PICCOLO GABRIELE - 3A - APRILE 2020 - San Giuseppe Rivoli
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INTERVISTA (1) UN POMERIGGIO DI MORTE E DISTRUZIONE RIVOLI – In questi giorni ho avuto modo di fare un’interessante intervista a mia nonna materna, che in tempi di Guerra non era ancora nata, ma la cui sorella maggiore ha vissuto, quando era ancora una ragazzina, un evento traumatico legato alla II Guerra Mondiale, uno di quegli eventi che non si trovano nei libri di storia ma che hanno sicuramente contribuito, tramandandosi nei ricordi e nei racconti, a crearla ed arricchirla. Di seguito gli eventi. D: Nonna, hai vissuto dal vivo qualche evento della II Guerra Mondiale? R: No, sai io sono nata il 4/6/1946 e la Guerra fortunatamente era già finita, anche se da poco. D: Lo ha vissuto qualche tuo familiare o qualche tuo conoscente? R: Sì purtroppo, mia sorella Caterina, tu l’hai conosciuta ma forse non te la ricordi bene, perchè è morta quando avevi 7 anni mi pare e la vedevi solo una volta l’anno, in estate. …
INTERVISTA (2) D: Cosa le è accaduto e quanti anni aveva quando è successo? R: Un pomeriggio lei era in paese, sai era appena arrivato il circo e tutti i bambini ovviamente erano lì molto incuriositi; avrà avuto circa la tua età e gli svaghi non erano molti a quei tempi: l’arrivo del circo era sicuramente un evento eccezionale e meraviglioso e quel tendone suscitava tanta curiosità, non si poteva non gironzolargli attorno … ma all’improvviso si è scatenato l’inferno … in lontananza si sono sentiti i rumori degli aerei arrivare e poi dal cielo hanno iniziato a piovere bombe. In pochi minuti tutto è stato raso al suolo e ci sono stati molti morti e feriti, anche molti bambini ovviamente, per via del circo, alcuni dei quali giocavano con lei solo qualche minuto prima. In seguito si venne a sapere che proprio il circo era stata la causa di quel disastro, perchè il tendone era di colore rosso e arancione e gli “Alleati”, dall’alto, lo avevano scambiato per chissà cosa di pericoloso e minaccioso, una base militare nemica credo. Tua zia, come tutti, già nel sentire gli aerei aveva iniziato a scappare per cercare un rifugio, ma quando le bombe iniziarono a cadere ci fu il caos: un rumore assordante, grida, gente che scappava per ogni dove, detriti e schegge che venivano sparati nell’aria con violenza … e proprio una di quelle schegge colpì uno degli zoccoli di legno di tua zia (perchè a quell’epoca quelle erano le nostre scarpe) e lo spaccò completamente in due, senza nemmeno sfiorarle il piede, ci pensi? Nemmeno un graffio, era salva! In pochi minuti il centro del paese era completamente distrutto e lei era stata una dei fortunati che erano sopravvissuti a quell’orrore.
INTERVISTA (3) D: E a quell punto cos’ha fatto tua sorella? R: Come puoi immaginare era terrorizzata e disorientata: il primo istinto è stato quello di correre veloce, scalza, verso casa, dove la nonna stava allattando l’altra mia sorella, la zia Maria, al tempo di appena un anno. In seguito la tua bis-nonna mi raccontò che per lo spavento, quel giorno, perse anche il latte. Il nonno e mio fratello maggiore avevano iniziato a preparare le cose per scappare verso le campagne, dove i nonni avevano la vigna. Tutta la mia famiglia si trasferì lì, compresi zii e cugini e non rientrarono alle loro case di paese fino allo sbarco degli americani, per timore che accadesse di nuovo, ma per fortuna quella fu l’unica volta. D: Questo evento ha causato qualche trauma a tua sorella? R: in realtà non per lungo tempo, era ancora una bambina e una volta giunta in campagna con fratelli e cugini pian piano si sentì al sicuro, inoltre non accadde più niente di simile; addirittura ricordo che mi raccontava con entusiasmo il momento in cui gli americani sbarcarono, perchè davano sempre tante tavolette di cioccolata ai bambini ed erano molto affettuosi con loro. D: Quindi, alla fine, a parte quell tragico evento, non aveva un brutto ricordo dell’arrivo degli americani? R: beh credo di no in effetti, forse per lei non era così facile associare il fatto che gli stessi che ora la ricoprivano di cioccolata e attenzioni ed erano lì per liberare l’Italia erano gli stessi che l’avevano quasi uccisa. In fondo al Sud la Guerra non era stata molto percepita. Certo, oltre alla cioccolata avevano portato anche i pidocchi, tant’è che mia madre dovette mettere tutti i vestiti e le coperte a bollire per liberarsene e questo fu un dono molto meno gradito.
INTERVISTA (4) D: Oggi viene ricordato quel giorno nel tuo paese natale? R: Si certo, ogni anno viene commemorato, proprio per non dimenticare che anche il mio paese e il Sud Italia in genere, anche se non coinvolti direttamente dalla Guerra, dal nazismo, dal fascismo e dall’occupazione tedesca non devono essere dimenticati, perchè anche coloro che tutti consideravano e considerano ancora oggi gli “Amici Alleati”, che ci hanno liberati dai Tedeschi, hanno portato morte e distruzione. D: Quando sentivi questi racconti della tua famiglia come ti sentivi? R: beh, a me sembravano come favole, racconti di libri, viverla è stato sicuramente diverso: per quanto possano raccontarti fatti ed emozioni è difficile immaginare ciò che non hai vissuto. La nonna mi diceva sempre che io, che sono stata l’ultimo genita della famiglia, ero nata libera e che ero molto fortunata, perchè la libertà è uno dei beni più preziosi e non sempre è così scontata. D: In questi giorni in cui siamo costretti a stare in casa ti senti anche tu non più libera? R: sicuramente anche questa è una specie di Guerra e siamo meno liberi, e questo deve farci riflettere su quanto poco siamo abituati ad apprezzare la libertà, ma non credo sia paragonabile a ciò che molte famiglie hanno dovuto affrontare durante la II Guerra Mondiale …
IL FATTO (1) LE BOMBE DEI LIBERATORI Un pomeriggio di morte e distruzione, il bilancio è impressionante: 103 morti e più di 200 feriti a Cittanova; 150 case distrutte e almeno una cinquantina gravemente lesionate, danni al sistema elettrico e al reticolo stradale. Su Cittanova, nel tardo pomeriggio di un tranquillo sabato di febbraio piomba una squadriglia di 9 (o 10) aerei americani, che sganciano 23 bombe e una trentina di spezzoni incendiari seminando morte e distruzione nel centro abitato del comune aspromontano. Un disastro che nessun’altra città della Calabria subì. Un’ecatombe senza precedenti che proiettava Cittanova nella prima linea di fuoco del conflitto bellico. Lo scrittore Fortunato Seminara, che in quel momento si trova in una sua campagna – Pescano – posta su un poggio tra Maropati e Cinquefrondi, annota nel suo Diario: «Mentre il sole sta per tramontare aerei nemici venendo dal mare, passano sopra Gioia Tauro e Cittanova e lasciano cadere bombe. Si vedono prima delle nuvole di polvere sollevarsi da terra ed un istante dopo si odono scoppi fortissimi che fanno tremare la casa. Gli aerei procedono ordinati ad angolo, senza fretta come in una esercitazione e pare che non ci sia relazione tra essi e gli ordigni che scoppiano a terra, cagionando morti e rovine. Persone venute dal paese riferiscono che le bombe hanno causato molte vittime a Gioia Tauro e a Cittanova».
IL FATTO (2) L’incursione, del tutto inaspettata e assolutamente imprevista, dura una ventina di minuti, poi gli aerei si allontanano in direzione del mare. Sono venti minuti di inferno e di terrore: le bombe cadono giù con quel loro sibilo sinistro che lacera l’aria e poi si trasforma in un’esplosione devastante che travolge uomini, donne, bambini, animali e riduce le case in cumuli di calcinacci e macerie fumanti. Un fumo di colore grigio intenso, che tende a diventare sempre più bianco, segno dell’impiego di una miscela di tritolo con amatolo (nitrato di ammonio), si alza dal suolo avvolgendo ogni cosa dentro una cappa che si dirada molto lentamente. La zona colpita è una vasta area dell’abitato, posta poco al di sopra del centro storico, racchiusa da due strade parallele e delimitata, da un lato, dal complesso costituito dai giardini e dalla villa comunale e dall’altro da una grande arteria – la Via Campanella - lungo cui sorgevano – e sorgono tutt’ora – tre grandi palazzi, di cui uno – Palazzo Gagliardi (oggi sede della Banca di Credito Cooperativo) – era allora la sede del Comando della 211ª Divisione Costiera. Si trattava di un’area densamente abitata, costituita da un reticolo di strade e stradine trasversali lungo le quali sorgevano stecche di fabbricati generalmente a due piani, raramente a tre piani, che costituivano una massa edificata compatta ed uniforme. Per questa ragione le bombe provocarono danni ingenti e numerose vittime, dato che, a quell’ora, le persone erano da poco rientrate dalla campagna, le donne erano intente a preparare una frugale cena per i loro familiari e i bambini che, complice un pomeriggio mite, s’attardavano ancora a giocare per strada.
IL FATTO (3) «L’effetto prodotto dal bombardamento è stato disastroso – scrive il Comandante dei Vigili del Fuoco di Reggio Calabria nella sua Relazione – data la struttura dei fabbricati colpiti, quasi tutti in pietra legata da argilla. Sebbene trattasi per lo più di casupole ad un piano o due fuori terra, vi sono enormi cumuli di macerie, ed è difficile stabilire, dagli effetti, lo stesso numero delle bombe cadute, che però si aggira su 15-20, forse di più, tutte esplose di cui solo 6-7 su terreno aperto. La località colpita è situata nella zona vecchia della città, interessando una linea che, partendo da via Colucci (Villa Cavaliere) giunge a via Campanella (angolo via Dante) attraversando numerose vie parallele. Le più colpite sono le vie Colucci, Giovanni Alessio, Colombo, Leopardi, Colletta, Campanella… Alle ore 18,15 del 20 febbraio 1943 il Prefetto telefonava al Comandante di recarsi subito a Gioia Tauro ed a Cittanova, località da cui erano segnalati danni e vittime a seguito della avvenuta incursione aerea... In attesa delle notizie telefoniche immediatamente richieste da Cittanova, onde valutare la situazione generale e stabilire il più efficace dislocamento delle forze disponibili, i reparti intervenuti furono alacremente impiegati fra le macerie di Gioia Tauro…
IL FATTO (4) Giunte, dall’altra località, notizie niente affatto allarmanti il Comandante vi si recava in ispezione lasciando all’Ufficiale il compito di proseguire l’opera iniziata… Doveva però constatare, appena giunto a Cittanova, che le cose erano ben diverse, trattandosi di un disastro ben più grave, per vastità e numero di vittime, di quello di Gioia: pertanto ordinava l’immediato intervento da quest’ultima località della squadra più forte, e rimaneva a dirigere le operazioni...». Di quel tragico pomeriggio, a parte le Relazioni burocratiche, non rimane granché: nessun resoconto e nessuna descrizione salvo le testimonianze orali, più o meno attendibili, delle quali, purtroppo, a distanza di tanto tempo, si conserva ben poco.
IL MEZZOGIORNO D’ ITALIA E LA MEMORIA DELLA II GUERRA MONDIALE
I BOMBARDAMENTI I bombardamenti sulle città italiane iniziarono già l’11 giugno 1940, circa 24 ore dopo la dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna annunciata dal Duce, mentre le ultime bombe caddero all’inizio di maggio 1945 sulle truppe tedesche in ritirata verso il Brennero. Nei cinque anni che passarono tra queste due date, quasi ogni città italiana fu bombardata Dall’ottobre 1942 fino all’armistizio del settembre 1943, la RAF (Royal Air Force britannica) fece bombardamenti a tappeto (area bombing) sul nord Italia, per attaccare al tempo stesso le zone industriali e quello che veniva definito “il morale” delle popolazioni civili. Nello stesso periodo, dal dicembre 1942, i bombardamenti sul sud Italia furono opera principalmente della United States of America Air Force (USAAF) e si fecero più violenti in preparazione dello sbarco in Sicilia e poi nella penisola. Nel 1943 bombardamenti tattici seguirono le operazioni militari dal sud al centro Italia, puntando a distruggere le principali linee di comunicazione e le zone in prossimità del fronte.
LO SBARCO ALLEATO IN SICILIA Il 10 luglio del 1943, avveniva una delle fasi più drammatiche e appassionanti della Seconda guerra mondiale: lo sbarco in Sicilia delle truppe alleate. L’Operazione Husky, come venne chiamata in codice, fu una colossale manovra militare che segnò l’inizio della campagna d’Italia ed è anche il primo passo della penetrazione alleata nel Continente Europeo. Come porta d’ingresso si scelse l’Italia, che Churchill, l’allora primo ministro britannico, definiva “il ventre molle” dell’Asse. Un imponente operazione militare che nei suoi meandri ha dei punti oscuri che la storia ha sempre taciuto e nascosto. Come quello del ruolo di supporto logistico che, per facilitare lo sbarco, trovò appoggio nella mafia con personaggi come Lucky Luciano, Vito Genovese, Calogero ‘Calò’ Vizzini e Giuseppe Genco Russo. E poi ancora sulle stragi dimenticate e impunite compiute dai “liberatori” militari americani su civili e prigionieri italiani subito dopo lo sbarco alleato, nonostante una resistenza pressoché nulla. Di tutto questo ne fu responsabile il generale americano Patton, che definire un criminale di guerra è riduttivo: prima dello sbarco ai suoi ufficiali in attesa di ordini raccomandò, a proposito della cattura dei prigionieri: “Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Nessun prigioniero!! ”
8 SETTEMBRE 1943: L’ARMISTIZIO CHE DIVISE IL PAESE A seguito dello sbarco americano in Sicilia il Governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare la impari lotta contro la potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, decise di «passare dall’altra parte della barricata» e di chiedere un armistizio al generale statunitense Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta fu accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane da parte delle forze italiane di ogni luogo dovette cessare. Il 3 settembre 1943, a Cassibile (Siracusa – Sicilia) il Governo Badoglio firmò l’Armistizio, che venne proclamato poi l’ 8 settembre. . Beppe Fenoglio, un famoso scrittore partigiano, nel suo romanzo «Primavera di bellezza» (1959), raccontò l’8 settembre del 1943 dal punto di vista di un soldato: “E poi nemmeno l’ordine hanno saputo darci. Di ordini ne è arrivato un fottio, ma uno diverso dall’altro, o contrario. Resistere ai tedeschi - non sparare sui tedeschi - non lasciarsi disarmare dai tedeschi - uccidere i tedeschi - auto disarmarsi - non cedere le armi”. Poche righe che rappresentano esattamente i momenti drammatici in cui il nostro Paese, stremato dalla guerra, fu consegnato in mani straniere, americane al Sud, tedesche al Nord. Come se non bastasse, i vertici politici del Paese abbandonarono le postazioni: all'alba del 9 settembre, con le prime notizie di un'avanzata di truppe tedesche verso Roma, il re, Vittorio Emanuele III, la regina, il Maresciallo Badoglio, l’allora capo del Governo che aveva sostituito Mussolini e altri pezzi grossi dello Stato maggiore fuggirono da Roma e si fermarono a Brindisi, che divenne per qualche mese, la sede degli Enti istituzionali.
IL PAESE ALLO SBANDO Nessuna misura era stata prevista per difendere la capitale, e l’esercito, lasciato senza ordini, in molti casi si dissolse. La reazione tedesca non si fece attendere: la notte stessa dell’8 settembre 1943 le forze tedesche presero possesso di aeroporti, stazioni ferroviarie e caserme, mettendo in atto il Piano Achse, già pronto da tempo, e cogliendo di sorpresa le forze italiane. I tedeschi emanarono poi le direttive da applicare per il disarmo dei militari italiani, che dovevano essere suddivisi in tre gruppi: chi accettava di continuare a combattere dalla loro parte poteva conservare le armi; chi non lo faceva era mandato nei campi di internamento in Germania come prigioniero di guerra, mentre chi opponeva resistenza o si schierava con le forze partigiane veniva fucilato, se era un ufficiale, oppure impiegato nei campi di lavoro sul posto o nell’Europa occupata.. La popolazione, che si era illusa che la guerra fosse finalmente finita, prese atto che così non era. Il conflitto si trascinò ancora per più di un anno, fino alla primavera del 1945, con l'aggravante di trasformarsi in una vera e propria guerra civile tra due Italie divise: quella fedele al Fascio (e ai tedeschi) e quella decisa a liberare il Paese insieme agli Alleati.
IL REGNO DEL SUD ( 1943 – 1944 ) Con la firma dell'armistizio Badoglio aveva rotto l'alleanza con la Germania ma aveva gettato ancor più nel baratro il Paese. Nell'Autunno del 1943 l'Italia si trovò invasa in parte dagli alleati e in parte dai tedeschi. Anche le entità statali erano distinte: al Sud, lo Stato anarchico, nel centro-Nord, il fascismo, che si organizzò costituendo, sotto i tedeschi, la Repubblica Sociale Italiana – RSI (Repubblica di Salò), che fu guidata da Mussolini, liberato nel frattempo dagli stessi tedeschi e trasferitosi nuovamente al Nord. Al Sud il governo, capeggiato dal Maresciallo Pietro Badoglio, mantenne la struttura costituzionale del Regno d'Italia, con capitale prima a Brindisi e poi a Salerno. Il re lo annuncerà la sera del 10 settembre a radio Bari: "Per il supremo bene della patria che è sempre stato il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell'intento di evitare più gravi sofferenze e maggiori sacrifici, ho autorizzato la richiesta di armistizio. Italiani, per la salvezza della capitale e per potere pienamente assolvere i miei doveri di re, col governo e con le autorità militari mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale...". Il primo atto politico del governo del Sud fu la dichiarazione di guerra alla Germania. Il re e Badoglio speravano che con tale gesto l'Italia avrebbe potuto evitare le clausole severe della resa incondizionata e magari ottenere la qualifica di alleata. Speranza vana: alla fine gli Alleati, pur mantenendo i diritti acquisiti alla firma dell'armistizio, accettarono la partecipazione dell'Italia alla guerra, ma come semplice cobelligerante. Così, l'Italia del Sud entrava in guerra contro la Germania. Era il 13 ottobre 1943.
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