,6 miliardi del 2012 a 9,6 miliardi. Un adeguamento che peraltro essendo teorico, non si è verificato. Infatti nell’accordo internazionale approvato dai rispettivi parlamenti italiano e francese il costo nel 2016 è rimasto fermo a 8,6 miliardi.
Per fare un esempio comparativo di facile comprensione, rispetto ai 2,87 miliardi di spesa per l’Italia per la Torino-Lione, la tav Napoli-Bari i cui lavori dati in consegna all’ATI (Associazione temporanea di imprese) formata da Salini Impregilo ed Astaldi, verranno realizzati per fasi, e secondo le previsioni dovrebbero concludersi nel 2026, con un costo di realizzazione di oltre 6 miliardi, cioè quasi tre volte di più. della Torino-Lione Di Battista tanto per dare fiato alla sua voce, ha acceso anche delle polemiche sull’amianto, un vecchio cavallo di battaglia politica(negli ultimi tempi però accantonato) utilizzato dai No Tav . La montagna piena di amianto è la stessa in cui è stata scavata la galleria autostradale del Frejus. Il raddoppio di quella galleria che consentirà di aumentare il numero dei tir in transito in val di Susa è stato però scavato in questi anni senza alcuna opposizione da parte dei No Tav e soprattutto senza qualsiasi problema per la salute dei lavoratori del cantiere.
L’ultima “teoria grillina” di Di Battista è quella delle “tangenti sotto forma di consulenza” che spiegherebbero la volontà dei fautori dell’opera di proseguire i lavori. In realtà non risultano indagini di questo genere sulla TAV Torino-Lione. L’indagine sulle consulenze ha coinvolto soltanto il Terzo Valico. E come sempre Di Battista fa confusione parlando di due situazioni diverse. I collaboratori del "giornaletto" di Bonafede pagati dal Ministero di Giustizia
ROMA – Mentre il Governo Conte taglia i fondi alla stampa nello stesso tempo consente al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di finanziare (per le marchette) il suo giornaletto. Incredibilmente lo stesso Guardasigilli dalla pagina Facebook, lo scorso l’8 gennaio 2019, ha annunciato il “lancio” di un giornale pagato con i fondi del ministero della Giustizia e scrive : “Il nuovo anno porta la prima novità al ministero della Giustizia. Su www.gnewsonline.it potete trovare le attività del ministro, dei sottosegretari e dei dipartimenti del dicastero” ed aggiunge “Vi presento il nuovo quotidiano on line del ministero della Giustizia. Per informare puntualmente, fare approfondimento, contribuire al pubblico dibattito“. Un’iniziativa che in realtà mira esclusivamente ad incentivare gli altoparlanti della comunicazione del ministro grillino con uno strumento un po’ retrò che scimmiotta i giornaletti delle amministrazioni comunali, pagati con i soldi dei cittadini, ed utilizzati per propagandare le “marchette” del sindaco di turno. Nel suo lunghissimo post su Facebook però il guardasigilli Bonafede omette un passaggio fondamentale: il sistema di finanziamento del giornale. Infatti 24 ore prima del lancio, nel ministero di via Arenula il 7 gennaio 2019, viene firmato il contratto per l’assunzione di un consulente esterno: Gianni Parlatore che pesa sulle casse dello Stato per 32mila euro l’anno. Ma qual’ è il lavoro del nuovo consulente esterno del ministro grillino? Semplice: seguire il “marchettificio” del Guardasigilli.
Spulciando i primi articoli, pubblicati sul giornaletto on line, in molti articoli compare la firma del nuovo collaboratore del ministro Bonafede. In realtà, lo staff che lavora al “giornaletto” di Bonafede, pagato sempre con i soldi pubblici del contribuente, è più numerosa: direttore della testata è Andrea Cottone, che ha un rispettabile contratto da 120mila euro, ma il cui incarico in realtà sarebbe quello di coordinare l’ufficio stampa del ministero. Tra i redattori compare un’altro collaboratore del ministro, tale Massimo Filippone: incarico di 24mila euro l’anno. il quale oltre a collaborare con l’ufficio stampa deve curare i contenuti degli articoli che vengono inseriti nel portale. Ed ancora un altro consulente esterno Gianluca Rubino con contratto di 27 mila euro l’anno e il cui nome compare nella struttura redazionale del giornaletto per la propaganda ministeriale-politica.
La testata gnewsonline.it venne registrata nel 2005, ma nel passato veniva utilizzato come semplice contenitore per news di servizio del ministero. Adesso con l’ingresso (e l’assunzione) dei comunicatori dei Cinque stelle. il fine è cambiato: occorre promuovere l’immagine del Guardasigilli. I risultati al momento non sono dei migliori: il suo “lancio” è stato un flop. Infatti è partito proprio dalla redazione del giornale www.gnewsonline.it il video sull’arresto di Cesare Battisti. Un filmato che ha scaricato sul ministro soltanto critiche e giudizi negativi. Al punto tale da indurre persino Rocco Casalino, il portavoce del premier Giuseppe Conte, a prendere le dovute distanze. Il marchettificio per la comunicazione del ministro Bonafede è stato messo a disposizione anche dei sottosegretari alla Giustizia (Vittorio Ferraresi) di rigorosa fede ed appartenenza grillina. Così come dei sindaci dei Movimento Cinque stelle, che in realtà non c’entrano assolutamente nulla con il governo. Come ad esempio il caso di Chiara Appendino finita sul portale del Ministero per un progetto del Comune di Torino sulla rieducazione dei detenuti. Il paradosso che mentre il M5s fa la guerra ai contributi per l’editoria indipendente, nello stesso tempo i grillini finanziano con soldi pubblici il giornale controllato dal ministro. E non solo…. Scontro in diretta tra Marco Travaglio e Lilli Gruber che ordina
alla regia : "Toglietegli l’audio" ROMA – A qualcuno è sembrato di assistere ad uno dei soliti scherzi del programma radiofonico ” Il rosario della sera” condotto da Fiorello su Radio Deejay, ed invece ieri sera era tutto vero, in onda su La7 nel corso di una puntata ad alta tensione politica di Otto e mezzo su La7, ospiti in studio il senatore Matteo Richetti (Pd) , la sondaggista di fiducia di Berlusconi Alessandra Ghisleri ricercatrice dell’istituto Euromedia Research, e l’immancabile Marco Travaglio direttore del Fatto Quotidiano. Vedere sclerare la conduttrice Lilli Gruber di solito “zucchero e miele” con Travaglio, agitarsi in diretta e chiedere alla regia di “spegnerlo” dicendo: “Toglietegli l’audio, toglietegli l’audio, Marco, uno alla volta” è una di quelle scene che passano alla storia, per le risate degli spettatori. La nota freddezza della Gruber è esplosa mentre il direttore del Fatto Quotidiano cercava di “bastonare” il deputato renziano “doc” Matteo Richetti che difendeva e rivendicava la politica del Pd, riversando una marea di accuse di incoerenza ed inattendibilità politica del vicepremier Luigi Di Maio e il governo Lega-M5S. La conduttrice ha ammonito più volte Travaglio “reo” di aver esagerato, alzando i toni contro il deputato del Pd. Il direttore del Fatto Quotidiano ancora una volta difendeva il governo nel suo insieme, in tema di migranti e di pensioni, rinfacciando le politiche economiche fallimentare dei governi Renzi e Gentiloni. accalorandosi nei toni . La Gruber lo ha invitato alla calma ammonendolo una seconda volta dicendogli “ti tolgo l’audio”. Inutilmente. Marco Travaglio con la sua nota arroganza e spocchia ha continuato ad urlare davanti alle telecamere.
A questo punto la conduttrice ha messo le cose in chiaro: “Io ti tolgo l’audio se non concludi, è chiaro?“. Travaglio maleducatamente ha continuato come se niente fosse ed a questo punto la stessa Gruber ha preso la giusta decisione dando l’ordine di togliere l’audio al direttore del Fatto in diretta. E così finalmente Marco Travaglio è stato “silenziato” ed ha smesso di urlare . L’episodio ha fatto notizia, ed in molti hanno segnalato e commentato sui social le scintille tra la conduttrice e il giornalista. Ci sarà un seguito nelle prossime puntate ? O Travaglio farà l’offeso e non si presenterà più rinunciando al lauto ingaggio con cui viene pagato per la sua partecipazione televisiva. Ne dubitiamo fortemente. Il giornalista deve fare “cassa” per pagare le condanne economiche ricevute dal padre di Matteo Renzi. La Gazzetta del Mezzogiorno in edicola con una pagina bianca. Tutto quello che però non vi raccontano ...
ROMA – Dopo lo sciopero di martedì 8 gennaio, primo di un pacchetto di 10 giorni di sciopero, che per nostra opinione non serve a nulla se non solo e soltanto a perdere copie vendute e pubblicità, e quindi soldi da incassare, il quotidiano barese La Gazzetta del Mezzogiorno è tornato oggi in edicola, pubblicando una pagina bianca ed una lettera del Cdr e dell’assemblea dei giornalisti ai lettori . “Cari lettori, questa pagina – si legge – esce quasi completamente bianca per mostrarvi a quale rischio sarebbe esposta l’informazione in Puglia, in Basilicata e nel Mezzogiorno, se la Gazzetta del Mezzogiorno non uscisse più. Le storie, i commenti, le notizie, le opinioni, le istanze delle nostre comunità non troverebbero più voce. In queste settimane, i giornalisti della Gazzetta hanno continuato a lavorare garantendo l’uscita del Giornale, benché non retribuiti”. Affermazione questa che non ci vede d’accordo, in quanto in Puglia e Basilicata e nel Mezzogiorno esistono altre realtà editoriali e giornalistiche che fanno informazione, ed in alcuni casi vendono più copie ai lettori di quante ne venda La Gazzetta del Mezzogiorno, sotto la direzione disastrosa ( lo dicono i numeri, non è una nostra opinione…) di Giuseppe De Tommaso. “Ad oggi, infatti i giornalisti hanno ricevuto soltanto un acconto del 40% sullo stipendio del mese di novembre – prosegue la lettera che è oggi sul quotidiano di Bari che vende una media di 18mila copie al giorno in Puglia e Basilicata – non hanno percepito le tredicesime, lo stipendio di dicembre e continuano a non sapere se e in che misura verranno retribuiti in futuro“. “Né, sino a oggi hanno ottenuto risposte in tal senso dagli amministratori giudiziari, nominati dal Tribunale di Catania, – si legge ancora nella lettera – e dal direttore generale dell’azienda, rimasto in carica malgrado il provvedimento di sequestro-confisca e gestore da anni di un’azienda sopravvissuta solo grazie ai tagli sul personale“.
Questo il testo integrale della lettera odierna ai lettori: Cari Lettori, questa pagina esce quasi completamente bianca per mostrarvi a quale rischio sarebbe esposta l’informazione in Puglia, in Basilicata e nel Mezzogiorno, se la Gazzetta del Mezzogiorno non uscisse più. Le storie, i commenti, le notizie, le opinioni, le istanze delle nostre comunità non troverebbero più voce. In queste settimane, i giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno hanno continuato a lavorare garantendo l’uscita del Giornale, benché non retribuiti. Ad oggi, infatti, i giornalisti hanno ricevuto soltanto un acconto del 40% sullo stipendio del mese di novembre; non hanno percepito le tredicesime, lo stipendio di dicembre e continuano a non sapere se e in che misura verranno retribuiti in futuro. Né, sino ad oggi, hanno ottenuto risposte in tal senso dagli amministratori giudiziari, nominati dal Tribunale di Catania, e dal direttore generale dell’azienda, rimasto in carica malgrado il provvedimento di sequestro-confisca e gestore da anni di un’azienda sopravvissuta solo grazie ai tagli sul personale. A ciò si aggiunga che persino le quote del Tfr relative all’anno 2017 non sono state ancora conferite al Fondo di categoria. Ed è quanto meno paradossale che tutto ciò accada in un momento nel quale, proprio in forza del provvedimento della magistratura siciliana, l’Editore e, quindi, il datore di lavoro dei giornalisti sia di fatto diventato lo Stato. In altre parole, lo stesso Stato ci chiede di lavorare senza percepire stipendio e nemmeno ci ringrazia. A questo proposito, sarà utile ricordare che, dopo avere
assunto le proprie funzioni, gli amministratori giudiziari si sono limitati a proporre un taglio lineare del costo del lavoro del 50%, senza tenere conto delle specificità di un’azienda editoriale, che nulla ha a che fare con le imputazioni a carico del proprio editore, ipotizzando in alternativa il fallimento della società editrice e, di conseguenza, la scomparsa del quotidiano, da 131 anni punto di riferimento delle comunità di Puglia e Basilicata e autorevole voce degli interessi del Mezzogiorno. Tutto questo perché i giornalisti, già da anni costretti a pesanti sacrifici economici, sono stati considerati dei semplici «costi» anziché delle risorse. I giornalisti pur nella consapevolezza di dovere accettare ulteriori sacrifici, hanno respinto ogni ipotesi di spending review che prescinda da un serio piano editoriale e industriale. Un piano che tenga conto innanzitutto della qualità dell’informazione offerta a Voi Lettori. E hanno avanzato già da tempo agli amministratori giudiziari e al direttore generale dell’azienda proposte alternative per contenere i costi del lavoro. Nelle scorse settimane i redattori della Gazzetta, attraverso il Comitato di redazione, hanno anche inviato un appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ribadendo che l’informazione è tutelata dall’articolo 21 della Costituzione. E, successivamente, per intervento del Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, il sindacato dei giornalisti è stato convocato dalla task force regionale per il lavoro, insieme con tutte le altre parti sociali e con gli amministratori giudiziari. L’iniziativa del «Gazzetta Day» ci ha dimostrato tutto il vostro commovente affetto, per il quale vi manifestiamo ancora una volta la nostra gratitudine. Ma questo sostegno da solo non basta. Nonostante la vostra massiccia adesione all’iniziativa del 29 dicembre scorso, i giornalisti e i poligrafici continuano a non essere pagati. Serve imprimere una svolta nella gestione e amministrazione di un giornale che, a quanto pare, non tiene nella debita considerazione i suoi lavoratori. Attraverso questo appello, intendiamo manifestare a voi tutti il nostro profondo disagio per una situazione che diventa ogni giorno più insostenibile per i lavoratori e per le loro famiglie, a loro volta sottoposte a pesanti sacrifici. Per
questo motivo i redattori della Gazzetta hanno affidato al Comitato di redazione la gestione di dieci giorni di sciopero, il primo dei quali è stato proclamato ieri a causa della mancata pubblicazione di questa pagina. Ci impegniamo a continuare ad aggiornarvi su questa vertenza che riguarda il diritto all’informazione. Il Comitato di redazione per conto dell’Assemblea di redazione Pur rispettando le legittime preoccupazioni dei colleghi della Gazzetta del Mezzogiorno, a cui auguriamo con tutto il cuore di trovare una soluzione, magari affidandosi a qualche “advisor” cioè qualche specialista di crisi e ristrutturazioni aziendali, non possiamo esimerci, per un legittimo dovere di cronaca, dall’ esprimere qualche perplessità sulla gestione “sindacale” della vicenda, che riepiloghiamo di seguito con spirito costruttivo e non critico, nè tantomeno di astio concorrenziale.
Il programma televisivo “Report” già sei anni fa aveva messo in evidenza numerose criticità tra le attività di Mario Ciancio nell’inchiesta “I viceré” ( realizzata del collega Sigfrido Ranucci) andata in onda il 15 marzo 2009. Ma evidentemente deve essere sfuggita….all’assemblea di redazione, il comitato di redazione della Gazzetta del Mezzogiorno
Questi i punti sui quali il Comitato di redazione e l’Assemblea di redazione, dovrebbero soffermarsi a riflettere e sopratutto spiegare qualcosa che non raccontano ai propri lettori, ma sopratutto a se stessi e dare alle proprie famiglie delle serie risposte. 1. E’ dal 2015, cioè QUATTRO ANNI fa che ingenti somme di denaro sono state sequestrate su richiesta della procura distrettuale antimafia di Catania a Mario Ciancio Sanfilippo, l’ editore catanese al vertice di un gruppo editoriale cui, tra l’altro, fa capo il quotidiano pugliese LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO e “LA SICILIA” di Catania. Sotto sequestro antimafia era stato sottoposto un rapporto bancario intrattenuto da Ciancio tramite una società fiduciaria del Liechtenstein in un istituto di credito con sede in Svizzera, sul quale erano depositati titoli e azioni per un valore stimato in circa 12 milioni di euro. Inoltre è stata sequestrata la somma in contanti di circa 5 milioni di euro depositata nella filiale di una banca catanese. Il sequestro venne effettuato dai Carabinieri del Ros di Catania, a cui erano state delegate le indagini penali e patrimoniali. Come mai la GAZZETTA non ha mai dato notizia ai propri lettori di questa vicenda ? 2. Come mai l’assemblea di redazione, il comitato di redazione non si sono preoccupati in questi lunghi QUATTRO ANNI delle vicende giudiziarie del proprio editore nei cui confronti la Procura Distrettuale Antimafia di Catania avvalendosi del ROS dei Carabinieri, ha ricostruito complessi affari intrapresi dall’imprenditore e nei quali secondo l’accusa, aveva interessi la “mafia“, motivo per cui ha disposto ed effettuato approfondite indagini patrimoniali che hanno portato alla scoperta dei fondi dell’editore Ciancio di Sanfilippo occultati all’estero.
Sono stati individuati depositi bancari in Svizzera, alcuni dei quali schermati tramite delle fiduciarie di Paesi noti come “paradisi fiscali”, scoperti grazie anche alla cooperazione prestata dalla Procura di Lugano (Svizzera) attraverso una rogatoria e secondo i trattati internazionali. E’ stata proprio la Procura di Lugano ad acquisire dagli istituti di credito svizzeri la documentazione bancaria ritenuta rilevante e fondamentale a livello probatorio per le indagini. della magistratura catanese. 3. Come mai l’assemblea di redazione, il comitato di redazione non si sono preoccupati del crollo di vendite di anno in anno del giornale in edicola, che secondo gli ultimi dati dell’ AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) vende in edicola soltanto 18mila copie al giorno, in un bacino di 4 milioni e mezzo di lettori fra la Puglia e la Basilicata ? 4. Come mai l’assemblea di redazione, il comitato di redazione non si sono mai preoccupati dei bilanci pubblici dell’ Edisud spa, la società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno, la cui maggioranza è controllata e di proprietà dall’editore Mario Ciancio Sanfilippo, che secondo fonti attendibili avrebbe maturato un indebitamento bancario di circa 35 milioni di euro ? 5. Come mai i giornalisti si sono preoccupati solo e soltanto del loro stipendio a fine mese, nonostante due anni di contratti di solidarietà (ammortizzatori sociali n.d.r.) senza pensare minimamente alla propria crisi editoriale-giornalistica ? 6. Come mai i giornalisti del quotidiano La Sicilia non si stanno agitando come i “cugini” baresi della Gazzetta del Mezzogiorno, nonostante il giornale siciliano venda addirittura meno della Gazzetta ? 7. Come mai l’assemblea di redazione, il comitato di redazione non si sono preoccupati in questi anni che la stragrande maggioranza degli articoli pubblicati nelle edizioni provinciali, sono stati retribuiti a 5 euro netti ad articolo ??? 8. Come mai l’assemblea di redazione, il comitato di redazione non si sono preoccupati e non hanno mai manifestato la propria solidarietà realmente ai colleghi di altri quotidiani e tv pugliesi che hanno perso il proprio posto di lavoro ? Qualcuno ha persino remato contro … 9. Con che coraggio l’assemblea di redazione, il comitato di redazione rivolgono le proprie speranze nel salvataggio grazie a qualche politico ? Come faranno a scrivere poi di questo politico ? E’ legittimi chiedersi come mai nessun editore “puro” non ha alcun interesse a rilevare la Gazzetta del Mezzogiorno ? 10. Chi investirebbe mai i propri soldi per rilevare una società con 35 milioni di euro di debiti, circa 150 dipendenti ed annessi superstipendi da pagare ed appena 18mila copie vendute al giorno in edicola ?
Qualcuno dovrebbe ricordare che la confisca delle azioni della EDISUD spa , società editrice della Gazzetta del Mezzogiorno, è avvenuta a seguito anche della scoperta del il tesoretto da 52 milioni di euro di Ciancio, depositato in Svizzera e scoperto dalla procura di Catania. Soldi che costituiscono solo una parte dei soldi tenuti dall’imprenditore all’estero: come nel paradiso fiscale delle Mauritius attraverso un complicato schema di società straniere. Un sequestro antimafia del tesoretto scoperto in Svizzera dagli investigatori del ROS dei Carabinieri di Catania, a nome dell’imprenditore etneo Mario Ciancio Sanfilippo, editore del quotidiano La Sicilia e La Gazzetta del Mezzogiorno . Soldi con cui veniva finanziato anche il quotidiano barese. Ai posteri quindi l’ardua, eppur facile sentenza. Noi ci limitiamo a fare i giornalisti. Questi i dati certificati (ADS) di vendita nel 2018
Ecco tutti gli articoli pubblicati dal nostro giornale sull’editore Mario Ciancio di Sanfilippo: 18 giugno 2015 – Indagine di mafia della DDA di Catania. Sequestrati dai Carabinieri del Ros 17 milioni di euro all’editore della Gazzetta del Mezzogiorno (leggi QUI)
1 giugno 2017 – Mafia: Ciancio editore della Gazzetta del Mezzogiorno a processo per concorso esterno (leggi QUI) 11 giugno 2018 – La Gazzetta del Mezzogiorno in profonda crisi. Chiudono le redazioni di Brindisi, Matera. L’editore Ciancio a processo in Sicilia per concorso mafioso (leggi QUI)
24 settembre 2018 – Antimafia: sequestro di 150 milioni all’editore della “Gazzetta del Mezzogiorno” Mario Ciancio Sanfilippo (leggi QUI) “Nel 2019 cattureremo Matteo Messina Denaro” ROMA – “Il 2019 sarà l’anno della cattura di Matteo Messina Denaro”. Questo è il monito lanciato dal procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, in un’intervista a www.Gnewsonline.it, il nuovo quotidiano d’informazione online del Ministero della Giustizia. In un colloquio con Massimo Filipponi, il procuratore De Raho ha fatto il bilancio del suo primo anno alla guida della Procura Nazionale
Antimafia e Antiterrorismo, evidenziando i risultati ottenuti e valutando i provvedimenti legislativi adottati in materia di lotta alla corruzione e quelli che favoriranno l’ingresso di nuovi magistrati e di personale amministrativo nella macchina della Giustizia. De Raho si è anche soffermato sulle figure e sugli insegnamenti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ricordando come l’intuizione dei due magistrati abbia modificato profondamente e potenziato le tecniche di indagine e di contrasto alla criminalità organizzata. Sulla latitanza del boss Messina Denaro, il procuratore ha dichiarato: “Le reti che lo attorniano e che lo sostengono sono sempre numerose ma di volta in volta, mese dopo mese, si interviene tagliandole. Così facendo ci si avvicina all’obiettivo e credo che il 2019 sarà proprio l’anno della fine della sua latitanza”. “È la prima delle novità di questo 2019 e vogliamo che Gnews diventi un punto di riferimento per l’informazione nell’ambito della giustizia, che lo faccia avendo come bussola i principi del giornalismo e la conseguente autonomia che questi portano con sé. Anche per questa ragione vorremmo che fosse uno spazio di dibattito e cominciamo subito ospitando nelle nostre colonne i contribuiti di alcuni degli attori principali della giustizia” si legge nell’editoriale. Su Gnewsonline.it si possono trovare gli interventi di Andrea Mascherin, presidente del Consiglio Nazionale Forense, Antonio De Notaristefani, presidente dell’Unione delle Camere Civili, Francesco
Minisci, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati e Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali. “Quello di oggi è, quindi, un ulteriore passo concreto che compiamo per attuare quell’apertura delle porte di via Arenula già intrapresa dal ministro Alfonso Bonafede. E per farlo abbiamo un nuovo strumento, creato grazie alla collaborazione fra l’Ufficio stampa e la Direzione generale per i Sistemi informativi automatizzati del Ministero. Il quotidiano sarà gestito dall’Ufficio stampa e informazione di via Arenula. Chiunque volesse collaborare può scrivere all’indirizzo email ufficio.stampa@giustizia.it per sottoporre le sue proposta. Noi ci siamo. Un buon anno a tutti i lettori” conclude l’editoriale. Affaire Casalino, Odg Lombardia archivia di Giovanna Rei ROMA – L’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha deciso di archiviare l’istruttoria su Rocco Casalino, relativa al messaggio audio nel quale il portavoce di Palazzo Chigi insultava e attaccava i tecnici del ministero dell’Economia, accusati di fare ostruzionismo e di non riuscire a trovare le coperture per le misure della manovra. Il
Consiglio di disciplina territoriale era stato chiamato a verificare se le dichiarazioni di Casalino, giornalista professionista, il loro tenore e l’uso del linguaggio fossero “pertinenti, continenti e compatibili con gli articoli 2 e 11 della legge professionale numero 69 del 3 febbraio 1963“. Dura la reazione del deputato del Partito democratico Michele Anzaldi. “Per l’Ordine dei giornalisti della Lombardia definire i dirigenti del ministero dell’Economia ‘pezzi di me…’, gente ‘da far fuori’, con cui arrivare ‘ai coltelli’ non è una violazione dei diritti fondamentali delle persone, quindi insultare e minacciare non merita alcuna sanzione – scrive il deputato dem su Facebook -. Lo ha stabilito il Consiglio di disciplina, archiviando l’istruttoria su Rocco Casalino, portavoce del presidente del Consiglio che quelle parole voleva che uscissero sulla stampa, addirittura in forma anonima, tanto da dirle a vari cronisti, quindi voleva che avessero il massimo risalto possibile“. “Nessuna conversazione rubata, ma – sottolinea Anzaldi – insulti contro pubblici ufficiali da far uscire sui media. E come sanzione non c’è soltanto la radiazione dall’Albo, la più dura. C’è anche il semplice avvertimento, la censura, la sospensione. Niente di tutto questo. Per l’Ordine dei giornalisti insultare un funzionario pubblico, additarlo sulla stampa come persona da cacciare significa rispettare i diritti fondamentali delle persone. Una decisione che lascia sbalorditi. Speriamo che, quanto meno, non faccia da precedente per futuri insulti e minacce“. Ma l’ Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha dimenticato un “precedente” di Casalino, che il 13 luglio scorso quando i deputati del Movimento 5 Stelle avevano organizzato una piccola manifestazione nella piazza di fronte alla Camera per festeggiare il ricalcolo dei vitalizi degli ex parlamentari approvato dall’ufficio di presidenza. Alla manifestazione erano presenti una decina di deputati con palloncini, spumante e bicchieri. Tra i deputati c’era anche il nostro collega Salvatore Merlo, giornalista del quotidiano IlFoglio che in un suo articolo pubblicato ha descritto la scena. L’organizzatore della coreografia messa in piedi dai deputati del Movimento, ha raccontato Merlo, è stato Rocco Casalino, ex concorrente del Grande Fratello, portavoce del presidente del Consiglio e da anni capo della comunicazione del Movimento. Merlo ha descritto in maniera piuttosto ironica Casalinoe la sua attività di spiegare ai deputati come comportarsi, in modo che la manifestazione riuscisse nella maniera migliore. «“Amore, amore”, urla Rocco a un deputato, battendo le mani, “tienilo più in alto quel
palloncino!”», ha scritto per esempio. Casalino, che con il Foglio si è già scontrato parecchie volte in passato, stando a quanto scrive Merlo, gli avrebbe rivolto una frase provocatoria: «Adesso che il Foglio chiude, che fai? Mi dici a che serve il Foglio? Perché esiste?» La frase di Casalino sembrava un non tanto velato riferimento al fatto che il Foglio percepisce finanziamenti pubblici in quanto cooperativa giornalistica. Casalino per giustificarsi, a posteriori aveva sostenuto che la sua era “una battuta” rivolta a Merlo “in un momento informale di festeggiamenti per i vitalizi. Sono certo che Salvatore Merlo ne fosse ben consapevole, considerando che ho specificato anche con lui che stavo scherzando. Credo fortemente nella libertà di stampa e nel pluralismo dell’informazione“. Peccato che Casalino non abbia proferito parola quando i suoi datori di lavoro del M5S, a partire da Luigi Di Maio hanno dato ai giornalisti degli epiteti come “puttane“, “sciacalli“, “infami“. O forse parlavano fra di loro…? Khashoggi ed altri giornalisti persone dell’anno per il Time: “Sono i guardiani della verità” di Federica Gagliardi Il giornalista saudita Jamal Khashoggi i reporter definiti “guardiani” sono stati scelti come “persona dell’anno” da Time Magazine. “Per avere assunto grandi rischi nel perseguire verità più grandi, per l’imperfetta ma essenziale ricerca dei fatti, per far sentire la propria voce e dire la propria, i Guardiani Jamal Khashoggi, la Capital Gazette, Maria Ressa, Wa Lone e Kyaw Soe Oo sono persona dell’anno del Time“, recita la motivazione addotta dal giornale.
Khashoggi è stato ucciso il 2 ottobre scorso all’interno del consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul. Capital Gazzette, invece, è il giornale di Annapolis, in Maryland, dove lo scorso 28 giugno un uomo ha aperto il fuoco uccidendo cinque dipendenti. Quanto a Maria Ressa, è una giornalista filippina che guida il sito di informazione Rappler preso di mira dal presidente delle Filippine Rodrigo Duterte. Wa Lone e Kyaw Soe Oo, infine, sono i due giornalisti di Reuters arrestati in Birmania, condannati a sette anni di carcere per il loro lavoro di documentazione delle violenze contro la minoranza Rohingya. È la prima volta che dei giornalisti vengono scelti come persona dell’anno dal magazine, che assegna questo titolo dal 1927. Inoltre, è la prima volta che una persona morta viene scelta come personalità più significativa dell’anno in corso. Visto che quest’anno il titolo di ’persona dell’anno 2018’ è condiviso, Time ha scelto di pubblicare quattro prime pagine diverse, una copertina per ogni giornalista o squadra di giornalisti.
I reporter hanno dunque avuto la meglio su Donald Trump, già persona dell’anno 2016, che i bookmaker davano per favorito anche quest’anno. È la seconda volta consecutiva che il Time sceglie un gruppo e non una sola persona. Nel 2017 aveva scelto le persone che hanno “rotto il silenzio” contro le molestie sessuali con il movimento #MeToo, scatenando una serie di accuse contro gli uomini di potere nel mondo. Di Maio bara anche sui soldi della Camera ai terremotati: "Fortemente voluto dal M5S". Ma non è così !
Simone Baldelli ROMA – La proposta era stata lanciata nel 2016 dal deputato Simone Baldelli (Forza Italia) e votata da tre anni e all’unanimità nella legge di Bilancio, che devolve i soldi risparmiati sul bilancio della Camera ai terremotati del centro Italia, mentre il vicepremier Luigi Di Maio si appropria della norma e la spaccia come “un emendamento fortemente voluto dal MoVimento 5 Stelle”. In realtà si tratta di soldi risparmiati sui bilanci di Montecitorio grazie alle decisioni che sono state prese dai precedenti presidenti della Camera e dunque in questo caso ascrivibili all’impulso di Laura Boldrini. L’iniziativa “tarocca” del vicepremier grillino ha scatenato una reazione rabbiosa e e la contestazione di tutti gli altri gruppi parlamentari. A cominciare da Baldelli ex vicepresidente forzista della Camera, vero “padre” della proposta. “Noi condividiamo una buona proposta con tutti gli altri, mentre loro, i Cinque Stelle, lasciano credere che una proposta di altri sia loro e di nessun altro“, e racconta come sono andate esattamente i fatti ieri in commissione e spiega: “Questo emendamento l’ho ideato e presentato io. È una battaglia che faccio da tre anni e su cui c’è sempre stato un totale e completo accordo di tutti, senza mai polemiche“. “Nel 2016 – aggiunge Baldelli – era previsto lo stanziamento di 47 milioni, nel 2017 di 80 milioni e nel 2018 vengono devoluti 85 milioni. L’anno scorso, lo feci firmare anche a Di Maio, Giachetti, Sereni”. Adesso i grillini in maniera vergognosa vogliono appropriarsi ad ogni costo della lodevole iniziativa . Baldelli spiega che “quest’anno l’emendamento, poi approvato all’unanimità, l’ho fatto firmare a tutti i gruppi, mettendo al secondo posto Patrizia Terzoni del Movimento Cinque Stelle, seguendo un criterio di grandezza dei gruppi”. “Eppure,
subito dopo l’approvazione della proposta emendativa – aggiunge Baldelli – ieri si è scatenato un polverone, perché i grillini, a cominciare proprio da Patrizia Terzoni, hanno esultato, parlando di ‘una vittoria storica del Movimento‘“. L’ennesima “fake news” a 5 Stelle ! E’ stata la “grillina” Terzoni ad ispirare Di Maio, “spacciandosi” come prima firmataria dell’emendamento. La deputata del M5S , vicepresidente della commissione Bilancio, tramite apposito comunicato stampa “fasullo” ha infatti fatto sapere del via libera all’emendamento e che “ora che siamo forza di maggioranza stiamo realizzando, passo dopo passo, ciò che le persone ci chiedevano da anni: tagliare i privilegi e i costi della politica”. Vito Crimi In realtà il taglio è stato unanime e condiviso da tutti i gruppi parlamentari mentre i grillini questa volta si sono solo accodati ad iniziative di altri. Una vera e propria manipolazione della realtà in cui inizialmente era caduto anche Vito Crimi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che esulta “Plaudo alla collega Terzoni, prima firmataria dell’emendamento che aggiunge 85 milioni ai 300 stanziati dal governo”. Ma non appena sottosegretario si rende conto che trattasi di uno “scippo” palese, si affretta immediatamente a rettificare la propria dichiarazione iniziale: “Ringrazio Baldelli
(FI) in qualità di primo firmatario e, la collega Terzoni con tutto il gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle che ha sostenuto l’emendamento“. Nel frattempo la notizia del post “fake” del vicepremier Di Maio era arrivato in commissione ed il presidente Claudio Borghi (Lega) a seguito delle veementi proteste delle opposizioni era stato costretto a sospendere la seduta. Lo stesso Borghi, cercando di placare gli animi ha ritenuto opportuno precisare che “la decisione è della Camera e l’emendamento è stato voto da tutti“. “Quella di Di Maio è una “buffonata profondamente scorretta nei confronti dell’opposizione e dei terremotati. Si è intestato L’emendamento sui terremotati per distogliere l’attenzione da altre situazioni“, commenta il dem Luigi Marattin, seguito dalla capogruppo forzista Mariastella Gelmini che ironizza: “Il vice premier e ministro per la disoccupazione, Luigi Di Maio, in evidente confusione, prova a scippare l’emendamento di Forza Italia, a prima firma Simone Baldelli“. Il capogruppo dem Graziano Del Rio rincara le accuse : “Il maldestro tentativo del ministro Di Maio oltre ad essere sgradevole segnala anche lo stato di confusione di Di Maio dovuto in tutta evidenza alle questioni che lo stanno riguardando“, seguito e sostenuto anche da Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia: “E’ un atto della Camera votato da tutti” ribadisce. Ma nonostante l’auto-rettifica del sottosegretario grillino Crimi, il chiarimento del leghista Borghi, le contestazioni delle opposizioni non sono evidentemente arrivate all’orecchio e sotto gli occhi del vicepremier Di Maio evidentemente impegnato a cercare delle vie dagli scandali di famiglia .
Chiaramente, da perfetta “fake news” il post dello “scippo” grillino è ancora in evidenza sul blog a 5 Stelle. Qualcuno si meraviglia ancora ? Una giornata contro i poteri che non amano l'informazione di Mario Calabresi* Cosa hanno in comune il presidente filippino Duterte e il rivoluzionario a 5 Stelle Di Battista? L’idea che i giornalisti vendano la loro penna: siamo “puttane” nella versione grillina, “presstitute” in quella asiatica. E cosa tiene insieme Matteo Salvini e Donald Trump? Un uso spregiudicato dei social per sfuggire alle domande e per mettere all’indice oppositori, disturbatori e “nemici del popolo”. Il potere non ha mai amato le domande, le intrusioni, lo svelamento. Ha sempre attaccato chi le faceva e provato a buttarlo fuori strada, ma mai prima d’ora aveva cercato di costruire un fronte comune con i cittadini per squalificare l’informazione. Si rivolge al popolo per convincerlo che è la stampa a tradirlo, perché asservita a interessi diversi e menzognera. E così facendo il potere si presenta come una sorgente di verità indiscutibili. Se ciò è possibile è evidente che i giornalisti hanno molte colpe, la prima delle quali è di essere apparsi troppo legati allo status quo e troppo poco critici con l’esistente. La stessa accusa che si muove
alla sinistra a ogni latitudine: aver perso la capacità di ascoltare. Non voglio qui difendere la categoria o fare un elenco di meriti per bilanciare gli errori ma denunciare la grande truffa che stanno cercando di venderci. È una truffa presentare come meravigliosa l’idea che il futuro dell’informazione sia il rapporto diretto tra il potere e i cittadini, senza più bisogno di media e di giornali: è ancora e solo propaganda, da cui diventa sempre più difficile difendersi. È una truffa che chi governa si presenti come vittima mentre occupa ogni spazio di potere possibile e squalifichi chi osa criticarlo,
indicandolo al servizio di presunti contro poteri. È una truffa essere il potere ma pretendere di avere i caratteri dell’opposizione o delle persone comuni. È solo un modo per non rispondere dei propri atti. È una truffa chiedere al giornalismo di essere asettico e senza opinioni: è solo un tentativo per trasformarlo in un megafono e svuotarlo di senso critico. La partita è appena cominciata, sarà lunga e difficile e la nostra società ne uscirà profondamente mutata, ma è indispensabile giocarla indicando ogni giorno manipolazioni e falsità. Proprio per raccontare questa mutazione del nostro discorso pubblico e i pericoli che corre quel sistema di valori che chiamiamo democrazia, vi invitiamo a stare con noi domenica mattina. Per chi sarà a Roma appuntamento al teatro Brancaccio, tutti gli altri potranno seguire la diretta sul sito di Repubblica *editoriale del direttore del quotidiano La Repubblica
Informazione per i lettori Il 25 novembre al teatro Brancaccio di Roma in via Merulana 244,(ingresso libero, ore 10,30), una mattinata di incontri con Mario Calabresi, Ezio Mauro, Lucia Annunziata, Massimo Giannini, Marco Damilano. Con i contributi video di Roberto Saviano e Vittorio Zucconi Aprirà la giornata il direttore di Repubblica Mario Calabresi, che racconterà la tentazione del potere globale, dall’Italia agli Stati Uniti, passando per l’Ungheria e la Turchia, di piegare i social e la tecnologia al servizio della disintermediazione e della fascinazione, per screditare il controllo della stampa libera. Per i giornalisti e i lettori potrebbe risultare utile un pratico “manuale di sopravvivenza
nell’era del dileggio”: è quanto proverà a fornire Lucia Annunziata, direttore di HuffPost Italia. Gli epigoni stranieri del sovranismo gialloverde saranno raccontati da Marco Ansaldo, che dialogherà con il giornalista turco e attivista per la libertà di stampa, Yavuz Baydar, e da Vittorio Zucconi, che in un video commenterà le sortite di Donald Trump contro gli organi di informazione. Dietro gli attacchi alla stampa, da Roma a Washington, si nasconde un più generale attacco alla liberaldemocrazia i cui valori, come spiegherà Ezio Mauro, sono in crisi in tutto l’Occidente. È un percorso che parte da lontanto: non solo geograficamente (sarà Roberto Saviano a raccontare in un video la vita sotto minaccia di blogger e giornalisti sudamericani). Ma anche dal punto di vista temporale: chi ricorda le aggressioni di Berlusconi e le battaglie di Repubblica contro i bavagli progettati dai governi di centrodestra negli anni Duemila? Saranno Massimo Giannini e Marco Damilano a rinfrescarci la memoria. Sarà quindi la volta del dialogo tra Sebastiano Messina e Luca Bottura, che si concentreranno in particolare sulla strategia del M5S di delegittimazione della stampa. Massimo Russo, con Sara Bertuccioli e Marianna Bruschi, descriveranno il lavoro della redazione sulla frontiera dei social. Mario Calabresi tornerà sul palco con Federica Angeli e Conchita Sannino, croniste che su Repubblica seguono le zone calde di mafia capitale e della camorra e Paolo Berizzi, che descrive il fenomeno dell’estrema destra neofascista in Italia. Infine Michela Murgia racconterà in un video le parole che il potere usa per chiudere la bocca al dissenso. Gli interventi sul palco sono intervallati dai contributi dei ragazzi del progetto Repubblica@Scuola, che in questi giorni sono stati chiamati a discutere le notizie pubblicate sulla prima pagina del giornale. L’appuntamento è a Roma al Teatro Brancaccio, in via Merulana 244. Ci sarà anche il CORRIERE DEL GIORNO Ecco la diretta live:
In difesa della libertà di stampa ROMA – Nel mondo cresce l’insofferenza dei governi verso il giornalismo. Per capire come stanno cercando di sfuggire alle domande e mettere nell’angolo chi le fa, Repubblica organizza l’incontro “Liberateci dalla stampa, la tentazione del nuovo potere globale“: una domenica mattina con giornalisti, scrittori, ospiti internazionali e personalità della cultura per parlare di libertà di stampa delle tattiche dei nuovi potenti contro l’informazione. Quali rischi? Come difendersi? Cosa diventano i ruoli di giornalista e di lettore/cittadino nell’era dello sprezzo e della disinformazione elevati a sistema di potere? L’appuntamento è il 25 novembre alle 10,30 al teatro Brancaccio di Roma. Aprirà la giornata il direttore di Repubblica Mario Calabresi, che racconterà la tentazione del potere globale, dall’Italia agli Stati Uniti, passando per l’Ungheria e la Turchia, di piegare i social e la tecnologia al servizio della disintermediazione e della fascinazione, per screditare il controllo della stampa libera. Per i giornalisti e i lettori potrebbe risultare utile un pratico “manuale di sopravvivenza nell’era del dileggio“: è quanto proverà a fornire Lucia Annunziata, direttore di HuffPost Italia. Gli epigoni stranieri del sovranismo gialloverde saranno raccontati da Marco Ansaldo, che dialogherà con il giornalista turco e attivista per la libertà di stampa, Yavuz Baydar, e da Vittorio Zucconi, che in un video commenterà le sortite di Donald Trump contro gli organi di informazione.
Dietro gli attacchi alla stampa, da Roma a Washington, si nasconde un più generale attacco alla liberaldemocrazia i cui valori, come spiegherà Ezio Mauro, sono in crisi in tutto l’Occidente. È un percorso che parte da lontano: non solo geograficamente (sarà Roberto Saviano a raccontare in un video la vita sotto minaccia di blogger e giornalisti sudamericani). Ma anche dal punto di vista temporale: chi ricorda le aggressioni di Berlusconi e le battaglie di Repubblica contro i bavagli progettati dai governi di centrodestra negli anni Duemila? Saranno Massimo Giannini e Marco Damilano a rinfrescarci la memoria. Sarà quindi la volta del dialogo tra Sebastiano Messina e Luca Bottura, che si concentreranno in particolare sulla strategia del M5S di delegittimazione della stampa. Massimo Russo, con Sara Bertuccioli e Marianna Bruschi, descriveranno il lavoro della redazione sulla frontiera dei social. Mario Calabresi tornerà sul palco con Federica Angeli e Conchita Sannino, croniste che su Repubblica seguono le zone calde di mafia capitale e della camorra. Infine Michela Murgia racconterà in un video le parole che il potere usa per chiudere la bocca al dissenso. Gli interventi sul palco saranno intervallati dai contributi dei ragazzi del progetto Repubblica@Scuola, che in questi giorni sono stati chiamati a discutere le notizie pubblicate sulla prima pagina del giornale. L’appuntamento è a Roma in via Merulana 244. L’ingresso è libero e l’evento sarà trasmesso in streaming sul sito di Repubblica ed anche dal CORRIERE DEL GIORNO
Wind Tre porta a Brindisi la fibra FTTH fino a 1 Gigabit Jeffrey Hedberg ROMA – Wind Tre, azienda guidata da Jeffrey Hedberg, è il primo operatore di telecomunicazioni a raggiungere le aziende e le abitazioni dei cittadini di Brindisi, importante polo industriale e hub portuale dell’Adriatico, con la fibra fino a 1 Gigabit di Open Fiber, attraverso la tecnologia Fiber-To-The-Home (FTTH). I servizi in fibra di Wind Tre e Open Fiber, già disponibili in diverse località italiane, arrivano quindi anche nella città salentina, con un’infrastruttura che garantisce il massimo delle performance in navigazione e supporta un’elevata velocità di connessione, fino a 1 Gigabit al secondo. La linea ultraveloce di Wind Tre è disponibile con soluzioni convergenti che prevedono una linea fissa in fibra FTTH e molti Giga da usare in mobilità: 100 Giga per gli smartphone di tutta la famiglia, inclusi nell’offerta “Fibra 1000” a brand Wind, e Giga illimitati da smartphone, con l’offerta “Super Fibra” a marchio 3. L’iniziativa è supportata da una campagna di comunicazione sui social network e da affissioni locali, con materiale dedicato riservato ai negozi Wind e ai 3 Store di Brindisi.
Il Tar respinge lo stop richiesto da Tim: avanti con la libertà di modem di Federica Gagliardi E’ fallito il tentativo di TIM di bloccare questa novità. Il Tar del Lazio, a cui l’operatore telefonico si era rivolto con un proprio ricorso , ha respinto la richiesta di sospensiva della delibera AGCOM, che istituisce questa ritrovata libertà. Il Tar non ha accordato la sospensiva richiesta d’urgenza daTIM per la complessità delle questioni sottoposte all’esame del Collegio che “non ha consentito di poter apprezzare l’evidenza del ‘fumus’ senza gli adeguati approfondimenti istruttori e valutativi da rimettere, opportunamente, alla fase di merito“. I giudici amministrativi hanno ritenuto che “gli importi, ad avviso della società ricorrente, assai elevati (e quantificati in circa euro 350 milioni) che Tim, per effetto dell’applicazione della delibera in oggetto, perderebbe per il mancato incasso dei corrispettivi residui delle rate di vendita (o noleggio) dei modem forniti all’utenza, oltre a non essere stati dimostrati, allo stato, in modo evidente e ad essere, recuperabili in caso di esito giudiziale favorevole, debbono essere comunque rapportati al patrimonio di un soggetto imprenditoriale come Tim (19,8 miliardi di ricavi nel 2017)“.
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