Murder Omicidi a Natale - Antonella Polenta - Anteprima - Enzo Delfino Editore

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Antonella Polenta

   Murder
Omicidi a Natale
        Anteprima

   Enzo Delfino Editore
Prima edizione: dicembre 2012
     ISBN 978-88-95758-13-8
      © Enzo Delfino Editore
  Via Bonghi, 32/A 00184 Roma
Tel. 0697600408 Fax 0697257966
 http://www.enzodelfinoeditore.it
Al mio amato papà

                 Tracce di sangue in Lapponia

                                                       Si crede facilmente in ciò
                                                      in cui si spera vivamente.
                                                                         Terenzio

Finalmente era arrivato.
Era dal 1° dicembre che Hellin, una deliziosa bimba di quattro anni,
riccioli biondi e guance paffute, e sua sorella Tanja, di sei anni e mezzo,
capelli lisci e lunghi e occhi di un azzurro intenso, scoprivano, giorno
dopo giorno, le finestrelle del calendario dell’Avvento. Quello era stato il
primo anno in cui non avevano bisticciato, la madre Joanna finalmente
aveva capito che doveva acquistare due calendari distinti.
Già a soli due anni Hellin con i suoi capricci non permetteva alla sorella,
quando toccava il suo turno, di strappare quel pezzetto di carta colorato
che celava un disegno augurale, la foto di un dolcetto o una
simpatica scritta. Inoltre non sapendo ancora contare tirava via le caselle
a caso, facendo indignare Tanja che invece voleva procedere regolarmente
fino al giorno di Natale.
A dire il vero, nel momento in cui li avevano ricevuti, avevano protestato.
A entrambe piaceva quello con lo sfondo color erba, le campane
dispiegate a festa e le slitte trainate da quattro renne ridanciane, con le
corna ramificate e grandi occhi da cerbiatto. Joanna riuscì per un soffio a
evitare un battibecco; in ogni caso, forte dell’esperienza, per l’anno a venire
avrebbe acquistato due calendari uguali.
Joanna guardò l’albero e provò compiacimento. Le era venuto veramente
bene. Ogni anno era soddisfatta della propria opera, ma questa
volta le sembrava più sontuoso e le luci più scintillanti. L’unico neo erano
i pochi regali che circondavano la base.
Era seriamente preoccupata. In genere Mauri aveva sempre fatto le
consegne il giorno della Vigilia, anche a tarda ora, ma era sempre arrivato.
Più volte l’aveva chiamato al cellulare. Certo, avrebbe potuto provare
anche a casa, ma non voleva approfittarne: di sicuro Ilona le avrebbe risposto
con distacco. Fra loro non c’era mai stata una particolare affinità,
erano troppo diverse per trovarsi simpatiche. Si tolleravano quel tanto
necessario allo scambio dei saluti e di frasi di circostanza quando
s’incontravano; il che, per loro fortuna, avveniva di rado. Negli ultimi tempi,
poi, i rapporti si erano inaspriti. Joanna aveva lasciato Gabriel, e Mauri, da
amico della coppia qual era sempre stato, si era trasformato in una sorta
di nume tutelare per Joanna: le stava accanto e, nei momenti di necessità,
si prodigava in piccoli lavoretti manutentivi in casa e in garage.
Joanna l’aveva conosciuto al tempo in cui si era fidanzata con Gabriel
e le era rimasto subito simpatico. Pur non essendo proprio il suo tipo, a
lei piacevano gli uomini sportivi, atletici, occhi chiari, capelli biondi o tutt’al
più castani, lo trovava gradevole d’aspetto e cordiale.
Doveva aver avuto un contrattempo, oppure le richieste erano diventate
più numerose. Mauri gestiva un grande negozio di giocattoli, in più
vendeva articoli per la casa. Da quando, travestito da Babbo Natale,
consegnava a domicilio i regali per bambini, la voce si era sparsa a tal punto
che sempre più genitori si rivolgevano a lui per stupire i propri figli. Alla
Vigilia chiudeva sempre un po’ più tardi del solito, per permettere ai ritardatari
di fare gli ultimi acquisti, nel retrobottega indossava il vestito di
panno rosso che teneva ripiegato nel cellophan, metteva barba e baffi finti,
la lunga parrucca bianca e il berretto poi, con l’aiuto di Jorge, caricava il
pick up preso in affitto per l’occorrenza e iniziava il suo giro. Da Joanna
passava alla fine, così da trattenersi un po’ con lei. Joanna gli preparava
una tazza di cioccolato e dei dolcetti, oppure gli offriva una buona birra.
La sera prima, dopo aver mandato a letto le bimbe che avevano recalcitrato
non poco, si era fatta un bel bagno caldo, indossato un vestito attillato
rosso di maglia, infilato gli stivali in cuoio, poi si era seduta sul divano di
fronte al camino scoppiettante. Non erano tante le occasioni in cui poteva
rilassarsi con quelle due pesti che la subissavano di richieste, in più c’era il
Natale che metteva a dura prova chi poteva contare soltanto sulle sue forze.
La casa da pulire da cima a fondo e il pranzo di Natale, ricco e succulento.
Aveva già preparato una teglia di aringhe con patate e cipolle, la torta di
carote da mettere in forno e avviato a cottura lo joulukinkku, il cosciotto di
prosciutto che andava cucinato lentamente e a fuoco basso.
Per rispettare la tradizione della vigilia a colazione aveva servito la
pappa con il riso, cui aveva aggiunto un velo di zucchero e una spolverata
di cannella, di cui le bambine andavano ghiotte. La porzione avanzata
l’avrebbe offerta a Mauri, che sicuramente avrebbe trovato la mandorla
nascosta al suo interno. Quella mandorla era una sorta di portafortuna.
In grembo il voluminoso libro di Stieg Larsson, Uomini che odiano le
donne. Da quando era morto, Larsson era divenuto un caso letterario in
tutta Europa, forse lei era una delle poche a non averlo ancora letto. Ogni
tanto alzava lo sguardo per sbirciare l’orologio a pendolo. Aveva letto sì e
no tre pagine quando, sopraffatta dalla stanchezza, si era appisolata.
Un brivido di freddo la ridestò, il fuoco languiva sotto la cenere. Si
sgranchì le gambe intorpidite e riattivò la circolazione delle mani, aprendo
e chiudendo i palmi. Guardò l’ora e si accorse che ormai il Natale era
arrivato, la mezzanotte era passata da 45 minuti. Afferrò il cellulare per
controllare che non ci fossero messaggi o chiamate perse, ma trovò soltanto
un SMS di auguri di Janette. Con grande delusione decise che era tempo
di andare a letto.
Prima di salire guardò fuori, il cielo rossastro era carico di neve e del
vialetto non s’intravedeva più il lastricato. Quel tempo rendeva felici le
bambine: con quella soffice coltre sarebbe stato divertente giocare a palle
di neve. Probabilmente Mauri sarebbe passato nelle prime ore del mattino,
pensò, ma non riusciva a non sentirsi inquieta. Non era da lui non avvisare.
Che si fosse trattenuto a casa di qualche nuova cliente, scordandosi
di lei, non le pareva verosimile. Da circa due anni le faceva il filo e, se lei
non fosse stata così recalcitrante per i suoi sensi di colpa, forse un po’
esagerati, già si sarebbero messi insieme.
Mauri era ancora sposato e non voleva essere lei la causa della separazione.
C’erano tre figli di mezzo e una moglie antipatica ma ancora innamorata,
e poi Gabriel era il suo migliore amico. Joanna si era separata da lui tre anni
prima: troppi i litigi e le incomprensioni, i loro caratteri erano troppo diversi.
Questo lo sapevano già quando si erano conosciuti ma, come spesso
avviene, l’attrazione immediata per il contrario supera le considerazioni
sul lungo periodo. Adesso si frequentavano di tanto in tanto, per consentire
alle bambine di passare i giorni di festa con entrambi i genitori e così, anche
per il pranzo di Natale, era stato invitato.
Joanna ripensò al giorno in cui Mauri l’aveva baciata. Era stata una serata
speciale: aveva da poco sfornato la pizza e le bambine erano gioiose,
come spesso accadeva quando la madre si cimentava nei manicaretti della
cucina italiana. Mauri era passato per vedere se avevano bisogno di una
mano ed Hellin, con la quale lui si fermava spesso a giocare, aveva chiesto
alla madre se poteva restare a cena. Joanna si vide costretta ad accettare,
lui avvertì subito Ilona che sarebbe rientrato più tardi. Avevano riso
e scherzato e forse bevuto un bicchiere di troppo. Quando le bambine
erano andate a letto, si erano fumati una sigaretta all’aperto sulla veranda
e come per magia nella notte serena aveva cominciato a lampeggiare.
Quei lampi, effetto dell’aurora boreale, non erano mai stati così intensi
e colorati. Strie azzurre che si sfrangiavano alle estremità come nappi di
una sciarpa, sibili e lievi fruscii si sparsero nel cielo e presero a ondeggiare
per trasformarsi di lì a poco in bande tra il verde elettrico, il rosso fuoco
e il giallo, come oro disciolto. Provarono un’emozione tale da non riuscire
più a contenere il loro sentimento di gioia, meraviglia e smarrimento.
In quell’istante i loro cuori non battevano più singolarmente, ma all’unisono,
diventando un unico grumo di sangue e fibre muscolari. Lui le prese
la mano: era gelida. Lei se la lasciò riscaldare. I lori corpi si protesero per
allacciarsi in un abbraccio. Così, stretti stretti, le loro labbra si accostarono
per un appagante, interminabile bacio.
«Alcuni Inuit credono che guardare l’aurora boreale porti male. Sembra
che in passato facessero scongiuri sollevando in aria i coltelli e rivolgendo
verso il cielo getti d’urina» fu la prima cosa che Mauri riuscì a dire,
per superare l’imbarazzo.
«Credi a queste superstizioni?» gli aveva sorriso Joanna. «Che io sappia
il revontulet, secondo la leggenda, è dato dai fiocchi di neve sollevati
in aria dalla coda di una volpe che corre sulle distese innevate della
Lapponia».
«Ad ogni modo, che serata sorprendente» concluse Mauri, felice.
La prima ad alzarsi fu Hellin, che sgambettando veniva giù di corsa
dalla scala. In genere era una dormigliona ma il giorno di Natale sia lei che
la sorella, come se possedessero una sveglia interna, si precipitavano nella
sala di prima mattina, per raggiungere i regali.
Joanna controllò l’ora. Erano le otto, troppo presto per il risveglio delle
bambine e troppo tardi per Mauri. Provò a richiamarlo al cellulare, suonava
sempre libero, gli inviò un messaggio, poi decise che avrebbe aspettato
un altro po’. Alla fine l’avrebbe chiamato a casa.
Provò a mettere il naso fuori. Aveva nevicato così tanto da ricoprire il
vialetto d’accesso e il freddo intenso mordeva le carni come un cane
rabbioso. Era inquieta e non sapeva cosa fare.
«Mamma, mamma» gridò Hellin «vieni a vedere».
Joanna già conosceva la ragione di quel grido angosciato.
«Perché quest’anno ci sono così pochi regali? Babbo Natale non è venuto!
Siamo state cattive, mamma?».
Per rassicurarla Joanna le rispose che Babbo Natale era in ritardo, ma
prima o poi sarebbe arrivato.
Nel frattempo le raggiunse anche Tanja, che ebbe la stessa delusione
della sorella.
«Ma questi regali neanche sono per noi!» disse, leggendo i biglietti d’auguri.
«Bambine» le incitò la madre per distrarle «perché non vi coprite bene
e nell’attesa non fate un bel pupazzo di neve? Ho proprio una bella carota
e dei grossi bottoni rossi. Vi potrei dare anche un berretto di lana!».
Pur controvoglia le bambine accettarono, a patto che lei le aiutasse a
vestirsi. Non che non lo sapessero fare, ma impiegavano tanto di quel
tempo a cercare indumenti, calze e vestiti che finivano per dimenticare
sempre qualcosa.
Dopo averle coperte ben bene con calde sciarpe di lana bouclé e aver
detto loro di raccogliere la neve poco oltre la veranda, per non farsi male,
Joanna volle fare un ultimo tentativo, chiamando Mauri al cellulare. Se
anche questa volta non avesse risposto, facendosi coraggio l’avrebbe
chiamato sul serio a casa, senza più tergiversare, poiché cominciava a
essere seriamente preoccupata.
Era ancora con l’apparecchio incollato all’orecchio, quando la piccola
Hellin gridò: «Mamma, mamma, c’è un telefono che squilla qua fuori».
Joanna, ancora col telefono in mano, si sporse dalla porta d’ingresso
e guardò incerta la bambina.
«Sì, mamma, è proprio così» reiterò Tanja.
«Là» indicarono le bambine in direzione dell’abete.
Pervasa da un fremito di paura, Joanna provò a richiamare il numero
che sul display compariva per ultimo. Il trillo la fece sobbalzare. Gridando
alle figlie di restare indietro, inforcò la pala e si fece strada nella coltre di
neve, affondando le gambe fino al ginocchio. Più avanti, un’innaturale
montagnola nevosa da cui spuntava una piccola ruota di bicicletta e
l’estremità di un pacco di lucente carta natalizia frenò il suo incedere
incespicante. Le bambine, che come accadeva il più delle volte avevano
disubbidito, le si fecero dappresso.
«Eccoli i regali! Forse erano troppo pesanti, Babbo Natale non ce l’ha
fatta a portarli dentro» esclamarono contente.
La madre si affrettò a estrarre la bici. «Ce la fate a portarla fino alla veranda?
Però fate attenzione!». Così per un po’ non le avrebbe avute attorno.
Con la pala liberò anche l’altro dono. Doveva trattarsi del grande orsacchiotto
di peluche che Hellin aveva chiesto, assieme alla bicicletta, scrivendo
direttamente a Joulupukki. Quando intravide un lembo di stoffa
rossa, gettò via l’arnese e continuò a scavare con le mani. Il suo cuore
andava all’impazzata e il gelo le si conficcava nelle dita come tanti chiodi
acuminati. Forse avrebbe dovuto infilarsi almeno i guanti, ma era troppo
agitata per agire serenamente e non voleva perdere tempo. Continuò a
scavare ancora, ma più andava a fondo e più la neve s’induriva e i cristalli
di ghiaccio le graffiavano i polpastrelli. Quando le spine di un rovo le si
conficcarono nel palmo urlò di un dolore lancinante; le avevano uncinato
la carne tanto in profondità da procurarle una ferita. Con la mano destra
quasi assiderata afferrò l’orsacchiotto e lo trascinò dentro casa.
«Anche questo regalo è per Hellin! E i miei dove sono?» chiese Tanja
rammaricata.
«Vedrai che tra non molto arriveranno. Intanto fammi un favore, cerca
il numero di papà sulla rubrica e digli di venire al più presto, ho bisogno
del suo aiuto. Poi chiama la zia Janette e dille di anticipare».
«È successo qualcosa mamma? Perché hai la mano ferita?».
Joanna si avvicinò alle bambine e le strinse a sé, rassicurandole. Dalla
porta interna raggiunse il garage, dove prese un paio di spessi guanti da
lavoro, un piccolo rastrello e una vanghetta. Ripensò a quanto aveva
protestato con Gabriel per l’apertura di quella porta interna: ora, con la neve
che bloccava l’accesso dal viale, ne comprese l’utilità. Prima di uscire, si
calò in testa un caldo berretto, avvoltolò il collo con una spessa sciarpa
color crema e accese il televisore. Così le bambine avrebbero potuto seguire
il programma di Natale trasmesso da Turku, l’antica capitale finlandese,
dove il sindaco leggeva il rituale discorso sulla pace dal balcone
del municipio.
«Non dovevamo fare un pupazzo di neve?» protestò Hellin.
«Lo farete dopo. Vi farete aiutare dalla zia Janette che è così brava».
«Mamma, non riesco a trovare né papà, né la zia» disse Tanja.
«E tu riprova» rispose la madre, mentre si accingeva a uscire in giardino.
Quando ebbe dissotterrato completamente il panno rosso, lasciò andare
un profondo respiro. Si trattava di un sacco di frutta candita e dolciumi
da appendere all’albero di Natale. Mauri era sempre stato generoso
con le bambine. Anche quella volta, benché sapesse che la faceva
arrabbiare, non si sarebbe presentato a mani vuote. Joanna si domandò dove
fosse finito. Con lo sguardo abbracciò il giardino. Un’altra collinetta poco
distante catturò la sua attenzione; a ben guardare, fra il candore della neve,
si scorgeva un tacco di uno stivale.
Si piegò in due, gli occhi pieni di paura e un grido soffocato in mezzo
al petto.
Facendo attenzione, con la vanga rimosse la neve tutt’attorno. Liberò
le gambe, fredde e rigide come ciocchi, poi si concentrò sul tronco ricoperto
da uno spesso strato di neve. Malgrado fosse sfinita, armeggiò la
pala con destrezza ed energia finché uno stridio metallico e un incaglio
non la convinsero a desistere. Non capiva bene di che natura fosse
quell’intralcio, e aveva paura di danneggiare il corpo.
Avrebbe voluto qualcuno al suo fianco. Perché al telefono non risponde
nessuno? Pensò disperata. Forse Tanja sbagliava a fare il numero.
Avrebbe dovuto farlo lei, ma non riusciva a scollarsi di lì. Come se la sua
foga potesse cambiare qualcosa. Come se l’accelerare le ricerche potesse
restituirle per intero, sano e salvo, il suo Mauri. Perché in fondo era ormai
certa che fosse lui, anche se il cuore si affrettava a negare ogni evidenza.
In quel frangente avrebbe gradito la vicinanza del padre, lui avrebbe
saputo cosa fare e come farlo, lui sapeva sempre tutto, destreggiandosi
nelle situazioni più difficili. L’unico evento della sua vita che non era riuscito
a fronteggiare, che non gli aveva offerto possibilità di scelta né di
reazione, e neppure il tempo sufficiente per lottare, era stato l’infarto che
l’aveva stroncato mentre se ne stava in poltrona davanti alla Tv. Mikko, il
fedele Husky che aveva condiviso con lui dieci anni della sua vita canina,
con gli occhi buoni e inquietanti, il manto color sabbia e il tartufo schiacciato,
aveva fatto di tutto per aiutarlo. Con i suoi strazianti guaiti aveva richiamato
l’attenzione del vicinato. Erano accorsi in tanti, ma la porta era
chiusa dall’interno col chiavistello; fu inutile anche l’intervento dei vigili
del fuoco, giunti dopo cinque minuti dalla chiamata. Pochi mesi dopo,
malgrado il miglior amico del suo ex padrone l’avesse accolto in casa,
preso da una sindrome depressiva Mikko si lasciò morire poco a poco.
Joanna si mise in ginocchio e continuò a scavare servendosi della vanghetta
e del rastrello. La parte finale di un dardo occhieggiò sotto uno
sparuto riflesso di sole. Aveva un fusto di legno tornito e due alette di
ferro all’estremità. Un brivido diffuso le aggricciò la pelle e uno spasmo
di raccapriccio le contrasse le viscere. Joanna non riusciva a credere a
quello che aveva davanti: qualcuno aveva ucciso Mauri con un sistema
così remoto, medievale. Che fosse avvenuto per sbaglio, stentava a crederlo.
Con entrambe le mani provò a sfilare la freccia, ma non riusciva a
tirarla via come se si fosse fusa con la carne. Il corpo ebbe un lieve sobbalzo,
i lunghi capelli bianchi si aprirono di lato e la barba somigliante a
candida stoppia si scostò dal viso. Mossa da un filo di speranza, si sfilò un
guanto e pigiò due dita sulla vena giugulare, come aveva visto fare in tanti
thriller in televisione. Poi, non reggendo più la tensione, si abbandonò a
un pianto a dirotto.
«Mammina, mammina, cosa è successo? Hanno ucciso Babbo Natale!»
esclamarono le bambine in preda alla disperazione.
Joanna sussultò. «Vi avevo detto di restare dentro» le redarguì con
tono alterato, mentre con la manica del piumino cercava di asciugarsi il
volto inondato di lacrime.

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