Ma come si celebra il Natale in tutto il mondo? Auguri dalla redazione di Italia Magazine - Itali@ Magazine

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Ma come si celebra il Natale in tutto il mondo? Auguri dalla redazione di Italia Magazine - Itali@ Magazine
Ma come si celebra il Natale
in tutto il mondo? Auguri
dalla redazione di Italia
Magazine
di Lara Ferrara

Le origini del Natale risalgono ad antiche celebrazioni
pagane, come Deus Sol Invictu s (25 dicembre), alle calende
(01-05 Gennaio), e Saturnalia (17-23 dicembre).

Ma come si celebra il Natale in tutto il mondo? Alcune
curiosità.

Molto prima che ci fossero gli alberi di Natale, i pagani
riverivano i sempreverdi come simboli di vita eterna e
rinascita.
Ad esempio il vischio era ritenuto sacro dai norvegesi, dai
druidi celtici e dagli indiani nativi americani, perché rimane
verde e produce frutti durante l’inverno, quando altre piante
sembrano morire. I druidi pensavano che la pianta avesse il
potere di curare l’infertilità e le malattie nervose oltre
scongiurare il male.

A causa delle loro associazioni pagane, l’agrifoglio, l’edera
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e altri rami sempreverdi ,usati convenzionalmente per la
decorazione della casa, furono banditi dal Concilio cristiano
di Braga del VI secolo.
Fu Papa Giulio I , vescovo di Roma, a proclamare il 25
dicembre il giorno della celebrazione ufficiale per il
compleanno di Gesù nel 350 d.C.

Mentre la città di Riga, in Lettonia , rivendica il titolo di
primo albero di Natale decorato della storia e risale al 1510.

Il festival di metà inverno di Yule (21 dicembre) è stato
celebrato dai popoli germanici almeno dal IV secolo. Yule, che
è anche chiamato Solstizio d’Inverno, è la notte più lunga
dell’anno ed è il momento della massima oscurità.

Alcuni studiosi ritengono che la parola yule significhi
“rivoluzione” o “ruota” e che simboleggi il ritorno ciclico
del sole. Re Haakon I di Norvegia rinviò la data dello Yule in
coincidenza con le celebrazioni cristiane.

Secondo gli antichi racconti popolari inglesi, il Diavolo morì
quando nacque Gesù. Così alcune città svilupparono la
tradizione di suonare le campane della chiesa vicino a
mezzanotte per annunciare la fine del diavolo. In Inghilterra
questa usanza era chiamata “l’inferno del diavolo”.
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La Scozia ha storicamente fatto l’affare migliore, quello di
celebrare Hogmanay (l’ultimo giorno dell’anno, ovvero la notte
di Capodanno).
Di fatti, quest’ultima vacanza fu bandita dal parlamento del
paese per più di 300 anni, e fu resa legale solo nel 1958. Il
Grinch che scortò la Scozia fuori dal Natale fu il ministro
del 16 ° secolo John Knox, leader della Riforma e fondatore
del Chiesa presbiteriana scozzese. Credeva che i cristiani
dovessero celebrare solo le festività menzionate nella Bibbia.
Quindi il Natale fu fortemente scoraggiato a partire dal 1583
e ufficialmente proibito dalla legge nel 1640. Lo sapevate?
Il Natale alle Hawaii è un affare decisamente tropicale. Gli
abitanti locali importano abeti e pini dalla terraferma degli
Stati Uniti. Altri sono più creativi e decorano palme con luci
e ornamenti mentre usano canoe e delfini come slitte e renne.

Nelle Isole Marshall le persone si preparano per i mesi di
Natale in anticipo, accumulando regali e dividendosi in jeptas
, o squadre, che organizzano gare di canzoni e balli per il
giorno di Natale.

In Argentina , le usanze natalizie sono una miscela di
tradizioni americane, europee e ispaniche. I festeggiamenti
includono tipicamente gli stivali di Babbo Natale, i fiori
rossi e bianchi e il mettere cotone sugli alberi di Natale per
simulare la neve. Ma la maggior parte delle riunioni di
famiglia si svolgono la vigilia di Natale, con grandi feste,
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regali scambiati a mezzanotte e bambini che vanno a dormire al
suono dei fuochi d’artificio.

In Perù, il 24 dicembre, che è conosciuta come La Noche Buena
(“La buona notte”), è il giorno principale delle celebrazioni.
Dopo la messa, le famiglie tornano a casa per festeggiare,
aprire regali e brindare a mezzanotte. Le decorazioni più
importanti sono pesebre ovvero presepi intricati in legno o
pietra. I regali sono sparsi attorno alla mangiatoia piuttosto
che ad un albero, ed è considerato fortunato essere quello
scelto per mettere la figurina del piccolo Gesù nella
mangiatoia alla vigilia di Natale.

E con queste piccole curiosità tutta la redazione di Italia
Magazine Vi augura buone feste… Qualunque sia il vostro mood.

All’Eliseo     “Miseria    e
nobiltà” con Lello Arena per
la    regia    di    Luciano
Melchionna
di Lara Ferrara

Continua la performance dell’attore napoletano Lello
Arena,esponente della comicità partenopea, in “Miseria e
nobiltà”. Prima nazionale al Teatro Eliseo di Roma dal 27
dicembre al 20 gennaio.

La sfida è recuperare il messaggio universale di Scarpetta che
il 27 dicembre vestirà i panni di Felice Sciosciammocca,
perfetto erede di quella maschera tra le maschere che
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appartenne ad Eduardo Scarpetta e ai suoi epigoni.

Con Arena saranno in scena anche Tonino Taiuti (Gaetano
Semmolone) Marika De Chiara e Sara Esposito (Gemma e Luigino)
Fabio Rossi (Marchese Ottavio Favetti) Raffaele Ausiello
(Eugenio Favetti) Andrea de Goyzueta (Pasquale) Giorgia
Trasselli (Concetta) Maria Bolignano (Luisella) Carla Ferraro
(Bettina) Serena Pisa (Pupella) Fabrizio Vona (Giacchino
Castiello) Fabrizio Vona (Vicienzo) Veronica D’Elia
(Peppeniello) Biase (voce fuori campo).

Lo spettacolo è una produzione Teatro Eliseo e Ente Teatro
Cronaca Vesuvioteatro in collaborazione con Tunnel Produzioni.
Le scene sono di Roberto Crea, i costumi di Milla, le musiche
di Stag, firma la regia Luciano Melchionna (assistente Ciro
Pauciullo).

Breve nota del regista;

Ombre si dice siano, queste maschere, ombre potenti
Miseria e nobiltà.
Miseria o nobiltà?

“Una cosa è certa, l’una non esisterebbe senza l’altra, così
come il palazzo signorile, affrescato e assolato, non starebbe
in piedi senza le sue fondamenta buie, umide e scrostate. Un
perfetto ecosistema: senza un solo elemento, crolla l’intera
‘architettura’. In uno scantinato/discarica, mai finito e mai
decorato, dove si nascondono istinti e rifiuti, tra le ceneri
della miseria proliferano e lottano per la sopravvivenza
‘ratti’ che presto, travestiti da ‘cani o gatti’, sgomiteranno
per salire alla luce del sole. Sono personaggi che trascinano
i propri corpi come fantasmi affamati di cibo e di vita.
‘Ombre si dice siano, queste maschere, ombre potenti’ in
bilico tra la miseria del presente e la nobiltà della
tradizione, intesa come monito di qualità e giusto equilibrio.
In un pianeta dove i ricchi sono sempre più ricchi, grazie ai
poveri che sono sempre più poveri, non ci resta che… ridere. E
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qui Lello Arena giunge perfetto erede di quella maschera tra
le maschere che appartenne a Eduardo e ai suoi epigoni. Ancora
oggi, tra commedia dell’arte e tragicomica attualità, i
personaggi di Scarpetta, privi di approfondimento psicologico,
vivono e scatenano il buonumore e le mille possibili
riflessioni che l’affresco satirico di un’intera umanità può
suggerire.
Un’opera comica, dunque, per anime compatibili con la risata,
in attesa del miracolo. ‘E cos’è il teatro se non il luogo
dove il miracolo può manifestarsi?’
Tutto vive di nuovo e chissà che il sogno presto diventi
realtà. Intanto, signore e signori, godiamoci le gesta goffe
ed esilaranti di chi inciampa tra ‘miseria e…miseria’.

Luciano Melchionna

Tutte le informazioni:

DAL 27 / 12 /2018 AL 20 / 01 / 2019

MISERIA E NOBILTÀ
di Eduardo Scarpetta
con LELLO ARENA
regia LUCIANO MELCHIONNA

ORARIO:
martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00
mercoledì e domenica ore 17.00
Primo sabato: 16.00 e 20.00

Teatro Eliseo
VIA NAZIONALE, 183
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00184 Roma
+39 3756120035 // 3756120036 // 0683510216
biglietteria@teatroeliseo.com

Teatro Eliseo

Roma Fringe Festival dal 7 al
27 gennaio 2019 – Mattatoio
Zona La Pelanda, Testaccio –
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Roma
di Lara Ferrara

Al via la settima edizione del Roma Fringe Festival ospitato
negli spazi del Mattatoio – La Pelanda in un’inedita versione
invernale che vedrà confermata la mission e la storica formula
che l’aveva fatto apprezzare a un vasto pubblico.

Molte le novità introdotte quest’anno. La prima è la data,
7-28 gennaio, vale a dire in pieno inverno. Questa è la sfida,
che rappresenta un modo per puntare l’attenzione sul teatro e
sulla proposta di nuova drammaturgia che è l’essenza stessa
del fringe, svincolando questo evento da una collocazione
estiva che rischiava di assorbirlo nella più generale e
ricchissima proposta di intrattenimento estivo della Capitale.
Il teatro prima di tutto e, in particolare, il teatro
indipendente.

La seconda è indipendente perché ,in questa edizione, partendo
da questo concetto hanno creato grazie all’adesione di 14
teatri in tutta Italia, a partire dal prestigioso Teatro
Vascello di Roma, un circuito chiamato Zona Indipendente. Una
rete di 14 teatri che ospiteranno nella stagione 2019/2020 lo
spettacolo vincitore del Roma Fringe Festival 2019. Questo,
insieme alla possibilità di partecipare a uno dei fringe
mondiali, è un premio, che al di là di riconoscimenti o titoli
(che sono pur sempre prestigiosi e importanti) rappresenta in
concreto una seria opportunità per l’artista o la compagnia
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vincitrice di far conoscere il proprio lavoro.

Da quest’anno, cambia anche la location. Il Roma Fringe
Festival si trasferisce nei locali de La Pelanda, nel
complesso del Mattatoio, nel cuore del quartiere di Testaccio
che, con il suo fermento e la sua vitalità, crediamo si presti
bene ad accogliere un festival come il Fringe. Per la finale,
poi, appuntamento, al Teatro Vascello, un Teatro storico della
Capitale. Accanto alle esibizioni delle compagnie e dei
singoli artisti, ci saranno poi una serie di appuntamenti, sia
all’interno de La Pelanda che al Macro Asilo, che offriranno
al nostro pubblico un’offerta culturale ancora più ampia.

Un ringraziamento a chi, negli scorsi anni, ha lavorato per
costruire un festival che, piano piano, ha conquistato
l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori diventando
una realtà solida nel panorama teatrale italiano. In
particolare ringrazio Davide Ambrogi che, sei anni fa, ha
avuto l’intuizione di portare il Fringe, conosciuto e
frequentato in tutto il mondo, in Italia. Raccolgo il suo
testimone con orgoglio e con la certezza di poter dare il mio
contributo per continuare a farlo crescere in vitalità e
prestigio. Direttore Artistico, Fabio Galadini

DUE NOTE SULLA STORIA DEL ROMA FRINGE FESTIVAL

Il Fringe è il più importante festival mondiale di spettacolo
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dal vivo. Un evento che si replica in ogni capitale culturale
del mondo.

Nato nel 1947 a Edimburgo (UK), conta oggi circa 240 festival
annuali, dall’Australia agli Stati Uniti, dall’Asia alla
nostra Europa.

Per capire che cos’è il Fringe e cosa rappresenta per il
settore delle arti sceniche basta dare un’occhiata ai numeri:
ogni anno, 19 milioni di persone in tutto il mondo vedono 170
mila artisti replicare 79 mila spettacoli.

Una vera e propria fucina di talenti, ma non solo. Sono
moltissimi, infatti, gli attori affermati che vogliono provare
l’ebbrezza e l’emozione di un contatto diretto con un pubblico
schietto e verace. All’estero, negli oltre 60 anni di vita, il
Fringe è stato scelto come palco da attori del calibro di Ewan
McGregor, Hugh Jackman, Tim Roth e Hugh Grant.

Il Fringe arriva a Roma nel 2012, patrocinato dalla World
Fringe Society, grazie all’impegno e alla direzione artistica
di Davide Ambrogi. Fin dal primo anno si colloca come vera e
propria festa del teatro, coinvolgendo un vasto pubblico non
sempre avvezzo al teatro, in un gioco di premi e arte.

La caratteristica del Roma Fringe Festival nei suoi primi anni
romani è, infatti, quella di portare il teatro e la nuova
drammaturgia all’attenzione di un pubblico variegato, un
pubblico solitamente lontano dai teatri, mettendo così in
gioco le compagnie provenienti da tutta Italia, Europa e a
volte anche USA con un pubblico “vero” e “verace”.

Grazie a Roma Fringe Festival, dal 2012 al 2014, nasce a Roma
il Parco del Teatro, a Villa Mercede, poi spostato nel 2015
nei Giardini di Castel Sant’Angelo, per poi tornare a San
Lorenzo nel 2017.

Oggi rappresenta un punto di riferimento per tutti gli artisti
indipendenti che ambiscono a una platea internazionale.
A testimoniare l’attenzione che il Roma Fringe Festival riceve
da parte del pubblico e di tutto il settore delle arti
sceniche, le numerose richieste di partecipazione che ogni
anno aumentano in modo esponenziale.

Nel 2017 sono state 350 le compagnie che si sono iscritte alla
selezione per un cartellone che prevedeva 40 spettacoli.

Fra le ragioni di questo successo, il pubblico folto e genuino
composto da turisti, addetti ai lavori e non, le location
prestigiose (Villa Ada, Castel Sant’Angelo, Villa Mercede e,
quest’anno, La pelanda), ma soprattutto la possibilità, grazie
alla partnership con World Fringe Network, di accedere a una
vetrina internazionale.

Diversi sono stati negli anni scorsi i vincitori del Roma
Fringe Festival che hanno ottenuto premi e riconoscimenti nel
mondo. I vincitori del Roma Fringe 2013, 2014 e 2016 hanno
trionfato come miglior spettacolo al San Diego Fringe 2014,
2015 e 2018. I vincitori dell’edizione del 2012 sono stati
menzionati dal New York Times partecipando l’anno successivo,
grazie al Roma Fringe, al New York City Fringe Festival. Lo
spettacolo vincitore dell’edizione 2015 è stato considerato
dalla critica il miglior spettacolo della stagione teatrale
italiana. Mentre i vincitori dell’edizione 2017 debutteranno
al Sidney Fringe nel 2019.

Beauty:                 piccolo                 grande
musical!
di Alessia Gregoletto

Presentato all’edizione 2018 del Giffoni Film festival,
vincitore del premio Concorso Internazionale Cortometraggi
,    e anche come Miglior Cortometraggio ad Alice nella
città sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di
Roma, Beauty è un cortometraggio diretto da Nicola
Abbatangelo, ambientato nella Londra industriale della fine
dell’800.

Ma defininire Beauty un corto è riduttivo: è un vero e proprio
musical, con canzoni composte a Los Angeles e suonate da
un’orchestra di 40 elementi.

Tutto è bianco e nero, i colori sono tenuti segreti al mondo
intero dal loro stesso inventore, che li realizzò per tentare
di salvare la moglie dalla malattia. Il cortometraggio cammina
tra musical e fantasia, i colori simboleggiano la bellezza, la
beauty per l’appunto, che rappresenta la speranza nel futuro,
ma che non viene condivisa con il resto del mondo dal loro
inventore, poiché lui stesso ha perso insieme alla moglie, la
voglia di sparare. il rifiuto di procedere con la propria vita
lo porta a ristagnare come il grigio da cui è circondato.

L’assenza di colore   è il riflesso di un uomo che ha smesso di
lottare, condannando tutti a vivere in mondo bianco e nero. Il
cortometraggio rappresenta perfettamente lo vita di una
persona sofferente, e la cui sofferenza può essere alleviata
solo da chi lo ama, in questo caso chi aiuta ad uscire da
uno stato di intorpidimento sono i figli dello stesso
inventore.

Il tema è delicato quanto i problemi sociali che spesso non
vengono presi in considerazione, annullando di conseguenza la
bellezza da cui siamo circondati ogni giorno e che troppo
spesso ignoriamo.
Film “Roma”- L’intensità con
cui Cuaron torna alle proprie
radici e racconta il Messico
della sua infanzia
di Lara Ferrara

L’intensità con cui Cuaron torna alle proprie radici e
racconta il Messico della sua infanzia, racchiusa in una
narrazione visiva fluttuante. Una bolla di memorie in un
bianco e nero che si mescola in ricordi nostalgici e denuncia
sociale.

Non ci sono negozi di sigari nella “Roma” di Alfonso Cuarón
che dopo “Children of Men” e tutto lo spazio esterno in
“Gravity”, attraversa una versione molto più quotidiana della
realtà con questo splendido film.
Girato in 65mm in bianco e nero, il film racconta la storia di
una famiglia borghese di Città del Messico negli anni ’70,
vista soprattutto dagli occhi della loro governante, Cleo (la
dolcissima Yalitza Aparicio).

Un film dove risplendono le immagini senza grandi effetti
speciali, ma con un grande emozione e umanità. Ricamati su
momenti di quotidianità.
Ambientato nei primi anni Settanta, si apre con una lunga
sequenza di Cleo che strofina il vialetto, l’acqua che
riflette i getti che volano in alto rispecchiando il cielo.
Come fosse un atto di purificazione.
La storia s’intreccia in un modo organico, mai consapevole di
sé.
“Roma” si riferisce al quartiere di Città del Messico dove il
film è ambientato, un chiaro richiamo a Fellini. Il maestro
italiano approverebbe sicuramente i momenti di festa del
Capodanno in cui i ricchi proprietari terrieri bevono e
cantano mentre i campesinos estinguono un incendio boschivo, o
una scena in cui Cleo, la protagonista, si aggira per le
strade fangose di un quartiere povero mentre, sullo sfondo c’é
un raduno politico in atto.

Il film “Roma”(che è stato concepito in un dialetto indigeno
,conosciuto come Mixteca) guarda lo spettatore con gli occhi
espressivi di una dea incorniciati dall’impatto sonoro di un
cinema a momenti silenzioso,che passa da una violenta protesta
di strada a lunghe riprese di vie trafficate da gente in
maschera… Dall’atmosfera surreale.

Un film che mi ha fatto innamorare. Assolutamente da vedere.
Imparare il Fotoritocco con
Photoshop
In arrivo un Workshop pratico in cui Imparerai a sfruttare al
  meglio le potenzialità di cui dispone Adobe Photoshop, il
programma di post-produzione più utilizzato al mondo e il suo
               più potente plug-in: Camera RAW.
Una full immersion di 2 giorni in cui ti insegneremo a gestire
   al meglio il tuo flusso di lavoro, partendo dalle basi.
 Lavoreremo in maniera pratica sulle immagini: potrai seguire
  ciò che fa l’insegnante attraverso una proiezione, facendo
         pratica contemporaneamente sul tuo computer.

COSA IMPARERAI:
Ci concentreremo su tre grandi tipologie di immagini: il
ritratto, il paesaggio e le immagini scattate ad iso alti,
affrontando le diverse problematiche (il rumore,
sovra/sottoesposizione, la correzione delle imperfezioni del
volto, il trucco fotografico per la pelle). Inizieremo quindi
a sviluppare l’immagine in Camera Raw, un plugin potentissimo
dove si realizzano le correzioni più importanti, agendo
direttamente sul file Raw. Passeremo poi a Photoshop,
illustrando l’area di lavoro e la palette degli strumenti.
Impareremo ad utilizzare i livelli di regolazione, le maschere
e quegli strumenti indispensabili per il fotoritocco vero e
proprio. Concluderemo il flusso di lavoro con le varie opzioni
di salvataggio.

Cosa portare: un computer portatile preferibilmente con
l’ultima versione di Photoshop. Se necessario puoi scaricarla
dal      sito      ufficiale        Adobe      a      questo
link: http://www.adobe.com/it/downloads/ . Durerà senza
limitazioni per 30 giorni dal momento dell’installazione.
Carta e penna le forniamo noi

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      ORARI: 10:00 – 18:30 (pausa pranzo 13:30 – 14:30)
            DOVE: Officine K – Studio Fotografico
      Via Maffeo Pantaleoni 25/27 Frascati – 00044 (RM)

COSTO:
150€ IVA INCLUSA
E’ possibile prenotarsi versando un acconto di 50,00€.
La quota restante verrà versata il giorno stesso del
laboratorio, in caso di rinuncia l’acconto non verrà
restituito.

DOCENTE:
Serena                                                        De
Angelis https://www.facebook.com/serenadeangelis.fotografa/

PER INFO E PRENOTAZIONI:
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Seconda serata per Cesare
Cremonini al Palalottomatica
di Roma
Dopo il sold out di ieri sera il cantautore bolognese fa il
bis al Palalottomatica di Roma.
Le foto di Serena De Angelis.
Bohemian Rhapsody: l’epopea
dei Queen al cinema
di Marco Buffone

Dal 29 Novembre, giorno dell’uscita nelle sale italiane,
Bohemian Rhapsody, il film che narra le vicende di Freddie
Mercury e dei Queen, dal 1970 al 1985,    ha raggiunto i quasi
 12 milioni di euro incassati. A livello mondiale, il film,
uscito un mese prima, si avvia deciso a sfondare i 700 milioni
di dollari con gli Stati Uniti a fare la parte del leone con
150 milioni di dollari. Dato notevole e non poco sorprendente
considerando il rapporto non sempre facile del gruppo con il
pubblico d’oltreoceano.      Ad oggi il lungometraggio fa
registrare il maggiore incasso nella storia per un Biopic
musicale.

Fortemente voluto da Brian May e Roger Taylor, i superstiti
della band originale, la pellicola ha avuto una genesi lunga e
travagliata, segnata prima dalla rinuncia al ruolo di
protagonista di Sacha Baron Cohen e successivamente
dall’abbandono durate le riprese del regista Brian Singer,
sostituito nel finale da Dexter Flechter. Protagonista
assoluto l’attore di origini egiziane Rami Malek nei panni del
cantante, affiancato dagli altri “Queen” Gwilym Lee (Brian
May), Ben Hardy (Roger Taylor) e Joe Mazzello (Jhon Deacon).

Dopo una rapida incursione dietro le quinte del live Aid, la
pellicola ci proietta nella Londra dei primi anni settanta,
dove un giovane Farrokh Bulsara (questo il vero nome di
Mercury) impacciato e dentone, lavora come scaricatore
all’aeroporto di Heathrow, cullando il sogno di diventare una
star. Tra contrasti appena accennati con il padre, rigoroso
tradizionalista di origine parsi e l’incontro con quelli che
diventeranno i membri della sua band, la pellicola ci propone
un Mercury che, accompagnato da Mary Austin, una deliziosa
Lucy Boynton, prima fidanzata e amante, e successivamente
amica di una vita, si dibatte      fra la scoperta della sua
identità sessuale e la folgorante carriera di musicista, che
avrà il suo epilogo nella scoperta della malattia e nel grande
concerto del Live Aid. Se ambientazioni e costumi sono di
pregevole fattura è la sceneggiatura a lasciare perplessi. Il
film scivola via senza guizzi e in maniera scolastica, i
dialoghi sono spesso banali e i conflitti in studio tra
musicisti sembrano più battibecchi isterici da casalinghe
disperate che gli accesi contrasti di una rock band che ha
fatto la storia della musica. A dare sostanza ad una
costruzione piuttosto debole è sicuramente la colonna sonora
ottimamente remixata. Si inizia da una squillante Somebody to
Love per passare attraverso molti degli immortali successi
della band. Il film sembra decollare nelle scene della
lavorazione di Bohemian Rhapsody (la canzone in questo caso) e
di tutto l’album “A Night At The Opera”, manifesto e
 capolavoro dell’intera produzione della Regina.

Si va dai problemi con la casa discografica per l’eccessiva
lunghezza del singolo, a tal proposito riuscitissimo l’ironico
cameo di Mike Myers, omaggio al film “Fusi di testa”, alla
registrazione del brano, con uno nevrastenico Taylor ad
incidere gli acuti più alti della sezione    operistica
sollecitato da Freddie che vuole sempre un “Galileo” in più.
 Di grande impatto, non solo audio ma anche visivo, le
ricostruzioni dei tour americani, con i look fiammeggianti
sfoggiati nelle esibizioni e una regia dinamica e frizzante
grazie alla quale nella riproposizione degli spettacoli, i
quattro attori ricordano con feroce realismo le infuocate
performance live. Subito dopo però, il copione torna apatico,
quasi sospeso, con il protagonista stretto fra conflittuali
patimenti nella scoperta dei suoi gusti sessuali e le
divisioni sempre maggiori con il resto del gruppo, poco
incline ad assecondare l’umore festaiolo del loro frontman e i
suoi progetti solisti. Apprezzabile ma non del tutto riuscito
il tentativo di Malek di dar corpo ad un così difficile
personaggio, tra i più complessi dell’intera storia del Rock e
della musica in generale. L’interpretazione risulta sempre in
precario equilibrio tra una caricatura stereotipata che non
cattura in pieno l’essenza ed il talento di Mercury e
un’imitazione a volte eccessivamente meccanica. Se la cava un
po’ meglio, quando si esplora l’aspetto intimo del cantante,
libero da cliche’e quindi meno esposto a paragoni con
l’immagine pubblica.    Stupisce però, in tutta franchezza, la
sua candidatura come migliore attore ai Golden Globe.

La pellicola, in generale, restituisce al pubblico un’idea
soltanto parziale e a volte vaga dell’epopea dei Queen, e non
riesce ad esprimerne a pieno la grandezza e l’enorme spessore
artistico. Con un Roger Taylor raffigurato più come un grezzo
e rissoso teenager che come uno dei migliori batteristi e
compositori della sua generazione. Quasi del tutto oscurata,
o nel migliore dei casi ridotta a bizzarra macchietta, la
figura di John Deacon, in realtà, per tutta la sua permanenza,
elemento di equilibrio all’interno del gruppo, bassista
antidivo, eccellente strumentista e prolifico autore di linee
di basso leggendarie. Il più convincente risulta essere
sicuramente un sorprendente Gwilym Lee, che oltre
all’impressionante somiglianza fisica col chitarrista Brian
May ne tratteggia espressioni e posture in maniera credibile e
mai esagerata.

Se il film, giocando sul grande impatto emotivo del ricordo di
un artista amatissimo e mai troppo compianto, può essere
apprezzato da un pubblico trasversale o che ha avuto un
approccio   superficiale alla musica dei Queen, i      fans di
vecchia data non possono non storcere il naso dinanzi alle
numerosissime omissioni e discrepanze spazio/temporali con cui
vengono trattate vicende fondamentali e alla banalizzazione di
una storia che viene depotenziata per piegarsi in maniera
eccessiva ai tempi della trasposizione cinematografica. Si
passa in maniera troppo frettolosa       attraverso le prime
vicissitudini e si tende a sorvolare su molti episodi che
avrebbero meritato un maggiore approfondimento: dalla
Queenmania in Giappone alla    storica tournée Argentina del
1981, appena un soffio prima della guerra delle Falkland,
dalla collaborazione con Bowie, all’incontro scontro con Sid
Vicious dei Sex Pistols fino alla controversa apparizione nel
1984    in Sud Africa, all’epoca ancora impantanata
nell’apartheid, che coinvolse i Queen in un vortice di
polemiche mai del tutto sopite, neanche con la successiva
amicizia con Nelson Mandela. Passa pressoché inosservato anche
il cambio di look di Mercury, dalla chioma lussureggiante in
stile glamour decadente al baffo iconoclasta tanto in voga
nella controcultura gay per tutti gli anni ottanta (Malek
baffuto a dire il vero ricorda più Rovazzi) e che nel caso dei
Queen segnò non soltanto un semplice cambio di immagine, ma
coincise con un approccio del tutto differente alle sonorità
del nuovo decennio, con l’abbandono dei pomposi arrangiamenti
degli anni settanta e l’abbraccio dei sintetizzatori a favore
di un timbro più semplice ed immediato. Una mini rivoluzione
già iniziata in epoca post Punk e che sarebbe successivamente
sfociata in un pop più commerciale ma sempre di altissima
qualità, a sottolineare la grande abilità dei quattro nel
maneggiare svariati generi senza perdere un briciolo di
classe. Il tema della malattia, in un ennesimo stravolgimento
cronologico, viene analizzato in modo molto delicato, forse
anche troppo, probabilmente per volere di Taylor e May, e
sembra più che altro il pretesto per giungere al gran finale.
 Il momento culminante arriva con il Live Aid, il megaconcerto
benefico voluto da Bob Geldof con la partecipazione del Gotha
della musica mondiale per raccogliere fondi in favore
dell’Africa, è sicuramente il momento più coinvolgente e
riuscito dell’intera produzione. Da solo probabilmente vale il
prezzo del biglietto. Quel giorno i Queen, nella loro massima
espressione dal vivo, misero all’angolo e oscurarono tutte le
altre stelle presenti a Londra e Philadelphia, da Bowie a
Elton John, da Mick Jagger e Dylan, passando per i Led
Zeppelin, Dire Straits, gli allora emergenti U2 e una infinità
di nomi eccellenti. Dopo l’inizio soft, con le mani di
Freddie/Malek che danzano sul piano per la intro di Bohemian
Rhapsody, la musica tuona dal Dolby Sorround e sgorga
torrenziale fra Radio ga ga, Hammer To Fall, le elettriche
svisate di May e il braccio al cielo di un Mercury
troneggiante sulla folla, dopo una trascinante We are the
Champions, che riscatta sul palco tutte le incertezze di una
vita vissuta al massimo ma sempre con un retrogusto di
malinconica solitudine. Malek e company replicano in carta
carbone ogni passo, ogni azione ed espressione, ogni mossa
plastica di quella straordinaria esibizione. La sala si
scuote, qualcuno addirittura si alza in piedi come in un vero
e proprio live, gli altri restano seduti al loro posto, ma si
percepisce la fatica di resistere aggrappati al seggiolino con
l’anima che vibra e la pelle invasa da note eterne e da quella
voce che ti colpisce come un cazzotto allo stomaco. Si ha
davvero, anche per un solo attimo, la sensazione di essere tra
il pubblico adorante in quel caldo Luglio del 1985 a Wembley.
Moltissimi hanno gli occhi gonfi di lacrime, praticamente
tutti restano fino alla fine dei titoli di coda affidati a
Don’t stop me now. Forse si poteva fare di più, si poteva fare
meglio, una cosa però è certa, la Regina siede ancora
saldamente sul trono.
Calcutta   live                       a       Roma         a
febbraio 2019
E’ stato un vero e proprio bagno di folla quello che ha
salutato il ritorno live di Calcutta, il 21 luglio scorso
nella sua Latina. Un grande abbraccio di oltre 15.000 persone
accorse allo Stadio Francioni con le mani al cielo e il “cuore
a mille”.

Solo chi ha avuto la possibilità di vederlo in azione durante
un concerto ha potuto testare con i propri occhi il magnetismo
di questo musicista che ha raccolto consensi unanimi tra le
platee di tutta Italia. Dopo i due esclusivi live estivi,
Calcutta in inverno partirà per un tour che toccherà diversi
palazzetti.

Le date:
17 gennaio Ancona, Palaprometeo
19 gennaio Padova, Kioene Arena – SPOSTATO ALL’AREA SPETTACOLI
PADOVA FIERE
20 e 21 gennaio Assago (Mi), Mediolanum Forum
23 gennaio Bologna, Unipol Arena
25 gennaio Bari, Palaflorio
26 gennaio Napoli, Palapartenope
5 e 6 febbraio Roma, Palalottomatica
9 febbraio Acireale (Ct), Palasport

Attenzione! La disponibilità dei biglietti è limitata.

A due anni e mezzo dal precedente Mainstream, lavoro che ha
sparigliato generi, appartenenze e definizioni, il 25 maggio è
uscito di Evergreen, il nuovo attesissimo disco di Calcutta,
balzato direttamente al primo posto della classifica Fimi.
Anticipato dai tre singoli Orgasmo, Pesto e Paracetamolo, che
si sono fatti largo nelle chart, nelle radio e nei cuori di
migliaia di persone, il cantautore di Latina è tornato con un
album di dieci brani destinati a lasciare nuovamente il segno
nella musica pop italiana.

Biglietti: DNA CONCERTI
Info: BOMBA DISCHI

Prima nazionale al Teatro Tor
Bella Monaca il 12 e 13
dicembre   per   lezioni   di
burlesque. The Secret Show,
regia di Francesco Branchetti
Lara Ferrara

Prima nazionale al Teatro Tor Bella Monaca il 12 e 13 dicembre
per LEZIONI DI
BURLESQUE. THE SECRET SHOW, con Giulia Di Quilio e Ilaria
Mencaroni, drammaturgia
Valdo Gamberutti, regia di Francesco Branchetti, musiche di
Pino Cangialosi.

“L’unica regola è che non ci sono regole”.
L’arte del Burlesque è tutta qui, in         questo   assioma
sgusciante.
il regista, attore
                      -Francesco
                      Branchetti

Difficile spiegarla, teorizzarla, eleggerla a stile codificato
o a “genere” preciso.
Nel gioco erotico dello svelamento dei corpi femminili che il
Burlesque continua a portare in scena,
può esserci davvero tutto e il suo contrario: il gusto del
grottesco e l’estrema raffinatezza, la
parodia e la seduzione esplicita, l’ammiccamento pesante e una
rarefatta leggerezza.
Lezioni di Burlesque the secret show non ha la reale pretesa
di insegnare nulla ma solo l’intenzione
di reinventare teatralmente un linguaggio che fa storia a sé,
inafferrabile e, proprio per questo, eternamente intrigante.
È uno “spettacolo segreto” intessuto di suggestioni visive e
frammenti poetici, sospeso tra il gioco
simbolico e il desiderio di raccontare in maniera inconsueta
un “mondo” ancora sconosciuto ai più.
Nel corso di un rituale dal sapore underground e quasi
clandestino, le diverse tessere del mosaico
prenderanno posto, mescolando la rievocazione “emotiva” degli
immancabili, iconici, feticci estetici
(i guanti, le calze, i ventagli di piume) ad una serie di
“ritratti” in azione di grandi Dive del passato.
Interprete di cinema e teatro e, parallelamente, vedette del
Burlesque con il suo alter ego Vesper
Julie, la Di Quilio accetta una sfida che è la sintesi
compiuta del proprio percorso artistico:dare
corpo e voce a figure femminili diverse, sfaccettate e
complesse, spesso opposte tra loro, per provare
(come ogni donna cerca di fare ogni giorno) a trovare
finalmente se stessa.

foto di Alberto Guerri.

Regia, interpretazione e drammaturgia creano uno spettacolo
sul Burlesque ma soprattutto sulla
donna e le sue prismatiche sfaccettature, uno spettacolo pieno
di senso del mistero del femminile,
di seduzione nel senso più profondo del termine e di raffinato
erotismo. Le musiche, daranno un
apporto fondamentale a questo viaggio nel mondo femminile.

Teatro Tor Bella Monaca
Prenotazioni: tel 06 2010579
Botteghino: feriali ore 18-21.30, festivi ore 15-18.30
Ufficio promozione: ore 10-13.30 e 14.30-19
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