Terremoto, distruzione tra territori e comunità: la ricerca militante di Emidio di Treviri
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Terremoto, distruzione tra territori e comunità: la ricerca militante di Emidio di Treviri Il gruppo di ricerca “Emidio di Treviri” organizza la terza edizione della #scuola3 dal 18 al 20 Ottobre a Fornara di Acquasanta (AP), un momento di autoformazione, formazione, divulgazione intorno ai temi del terremoto, delle comunità colpite e della gestione post-sisma. Le immagini che corredano l’intervista provengono da una selezione dalla serie Cicatrici della fotografa Valentina Sommariva. Cicatrici è un’installazione in cui immagini fotografiche e scultura dialogano e interagiscono. Le ferite del paesaggio appaiono ancora oggi evidenti, enormi cumuli di macerie ne sono la testimonianza.
Cicatrici fa parte di una mostra presso l’Istituto Italiano di Cultura a Berlino, Sequenza Sismica che sarà visitabile dal 24 ottobre fino al 19 dicembre con opere di Alicja Dobrucka, Hallgerður Hallgrímsdóttir, Naoki Ishikawa, Tomoko Kikcuhi, Eleonora Quadri, Olivier Richon, Valentina Sommariva. Il progetto comprende anche un ciclo di conferenze. Cominciamo dall’inizio, chi siete? Il gruppo di ricerca “Emidio di Treviri” è un progetto di inchiesta sul post-sisma del Centro Italia. Nasce nel Dicembre 2016 da una Call for Research lanciata online da reti accademiche e siti di movimento come le Brigate di Solidarietà Attiva, un’associazione che interviene in contesti d’emergenza promuovendo solidarietà dal basso e autogestione. Il gruppo di ricerca “Emidio di Treviri” è un progetto di inchiesta sul post-sisma del Centro Italia Decine di dottorandi, ricercatori e professori universitari hanno aderito all’appello dando vita a una significativa esperienza di ricerca collettiva e autogestita. Scienziati sociali, architetti, psicologi, urbanisti, antropologi, ingegneri, giuslavoristi etc. si sono impegnati a coordinarsi in maniera orizzontale per costruire un’inchiesta sociale critica sul post-sisma dei Sibillini che ha colpito quattro regioni durante tre momenti intensi (Agosto 2016; Ottobre 2016; Gennaio 2017). Questa esperienza si è tradotta poi in un libro “Sul fronte del Sisma” pubblicato da Deriveapprodi nel maggio 2018.
Cosa siete? Per adesso un gruppo indipendente ancora impegnato nelle attività che abbiamo messo in piedi in questi tre anni nel cratere terremotato. Perché in un momento così difficile avete pensato ad una chiamata alle armi per una ricerca? Ci sono state le scosse di ottobre e poi ancora le scosse di gennaio. C’era ovviamente la necessità degli aiuti porta a porta in un momento di emergenza, ma per noi non era una dimensione sufficiente per comprendere la complessità della faccenda. Avevamo bisogno di capire mentre le cose stavano succedendo. Viene quindi fatta questa chiamata. Chi l’ha fatta materialmente? Io mi ero occupato di terremoti e ricostruzione all’università prima, durante il dottorato, e in Cile. Avevo deciso di smettere ma da li a poco c’è stato il terremoto proprio nei luoghi dove erano radicati tanti affetti. Insieme ad altri pochi impegnati nei primi soccorsi abbiamo deciso di lanciare questa proposta: non ci aspettavamo questo tipo di risposta, ma è stato anche rincuorante in quei giorni A quale terremoto ti riferisci? In ordine cronologico c’è stato prima il terremoto di Amatrice: molto impressionante ma da un punto di vista “tecnico” c’era poco da aggiungere . C’erano trecento morti da piangere in un paesino di tremila abitanti. Le scosse di ottobre e di gennaio invece hanno complicat o enormemente la situazione: le persone interessate dagli eventi sono diventate 50.000, l’area di riferimento molto estesa. A dicembre avevamo già lanciato la call. Attraverso quali canali? A partire da alcune pagine Facebook, poi ripresa dalle Brigate di Solidarietà e da altri soggetti di movimento, poi la notizia è circolata nei canali accademici, tra gli amici etc. Chi ha risposto? Abbiamo ricevuto un centinaio di domande di partecipazione; tra i tanti hanno risposto persone già all’interno dell’accademia anche molto strutturate che hanno deciso di spendersi gratuitamente, altre che venivano da altre esperienze . In Italia non è comune pensare che studiare qualcosa sia una pratica militante, tanto quanto fare un concerto Abbiamo quindi fatto una scrematura anche in base alle disponibilità e abbiamo individuato dei temi di ricerca che fossero in relazione alle urgenze del momento, alle necessità e alle competenze di coloro che si erano proposti. L’obiettivo era costruire un quadro il più esaustivo possibile su quello che stava succedendo attraverso una ricerca unitaria. Come è stato coordinare la ricerca? Difficile sicuramente, al pari di tutto il resto è un lavoro non pagato su spinta volontaristica che
richiede però professionalità molto alte. Anche perché il libro, che ne raccoglie i frutti, non è un collettaneo ma il frutto di condivisione di intenti e di obiettivi. Come vi siete organizzati? Ci siamo divisi in gruppi ed ogni gruppo aveva un referente; i referenti hanno seguito il disegno di ricerca e ogni gruppo cercava di raggiungere l’esaustività rispetto all’oggetto che stava indagando. Abbiamo sempre tenuto tutti i materiali raccolti in condivisione così che ad esempio una stessa intervista, una foto, un dato poteva essere utilizzato da più soggetti. Avete provato ad ottenere dei fondi e non ci siete riusciti o avete deciso di autofinanziare il progetto? Ovviamente nessuno ha messo dei soldi spontaneamente. Allo stesso tempo non era possibile accedere ai finanziamenti accademici in primis per questioni di tempo, i tempi dei bandi sono molto lunghi, in secondo luogo perchè soldi per esperienze così nel panorama nazionale si contano al lumicino. In ogni caso è indicativo che nessuna università del cratere abbia presentato un Prin o altri bandi di ricerca su quei temi.
L’aspetto della militanza è stato importante? In Italia non è comune pensare che studiare qualcosa sia una pratica militante, tanto quanto fare un concerto, una manifestazione etc. Noi crediamo che ognuno milita con i mezzi che ha, e se ha voglia, con la ricerca. Volevamo fornire uno strumento analitico per permettere alle persone di capire il perchè la loro rabbia avesse una ragione In realtà è l’unica pubblicazione scientifica uscita su questo terremoto nonostante sia il secondo terremoto nella storia Italiana in termini di sfollati, ampiezza, impatto, investimenti economici , etc. Nel cratere vivono circa un milione di persone e per andare da una parte all’altra tagliandolo in diagonale ci vogliono 12 ore di macchina, parliamo di una regione grande quasi quanto il Lussemburgo. Perché ha avuto meno risonanza degli altri? Eppure le conseguenze da voi raccontate nel libro sono drammatiche… La subordinazione dei territori delle aree interne in termini di capitale simbolico e accesso al dibattito è evidente. Del terremoto s e ne è parlato molto poco, se non in termini scandalistici quando ci sono stati i morti, e ciò è molto rappresentativo . Le prime notizie sono state “avvertita a Roma scossa di terremoto”. In un primo momento è comprensibile, poi c’è del dolo. Perché questo? Perché sono territori periferici su tutti i livelli. Portano poca ricchezza, pochi voti, sono poco raggiungibili, sono poco abitati, il danno è meno visibile anche rispetto al terremoto dell’Aquila. Lì c’era un centro storico che poi è crollato. Qui non si sa se il paesino era già vuoto prima del terremoto o se si è svuotato con il terremoto. I processi di abbandono, invecchiamento demografico erano già in atto. Il terremoto e gli interventi post sisma li hanno drammaticamente accelerati. Questa è la cosa che mi ha colpita di più del libro, il terremoto diventa un’accelerazione di tendenze negative già in atto. Una diversa gestione del post-sisma avrebbe potuto invertire la rotta? Questo fenomeno di accelerazione di tendenze lente già in atto è comune ad altri fenomeni ed è stato per questo che abbiamo sentito l’esigenza di iniziare a studiare i fatti già mentre succedevano, perché le cose cambiano molto in fretta e per noi era fondamentale capire per sperare di invertire la rotta. Il tutto è stato complicato dal fatto che la popolazione era estremamente sparpagliata soprattutto a causa dei meccanismi di displacement che sono stati messi in atto dalla macchina emergenziale. Ad oggi ci sono ancora persone sfollate, persone che vivono in roulotte e persone che
vivono ad esempio in Spagna e ti dicono che non torneranno mai Di fatto ognuno poteva scegliere una propria traiettoria e, ad esempio, avere diritto ai sussidi sia che fosse al mare, in una baracca o all’estero. Intere comunità, già precarie, si sono disgregate, chi è andato in albergo, chi dai parenti, chi nelle casette. È mancata la volontà di intervenire per non deteriorare ulteriormente il tessuto sociale, l’economia locale, la composizione demografica. Per non parlare dei danni in termini di salute, di relazione, sulle persone terremotate, elementi analizzati nel dettaglio nel libro. Noi volevamo fornire uno strumento analitico per permettere alle persone di capire il perchè la loro rabbia avesse una ragione, anche scientifica . Ed è successo, i terremotati hanno frequentemente usato il libro per affermare le ragioni della loro condizione: per poter dire che negli alberghi si sta male o che gli anziani muoiono quando sono lontani da casa, perchè erano cose che Emidio di Treviri aveva messo nero su bianco. Il lavoro che avete fatto potrebbe sembrare utile per affrontare e interpretare altri fenomeni disastrosi che sconvolgono la vita delle persone e le costringono a spostarsi e soprattutto utile per non ripetere gli stessi errori quando si interviene su una comunità già messa a dura prova. Sto giungendo a conclusioni affrettate? Non c’è più sordo di chi non vuole sentire. Infatti la gestione di diversi eventi critici (che siano un terremoto, il crollo di un ponte, l’emergenza idrica che ci aspetta..) si potrebbe avvalere di lenti analitiche capaci già di prevedere moltissime delle conseguenze negative che queste dinamiche comportano. In altre parole il problema non è che mancano gli studi che dimostrano come i disastri non siano uguali per tutti o come i soggetti più vulnerabili siano più esposti al rischio, mancano attori pubblici che a partire da queste deduzioni siano capaci di costruire politiche diverse di gestione dell’emergenza. Il modello parla un linguaggio nato vecchio, sviluppista: il partito del cemento e un’idea di sviluppo anni ‘80 Ma se c’è qualcosa che vogliamo riscattare del lavoro di Emidio di Treviri è proprio la modalità che ci siamo dati, la continua tensione a stare dentro il solco di quelle pratiche che negli anni si sono chiamate ricerca militante, conricerca e inchiesta sociale, e che in modo molto intenso hanno caratterizzato le scienze sociali italiane dagli anni 60. Questa modalità può essere la risposta a un livello di approfondimento mainstream che, tranne per alcune eccezioni, è molto basso, e può fare la differenza in differenti contesti, ad esempio nei quartieri delle città, nelle nuove forme di sfruttamento del lavoro ecc. Ci sembra che negli ultimi tempi i tentativi rivolti in questa direzione siano sempre più numerosi
ph. Valentina Sommariva Dopo il libro siete stati impegnati nel promuoverlo e nel mantenere i rapporti con i territori. A che
punto siete adesso? L’estate del 2018 eravamo di fronte alla possibilità di cominciare un nuovo lavoro di ricerca. Tuttavia non ne eravamo convinti. Non avevamo le forze per continuare con la ricerca pure soprattutto in assenza di risorse economiche e poi ci sembrava che l’urgenza si fosse spostata altrove. Abbiamo deciso di ampliare la strada e intraprendere percorsi di ricerca-azione che si concentrassero sugli interventi territoriali della ricostruzione andando a studiarli, metterli in discussione, ma anche rilanciare con percorsi più pratici e legati a esperienze che nei territori cominciavano a darsi Perché questo cambio di rotta? Ad oggi ci sono ancora persone sfollate, persone che vivono in roulotte e persone che vivono ad esempio in Spagna e ti dicono che non torneranno mai. Altri che non vogliono tornare nelle case con la muffa in paesi comunque spopolati o abitati da soli anziani, persone che magari hanno figli. La popolazione è smembrata, e nel frattempo il ventaglio delle problematiche si era allargato: non riguardava più solo i terremotati ma una visione della vita nelle aree interne. A bbiamo deciso di allargare i fronti. Cerchiamo di tenere il contatto con il territorio e tradurre le cose in un linguaggio che sia comprensibile anche a chi non ha familiarità con bandi, progetti di legge e strategie di sviluppo Ci siamo dati obiettivi più puntuali e pratici, volevamo che la ricerca si convertisse subito in azione anche vista l’assenza di interventi concreti per la popolazione e la direzione delle proposte che nel frattempo calavano dall’alto. Basta guardare i fondi destinati allo sviluppo economico post sisma… A parte la gestione nel merito, è il modello che parla un linguaggio nato vecchio, sviluppista. Il partito del cemento e l’idea che lo sviluppo sia quello degli anni ‘80: turisti, grandi opere, strade. Il centro di ricerca che vogliono finanziare sulle colline di Ascoli Piceno ne è un esempio paradigmatico. Nel migliore dei casi si tratterà di una cattedrale nel deserto. E cosa c’è che non va? È un progetto nato vecchio, che non va a beneficio della popolazione, impiegherà solo ricercatori di altissimo profilo internazionale, slegati dal contesto formativo locale. Costerà 21 milioni di euro e i posti di lavori previsto sono comunque 22 Forse l‘unica persona del luogo che potrà lavorarci sarà il custode e la donna delle pulizie. Una struttura che impatterà paesaggisticamente l’area e che porterà ancora consumo di suolo nel cratere, la regione che nel 2018 si è aggiudicata la maglia nera per cementificazione in Italia. Se vi concentrate su casi concreti estremamente circoscritti dal punto di vista territoriale non rischiate di parlare a troppo poche persone perdendo il valore universale del vostro sforzo? Sicuramente sì. Ma quando ti concentri sul caso concreto, e fai lo sforzo di ricostruire tutto quello che c’è a monte, stai facendo un lavoro utile anche per tutti gli altri fronti. I fondi per lo sviluppo, ad esempio, sono qualcosa che riguarda tutti: l’opposizione a quel centro di ricerca infatti ha dato il “la”
a un percorso che ha messo in discussione il meccanismo del Patto per lo Sviluppo della Regione Marche. Un’opposizione che è partita dal basso, e che ha costretto la Regione Marche a una delibera in cui veniva annullata l’allegato contenente già i progetti pronti a vincere. Da un anno parliamo del diritto all’autoricostruzione per i terremotati, che riguarderà una percentuale piccolissima di popolazione, però per noi è una battaglia fondamentale Queste notizie sono state rilanciate da diversi interlocutori non solo locali. Le cose precipitano sul territorio ma la loro origine è molto lontana e questo riguarda tutti. Cerchiamo in questo di tenere il contatto con il territorio e tradurre le cose in un linguaggio che sia comprensibile anche a chi non ha familiarità con bandi, progetti di legge e strategie di sviluppo. Sono mondi diversi, n oi cerchiamo di avvicinarli perché chi sta sotto sappia quel che succede sopra. Augurandoci che possa reagire Cosa cambia rispetto alla ricerca? In questa fase perdi un pezzo del tuo target , delle persone che ti seguivano. Ma è anche inevitabile visto il trasformarsi di un’esperienza basata comunque sul volontarismo. Ormai da un anno parliamo del diritto all’autoricostruzione per i terremotati, cosa che comunque riguarderà una percentuale piccolissima di popolazione. Però a noi sembra una battaglia fondamentale, che in realtà nasce dal percorso di analisi sull’abitare transitorio, la deriva del cemento, l’equilibrio uomo-ambiente nei territori complessi, etc. Rispetto alla ricerca rinunciamo alla pretesa di esaustività, anche se dovremmo essere bravi noi a far capire perché un elemento micro ha una rilevanza macro. Ad esempio? In questa fase stanno cercando di rilanciare le economie locali mettendo a profitto il territorio. Quei pochi t erritori che hanno un qualche appeal da spendere (perchè conosciuti per la tal ricetta, o per la tal fuoritura) vengono messi a profitto tramite il turismo, quelli che non ce l’hanno vanno incontro al peggio. In che senso? Un territorio che ha una scarsa forza attrattiva rischia nel migliore dei casi di essere dimenticato, altrimenti interventi nocivi sul piano ambientale, sociale, economico. Interventi dall’alto con scarsissima aderenza alle necessità del territorio che nella maggior parte dei casi devono fare i conti con conseguenti danni ambientali, culturali etc. ti parlo di piantagioni allogene, strade, uscite autostradali, infrastrutture superflue etc , , etc.
Riuscite a conciliare le vostre vite di ricercatori con l’azione sul territorio? Con fatica, significa fare avanti e indietro, ma significa anche cambiare la vita delle persone. Sicuramente con la ricerca abbiamo ottenuto più visibilità nei contesti istituzionali. Ora ci troviamo a parlare con le persone e capire insieme perché in un dato luogo costruire un supermercato non è per forza una buona idea. Veniamo alla scuola, come nasce la prima edizione scuola#1? Sin da subito abbiamo voluto creare un momento di confronto, autoformazione, formazione sui temi che stavamo affrontando. Oggi ancora di più mentre scema quasi completamente l’attenzione, gli spazi di manovra si restringono, resta il tentativo di resistere a partire proprio dalla condivisione della conoscenza. Cosa succede quest’anno? Due giorni ricchi di eventi a Fornara, frazione di Acquasanta Terme, provincia di Ascoli Piceno. Il programma prevede momenti dedicati a molte del le traiettorie di studio ed intervento aperte dentro Emidio di Treviri. Per dirne alcune ci sarà la proiezione “Le Terre di Tutti” (doc,ITA 2019) sulle comunanze agrarie fatto da Emidio di Treviri e le Brigate Solidarietà; alla masterclass “Governance dei disastri” con D. Alexander (UCL Institute for Risk and Disaster Reduction – Londra) uno dei massimi esperti sul tema, all’ assemblea pubblica “Perchè infierire? La distruzione ambientale dietro l’alibi del rilancio economico del cratere” alla quale abbiamo invitato tutti i comitati e le associazioni che hanno vertenze ambientali nel cratere per avere un punto critico sulla distruzione ambientale. Vogliamo mettere insieme chi lavora sul territorio per riconoscersi all’interno di un macro progetto che investe tutto l’Appennino. Tra le altre cose lanceremo il premio Massimo Dall’Orso.
Chi era Massimo Dall’Orso? Massimo Dell’Orso, tra le molte cose, collaborava alla gestione del Centro Faunistico del Parco Nazionale dei Sibillini. Massimo era un amante sincero dell’Appennino. Ha deciso di andarsene il primo maggio del 2018, nell’hotel sulla costa abruzzese dove era stato sfollato in attesa di una casetta che non sarebbe mai arrivata. Ha lasciato un grande vuoto nella comunità dei Sibillini, grande come tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno scelto di lasciare queste terre dopo il terremoto. A un anno esatto da quando Massimo se n’è andato viene bandito un premio alla tesi che abbia affrontato il tema del post-sisma dell’Appennino Centrale 2016-2017. Qual è l’obiettivo? Vogliamo raccogliere i lavori scientifici che si sono occupati dell’Appennino Centrale anche per continuare il lavoro fatto con il nostro libro. Gli estratti di tutti i lavori confluiranno in una pubblicazione che cureremo noi e sarà tutto on line sul nostro sito. Sono in tanti a supportarci nel premio perché è possibile mettere a disposizione la conoscenza nei territorio. Chi può iscriversi alla scuola? Tutti, nelle passate edizioni ci sono stati studenti che a vario titolo si erano avvicinati ad Emidio di Treviri, ricercatori, comitati, associazioni, cittadini e anche qualche amministratore. Si paga per partecipare? Si paga solo il vitto e l’alloggio a prezzi popolari e si possono chiedere borse di studio. Per i terremotati e residenti in zone montane la scuola è gratuita. Più che al contributo economico siamo infatti interessati al fatto che più persone possibili possano partecipare a queste giornate. Come finanziate la scuola?
Con il ricavato dei banchetti, con le iscrizioni e qualche donazione che abbiamo ricevuto (per esempio dal movimento punk torinese). Riceviamo molto sostegno anche in termini non economici, ma umani: un forno ci dona il pane, la struttura privata ci viene concessa a prezzi non di mercato etc. Noi rispondiamo cercando di impattare, seppure minimamente, con il territorio. Ad esempio la cucina sarà nelle mani dei sapienti cuochi che hanno perso le attività causa del terremoto. Immagine di copertina: ph. Andrea Fantin
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