La Pizza Napoletana: ecco perché è perdente, parola di Marco Lungo - Luciano Pignataro

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La Pizza Napoletana: ecco perché è perdente, parola di Marco Lungo - Luciano Pignataro
La Pizza Napoletana: ecco perché è perdente, parola
di Marco Lungo

Vera Pizza Napoli, la Napoletana
di Marco Lungo

Sapete, mi sono reso conto che è un po’ di tempo che ci giro intorno all’argomento. Ne
ho parlato al Pizza Formamentis, ne ho scritto a casa di Luciano qualche tempo fa, però
poi non mi sono mai espresso compiutamente sull’argomento Pizza Napoletana, come
la vedo ora, come secondo me dovrebbe e potrebbe essere, e come invece penso che
andrà a finire.

Giorni fa mi sono fatto una bella chiacchierata con il caro Guglielmo Vuolo, nella quale
abbiamo parlato di tutto ed in particolare della Pizza della Salute, di cosa è, di cosa ne
pensavo, come la vedevo e così via. E come volete che la veda? Così come la Pizza
all’Acqua di Mare, quella Nera al Carbone Vegetale o altre similari, le vedo solo come
tentativi di attirare l’attenzione da parte di chi se le inventa, cose che durano ormai lo

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La Pizza Napoletana: ecco perché è perdente, parola di Marco Lungo - Luciano Pignataro
spazio di un articolo o di un servizio su una tv locale il più delle volte, e niente di più.

Perché questo è, amici. Nulla di tutto questo cambia la Pizza Napoletana come è oggi.
Diciamocelo chiaramente, nessuna di queste cose l’abbiamo vista influenzare il
quotidiano in maniera incisiva. Eppure ne usciranno di nuove ancora, sicuramente. Non
le trovo cose da biasimare, sia chiaro, anzi, mi dolgo solo che non abbiano respiro
lungo, a parte gli interessi personali degli autori e del momento.

Già, e come è oggi la Pizza Napoletana, Marco?

Eccoci alla domanda chiave. Al convegno Pizza Formamentis fui chiarissimo: di fronte a
tutti dissi su tutto che la Pizza Napoletana era perdente. Perdente come dimostrato dai
numeri, assolutamente incontrovertibili, per i quali mentre mi leggete, neanche il 2%
delle pizze consumate in tutto il mondo in questo momento sono Pizze Napoletane
assimilabili alla STG, e mi sono tenuto largo, perché se vi fate i conti con le statistiche
che trovare su Internet, i dati sono ancora peggiori. Addirittura, c’è una statistica del
2011 in cui, considerando pochissimi Paesi e con i soli USA per i Paesi al di là
dell’Atlantico (parleremo poi del Brasile, ancora più importante), noi incidiamo del
15,8% e, chi sta nell’ambiente, sa benissimo quale è l’incidenza Pizza Napoletana / Altra
Pizza nel nostro Paese: non arriva oltre le dita di una mano. Questo dicono i fatti.

La Pizza Napoletana non si è mai imposta fuori da Napoli in maniera decisiva, tale da
poter essere un riferimento comune quantomeno come forma ed impasto, le cose
replicabili ovunque nel mondo. E, sempre al congresso, per prevenire altre obiezioni del
tipo “Sì, però la Napoletana è la Ferrari della Pizza!”, dissi che a tre euro e mezzo di
prezzo, di che Ferrari stiamo parlando, ed invitai qualcuno ad andare a convincere
Marchionne che la F450 la deve vendere a 9.000 euro, no a 200.000, visto il paragone
con la pizza.

Ora, perché non si è imposta? Parlando di Roma per esperienza diretta, la questione del
cornicione alto era una delle prime contestazioni, oggi via via venute meno grazie
anche all’affermarsi di pizzerie che possiamo considerare innovative sulla piazza di
Roma, come lo sono state Sforno e La Gatta Mangiona le quali hanno per prime alzato il
cornicione con un successo di pubblico consistente e duraturo. Signori, quando si porta

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in tavola ad un cliente normale una pizza che è contornata da un reato di concorrenza
sleale alla Pirelli, quello si incazza. Si incazza perché con il canottone gli arriva in tavola
una specie di ciotolina centrale con un niente di ingredienti, e lui non è venuto lì per
mangiare il cornicione, a volte pure realizzato male, no, è venuto per mangiare la pizza
e la pizza deve avere i condimenti sopra dappertutto. Non è difficile da capire, no?
Avete visto Pizza Hut, Domino’s, Papa George, dove arrivano a condire? Ma senza
andare troppo lontani, la cosiddetta romana, non è condita filo filo al bordo? Ecco,
questo è quello che vuole la gente nel mondo, in maniera indiscutibile.

Quello che poi rimane il problema principe della Pizza Napoletana, a Roma e, per
esperienza mia di anni dappertutto in Italia e nel mondo, è l’essere praticamente una
crêpe, a Roma lo “straccio moscio”, soprattutto al centro della pizza. Quello proprio non
va giù praticamente a nessuno e, al di fuori di questa apparente banalizzazione, voglio
scendere più in dettaglio perché è una questione cruciale, anche per i discorsi che
seguiranno. Prima, però, voglio affermare una cosa di principio e che deve rimanere
bene impressa e statuita: la Pizza Napoletana la sanno fare bene in pochissimi. Quella
fatta bene è per me il riferimento della pizza, quella che io mi godo tantissimo ma è
raro trovarla anche a Napoli, figuriamoci fuori. Questo è il primo handicap importante,
comune e diffuso, anche se a Napoli stenteranno a credermi…

Torniamo allo “straccio moscio”. La Pizza Napoletana, secondo i vari mentori di essa,
deve piegarsi a portafoglio. Guai se non lo fa. Se non lo fa, non è la Pizza Napoletana.
Ottimo, se ne prende atto, lo dice il Disciplinare, non se ne parli più, no? E invece se ne
deve parlare eccome, perché questo è un punto critico di successo, come si dice nelle
analisi di marketing. La piega a portafoglio è la tipicità della Pizza Napoletana che, nei
decenni ante e dopo guerra, doveva far sì che la pizza fosse consumata in piedi,
velocemente e che saziasse la gente decisamente affamata che la comprava, a volte
per farci l’unico pasto del giorno se non di più.

Oggigiorno invece, la Pizza Napoletana si mangia nel piatto, che la raffredda pure, si
consuma anche in un quarto d’ora mentre si parla a tavola con gli altri, non è più un
piatto di necessità per la fame, insomma, è tutta un’altra cosa. Ebbene, e si insiste
ancora a fare quella pizza che, ad esempio, diventa gommosa dopo tre minuti circa? Per

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quale motivo? A Napoli ci sono forse locali senza tavoli e con delle corsie segnate a
terra dove i clienti prendono la pizza a portafoglio e se la mangiano in piedi seguendo
un certo percorso che devono concludere in massimo tre minuti? No. Si tratta, quindi, di
una scelta manifestamente errata. I tempi sono cambiati, la Pizza a Portafoglio è
diventata semmai, come si dice adesso, uno street food, c’è Gennaro Salvo a Via Toledo
che è uno dei suoi massimi interpreti esattamente per quello che deve fare, mangiarla
per strada mentre si cammina, penso quindi che sia il caso di confinarla lì e di affidarsi a
chi fa solo quella, come e dove deve essere fatta al meglio delle sue peculiarità.

Perciò, cornicione e mollezza eccessiva del piano e soprattutto al centro, sono i
problemi che castrano da sempre la Pizza Napoletana fuori dalla Tangenziale. Che poi,
che problemi sono? Il cornicione ha una funzione ben precisa: evitare che i condimenti
della pizza scivolino sul piano mentre si gira con il palino in forno per uniformarne la
cottura. Ne consegue che servono al massimo un paio di dita di spessore e sono già
tante. Adesso è un periodo in cui invece la maggioranza fa a gara a chi ce l’ha più
grosso. Il cornicione, ovvio, perché il cervello pare indirettamente proporzionale a tali
esibizioni. Quindi, come dimostravo prima, mentre nel mondo il modello vincente di
pizza ha il condimento abbondante e a filo del bordo, a Napoli, vanno di moda i
canottoni, gli pneumatici intorno alla pizza come se, peraltro, dimostrassero poi chissà
che bravura. E invece, oltre alla stupidità commerciale, non dimostrano assolutamente
nulla come capacità, anzi. La bravura sta nella realizzazione della mollica, semmai, in
quella che poi tecnicamente si dice che debba conferire la “texture” che viene valutata
molto positivamente, quella sì, quando è importante e molto scioglievole. E la mollica è
altrettanto importante come dirimente del piano morbido, il banalizzato “straccio
moscio” di prima, perché quando questo è realizzato tramite sviluppo di micromollica e
limitata formazione di crosta, dice che sei bravo, se invece è realizzato perché hai solo
ammassato l’impasto in ammaccata e poi con lo schiaffo in stesa, comprimendo ed
annullando la micro lievitazione, dice che sei uno dei tanti improvvisati e che stai dando
al cliente un prodotto che va in gomma presto e che gli si piazza sullo stomaco, non
avendo appunto amidi gelificati facilmente aggredibili in fase digestiva dal nostro corpo.
Chi va all’estero, cioè fuori la Tangenziale appunto, queste cose le modifica e nel senso
che ho indicato, altrimenti il mercato non risponde positivamente. Mediamente le

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modifiche sono più o meno marcate a seconda degli autori, però la Pizza Napoletana a
Disciplinare STG, amici, è piuttosto rara da trovare. Girare per credere. Ma no,
statevene pure a casa, che tanto lo sapete già.

Questo introduce l’altro capitolo: come dovrebbe essere la Pizza Napoletana moderna.
Beh, a questo punto le indicazioni veramente minimali sono chiare: cornicione non
eccessivo, dell’altezza giusta per svolgere la sua funzione, ed un piano in cui sia
rispettata la microlievitazione in ammaccatura e stesa, in modo che poi in cottura
sviluppi uno strato mollicale e che poi la cottura in forno possa decidere se rendere il
tutto più o meno consistente, andando dal morbido napoletano classico (per intendersi,
quello che trovo da Ciro Salvo perfettamente interpretato), al poco più rigido e
fragrante piano che ha la punta dello spicchio che non si piega e che Gino Sorbillo
secondo me esegue bene al di fuori dei Tribunali e come, infatti, si vede in alcune foto
del suo locale a Milano, ad esempio. Cito Gino perché è quello che ha locali al di fuori di
Napoli e che, quindi, conferma indirettamente quanto sto sostenendo, così come vorrei
citare Di Matteo per la proporzione del cornicione a mio avviso corretta secondo quanto
ho affermato fin qui.

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Lievito 72, l’impasto
Parliamo poi degli impasti, come dovrebbero essere per cambiare decisamente in
meglio la Pizza Napoletana. Come ho detto, seguire “la tradizione” con impasti diretti,
porta ad un prodotto non all’altezza di quello che può essere il massimo che si può
offrire ad un cliente, ricordando il punto della scarsa durata nel piatto della pizza prima
che diventi gommosa ma, soprattutto, più ricca di aromi e di sapori, a partire proprio da
quello che una farina come la Caputo, la nomino in quanto per me è a pieno merito il
sapore della Pizza Napoletana nel mondo, dà assolutamente se lavorata in maniera
diversa.

Per questo, la scelta dovrebbe andare solo verso impasti indiretti o, quantomeno,
impasti diretti ma con passaggio in frigo per almeno 24 ore. E qui, apriti cielo!!! Non sia
mai nominare a Napoli gli impasti indiretti o il frigo, è Oltraggio al Disciplinare, ti
mandano da Michele ad ingoiare tre Margherite e tre Marinare come penitenza per
sperare poi nell’Assoluzione dell’Associazione e la Cancellazione della Scomunica dal
Babbà a fine pasto! Però, però… chi conosce la storia della pizza Napoletana, sa che era

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(ed è) diffuso l’uso del riporto, ovvero l’impastare nell’impasto del giorno dopo le
pallette avanzate il giorno prima. Con l’uso del riporto, la pizza esce più carica di aromi,
più stabile, meno gommosa. Ebbene, a livello tecnico, il riporto è considerato uno degli
impasti indiretti classici. Già. Per questo, date le sue caratteristiche, io generalmente
consiglio l’uso della biga, di fatto costituzionalmente simile al riporto ma controllata,
quindi non affetta da problemi relativi a come è stato gestito il riporto il giorno prima,
come minimo per quanto tempo sono state fuori le pallette e a quale temperatura siano
state mantenute, oltre al fatto che non c’è il sale all’interno. Il riporto, come la biga,
come anche l’uso del lievito madre, queste tecniche, dicevo prima, non sono consentite
dal Disciplinare STG, ovviamente.

Per fortuna che al Pizza Formamentis qualcuno di autorevole si è espresso in termini di
riconoscimento della limitazione imposta dal libello. In attesa di possibili variazioni di
esso, ecco quindi che un sistema come la biga diventa la scelta di elezione per chi vuole
migliorare il proprio prodotto, in quanto facilmente realizzabile dalla gran parte delle
pizzerie, cambia di pochissimo la lavorazione e non porta grossi aggravi di tempo. E’ il
modo che io porto avanti da tempo ed i risultati confermano questa scelta.

E i condimenti?

Amici, qui c’è veramente un mondo da scoprire. O forse no. Vedete, a Napoli la
tradizione ha inchiodato per decenni i pizzaioli alle due – tre pizze classiche e niente
più. Si annovera nella storia recente giusto Enzo Coccia come colui che ha allargato i
confini dei gusti della pizza a Napoli, poi, però dopo di lui, c’è stato di fatto un
pandemonio, il Diluvio Universale delle Dispense Svuotate a Caso sulla Pizza. Chiaro,
normale che accada, senza una guida e senza una storia al riguardo. Tanto per dire, già
nel 1978 qui a Roma andavo in una pizzeria che aveva 100 pizze diverse. Sì, avete letto
bene. In tutto il resto del mondo, idem, tanti gusti, tante guarnizioni sulla pizza da
superare qualsiasi fantasia. Napoli, quindi, in questo sta indietro ed indietro parecchio.
Su questo, riprendo il discorso degli Svuotadispense sulla Pizza, soggetti forse presi
dall’irrefrenabile voglia di colmare il gap di cui parlavo ma che, in realtà, spesso è solo il
gap che divide la loro pizza dal secchio dell’immondizia.

In questo, poi, Facebook ci regala momenti di emozione irrefrenabile, come quando

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vediamo cambiare a dei soggetti la professione (ma non era un mestiere?) da
“Pizzaiolo” a “Pizzachef”. Fantastico, che miracoli che avvengono oggigiorno, è il
progresso, possiamo solo abituarci, tutto va più veloce. Chef, amici, significa tanto.
Significa moltissimo se si è veri chef. Per fregiarsi di questo titolo, troppo c’è da
studiare, pedalare e sperare anche che la Natura ci abbia dato un po’ di gusto
personale, altrimenti è fatica sprecata. Questo, per dire cosa manca in assoluto a chi
oggi si accinge a proporre nuove farciture alla propria pizza, cioè proprio i concetti base
della creazione di un piatto e di un accoppiamento, partendo da quello che ricordo a
tutti essere una delle poche ma fondamentali leggi: i piatti si creano su di un
protagonista con accanto due, al massimo tre spalle che lo valorizzino. Questa regola
da sola basterebbe a chi oggi a Napoli si mette a studiare farciture per la Pizza
Napoletana Moderna. Seppellire per sempre diciture ad elenco come le conosciamo
oggi, per passare alle più moderne centrate sulla valorizzazione dell’ingrediente
principe che si sceglie. Poi, sapete, a volte è una questione di modo di porre la cosa:
una Pizza al Porcino Fresco su letto di Mozzarella in Sapori di Aglio, Prezzemolo e Pepe
Fresco, fa veramente tanta scena, quando poi potrebbe essere un trifolato qualsiasi.
Però, se lo presenti così e non condisci la pizza nel modo brutale che farebbe anche tu’
figlia con il Dolceforno, quindi monti la pizza ad isole di funghi porcini con battuti
separati di aglio pregiato, prezzemolo fresco e pepe macinato sopra, hai fatto una cosa
da chef e, alla fine, il cliente qualche euro in più te lo dà di sicuro. Porcino protagonista,
il resto spalle a valorizzare. Semplice. Pensate a quante pizze potreste rivoluzionare in
questo modo, applicando, ripeto, solo la regola basilare di un piatto: un protagonista ed
elementi che lo valorizzano. Il pizzaiolo deve poi trovare il modo più elegante e
funzionale per condire la pizza siffatta, ed è già un salto netto rispetto a tutti, dove
“tutti” sono soprattutto le varie catene con le quali, se si rimane così, toccherà fare
presto i conti anche in casa nostra.

A Napoli questo è più facile da fare per due motivi: il notevole numero di ingredienti
protagonisti che si trovano in Campania ed il retaggio della tradizione di cucina che
Napoli ha e che trova nella cucina francese la più diretta ispirazione, diffusa perfino
nelle case qualsiasi.

Ora, chi insegna questo? Nessuno, ovviamente. E qui a mi rode parecchio, perché in

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Campania c’è un’altissima densità di Stelle Michelin in Costiera, per dirne una, la più
evidente, però comunque ci sono tantissimi posti in cui a Napoli e dintorni si mangia
benissimo, senza tante fanfare, ed i cui chef tanto potrebbero insegnare ai vari pizzaioli
intraprendenti che hanno l’ambizione di migliorare le farciture delle loro pizze.
Basterebbe fare sì che non ci siano solo gli eventi che vedo ogni tanto pubblicizzati in
cui chef e pizzaioli propongono qualcosa insieme, no, ci deve essere il non
pubblicizzato, l’incontro diciamo settimanale di scambio, di aiuto nel crescere, che
permetta ad esempio ai pizzaioli di uscire dal guado dell’essere solo graziati da
meravigliose materie prime per diventare dei seri artisti della valorizzazione delle
stesse, partendo dalla conoscenza più approfondita che non sia solo una stringa di nomi
da mettere in menù per farsi belli, ma un vero apprendere, capire, essere quindi aiutati
da chi è chef davvero in Campania e si metta a disposizione per insegnare e far
crescere dei colleghi con il concetto che una Partenope migliore anche nella pizza, ha
un ritorno anche per loro, perché è importante crescere tutti insieme in qualsiasi
campo.

Come dite?

Significherebbe “fare sistema”?

Ah, già, che scemo, e quando mai succederà a Napoli…

Insegnare.

Bel tema, a Napoli e nelle zone circostanti. Già. Tralascio di trattare il bassofondo di
questo argomento in questa sede, cioè quello di cui ho più volte parlato che è fatto di
personaggi agghindati con coreane piene di pecette, bandierine e stemmi di
associazioni più o meno vere, che malamente si propongono come istruttori a persone
che vorrebbero e spesso hanno assoluto bisogno di mettere il loro figlio a mestiere, li
affidano a fior di centinaia di euro a questi figuri con più o meno velate promesse di
trovargli lavoro dopo il loro corso ma, come sappiamo, questo non avviene quasi mai.
Parlando di insegnare parliamo del pensare a promulgare nuove metodologie per
realizzare una Pizza Napoletana moderna, più vicina ai gusti della maggioranza delle
persone. Ho detto prima che, per realizzare una pizza Napoletana migliore, si devono

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assolutamente adottare delle tecniche di impasto più moderne, sì, però chi le sa fare?
Pochi, amici miei. Ad oggi, di chi ho prova certa, conosco giusto Errico Porzio e
Francesco Cammarota con la sua scuola. Per il resto, vedo solo l’insistere ad insegnare
come si fa la macchina a vapore, più o meno bene, anzi, no, il Pagodino di molte righe
più su. E la cosa che fa rabbia è che oggi, questi soggetti che pagodinano non sanno
assolutamente fare niente di meglio che una pizza che va dal Disciplinare STG, nel
migliore dei casi, alla ricetta di famiglia perché sono generazioni di pizzaioli e, quindi,
loro la sanno fare bene (roba che spesso, se li prendesse il loro povero nonno morto a
fare quella pizza, come minimo inizierebbe le pratiche per il disconoscimento della
discendenza), soggetti che urlano su Facebook la loro ignoranza crassa che, sotto il
regno di Maria De Filippi, non è più una cosa di cui vergognarsi ma è una cosa da
sbattere in faccia quasi con orgoglio. Questi sono la maggioranza e sono quelli che più
fermano la crescita e l’evoluzione della Pizza Napoletana verso qualcosa di più vincente,
qualcosa di più qualificato, qualcosa che piaccia a più gente possibile nel mondo. In
questo, non è che le Associazioni facciano qualcosa, anzi. La loro non è tolleranza, non è
neanche accondiscendenza, no. Spesso, è proprio immobilità funzionale. Credo che in
alcuni casi il grande evento del Pizza Formamentis, a partire già solo dal fatto che si sia
fatto un evento del genere senza nessuna etichetta, abbia dimostrato perfettamente
come stanno realmente le cose a livello di esigenze presenti e importanti ma
assolutamente non recepite e gestite da nessuno.

Come andrà a finire, probabilmente, la Pizza Napoletana?

Cari amici miei, e come pensate che andrà a finire? Lasciando andare le cose come
vanno. Semplice. Rimarranno dei sostenitori della Pizza Napoletana della Tradizione, al
cui interno qualcuno (pochi, due o tre) la farà divinamente, qualche giovane intelligente
capirà che la strada non è quella per emergere e ne cercherà un’altra, quasi
sicuramente molto simile a quella che ho indicato come prodotto di approdo di una
Pizza Napoletana moderna, qualcuno rimarrà nel guado e lì, prima o poi, verrà
dimenticato, le Associazioni non favoriranno il cambiamento, il necessario
cambiamento, e staranno passivamente a guardare, tirando fuori ogni tanto le solite
parole, “difesa”, “tradizione” e “territorio” su tutte, in qualche convegno o comunicato o
volantino che sia, uscirà forse uno, due (tiè, oggi scialo…) interprete della napoletanità

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nella Pizza e farà successo, magari nel futuro sarà probabilmente il discendente di
qualcuno dei nostri attuali interpreti della Pizza Napoletana affermatissimi oggigiorno
(mi risparmio di dire che, uno dei possibili due, il primo locale fuori dalla Tangenziale
Campana lo chiamerà “Zio Gino” e che proporrà la sua antica TV Fritta, per evitare ad
un mio amico una violenta grattata là dove è di dovere fare in questi casi), forse ci sarà
un Pizza Formamentis ennesimo, dedicato questa volta a testare il futuro del Forno
Quantico rispetto al tradizionale Forno Elettrico e nel quale verranno anche riportati
cenni storici in cui una volta la pizza si faceva addirittura nei forni a legna, e poi ancora
iniziative, campionati sul Lungomare, eventi nei locali… e la solita Napoletana fatta
ancora come una crêpe, decenni e decenni da oggi, sempre più mangiata dai turisti
quasi come una tassa per vedere il Golfo più bello del mondo.

Insomma, tutto uguale o giù di lì.

Uguale. Quello che poi, tutto sommato, a Napoli non spaventa, anzi, per certi versi se lo
cerca pure. L’uguale. L’uguale perché sicuro, perché non deve impegnare in ricerca di
nuove strade, non richiede di investire ma, soprattutto, non richiede di cambiare.

Ecco, io almeno una cosa auspico: il silenzio di chi non vuole cambiare. Silenzio. Nessun
ostacolo, confronto, ripicca, attacco, levata di scudi, oltre a “Difese”, “Tradizioni”,
“Territori”, niente insomma, contro chi a Napoli vuole cambiare e rendersi interprete di
una Pizza Napoletana moderna, vicina ai gusti più diffusi ed anche avanti ad essi, dove
possibile.

Chi non vuole cambiare è in questo caso un macigno contro l’evoluzione, la ormai
necessaria evoluzione della Pizza Napoletana o, meglio, della Pizza di Napoli, perché
questa è nella realtà, e i macigni, a casa mia, non parlano.

Caro Guglielmo Vuolo, amico mio, ti è più chiaro adesso perché penso quello che ti dissi
al telefono e che ho scritto all’inizio?

Nulla cambia a Napoli.

E, forse, anche in questo è la sua bellezza.

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