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Ma come si celebra il Natale in tutto il mondo? Auguri dalla redazione di Italia Magazine di Lara Ferrara Le origini del Natale risalgono ad antiche celebrazioni pagane, come Deus Sol Invictu s (25 dicembre), alle calende (01-05 Gennaio), e Saturnalia (17-23 dicembre). Ma come si celebra il Natale in tutto il mondo? Alcune curiosità. Molto prima che ci fossero gli alberi di Natale, i pagani riverivano i sempreverdi come simboli di vita eterna e rinascita. Ad esempio il vischio era ritenuto sacro dai norvegesi, dai druidi celtici e dagli indiani nativi americani, perché rimane verde e produce frutti durante l’inverno, quando altre piante sembrano morire. I druidi pensavano che la pianta avesse il potere di curare l’infertilità e le malattie nervose oltre scongiurare il male. A causa delle loro associazioni pagane, l’agrifoglio, l’edera
e altri rami sempreverdi ,usati convenzionalmente per la decorazione della casa, furono banditi dal Concilio cristiano di Braga del VI secolo. Fu Papa Giulio I , vescovo di Roma, a proclamare il 25 dicembre il giorno della celebrazione ufficiale per il compleanno di Gesù nel 350 d.C. Mentre la città di Riga, in Lettonia , rivendica il titolo di primo albero di Natale decorato della storia e risale al 1510. Il festival di metà inverno di Yule (21 dicembre) è stato celebrato dai popoli germanici almeno dal IV secolo. Yule, che è anche chiamato Solstizio d’Inverno, è la notte più lunga dell’anno ed è il momento della massima oscurità. Alcuni studiosi ritengono che la parola yule significhi “rivoluzione” o “ruota” e che simboleggi il ritorno ciclico del sole. Re Haakon I di Norvegia rinviò la data dello Yule in coincidenza con le celebrazioni cristiane. Secondo gli antichi racconti popolari inglesi, il Diavolo morì quando nacque Gesù. Così alcune città svilupparono la tradizione di suonare le campane della chiesa vicino a mezzanotte per annunciare la fine del diavolo. In Inghilterra questa usanza era chiamata “l’inferno del diavolo”.
La Scozia ha storicamente fatto l’affare migliore, quello di celebrare Hogmanay (l’ultimo giorno dell’anno, ovvero la notte di Capodanno). Di fatti, quest’ultima vacanza fu bandita dal parlamento del paese per più di 300 anni, e fu resa legale solo nel 1958. Il Grinch che scortò la Scozia fuori dal Natale fu il ministro del 16 ° secolo John Knox, leader della Riforma e fondatore del Chiesa presbiteriana scozzese. Credeva che i cristiani dovessero celebrare solo le festività menzionate nella Bibbia. Quindi il Natale fu fortemente scoraggiato a partire dal 1583 e ufficialmente proibito dalla legge nel 1640. Lo sapevate? Il Natale alle Hawaii è un affare decisamente tropicale. Gli abitanti locali importano abeti e pini dalla terraferma degli Stati Uniti. Altri sono più creativi e decorano palme con luci e ornamenti mentre usano canoe e delfini come slitte e renne. Nelle Isole Marshall le persone si preparano per i mesi di Natale in anticipo, accumulando regali e dividendosi in jeptas , o squadre, che organizzano gare di canzoni e balli per il giorno di Natale. In Argentina , le usanze natalizie sono una miscela di tradizioni americane, europee e ispaniche. I festeggiamenti includono tipicamente gli stivali di Babbo Natale, i fiori rossi e bianchi e il mettere cotone sugli alberi di Natale per simulare la neve. Ma la maggior parte delle riunioni di famiglia si svolgono la vigilia di Natale, con grandi feste,
regali scambiati a mezzanotte e bambini che vanno a dormire al suono dei fuochi d’artificio. In Perù, il 24 dicembre, che è conosciuta come La Noche Buena (“La buona notte”), è il giorno principale delle celebrazioni. Dopo la messa, le famiglie tornano a casa per festeggiare, aprire regali e brindare a mezzanotte. Le decorazioni più importanti sono pesebre ovvero presepi intricati in legno o pietra. I regali sono sparsi attorno alla mangiatoia piuttosto che ad un albero, ed è considerato fortunato essere quello scelto per mettere la figurina del piccolo Gesù nella mangiatoia alla vigilia di Natale. E con queste piccole curiosità tutta la redazione di Italia Magazine Vi augura buone feste… Qualunque sia il vostro mood. All’Eliseo “Miseria e nobiltà” con Lello Arena per la regia di Luciano Melchionna di Lara Ferrara Continua la performance dell’attore napoletano Lello Arena,esponente della comicità partenopea, in “Miseria e nobiltà”. Prima nazionale al Teatro Eliseo di Roma dal 27 dicembre al 20 gennaio. La sfida è recuperare il messaggio universale di Scarpetta che il 27 dicembre vestirà i panni di Felice Sciosciammocca, perfetto erede di quella maschera tra le maschere che
appartenne ad Eduardo Scarpetta e ai suoi epigoni. Con Arena saranno in scena anche Tonino Taiuti (Gaetano Semmolone) Marika De Chiara e Sara Esposito (Gemma e Luigino) Fabio Rossi (Marchese Ottavio Favetti) Raffaele Ausiello (Eugenio Favetti) Andrea de Goyzueta (Pasquale) Giorgia Trasselli (Concetta) Maria Bolignano (Luisella) Carla Ferraro (Bettina) Serena Pisa (Pupella) Fabrizio Vona (Giacchino Castiello) Fabrizio Vona (Vicienzo) Veronica D’Elia (Peppeniello) Biase (voce fuori campo). Lo spettacolo è una produzione Teatro Eliseo e Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro in collaborazione con Tunnel Produzioni. Le scene sono di Roberto Crea, i costumi di Milla, le musiche di Stag, firma la regia Luciano Melchionna (assistente Ciro Pauciullo). Breve nota del regista; Ombre si dice siano, queste maschere, ombre potenti Miseria e nobiltà. Miseria o nobiltà? “Una cosa è certa, l’una non esisterebbe senza l’altra, così come il palazzo signorile, affrescato e assolato, non starebbe in piedi senza le sue fondamenta buie, umide e scrostate. Un perfetto ecosistema: senza un solo elemento, crolla l’intera ‘architettura’. In uno scantinato/discarica, mai finito e mai decorato, dove si nascondono istinti e rifiuti, tra le ceneri della miseria proliferano e lottano per la sopravvivenza ‘ratti’ che presto, travestiti da ‘cani o gatti’, sgomiteranno per salire alla luce del sole. Sono personaggi che trascinano i propri corpi come fantasmi affamati di cibo e di vita. ‘Ombre si dice siano, queste maschere, ombre potenti’ in bilico tra la miseria del presente e la nobiltà della tradizione, intesa come monito di qualità e giusto equilibrio. In un pianeta dove i ricchi sono sempre più ricchi, grazie ai poveri che sono sempre più poveri, non ci resta che… ridere. E
qui Lello Arena giunge perfetto erede di quella maschera tra le maschere che appartenne a Eduardo e ai suoi epigoni. Ancora oggi, tra commedia dell’arte e tragicomica attualità, i personaggi di Scarpetta, privi di approfondimento psicologico, vivono e scatenano il buonumore e le mille possibili riflessioni che l’affresco satirico di un’intera umanità può suggerire. Un’opera comica, dunque, per anime compatibili con la risata, in attesa del miracolo. ‘E cos’è il teatro se non il luogo dove il miracolo può manifestarsi?’ Tutto vive di nuovo e chissà che il sogno presto diventi realtà. Intanto, signore e signori, godiamoci le gesta goffe ed esilaranti di chi inciampa tra ‘miseria e…miseria’. Luciano Melchionna Tutte le informazioni: DAL 27 / 12 /2018 AL 20 / 01 / 2019 MISERIA E NOBILTÀ di Eduardo Scarpetta con LELLO ARENA regia LUCIANO MELCHIONNA ORARIO: martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00 mercoledì e domenica ore 17.00 Primo sabato: 16.00 e 20.00 Teatro Eliseo VIA NAZIONALE, 183
00184 Roma +39 3756120035 // 3756120036 // 0683510216 biglietteria@teatroeliseo.com Teatro Eliseo Roma Fringe Festival dal 7 al 27 gennaio 2019 – Mattatoio Zona La Pelanda, Testaccio –
Roma di Lara Ferrara Al via la settima edizione del Roma Fringe Festival ospitato negli spazi del Mattatoio – La Pelanda in un’inedita versione invernale che vedrà confermata la mission e la storica formula che l’aveva fatto apprezzare a un vasto pubblico. Molte le novità introdotte quest’anno. La prima è la data, 7-28 gennaio, vale a dire in pieno inverno. Questa è la sfida, che rappresenta un modo per puntare l’attenzione sul teatro e sulla proposta di nuova drammaturgia che è l’essenza stessa del fringe, svincolando questo evento da una collocazione estiva che rischiava di assorbirlo nella più generale e ricchissima proposta di intrattenimento estivo della Capitale. Il teatro prima di tutto e, in particolare, il teatro indipendente. La seconda è indipendente perché ,in questa edizione, partendo da questo concetto hanno creato grazie all’adesione di 14 teatri in tutta Italia, a partire dal prestigioso Teatro Vascello di Roma, un circuito chiamato Zona Indipendente. Una rete di 14 teatri che ospiteranno nella stagione 2019/2020 lo spettacolo vincitore del Roma Fringe Festival 2019. Questo, insieme alla possibilità di partecipare a uno dei fringe mondiali, è un premio, che al di là di riconoscimenti o titoli (che sono pur sempre prestigiosi e importanti) rappresenta in concreto una seria opportunità per l’artista o la compagnia
vincitrice di far conoscere il proprio lavoro. Da quest’anno, cambia anche la location. Il Roma Fringe Festival si trasferisce nei locali de La Pelanda, nel complesso del Mattatoio, nel cuore del quartiere di Testaccio che, con il suo fermento e la sua vitalità, crediamo si presti bene ad accogliere un festival come il Fringe. Per la finale, poi, appuntamento, al Teatro Vascello, un Teatro storico della Capitale. Accanto alle esibizioni delle compagnie e dei singoli artisti, ci saranno poi una serie di appuntamenti, sia all’interno de La Pelanda che al Macro Asilo, che offriranno al nostro pubblico un’offerta culturale ancora più ampia. Un ringraziamento a chi, negli scorsi anni, ha lavorato per costruire un festival che, piano piano, ha conquistato l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori diventando una realtà solida nel panorama teatrale italiano. In particolare ringrazio Davide Ambrogi che, sei anni fa, ha avuto l’intuizione di portare il Fringe, conosciuto e frequentato in tutto il mondo, in Italia. Raccolgo il suo testimone con orgoglio e con la certezza di poter dare il mio contributo per continuare a farlo crescere in vitalità e prestigio. Direttore Artistico, Fabio Galadini DUE NOTE SULLA STORIA DEL ROMA FRINGE FESTIVAL Il Fringe è il più importante festival mondiale di spettacolo
dal vivo. Un evento che si replica in ogni capitale culturale del mondo. Nato nel 1947 a Edimburgo (UK), conta oggi circa 240 festival annuali, dall’Australia agli Stati Uniti, dall’Asia alla nostra Europa. Per capire che cos’è il Fringe e cosa rappresenta per il settore delle arti sceniche basta dare un’occhiata ai numeri: ogni anno, 19 milioni di persone in tutto il mondo vedono 170 mila artisti replicare 79 mila spettacoli. Una vera e propria fucina di talenti, ma non solo. Sono moltissimi, infatti, gli attori affermati che vogliono provare l’ebbrezza e l’emozione di un contatto diretto con un pubblico schietto e verace. All’estero, negli oltre 60 anni di vita, il Fringe è stato scelto come palco da attori del calibro di Ewan McGregor, Hugh Jackman, Tim Roth e Hugh Grant. Il Fringe arriva a Roma nel 2012, patrocinato dalla World Fringe Society, grazie all’impegno e alla direzione artistica di Davide Ambrogi. Fin dal primo anno si colloca come vera e propria festa del teatro, coinvolgendo un vasto pubblico non sempre avvezzo al teatro, in un gioco di premi e arte. La caratteristica del Roma Fringe Festival nei suoi primi anni romani è, infatti, quella di portare il teatro e la nuova drammaturgia all’attenzione di un pubblico variegato, un pubblico solitamente lontano dai teatri, mettendo così in gioco le compagnie provenienti da tutta Italia, Europa e a volte anche USA con un pubblico “vero” e “verace”. Grazie a Roma Fringe Festival, dal 2012 al 2014, nasce a Roma il Parco del Teatro, a Villa Mercede, poi spostato nel 2015 nei Giardini di Castel Sant’Angelo, per poi tornare a San Lorenzo nel 2017. Oggi rappresenta un punto di riferimento per tutti gli artisti indipendenti che ambiscono a una platea internazionale.
A testimoniare l’attenzione che il Roma Fringe Festival riceve da parte del pubblico e di tutto il settore delle arti sceniche, le numerose richieste di partecipazione che ogni anno aumentano in modo esponenziale. Nel 2017 sono state 350 le compagnie che si sono iscritte alla selezione per un cartellone che prevedeva 40 spettacoli. Fra le ragioni di questo successo, il pubblico folto e genuino composto da turisti, addetti ai lavori e non, le location prestigiose (Villa Ada, Castel Sant’Angelo, Villa Mercede e, quest’anno, La pelanda), ma soprattutto la possibilità, grazie alla partnership con World Fringe Network, di accedere a una vetrina internazionale. Diversi sono stati negli anni scorsi i vincitori del Roma Fringe Festival che hanno ottenuto premi e riconoscimenti nel mondo. I vincitori del Roma Fringe 2013, 2014 e 2016 hanno trionfato come miglior spettacolo al San Diego Fringe 2014, 2015 e 2018. I vincitori dell’edizione del 2012 sono stati menzionati dal New York Times partecipando l’anno successivo, grazie al Roma Fringe, al New York City Fringe Festival. Lo spettacolo vincitore dell’edizione 2015 è stato considerato dalla critica il miglior spettacolo della stagione teatrale italiana. Mentre i vincitori dell’edizione 2017 debutteranno al Sidney Fringe nel 2019. Beauty: piccolo grande musical! di Alessia Gregoletto Presentato all’edizione 2018 del Giffoni Film festival,
vincitore del premio Concorso Internazionale Cortometraggi , e anche come Miglior Cortometraggio ad Alice nella città sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, Beauty è un cortometraggio diretto da Nicola Abbatangelo, ambientato nella Londra industriale della fine dell’800. Ma defininire Beauty un corto è riduttivo: è un vero e proprio musical, con canzoni composte a Los Angeles e suonate da un’orchestra di 40 elementi. Tutto è bianco e nero, i colori sono tenuti segreti al mondo intero dal loro stesso inventore, che li realizzò per tentare di salvare la moglie dalla malattia. Il cortometraggio cammina tra musical e fantasia, i colori simboleggiano la bellezza, la beauty per l’appunto, che rappresenta la speranza nel futuro, ma che non viene condivisa con il resto del mondo dal loro inventore, poiché lui stesso ha perso insieme alla moglie, la voglia di sparare. il rifiuto di procedere con la propria vita lo porta a ristagnare come il grigio da cui è circondato. L’assenza di colore è il riflesso di un uomo che ha smesso di lottare, condannando tutti a vivere in mondo bianco e nero. Il cortometraggio rappresenta perfettamente lo vita di una persona sofferente, e la cui sofferenza può essere alleviata solo da chi lo ama, in questo caso chi aiuta ad uscire da uno stato di intorpidimento sono i figli dello stesso inventore. Il tema è delicato quanto i problemi sociali che spesso non vengono presi in considerazione, annullando di conseguenza la bellezza da cui siamo circondati ogni giorno e che troppo spesso ignoriamo.
Film “Roma”- L’intensità con cui Cuaron torna alle proprie radici e racconta il Messico della sua infanzia di Lara Ferrara L’intensità con cui Cuaron torna alle proprie radici e racconta il Messico della sua infanzia, racchiusa in una narrazione visiva fluttuante. Una bolla di memorie in un bianco e nero che si mescola in ricordi nostalgici e denuncia sociale. Non ci sono negozi di sigari nella “Roma” di Alfonso Cuarón che dopo “Children of Men” e tutto lo spazio esterno in “Gravity”, attraversa una versione molto più quotidiana della realtà con questo splendido film. Girato in 65mm in bianco e nero, il film racconta la storia di una famiglia borghese di Città del Messico negli anni ’70, vista soprattutto dagli occhi della loro governante, Cleo (la dolcissima Yalitza Aparicio). Un film dove risplendono le immagini senza grandi effetti speciali, ma con un grande emozione e umanità. Ricamati su momenti di quotidianità. Ambientato nei primi anni Settanta, si apre con una lunga sequenza di Cleo che strofina il vialetto, l’acqua che riflette i getti che volano in alto rispecchiando il cielo. Come fosse un atto di purificazione. La storia s’intreccia in un modo organico, mai consapevole di sé.
“Roma” si riferisce al quartiere di Città del Messico dove il film è ambientato, un chiaro richiamo a Fellini. Il maestro italiano approverebbe sicuramente i momenti di festa del Capodanno in cui i ricchi proprietari terrieri bevono e cantano mentre i campesinos estinguono un incendio boschivo, o una scena in cui Cleo, la protagonista, si aggira per le strade fangose di un quartiere povero mentre, sullo sfondo c’é un raduno politico in atto. Il film “Roma”(che è stato concepito in un dialetto indigeno ,conosciuto come Mixteca) guarda lo spettatore con gli occhi espressivi di una dea incorniciati dall’impatto sonoro di un cinema a momenti silenzioso,che passa da una violenta protesta di strada a lunghe riprese di vie trafficate da gente in maschera… Dall’atmosfera surreale. Un film che mi ha fatto innamorare. Assolutamente da vedere.
Imparare il Fotoritocco con Photoshop In arrivo un Workshop pratico in cui Imparerai a sfruttare al meglio le potenzialità di cui dispone Adobe Photoshop, il programma di post-produzione più utilizzato al mondo e il suo più potente plug-in: Camera RAW. Una full immersion di 2 giorni in cui ti insegneremo a gestire al meglio il tuo flusso di lavoro, partendo dalle basi. Lavoreremo in maniera pratica sulle immagini: potrai seguire ciò che fa l’insegnante attraverso una proiezione, facendo pratica contemporaneamente sul tuo computer. COSA IMPARERAI: Ci concentreremo su tre grandi tipologie di immagini: il ritratto, il paesaggio e le immagini scattate ad iso alti, affrontando le diverse problematiche (il rumore, sovra/sottoesposizione, la correzione delle imperfezioni del volto, il trucco fotografico per la pelle). Inizieremo quindi a sviluppare l’immagine in Camera Raw, un plugin potentissimo dove si realizzano le correzioni più importanti, agendo direttamente sul file Raw. Passeremo poi a Photoshop, illustrando l’area di lavoro e la palette degli strumenti. Impareremo ad utilizzare i livelli di regolazione, le maschere e quegli strumenti indispensabili per il fotoritocco vero e proprio. Concluderemo il flusso di lavoro con le varie opzioni di salvataggio. Cosa portare: un computer portatile preferibilmente con l’ultima versione di Photoshop. Se necessario puoi scaricarla dal sito ufficiale Adobe a questo link: http://www.adobe.com/it/downloads/ . Durerà senza limitazioni per 30 giorni dal momento dell’installazione.
Carta e penna le forniamo noi QUANDO: 23 – 24 Marzo 2019 ORARI: 10:00 – 18:30 (pausa pranzo 13:30 – 14:30) DOVE: Officine K – Studio Fotografico Via Maffeo Pantaleoni 25/27 Frascati – 00044 (RM) COSTO: 150€ IVA INCLUSA E’ possibile prenotarsi versando un acconto di 50,00€. La quota restante verrà versata il giorno stesso del laboratorio, in caso di rinuncia l’acconto non verrà restituito. DOCENTE: Serena De Angelis https://www.facebook.com/serenadeangelis.fotografa/ PER INFO E PRENOTAZIONI: info@officinek.com – 328-9670287 www.officinek.com
Seconda serata per Cesare Cremonini al Palalottomatica di Roma Dopo il sold out di ieri sera il cantautore bolognese fa il bis al Palalottomatica di Roma. Le foto di Serena De Angelis.
Bohemian Rhapsody: l’epopea dei Queen al cinema di Marco Buffone Dal 29 Novembre, giorno dell’uscita nelle sale italiane, Bohemian Rhapsody, il film che narra le vicende di Freddie Mercury e dei Queen, dal 1970 al 1985, ha raggiunto i quasi 12 milioni di euro incassati. A livello mondiale, il film, uscito un mese prima, si avvia deciso a sfondare i 700 milioni di dollari con gli Stati Uniti a fare la parte del leone con 150 milioni di dollari. Dato notevole e non poco sorprendente considerando il rapporto non sempre facile del gruppo con il pubblico d’oltreoceano. Ad oggi il lungometraggio fa registrare il maggiore incasso nella storia per un Biopic musicale. Fortemente voluto da Brian May e Roger Taylor, i superstiti della band originale, la pellicola ha avuto una genesi lunga e travagliata, segnata prima dalla rinuncia al ruolo di protagonista di Sacha Baron Cohen e successivamente dall’abbandono durate le riprese del regista Brian Singer, sostituito nel finale da Dexter Flechter. Protagonista assoluto l’attore di origini egiziane Rami Malek nei panni del cantante, affiancato dagli altri “Queen” Gwilym Lee (Brian May), Ben Hardy (Roger Taylor) e Joe Mazzello (Jhon Deacon). Dopo una rapida incursione dietro le quinte del live Aid, la pellicola ci proietta nella Londra dei primi anni settanta, dove un giovane Farrokh Bulsara (questo il vero nome di Mercury) impacciato e dentone, lavora come scaricatore all’aeroporto di Heathrow, cullando il sogno di diventare una star. Tra contrasti appena accennati con il padre, rigoroso tradizionalista di origine parsi e l’incontro con quelli che diventeranno i membri della sua band, la pellicola ci propone un Mercury che, accompagnato da Mary Austin, una deliziosa
Lucy Boynton, prima fidanzata e amante, e successivamente amica di una vita, si dibatte fra la scoperta della sua identità sessuale e la folgorante carriera di musicista, che avrà il suo epilogo nella scoperta della malattia e nel grande concerto del Live Aid. Se ambientazioni e costumi sono di pregevole fattura è la sceneggiatura a lasciare perplessi. Il film scivola via senza guizzi e in maniera scolastica, i dialoghi sono spesso banali e i conflitti in studio tra musicisti sembrano più battibecchi isterici da casalinghe disperate che gli accesi contrasti di una rock band che ha fatto la storia della musica. A dare sostanza ad una costruzione piuttosto debole è sicuramente la colonna sonora ottimamente remixata. Si inizia da una squillante Somebody to Love per passare attraverso molti degli immortali successi della band. Il film sembra decollare nelle scene della lavorazione di Bohemian Rhapsody (la canzone in questo caso) e di tutto l’album “A Night At The Opera”, manifesto e capolavoro dell’intera produzione della Regina. Si va dai problemi con la casa discografica per l’eccessiva lunghezza del singolo, a tal proposito riuscitissimo l’ironico cameo di Mike Myers, omaggio al film “Fusi di testa”, alla registrazione del brano, con uno nevrastenico Taylor ad incidere gli acuti più alti della sezione operistica sollecitato da Freddie che vuole sempre un “Galileo” in più. Di grande impatto, non solo audio ma anche visivo, le ricostruzioni dei tour americani, con i look fiammeggianti sfoggiati nelle esibizioni e una regia dinamica e frizzante grazie alla quale nella riproposizione degli spettacoli, i quattro attori ricordano con feroce realismo le infuocate performance live. Subito dopo però, il copione torna apatico, quasi sospeso, con il protagonista stretto fra conflittuali patimenti nella scoperta dei suoi gusti sessuali e le divisioni sempre maggiori con il resto del gruppo, poco incline ad assecondare l’umore festaiolo del loro frontman e i suoi progetti solisti. Apprezzabile ma non del tutto riuscito il tentativo di Malek di dar corpo ad un così difficile
personaggio, tra i più complessi dell’intera storia del Rock e della musica in generale. L’interpretazione risulta sempre in precario equilibrio tra una caricatura stereotipata che non cattura in pieno l’essenza ed il talento di Mercury e un’imitazione a volte eccessivamente meccanica. Se la cava un po’ meglio, quando si esplora l’aspetto intimo del cantante, libero da cliche’e quindi meno esposto a paragoni con l’immagine pubblica. Stupisce però, in tutta franchezza, la sua candidatura come migliore attore ai Golden Globe. La pellicola, in generale, restituisce al pubblico un’idea soltanto parziale e a volte vaga dell’epopea dei Queen, e non riesce ad esprimerne a pieno la grandezza e l’enorme spessore artistico. Con un Roger Taylor raffigurato più come un grezzo e rissoso teenager che come uno dei migliori batteristi e compositori della sua generazione. Quasi del tutto oscurata, o nel migliore dei casi ridotta a bizzarra macchietta, la figura di John Deacon, in realtà, per tutta la sua permanenza, elemento di equilibrio all’interno del gruppo, bassista antidivo, eccellente strumentista e prolifico autore di linee di basso leggendarie. Il più convincente risulta essere sicuramente un sorprendente Gwilym Lee, che oltre all’impressionante somiglianza fisica col chitarrista Brian May ne tratteggia espressioni e posture in maniera credibile e mai esagerata. Se il film, giocando sul grande impatto emotivo del ricordo di un artista amatissimo e mai troppo compianto, può essere
apprezzato da un pubblico trasversale o che ha avuto un approccio superficiale alla musica dei Queen, i fans di vecchia data non possono non storcere il naso dinanzi alle numerosissime omissioni e discrepanze spazio/temporali con cui vengono trattate vicende fondamentali e alla banalizzazione di una storia che viene depotenziata per piegarsi in maniera eccessiva ai tempi della trasposizione cinematografica. Si passa in maniera troppo frettolosa attraverso le prime vicissitudini e si tende a sorvolare su molti episodi che avrebbero meritato un maggiore approfondimento: dalla Queenmania in Giappone alla storica tournée Argentina del 1981, appena un soffio prima della guerra delle Falkland, dalla collaborazione con Bowie, all’incontro scontro con Sid Vicious dei Sex Pistols fino alla controversa apparizione nel 1984 in Sud Africa, all’epoca ancora impantanata nell’apartheid, che coinvolse i Queen in un vortice di polemiche mai del tutto sopite, neanche con la successiva amicizia con Nelson Mandela. Passa pressoché inosservato anche il cambio di look di Mercury, dalla chioma lussureggiante in stile glamour decadente al baffo iconoclasta tanto in voga nella controcultura gay per tutti gli anni ottanta (Malek baffuto a dire il vero ricorda più Rovazzi) e che nel caso dei Queen segnò non soltanto un semplice cambio di immagine, ma coincise con un approccio del tutto differente alle sonorità del nuovo decennio, con l’abbandono dei pomposi arrangiamenti degli anni settanta e l’abbraccio dei sintetizzatori a favore di un timbro più semplice ed immediato. Una mini rivoluzione già iniziata in epoca post Punk e che sarebbe successivamente sfociata in un pop più commerciale ma sempre di altissima qualità, a sottolineare la grande abilità dei quattro nel maneggiare svariati generi senza perdere un briciolo di classe. Il tema della malattia, in un ennesimo stravolgimento cronologico, viene analizzato in modo molto delicato, forse anche troppo, probabilmente per volere di Taylor e May, e sembra più che altro il pretesto per giungere al gran finale. Il momento culminante arriva con il Live Aid, il megaconcerto benefico voluto da Bob Geldof con la partecipazione del Gotha
della musica mondiale per raccogliere fondi in favore dell’Africa, è sicuramente il momento più coinvolgente e riuscito dell’intera produzione. Da solo probabilmente vale il prezzo del biglietto. Quel giorno i Queen, nella loro massima espressione dal vivo, misero all’angolo e oscurarono tutte le altre stelle presenti a Londra e Philadelphia, da Bowie a Elton John, da Mick Jagger e Dylan, passando per i Led Zeppelin, Dire Straits, gli allora emergenti U2 e una infinità di nomi eccellenti. Dopo l’inizio soft, con le mani di Freddie/Malek che danzano sul piano per la intro di Bohemian Rhapsody, la musica tuona dal Dolby Sorround e sgorga torrenziale fra Radio ga ga, Hammer To Fall, le elettriche svisate di May e il braccio al cielo di un Mercury troneggiante sulla folla, dopo una trascinante We are the Champions, che riscatta sul palco tutte le incertezze di una vita vissuta al massimo ma sempre con un retrogusto di malinconica solitudine. Malek e company replicano in carta carbone ogni passo, ogni azione ed espressione, ogni mossa plastica di quella straordinaria esibizione. La sala si scuote, qualcuno addirittura si alza in piedi come in un vero e proprio live, gli altri restano seduti al loro posto, ma si percepisce la fatica di resistere aggrappati al seggiolino con l’anima che vibra e la pelle invasa da note eterne e da quella voce che ti colpisce come un cazzotto allo stomaco. Si ha davvero, anche per un solo attimo, la sensazione di essere tra il pubblico adorante in quel caldo Luglio del 1985 a Wembley. Moltissimi hanno gli occhi gonfi di lacrime, praticamente tutti restano fino alla fine dei titoli di coda affidati a Don’t stop me now. Forse si poteva fare di più, si poteva fare meglio, una cosa però è certa, la Regina siede ancora saldamente sul trono.
Calcutta live a Roma a febbraio 2019 E’ stato un vero e proprio bagno di folla quello che ha salutato il ritorno live di Calcutta, il 21 luglio scorso nella sua Latina. Un grande abbraccio di oltre 15.000 persone accorse allo Stadio Francioni con le mani al cielo e il “cuore a mille”. Solo chi ha avuto la possibilità di vederlo in azione durante un concerto ha potuto testare con i propri occhi il magnetismo di questo musicista che ha raccolto consensi unanimi tra le platee di tutta Italia. Dopo i due esclusivi live estivi, Calcutta in inverno partirà per un tour che toccherà diversi palazzetti. Le date: 17 gennaio Ancona, Palaprometeo 19 gennaio Padova, Kioene Arena – SPOSTATO ALL’AREA SPETTACOLI PADOVA FIERE 20 e 21 gennaio Assago (Mi), Mediolanum Forum 23 gennaio Bologna, Unipol Arena 25 gennaio Bari, Palaflorio 26 gennaio Napoli, Palapartenope 5 e 6 febbraio Roma, Palalottomatica 9 febbraio Acireale (Ct), Palasport Attenzione! La disponibilità dei biglietti è limitata. A due anni e mezzo dal precedente Mainstream, lavoro che ha sparigliato generi, appartenenze e definizioni, il 25 maggio è uscito di Evergreen, il nuovo attesissimo disco di Calcutta, balzato direttamente al primo posto della classifica Fimi. Anticipato dai tre singoli Orgasmo, Pesto e Paracetamolo, che si sono fatti largo nelle chart, nelle radio e nei cuori di migliaia di persone, il cantautore di Latina è tornato con un
album di dieci brani destinati a lasciare nuovamente il segno nella musica pop italiana. Biglietti: DNA CONCERTI Info: BOMBA DISCHI Prima nazionale al Teatro Tor Bella Monaca il 12 e 13 dicembre per lezioni di burlesque. The Secret Show, regia di Francesco Branchetti Lara Ferrara Prima nazionale al Teatro Tor Bella Monaca il 12 e 13 dicembre per LEZIONI DI BURLESQUE. THE SECRET SHOW, con Giulia Di Quilio e Ilaria Mencaroni, drammaturgia Valdo Gamberutti, regia di Francesco Branchetti, musiche di Pino Cangialosi. “L’unica regola è che non ci sono regole”. L’arte del Burlesque è tutta qui, in questo assioma sgusciante.
il regista, attore -Francesco Branchetti Difficile spiegarla, teorizzarla, eleggerla a stile codificato o a “genere” preciso. Nel gioco erotico dello svelamento dei corpi femminili che il Burlesque continua a portare in scena, può esserci davvero tutto e il suo contrario: il gusto del grottesco e l’estrema raffinatezza, la parodia e la seduzione esplicita, l’ammiccamento pesante e una rarefatta leggerezza. Lezioni di Burlesque the secret show non ha la reale pretesa di insegnare nulla ma solo l’intenzione di reinventare teatralmente un linguaggio che fa storia a sé, inafferrabile e, proprio per questo, eternamente intrigante.
È uno “spettacolo segreto” intessuto di suggestioni visive e frammenti poetici, sospeso tra il gioco simbolico e il desiderio di raccontare in maniera inconsueta un “mondo” ancora sconosciuto ai più. Nel corso di un rituale dal sapore underground e quasi clandestino, le diverse tessere del mosaico prenderanno posto, mescolando la rievocazione “emotiva” degli immancabili, iconici, feticci estetici (i guanti, le calze, i ventagli di piume) ad una serie di “ritratti” in azione di grandi Dive del passato. Interprete di cinema e teatro e, parallelamente, vedette del Burlesque con il suo alter ego Vesper Julie, la Di Quilio accetta una sfida che è la sintesi compiuta del proprio percorso artistico:dare corpo e voce a figure femminili diverse, sfaccettate e complesse, spesso opposte tra loro, per provare (come ogni donna cerca di fare ogni giorno) a trovare finalmente se stessa. foto di Alberto Guerri. Regia, interpretazione e drammaturgia creano uno spettacolo sul Burlesque ma soprattutto sulla donna e le sue prismatiche sfaccettature, uno spettacolo pieno di senso del mistero del femminile, di seduzione nel senso più profondo del termine e di raffinato erotismo. Le musiche, daranno un
apporto fondamentale a questo viaggio nel mondo femminile. Teatro Tor Bella Monaca Prenotazioni: tel 06 2010579 Botteghino: feriali ore 18-21.30, festivi ore 15-18.30 Ufficio promozione: ore 10-13.30 e 14.30-19
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