Leopold - Franzens - Universität Innsbruck

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Leopold – Franzens – Universität
                              Innsbruck

                              Diplomarbeit
                  zur Erlangung des akademischen Grades einer
 Magistra der Rechtswissenschaften an der Leopold-Franzens-Universität Innsbruck

Abuso di posizione dominante: il caso Google
                 Shopping

                                Eingereicht bei:
                          Prof. Dr. Francesco A. Schurr

                                      von:
                                  Valeria Costa

                             Innsbruck, im Mai 2021
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“Quid sit futurum cras, fuge quaerere, et
quem fors dierum cumque dabit, lucro adpone”
                             [Orazio, Odi 1,9]

                            A mamma e papà,
           qualunque cosa mi riservi il futuro,
                          siete la mia certezza
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Indice delle abbreviazioni

AGCM              Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Art.              Articolo
Artt.              Articoli
c.                comma
c.c.              Codice Civile
CE                Comunità europea
CECA              Comunità europea del carbone e dell’acciaio
CEDU              Convenzione dei diritti dell’uomo
CEO               Chief Executive Officier
Cfr.              Confronta
CGUE              Corte di giustizia dell’Unione europea
Corte CE          Corte di giustizia delle Comunità europee
Cost.             Costituzione
CPC               Costo per click
CPM               Costo per migliaia
D&G               Diritto e giustizia
Dir. Pen. Cont.   Diritto Penale Contemporaneo
Foro it.          Foro Italiano
GUCE              Gazzetta Ufficiale della Comunità europea
l.                legge
n.                numero
p.                pagina
P.A.              Pubblica Amministrazione
pp.               pagine
Racc.             Raccolta
Reg.              Regolamento
s.                seguente
ss.               seguenti
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SEE    Spazio economico europeo
SERP   Search Engine Results Page
ss.    seguenti
TCE    Trattato che istituisce la Comunità europea
TFUE   Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
TUE    Trattato sull’Unione europea
UE     Unione europea
v.     vedi
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INDICE

INTRODUZIONE .......................................................................................................... 1
Capitolo 1 LA DISCIPLINA ANTITRUST ................................................................. 4
   1.1       Dalle origini all’attuale disciplina antitrust ....................................................... 4
   1.2       I fondamenti economici e normativi .................................................................. 8
      1.2.1 Le intese restrittive della concorrenza ........................................................................ 11
      1.2.2 Le concentrazioni ....................................................................................................... 12
      1.2.3 L’abuso di posizione dominante (cenni) .................................................................... 13
   1.3       L’applicazione del diritto antitrust ................................................................... 14
      1.3.1         Ambiti di applicazione del diritto antitrust.......................................................... 16
Capitolo 2 DIRITTO COMUNITARIO E NAZIONALE: LA COESISTENZA
FRA I DUE ORDINAMENTI ..................................................................................... 19
   2.1 Diritto comunitario fonte di interpretazione del diritto nazionale ........................ 20
   2.2 Rapporto tra le due discipline, applicazione del Reg. 1/2003 .............................. 22
Capitolo 3 L’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE ............................................. 27
   3.1 Fondamento comunitario e nazionale ................................................................... 27
   3.2 Il mercato rilevante ............................................................................................... 29
   3.3 La posizione dominante ........................................................................................ 32
   3.4 L’abuso ................................................................................................................. 34
Capitolo 4 CASO GOOGLE SHOPPING .................................................................. 38
   4.1 Cos’è Google?....................................................................................................... 38
      4.1.1 I cenni storici .............................................................................................................. 38
      4.1.2 I servi offerti ............................................................................................................... 40
   4.2 Posizione dominante di Google ............................................................................ 41
   4.3 Algoritmo PageRank ............................................................................................. 43
   4.4 Indagini, prove raccolte e accusa .......................................................................... 45
   4.5 Conseguenze ......................................................................................................... 48
      4.5.1 I rimedi proposti da Google ....................................................................................... 49
      4.5.2 La risposta di Google ................................................................................................. 52
Capitolo 5 ALTRI CASI CHE HANNO COINVOLTO GOOGLE ........................ 54
   5.1 Il caso “Google news” .......................................................................................... 54
      5.1.1 L’utilizzo dei contenuti di terzi .................................................................................. 55
      5.1.2 L’accusa ..................................................................................................................... 56
      5.1.3 I rimedi ....................................................................................................................... 57
   5.2 Il caso “AdWords e AdSense” .............................................................................. 58
5.2.1 Dalla fase preliminare all’accusa ............................................................................... 60
      5.2.2 Norme antitrust violate e conseguenze ....................................................................... 62
Capitolo 6 SANZIONI ANTITRUST COMUNITARIE: I PROFILI PENALI ..... 64
   6.1 Natura giuridica delle sanzioni e il relativo contesto storico ................................ 64
   6.2 La prevenzione generale e speciale....................................................................... 67
   6.3 Responsabilità personale....................................................................................... 68
   6.4 Principio di colpevolezza ...................................................................................... 70
   6.5 Principio di legalità ............................................................................................... 72
CONCLUSIONI ........................................................................................................... 75
ABSTRACT .................................................................................................................. 78
BIBLIOGRAFIA .......................................................................................................... 82
FONTI DELLE FIGURE ............................................................................................ 88
APPENDICE DELLE FIGURE .................................................................................. 89
INTRODUZIONE

La libertà di iniziativa economica e la libertà di concorrenza, suo implicito riflesso,
rappresentano fattori ineliminabili di progresso sia economico che tecnologico1.
Specialmente nell’ultimo secolo, con l’impatto della globalizzazione e del progresso
tecnologico, si è rafforzata la necessità di garantire una perfetta concorrenza sul mercato
per tutelare i più “deboli”, che da un utilizzo illecito di essa potrebbero ricavarne gravi
pregiudizi. La concorrenza è una normale competizione tra persone o enti che cercano di
affermarsi in un determinato settore commerciale, per conquistare un mercato e
mantenere la clientela.

L’ordinamento italiano si incentra sui principi dell’economia del mercato in cui le
imprese competono tra di loro. L’insieme delle offerte degli imprenditori, da un lato, e le
domande d’acquisto dei clienti, dall’altro, costituiscono nell’insieme il mercato; ed è
proprio l’azione dell’impresa all’interno del mercato ad essere asservita a norme che
tendono a tutelare la correttezza sia sul piano contrattuale che extracontrattuale2.

La libera concorrenza, in un relativo sistema di libero mercato, ha il compito di stimolare
i produttori a compiere ogni sforzo così da introdurre novità atte a rendere possibili la
riduzione dei costi, perfezionamento della qualità dei prodotti e dei servizi offerti; altre
funzioni attribuibili ad essa consistono nell’escludere dal mercato le unità produttive
inefficienti e secondarie, oltre che promuovere la diversificazione dei prodotti,
arricchendo, in tal modo, le alternative disponibili al consumatore; si persegue così
l’obiettivo di evitare una forma di concentrazione permanente di potere economico,
favorendo l’accesso al mercato e l’affermazione degli operatori più capaci e competitivi.

Sotto il profilo economico, inoltre, la concorrenza viene valutata come il meccanismo che
consente il libero trasferimento di risorse produttive da un settore all’altro dell’attività
economica in base alla eterogenea convenienza delle opzioni di utilizzo disponibili3.

La presente tesi è incentrata quindi sul tema della concorrenza, ma in particolar modo si
prefigge l’obiettivo di affiancare nozioni prettamente teoriche all’analisi del caso

1
  Mangini, Disciplina del Mercato-Lineamenti generali, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/ Ricolfi/
Spada (a cura di), Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, p. 363.
2
  Sarti, L’impresa nel mercato, in Cian (a cura di), Manuale di Diritto Commerciale, p. 83.
3
  Mangini, Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/
Ricolfi/ Spada (a cura di), Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, p. 363.

                                                     1
concreto che si andrà ad analizzare, ossia il caso “Google shopping”, in modo da porre le
basi e rendere quanto più chiara possibile la vicenda.

Questo lavoro si apre con uno scenario teorico, situato nei primi tre capitoli. Sin dal primo
capitolo ci si addentrerà nella materia partendo da un’accurata valutazione circa quel
complesso di norme che sono poste a tutela della concorrenza sui mercati economici,
ossia la disciplina antitrust; in questa parte si comincerà dai cenni storici per poi procedere
con l’analisi dei fondamenti economici e normativi, continuando con l’illustrazione delle
singole fattispecie della disciplina antitrust, ossia intese restrittive, concentrazioni e abuso
di posizione dominante, esaminando infine l’applicazione del diritto antitrust e i suoi
diversi ambiti di applicazione.

L’intero lavoro volge uno sguardo più ampio al panorama europeo, da un lato, perché la
disciplina antitrust è dotata di un duplice fondamento normativo: una normativa europea
il TFUE agli articoli 101 ss. che si applica alle operazioni restrittive transazionali, e una
normativa nazionale in cui il legislatore ha ricalcato quella europea attraverso la l.n.
287/90, dall’altro lato, perché nel caso Google shopping, oggetto di tesi, sono stati
coinvolti molti paesi dell’Unione, motivo per il quale la Commissione europea ha svolto
un ruolo fondamentale per l’accusa. Per tali ragioni appare opportuno ampliare
l’orizzonte, ci si muoverà dall’evoluzione del diritto comunitario tenendo in
considerazione che esso risulta quale fonte di interpretazione della disciplina italiana
stessa e si procederà con una valutazione circa il coordinamento e il rapporto che ad oggi
sussiste tra il diritto antitrust italiano e comunitario, valutando in particolare la
cooperazione che si è venuta a creare alla luce del reg. 1/2003.

Il terzo capitolo andrà a chiudere la prima parte, definita dapprima teorica, attraverso la
spiegazione della fattispecie antitrust che più interessa questo lavoro: l’abuso di posizione
dominante ex articolo 102 del TFUE e articolo 3 l.n. 287/90, soffermandosi poi sulle
relative ipotesi di tale fattispecie. La scelta di dedicare un intero capitolo a questo
argomento non è casuale, difatti risulterà particolarmente utile per i capitoli successivi,
non solo per il caso Google shopping ma anche per gli ultimi due casi Google news,
Google AdWords e AdSense, poiché la base delle accuse consiste proprio nello
sfruttamento abusivo, da parte del colosso americano dei motori di ricerca, della propria
posizione dominante nel mercato, che, per il fine di questa tesi, è quello europeo.

Terminata la prima parte, caratterizzata dall’approccio prettamente teorico, avrà luogo la
seconda parte contraddistinta per il carattere pratico e concreto. Si comincerà difatti, al
                                               2
quarto capitolo, con l’analisi del caso “Google shopping”, che ha portato il 27 Giugno
2017 la Commissione Europea a sanzionare Google per la cifra record di 2,42 miliardi di
Euro; base dell’accusa è quella di aver infranto le regole dell’antitrust europeo, avendo
BigG, ossia Google, abusato della propria posizione dominante sul fronte delle ricerche
facendo emergere il suo mercato collaterale Google shopping, che invece non godeva di
alcuna posizione dominante nel relativo mercato dell’e-commerce4. Ci si soffermerà
anche sul quesito, che non ha destato poche difficoltà alla Commissione, ossia se Google
detenga effettivamente una posizione dominante nel mercato, non tralasciando i singoli
passaggi che hanno condotto la Commissione a rispondere in senso affermativo a tale
domanda.

Il caso in questione però non sarà l’unico ad essere esaminato, difatti Google essendo da
anni nel mirino della Commissione europea per vicende relative alla disciplina antitrust,
ha collezionato solo in Europa una cifra record pari 8 miliardi di Euro5, motivo per il
quale si è ritenuto opportuno porre l’attenzione, al quinto capitolo, a due casi ugualmente
importanti, il caso Google News e Google AdWords e AedSense, che tuttavia verranno
analizzati in maniera secondaria e più breve rispetto al primo non rivestendo un ruolo
centrale in questa tesi, come del resto emerge anche dal titolo.

Sempre in considerazione delle aspre sanzioni inflitte a Google, si è voluto indagare circa
la natura giuridica di queste ultime, questo perché, seppur esse siano sanzioni prettamente
amministrative, negli ultimi anni vi è stata un’ingerenza del diritto penale all’interno del
diritto antitrust, avendosi così una sorta di “penalizzazione” del diritto della concorrenza.
Dunque, per finire verrà ampliata la portata del presente lavoro, che si concluderà
illustrando i profili penalistici delle sanzioni antitrust.

Non mancheranno al termine conclusioni finali e un abstract in lingua tedesca, che
riassumerà quanto visto.

4
  Carpagnano, Google Shopping la Commissione Europea commina a Google una sanzione pari a 2.42
miliardi di Euro per aver abusato della propria posizione dominante nel mercato dei motori di ricerca,
.
5
  Covelli, Google contro la maxi multa dell'Ue, < Google contro la maxi multa dell'Ue | Euronews>.
                                                  3
Capitolo 1 LA DISCIPLINA ANTITRUST

        1.1 Dalle origini all’attuale disciplina antitrust

La volontà e il tentativo di proteggere le economie da comportamenti anticoncorrenziali
insieme alla necessità di una ingerenza pubblica per la tutela del mercato non erano idee
sconosciute nemmeno in passato, tali esigenze sono difatti sorte già da due millenni; si
pensi alla Lex Iulia de Annona del 18 a.C. circa, i Romani criminalizzarono quelle
condotte private volte a determinare artificiosamente un aumento dei prezzi “naturali” di
beni alimentari. Inoltre, in ottemperanza al bisogno di prevenire il rialzo artificioso dei
prezzi, specialmente dei beni di prima necessità, rimase, successivamente all’epoca
romana e sino all’età moderna, generalmente fermo in area europea il crimen monopolii,
pur ammettendosi di base l’esistenza di monopoli legali. Nei sistemi di common law, ad
esempio, già a partire dal medioevo e sempre nell’ottica del contenimento dei prezzi,
vennero penalizzate le fattispecie di forestalling, regrating, ed engrossing, reati di
marketing nel diritto inglese, scozzese e irlandese, che consistevano in metodi
inaccettabili per influenzare il mercato, a volte creando un monopolio locale per un certo
bene. Siffatti istituti, unitamente sia alla dottrina del restraint of trade, relativa, sempre
nell’ambito del common law, all'applicabilità delle restrizioni contrattuali e alla libertà di
condurre affari, sia alla lotta del parlamento inglese ai monopoli legali ingiustificati del
sedicesimo secolo, segnarono le radici per la nascita, seppur in un altro continente, del
moderno diritto antitrust 6.
Le origini del diritto Antitrust sono anglo-americane. Queste, introdotte per la prima volta
in Canada, vengono generalmente fatte risalire allo Sherman Antitrust Act, in nome del
senatore Sherman, esperto di regolazione del commercio che lo propose, essa fu la prima
legge antitrust, emanata dal Congresso degli Stati Uniti nel 1890 ma concretamente
applicata nel 1911 contro l’impero petrolifero creato dal magnate John Davison7, con
l’obiettivo di limitare la concentrazione di potere, che interferisce con il corretto
funzionamento concorrenziale del mercato. È dunque da 130 anni che l’economia
statunitense è protetta dallo Sherman Antitrust Act, considerato essere l’origine del
diritto antitrust moderno.

6
  Fazzari, Private enforcement antitrust e nuova azione di classe ex l.n. 31/2019, .
7
  Rotondi, Da chi (e perchè) fu emanata la prima legge Antitrust, in Focus, .
                                                   4
Il termine trust, che significa letteralmente fiducia, trae origine dalle vicende legate,
nell’ultimo decennio del XIX secolo, all’organizzazione dei beni dell’impresa petrolifera
Standard Oil Co., nello Stato nord americano dell’Ohio. Col fine di aggirare il divieto di
detenere proprietà al di fuori di quello Stato, i soci ne affidarono inizialmente la gestione
ad un trustee, ossia un fiduciario, in base ad un medesimo negozio fiduciario, e
successivamente le varie proprietà di tutti i beni delle società collegate alla Standard Oil
furono oggetto di diversi negozi fiduciari. Ne conseguì che la nozione di trust venne
associata al fenomeno del raggruppamento di imprese. Quando poi nel 1980 venne
adottato lo Sherman Act, entrò nell’uso il termine di legge antitrust8.

Il movimento di opinione cui si deve l’emanazione della prima legge nord-americana
contro i monopoli fu espressione di un diffuso malessere che traeva origini dalle profonde
trasformazioni del contesto economico e sociale, manifestatosi all’indomani della guerra
civile, durata tra il 1861 e 1865. A tali mutamenti fu associato l’aver prodotto fenomeni
quali le prevaricazioni delle grandi concentrazioni economiche e la soppressione di pari
opportunità. Ad oggi è difficile constatare quanto sopravviva di quell’antico spirito, che
fu per l’appunto origine delle prime leggi antimonopolistiche degli Stati Uniti, restano
tuttavia attuali quelle formulazioni che intendono le norme a tutela del mercato uno
strumento essenziale di democrazia economica, dirette a consentire un’attiva
partecipazione di imprenditori e consumatori, nella ricerca di un benessere comune.
L’antitrust viene quindi considerato uno strumento indispensabile del processo
democratico, ne deriva che la sua funzione essenziale è quella di promuovere la
concorrenza, tutelando sia i contraenti più deboli che i consumatori. Il nostro legislatore
è giunto al non più rinviabile appuntamento con la legge contro i monopoli solo nel 1990,
in ritardo di un secolo esatto rispetto agli Stati Uniti d’America e di alcuni decenni rispetto
alle corrispondenti norme comunitarie e di gran parte degli altri Paesi europei9.

Tuttavia, seppur differenziandosi, è la disciplina dell’antitrust europeo ad aver seguito le
orme dello Sherman Act, i due sistemi però sorgono in epoche diverse e seppur con
finalità simili a differenziarle è in particolar modo l’intenzione del legislatore. Per

8
 Pappalardo, Il diritto della concorrenza nell’Unione europea, p. 24.
9
 Mangini, Disciplina del Mercato-Lineamenti generali, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/ Ricolfi/
Spada (a cura di), Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, pp. 363-378.

                                                  5
comprendere meglio questo passaggio segue una breve distinzione tra antitrust europeo e
statunitense.

A differenziare innanzitutto i sistemi concorrenziali tra Stati Uniti e Unione europea sono
le peculiari ragioni storiche che hanno portato al perfezionamento dei due sistemi
concorrenziali e ci permettono di comprendere le disuguaglianze tra i sistemi e la diversità
di ratio. Mentre, infatti, negli USA l’antitrust è visto come mezzo per porre un rimedio
efficace alle pratiche diffuse degli accordi limitativi della concorrenza, nel nostro
continente, invece, è strumento di realizzazione della piena integrazione tra Stati, sia dal
punto di vista politico che economico, e della realizzazione di un mercato che sia unico e
privo di barriere.

In particolare la prima distinzione tra antitrust europeo e statunitense riguarda gli abusi di
posizione dominante, che non sono illeciti ma rendono abusivi eventuali comportamenti
altrimenti leciti. Secondo l’attuale antitrust statunitense l’impresa che arriva al monopolio
può essere smantellata, l’Europa invece come sanzione finale non prevede lo
smantellamento ma ha recuperato una tutela che era parte dell’originaria cultura
statunitense. Ulteriori differenze si ravvisano nell’interazione tra concorrenza e altre
finalità comunitarie. Il legame con l’integrazione del mercato ha reso la disciplina europea
più rigida rispetto a quella degli Stati Uniti in relazione alle intese verticali tra produttori
e rivenditori, che lasciavano spazio alla concorrenza tra marchi da un lato, ma dall’altro
vietavano ai rivenditori di acquistare un prodotto da un paese all’altro10. Tali distinzioni
trovano fondamento sulla scorta di ragioni storiche e culturali, mentre il regime antitrust
degli Stati Uniti appare caratterizzato dalla inflessibile formulazione delle sue rigide e
tuttora basilari leggi, il sistema comunitario invece è ispirato a principi più flessibili, i
quali giustificano l’affermazione che nel sistema comunitario non esistono, almeno in
linea di principio, pratiche restrittive di per sé condannate, in quanto ogni decisione di
illiceità deve essere ope legis sottoposta ad una preventiva valutazione degli effetti che la
pratica in concreto può comportare quanto a vantaggi per il consumatore11. Ultima
distinzione concerne l’assetto istituzionale, mentre negli Stati Uniti su azione dei privati
è il giudice o un altro apparato ad hoc che decide, in Europa invece l’azione diretta dei
privati è rara, solitamente è contro le decisioni degli organi pubblici d’investigazione
antitrust che i privati si rivolgono al giudice; a livello europeo decide la Commissione

10
  Voce antitrust, in Treccani enciclopedia online, < antitrust nell'Enciclopedia Treccani>.
11
  Mangini, Disciplina del Mercato-Lineamenti generali, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/ Ricolfi/
Spada (a cura di), Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, pp. 363-370.
                                                  6
europea con sede a Bruxelles, il ricorso si presenta al Tribunale di prima istanza, e quindi
alla Corte di giustizia. A livello nazionale invece la procedura si differenzia da Paese a
Paese, in Italia vi sono autorità contro le quali si ricorre al giudice amministrativo, mentre
in altri Paesi si ricorre al giudice ordinario12.

Dunque alla luce di quanto esposto si può concludere che mentre la concorrenza
americana, dalla sua nascita alla sua evoluzione, ha sempre riflettuto gli interessi socio-
economici, la disciplina europea ha invece un carattere marcatamente politico, dovuto in
particolar modo al fatto che l’intenzione principale dei governanti europei è sempre stata
quella di creare gradualmente uno spazio economico comune e un’istituzione
sovranazionale di natura politico-commerciale13.

Data questa breve distinzione tra i due sistemi antitrust si conclude questo accenno alle
origini giungendo a “tempi più recenti”.

L’antitrust fu introdotto in Europa nel 1957 con il trattato di Roma istitutivo della
Comunità Economica Europea. Le finalità della Comunità erano definite all’art. 2 TCEE,
in particolare esso si prefiggeva lo sviluppo armonioso delle attività economiche
nell’insieme della Comunità, un’espansione continua ed equilibrata oltre che una più
stretta relazione fra gli Stati, e i mezzi indicati per raggiungere tali finalità consistevano
nella “creazione di un mercato comune e riavvicinamento delle politiche economiche
degli Stati membri”, la creazione di questo “mercato comune”, che costituiva la nascita
di una res publica comunitaria, aveva come obiettivo che le imprese operanti nei vari
Stati membri potessero svolgere la propria attività in concorrenza senza discriminazione
sulla base della nazionalità. Per la prima volta gli Stati europei si univano per creare un
proprio “bene comune”14.

Dopo la disciplina comunitaria seguirono differenti sistemi antitrust a livello nazionale
mediante leggi interne: prima fra tutti la Germania nel 1957 e tra le ultime invece l’Italia
nel 199015, dove l’antitrust comunitario funse come fonte di interpretazione della
disciplina italiana; con la l.n. 287/90 si intendeva e si vuole tuttora garantire sul territorio
nazionale il diritto di iniziativa economica e la libera concorrenza, potendo così agire

12
   Voce antitrust, in Treccani enciclopedia online, .

                                                     7
contro ogni azione che limita la concorrenza, o contro accordi di cartello e pratiche di
monopolio.

        1.2 I fondamenti economici e normativi

L’antitrust essenzialmente si propone di contrastare il potere di mercato delle imprese, in
tal senso per “potere di mercato” si intende una determinata situazione in cui una o più
imprese si sottraggono alla “pressione concorrenziale” senza però subire eventuali
svantaggi derivanti dalla perdita della clientela, tuttavia uno degli obiettivi principali
dell’antitrust è proprio quello di impedire alle imprese di creare artificiosamente quel
potere di mercato, di cui sopra16.

In linea generale la concorrenza deve perseguire due criteri fondamentali: deve essere
leale ed effettiva, ossia si tende ad evitare comportamenti che riducano la possibile
concorrenza.

Il canone della lealtà è tutelato a livello internazionale dall’art. 10-bis della Convenzione
d’Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, attuato però all’interno
del Codice Civile, il quale all’art. 2598, enuncia ed enumera ipotesi di concorrenza sleale.
Dalla lettura del medesimo articolo emerge che essa si concretizza in una serie di attività
dirette ad appropriarsi in modo illegittimo della clientela del concorrente o dello spazio
di mercato, o ancora può consistere nella diffusione di notizie e apprezzamenti riguardo i
prodotti e sull’attività del concorrente. In particolare la disciplina della concorrenza sleale
regola conflitti fra imprenditori, imponendo però di risolvere questi conflitti in relazione
all’interesse generale e in conformità dei principi della costituzione economica. Il
legislatore disciplinando tale forma di concorrenza impone di agire in conformità ai
principi di correttezza professionale e prevede contro tali ipotesi due tipi di tutele: una
risarcitoria e una inibitoria17.

Tuttavia è il secondo criterio, quello dell’effettività, che concerne il tema oggetto di
questa tesi. Solo in certi settori specifici il legislatore vuole che la concorrenza si
mantenga effettiva nonostante ci sia uno migliore degli altri, con il fine di assicurare la

16
   Sarti, La disciplina Antitrust, in Cian (a cura di), Manuale di Diritto Commerciale, p. 92.
17
   Sarti, Concorrenza e correttezza imprenditoriale, in Cian (a cura di), Manuale di Diritto Commerciale,
p. 84.

                                                   8
compresenza di queste imprese. È in quest’ambito che subentra la disciplina, etichettata
col termine anglosassone, antitrust.

Tale disciplina ha come obiettivo essenziale ostacolare il potere di mercato delle imprese,
senza però subire ripercussioni negative derivanti dalla perdita della clientela18.

L’antitrust consiste nel complesso di norme che sono poste a tutela della concorrenza sui
mercati economici. Tale complesso di norme va a costituire il diritto antitrust mirato ad
impedire che il sistema economico passi da assetti concorrenziali ad assetti
monopolistici19.

Viene definito antitrust anche l’organo o autorità che vigila sull’osservanza e il rispetto
di tali norme, che in Italia prende il nome di Autorità garante della concorrenza e del
mercato (AGCM).

Per quanto concerne invece il profilo normativo, come già accennato, vi è un duplice
fondamento normativo: una normativa europea il TFUE agli artt. 101ss., e una normativa
nazionale in cui il legislatore ha ricalcato quella europea attraverso la l.n. 287/90,
entrambe prevedono tre particolari fattispecie concrete, ossia le intese restrittive,
concentrazioni e l’abuso di posizione dominante, la cui spiegazione seguirà più tardi.

Focalizzandoci sul diritto antitrust dell’UE esso contiene, in estrema sintesi, tali
disposizioni: all’art. 101 vieta tutte le intese restrittive della concorrenza designando varie
forme di collusione o cooperazione tra due o più imprese, prevedendo in determinati casi
la nullità; l’art. 102 invece vieta lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese
della propria posizione dominante in un mercato interno; quindi l’art. 106 vieta la
possibilità per gli Stati membri di adottare nei confronti di alcune imprese misure
contrarie al TFUE ed in particolar modo contrarie agli artt. 101 e 102, prevedendo tuttavia
deroghe a favore di alcune categorie di imprese; infine il Reg. n. 139/2004 assoggetta al
controllo preventivo della Commissione una categoria di concentrazione di imprese e le
consente di vietarne la realizzazione ma solo a determinate condizioni20.

Per quanto riguarda la disciplina antitrust italiana, che come anticipato ricalca quella
comunitaria, abbiamo una fonte normativa differente. Innanzitutto la prima norma

18
   Sarti, La disciplina Antitrust, in Cian (a cura di), Manuale di Diritto Commerciale, p. 92.
19
   Manzini, Antitrust applicato, p. 116 s.
20
   Pappalardo, Il diritto della concorrenza nell’Unione europea, p. 24 s.

                                                      9
nazionale che accenna alla concorrenza è situata all’interno della Costituzione, dove,
all’art. 41 c. 1 è previsto che l’iniziativa economica privata è libera, questa norma non fa
espresso riferimento alla concorrenza, tuttavia crea una sorta di sintesi tra libertà di
iniziativa economica e necessità che questa non sia assoluta ma tenga conto dei limiti di
legge21, ciò si evince in ragione anche dei due commi successivi, la stessa norma difatti
precisa al c. 2 che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale, aggiungendo poi, al c. 3, che la legge determina i controlli opportuni affinché
l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Tuttavia, il riconoscimento della libertà di concorrenza non è sufficiente ad assicurare in
concreto che il mercato sia effettivamente competitivo, è per tal motivo che il legislatore
al contempo impone una serie di divieti col fine di evitare che determinati comportamenti
possano alterare il buon funzionamento del mercato. Inoltre poiché in tema di concorrenza
il Codice Civile presentava una serie di lacune, il legislatore ha voluto colmarle mediante
un’apposita legge nazionale, ossia la l.n. 287/90, essa si compone di sei titoli, il primo dei
quali stabilisce le norme relative alla disciplina delle intese, degli abusi di posizione
dominante e delle operazioni di concentrazione; il secondo titolo istituisce l’organo a
tutela della concorrenza, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato; il terzo titolo
concerne i poteri conoscitivi e consultivi attribuiti all’Autorità; il quarto contiene alcune
norme sui poteri del Governo in materia di operazioni di concentrazione; il quinto titolo
riguarda le disposizioni in materia di partecipazione al capitale di enti creditizi, infine vi
è il sesto che include le norme relative all’applicazione delle sanzioni e alla tutela
giurisdizionale.

Derivando la disciplina nazionale da quella europea, le singole fattispecie considerevoli
per il diritto interno sono le stesse delineate nel diritto europeo della concorrenza e la loro
disciplina è fondamentalmente coincidente, tale coincidenza non è però casuale, deriva
bensì dalla regola interpretativa speciale, ex art. 1 c. 4 l.n. 287/90, che impone di
interpretare e applicare il diritto interno in conformità al diritto vigente europeo22.

Data questa delucidazione circa il carattere normativo di entrambi i sistemi antitrust,
comunitario e nazionale, verranno di seguito illustrate le singole fattispecie sopra citate,
si precisa sin da ora che alla fattispecie dell’abuso di posizione dominante verrà ora fatto

21
  Brocardi.it, Articolo 41 Costituzione, < Art. 41 costituzione - Brocardi.it>.
22
  Mangini, Disciplina del Mercato-Lineamenti generali, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/ Ricolfi/
Spada (a cura di), Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, p. 374 s.

                                                  10
un breve accenno, poiché ad essa sarà dedicato l’intero terzo capitolo, essendo oggetto
centrale di questa tesi.

          1.2.1 Le intese restrittive della concorrenza

Sia il legislatore nazionale che quello comunitario, rispettivamente all’art 2 l.n. 287/90, e
all’art 101 TFUE, considerano vietate le intese fra due o più imprese che abbiano come
oggetto impedire o falsare la concorrenza, ciò avviene per l’appunto quando le imprese,
invece che competere tra di loro, così come vorrebbe un sistema economico basato sul
libero gioco della concorrenza, si accordano espressamente o implicitamente al fine di
coordinare i loro comportamenti sul mercato creando così una restrizione o un
impedimento del gioco della concorrenza. Il divieto delle intese restrittive della
concorrenza conferisce la forza vincolante della norma al postulato della libertà di azione
economica che è il fondamento del sistema di mercato voluto dal Trattato. Nulla può certo
costringere le imprese a battersi per la conquista del mercato: ma non è loro consentito
di impegnarsi a non farlo23.

In particolare l’art. 2 di cui sopra definisce le intese quali: “accordi e/o le pratiche
concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni
statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi
similari”. Pur discostandosi in qualche punto dal suo corrispondente comunitario la norma
ne condivide impostazione e ratio. Il meccanismo sanzionatorio è, infatti, quello del
divieto delle intese “maggiori”, ossia di quelle con reale valenza, che può essere attuale
o potenziale, anticoncorrenziale, divieto che si traduce nella loro nullità ad ogni effetto,
esso, tuttavia, viene temperato dalla possibilità di esenzione temporanea, individuale o
per categorie, di accordi, ma non di pratiche concordate, la cui nocività venga più che
controbilanciata da elementi di positività24.

Dunque tale divieto ricomprende tutte le forme di concentrazione, indipendentemente dal
loro carattere giuridicamente vincolante.

23
   Pappalardo, Concorrenza, intese, concentrazioni, posizioni dominanti nel diritto comunitario, in Digesto
online, reperibile su Leggi d’Italia.
24
   Venuti, Monopoli (disciplina antimonopolistica), in Digesto online, reperibile su Leggi d’Italia.
                                                    11
I divieti legislativi si appuntano nei confronti tanto delle intese orizzontali, ossia fra i
soggetti operanti nella stessa fase del processo produttivo, quanto di quelle verticali, ossia
fra imprese operanti a livelli diversi del processo stesso.

Tra le fattispecie tipiche troviamo dei “Fallgruppe”, come: fissazioni di prezzo
d’acquisto e di vendita, limitazione di produzione e sbocchi, ripartizione dei mercati,
pratiche discriminanti e clausole gemellate. Accanto a queste previsioni però vi sono
ulteriormente, sia per la disciplina europea che italiana, delle condizioni in presenza delle
quali agli organi rispettivamente competenti è attribuito il potere discrezionale di esentare
dall’applicazione dei divieti determinate pratiche restrittive25.

          1.2.2 Le concentrazioni

Le concentrazioni sono disciplinate agli artt. 5-6-7 e 16 l.n. 287/90, mentre la disciplina
europea si ritrova nel Regolamento n. 139/04 del Consiglio relativo al controllo delle
concentrazioni tra imprese.

Nei riguardi del fenomeno delle concentrazioni di imprese si evidenzia una certa
ambiguità dell’approccio legislativo. Le concentrazioni, da un lato, vengono sogguardate
come elemento positivo per il processo di integrazione comunitaria e per il mercato in
generale, in quanto strumento di razionalizzazione economica e di sviluppo, dall’altro
verso, invece, la concentrazione di potere economico evoca lo spettro della
“monopolization” e della paralisi concorrenziale. Prevale, tuttavia, l’istanza favorevole
alle “merger”, ossia raggruppamento o fusione di imprese, che non vengono vietate in via
di principio, bensì controllate in maniera che il processo di concentrazione non confligga
con gli obiettivi della Comunità.

L’art 3 reg. 139/2004 prevede che le concentrazioni si concretizzano attraverso qualsiasi
operazione idonea a determinare una “modifica duratura del controllo” attraverso la quale
imprese in precedenza indipendenti vengono asservite ad un potere di direzione unitaria.
Il regolamento adotta una linea di intervento di tipo preventivo, che si sostanzia nel
disporre un generale obbligo di notifica preventiva delle concentrazioni con conseguente
sospensione delle relative operazioni per un periodo di tre settimane entro il quale la
Commissione CEE si pronuncia sulla loro compatibilità con il mercato comune. La
normativa in oggetto si applica alle concentrazioni di “dimensione comunitaria” che

25
  Mangini, Le intese restrittive della concorrenza, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/ Ricolfi/ Spada (a
cura di), Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, pp. 380-400.
                                                     12
vengono individuate all’art. 3 del Reg. con riferimento a tre categorie di operazioni: la
fusione tra imprese precedentemente indipendenti; acquisizione di controllo diretto o
indiretto su una o più imprese o parti di esse da parte di uno o più soggetti o imprese che
già esercitano il controllo su almeno un'impresa; e la costituzione di un'impresa comune
di tipo non cooperativo.

Nella valutazione della concentrazione si deve tener conto, in linea generale, della
necessità di mantenere e sviluppare la concorrenza effettiva sul mercato comune e, in
particolare, di una serie di parametri geografici e quantitativi di incidenza
della concentrazione definiti all’art. 2, c. 1 del Reg., dopo di che la Commissione CEE
deve stabilire se a seguito dell'operazione di concentrazione venga a costituirsi o a
rafforzarsi una posizione dominante sul mercato tale da ridurre, falsare, restringere la
concorrenza comunitaria in modo consistente e durevole26.
Ciò che conta non è il come si realizza una concentrazione, ma gli effetti che essa produce
sulla struttura e sulle quote di mercato delle imprese interessate; pertanto non ogni azione
idonea ad alterare l’equilibrio precedente sarà identificabile come concentrazione dal
punto di vista economico ma solo quella che produce una “modifica duratura del
controllo” di un’impresa27.

Le concentrazioni possono realizzarsi mediante fusioni societarie, acquisti di
partecipazioni, trasferimenti di aziende.

          1.2.3 L’abuso di posizione dominante (cenni)

Come anticipato, in questo paragrafo verrà illustrata brevemente la fattispecie dell’abuso
di posizione dominante essendo dedicata ad essa l’intero terzo capitolo di questa tesi.

L’abuso di posizione dominante, disciplinato dall’art. 3 l.n. 287/90 e art. 102 TFUE,
secondo una formula, ormai tradizionale, elaborata dalla Corte di Giustizia della CE la
posizione dominante consiste in “una situazione di potenza economica grazie alla quale
l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva
sul mercato di cui trattasi ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto
indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei
consumatori”. Tuttavia tale definizione ha dimostrato non poche incertezze, risultando di

26
  Venuti, Monopoli (disciplina antimonopolistica), in Digesto online, reperibile su Leggi d’Italia.
27
  Olivieri, Le concentrazioni, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/ Ricolfi/ Spada (a cura di), Diritto
industriale proprietà intellettuale e concorrenza, pp. 435 e 441.
                                                   13
scarsa utilità, motivo per il quale si è giunti a concedere spazio alle metodologie
quantitative elaborate dalle scienze economiche per misurare il potere di mercato di
un’impresa.

Per far ciò è necessaria l’individuazione di un c.d. mercato rilevante che risulta dalle due
distinte variabili di tipo merceologico ossia il mercato del prodotto e l’altra territoriale
ossia il mercato geografico28.

Di per sé la posizione dominante non è illecita, difatti il legislatore non obbietta questa
posizione, anzi lascia che la concorrenza faccia il suo corso, ne impedisce però l’abuso,
il quale, ai sensi dell’art. 102 TFUE, consiste nello “sfruttamento abusivo da parte di una
o più imprese di una posizione dominante sul mercato”. Tale sfruttamento abusivo si
concretizza in una serie di condotte illecite, che verranno meglio analizzate al capitolo
terzo.

         1.3 L’applicazione del diritto antitrust

Dopo aver illustrato le principali fattispecie del diritto antitrust, risulta opportuno
soffermarsi sul sistema di enforcement al quale l’ordinamento affida il compito di
garantire un’efficace applicazione di quelle norme oltre che un’adeguata tutela degli
interessi sottesi.

A livello comunitario un ruolo fondamentale viene svolto dalla Commissione, il capitolo
III del reg. n. 1/2003 rubricato come “Decisioni della Commissione” definisce dall’art. 7
al 10 le sue competenze. Innanzitutto l’art. 7 prevede che qualora la Commissione rilevi
una violazione dell’art. 101 o 102 TFUE, essa può obbligare le imprese a porvi fine,
inoltre rispetto al regime precedente al 2003 vi è una novità, ossia la possibilità di imporre
alle imprese l’adozione di rimedi comportamentali necessari per far cessare l’infrazione,
ciò che in concreto è accaduto nel caso “Google shopping”, “Google News” e “Google
AdWords e AdSense” che verranno analizzati in questo lavoro nei capitoli successivi.
Tale pratica dei “rimedi” è prevista anche all’art. 9, dove però assume un carattere
preventivo, qui è previsto il caso in cui la Commissione intenda adottare una decisione
col fine di far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni
per ovviare alle preoccupazioni della Commissione. Nel medesimo articolo è inoltre
sancito che la Commissione, mediante decisione, può rendere gli impegni proposti dalle

28
   Olivieri, L’abuso di posizione dominante, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/ Ricolfi/ Spada (a cura
di), Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, pp. 409-410.
                                                    14
imprese interessate obbligatori. L’art. 8 invece concerne le misure cautelari e prevede la
possibilità per la Commissione, laddove abbia constato la sussistenza di una infrazione
da parte di una impresa o associazione di imprese, di adottare d’ufficio misure cautelari.
Infine l’art. 10 dispone che la Commissione d’ufficio può stabilire che l’art. 81 del
Trattato è inapplicabile ad un accordo o ad una decisione di una associazione di imprese
o ad una pratica concordata nel caso in cui le condizioni poste dall’art. 81 del Trattato
non siano soddisfatte, la Commissione può fare ciò mediante decisione, che deve però
fondarsi su ragioni di interesse pubblico comunitario relative all’applicazione degli
articoli 81 e 82 del Trattato29.

Per quanto riguarda invece l’applicazione del diritto nazionale, dopo un ampio dibattito
sviluppatosi nel corso dei lavori preparatori, la l.n. 287/90 ha optato per un modello
ispirato al Bundeskartellamt tedesco o dell’Office of Fair Trading britannico, ossia
attribuendo ad un’Autorità appositamente costituita, l’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, il compito di attuare le disposizioni poste a tutela della
concorrenza e del mercato, salvo che nel settore del credito, dove tale competenza è
affidata alla Banca d’Italia.

L’AGCM è un organo collegiale composto da cinque membri nominati dai Presidenti dei
due rami del Parlamento, seppur questo organo appartenga a tutti gli effetti alla P.A. opera
comunque “in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e valutazione” rispetto
all’Esecutivo e agli altri poteri dello Stato, così come previsto dall’art. 10 c. 1 l.n. 287/90.

Oltre a comminare diffide e sanzioni nel caso in cui vi sia una violazione delle norme
antitrust, la Commissione, ex art. 21 della suddetta legge, può anche segnalare al Governo
e Parlamento norme di legge, di regolamento o provvedimenti amministrativi che
provochino distorsioni nel corretto funzionamento del mercato; può inoltre, qualora lo
ritenga opportuno, esprimere pareri sulle iniziative legislative che riguardano concorrenza
e mercato. Oltre alle attribuzioni previste dalla l.n. 287/90 si sono aggiunte altre
competenze in materia di applicazione degli artt. 81 e 82 del Trattato CE nel nostro
ordinamento a riprova della centralità di tale organo.

29
     Pappalardo, Il diritto della concorrenza nell’Unione europea, p. 36 s.

                                                      15
Per di più il procedimento davanti all’Autorità Garante si è nel tempo dimostrato in grado
di soddisfare le esigenze del mercato, assicurando l’adozione di decisioni in tempi
relativamente rapidi.

I poteri dell’Autorità Garante inoltre variano sensibilmente a seconda che si tratti di intese
restrittive, abusi di posizione dominante o concentrazioni, la l.n. 287/90 detta regole
diverse in ordine al procedimento da seguire e eventuali provvedimenti da adottare30.

Avendo analizzato l’applicazione del diritto antitrust nello scenario comunitario e
nazionale, risulta ora utile soffermarsi sui diversi ambiti di applicazione.

                  1.3.1 Ambiti di applicazione del diritto antitrust

Nell’applicazione del diritto antitrust distinguiamo a sua volta tre ambiti di applicazione:
l’ambito soggettivo, oggettivo e territoriale.

L’ambito soggettivo si collega alla nozione di impresa, questo perché la legge antitrust si
applica a tutti i soggetti che esercitano attività d’impresa, intendendosi per impresa non
un attività ma un soggetto di attività. La nozione di impresa, elaborata dalla Corte di
Giustizia UE e recepita anche in Italia, fa riferimento ad una entità dotata di due requisiti
di segno opposto: da un lato l’esercizio di un’attività economica, che tende ad ampliare il
campo di applicazione della nozione, e dall’altro l’autonomia economica, che tende
invece a restringerlo, in quanto un’entità priva di questo requisito sarebbe solo una parte
dell’impresa e non l’impresa nella sua integrità31. La nozione di impresa rilevante ai
fini dell'applicazione degli artt. 101 e 102 è stata interpretata dalla giurisprudenza in
modo molto ampio: per il diritto antitrust, l’impresa si qualifica essenzialmente dal punto
di vista funzionale, e cioè per la sua caratteristica di entità esercitante determinate attività
aventi carattere economico con una certa regolarità e continuità, indipendentemente da
qualunque status giuridico, dalle modalità del suo finanziamento, dagli elementi
organizzativi o aziendali, e a prescindere dallo scopo di lucro32.

Per quanto riguarda invece l’ambito di applicazione oggettivo ci si riferisce al fatto che
vi sono alcuni settori speciali che vengono diversamente regolamentati con riguardo ai
poteri dell’AGCM, avendo una disciplina regolamentare ad hoc che contempera i poteri

30
   Olivieri, L’applicazione del diritto antitrust, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/ Ricolfi/ Spada (a cura
di), Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, pp. 467-471.
31
   Pappalardo, Il diritto della concorrenza nell’Unione europea, p. 60.
32
   Munari, Diritto della concorrenza e dell’Unione europea, in Digesto online, reperibile su Leggi d’Italia.
                                                       16
dell’autorità di vigilanza di settore con quelli dell’autorità antitrust33. Dunque sul piano
oggettivo, le disposizioni del TFUE in materia di concorrenza si applicano a tutti i settori
dell’economia, fatte salve le deroghe espressamente previste dai trattati, cui si
aggiungono altre deroghe per quanto concerne il settore militare. Altre esenzioni sono poi
previste anche a livello di regolamenti applicativi delle norme del TFUE, e ciò sia in
materia agricola, che in materia di trasporti34.

L’ultimo ambito di applicazione è quello territoriale, esso si riferisce al rapporto tra norme
nazionali ed europee. Difatti dal 2007 le regole di concorrenza si applicano, al pari delle
altre disposizioni del Trattato, nei territori dei 28 Stati membri. Per l’appunto all’art. 355
TFUE c. 4 leggiamo che “i Trattati si applicano ai territori europei di cui uno Stato
membro assume la rappresentanza nei rapporti con l’estero”35. Dunque, il diritto europeo
della concorrenza coesiste, sia pur in modo non paritetico, col diritto degli Stati membri,
ai quali non è affatto preclusa la possibilità di adottare una normativa interna in
materia antitrust. Ciò si spiega alla luce della circostanza secondo cui gli artt. 101 e 102
TFUE si utilizzano soltanto in rapporto alle fattispecie pregiudizievoli al commercio tra
Stati membri, al contrario laddove una pratica rilevante limiti i propri effetti al territorio
di uno Stato membro, sarà applicabile il diritto nazionale.

Considerato l’ampio spettro applicativo garantito agli artt. 101 e 102 TFUE, non si può
escludere che una medesima fattispecie, rilevante per il diritto dell’Unione europea, possa
essere soggetta a un controllo anche da parte del diritto della concorrenza di uno o più
Stati membri. Tale possibilità viene infatti confermata dall’art. 3 reg. n. 1/2003, che ha
espressamente attribuito anche alle autorità nazionali antitrust il potere di applicare le
norme europee, oltre ovviamente a quelle nazionali. L’applicazione del diritto nazionale,
comunque, deve avvenire nel rispetto della preminenza del diritto dell’Unione, e quindi
nella sola misura in cui l'applicazione del diritto interno non pregiudichi gli obiettivi delle
norme europee antitrust: ciò significa che un comportamento vietato dal diritto
dell’Unione non potrà essere consentito dal diritto nazionale; tuttavia non si può escludere
che un diverso comportamento, che sia invece consentito dal diritto dell’Unione, sia però
impedito dalle norme vigenti all’interno di uno Stato membro, qualora risultino, ad

33
   Vessia, Concorrenza e antitrust, .
34
   Munari, Diritto della concorrenza e dell’Unione europea, in Digesto online, reperibile su Leggi d’Italia.
35
   Pappalardo, Il diritto della concorrenza nell’Unione europea, p. 90.

                                                    17
esempio, più severe rispetto al diritto dell'Unione, ovvero individuanti fattispecie di
divieto non considerate dagli artt. 101 o 102 TFUE.

L’ambito di applicazione territoriale riguarda non solo il rapporto, appena evidenziato,
tra norme nazionali ed europee, ma si riferisce anche al rapporto che intercorre tra norme
europee e Stati terzi. La Corte di Giustizia ha infatti più volte affermato che sono
suscettibili di controllo ad opera degli artt. 101 e 102 TFUE comportamenti lesivi della
concorrenza posti in essere da imprese site in Stati terzi dell’Unione, allorché questi
comportamenti si concretizzino anche nel territorio europeo, o generino comunque effetti
sostanziali. In queste ipotesi, potranno essere assoggettate agli artt. 101 e/o 102 TFUE
anche imprese non stabilite in Europa e, a maggior ragione, le loro controllate stabilite
nell’Unione36.

36
     Munari, Diritto della concorrenza e dell’Unione europea, in Digesto online, reperibile su Leggi d’Italia.

                                                      18
Capitolo 2 DIRITTO COMUNITARIO E NAZIONALE: LA
COESISTENZA FRA I DUE ORDINAMENTI

Sin dall’introduzione, continuando poi con il capitolo precedente, è emersa chiaramente
la coesistenza fra il diritto antitrust comunitario e nazionale, difatti la suddetta disciplina
è stata analizzata affiancando sempre di pari passo il panorama europeo e nazionale.

A questo punto risulta evidente il rapporto di derivazione della legislazione comunitaria
antitrust dalle prime leggi nord-americane con la legge nazionale del 1990, dalla quale
emergono precise convergenze, anche di carattere testuale, rispetto al tracciato
comunitario. In particolare il principio di coesistenza fra i due ordini di norme, su cui si
fonda lo stesso presupposto dell’emanazione di un disciplina nazionale, poneva il
legislatore italiano di fronte alla necessità di delimitare l’ambito di applicazione della
legge in modo da evitare interferenze e sovrapposizioni con l’ordinamento comunitario,
ed in particolare in modo da impedire che uno stesso comportamento concorrenziale fosse
assoggettato ad un regime di doppio controllo37.

Poiché quindi le due discipline nella prassi non si distanziano l’una dall’altra, vi è la
necessità di tenerne conto simultaneamente. Per questo motivo il presente capitolo si
prefigge l’obiettivo di evidenziare il rapporto che intercorre tra le due, che si sostanzia in
un vero e proprio coordinamento tra esse.

Prima di procedere con l’illustrazione del legame tra diritto comunitario ed europeo,
risulta interessante effettuare una breve digressione e ampliare lo scenario, in questa parte
introduttiva, soffermandosi sul rapporto in generale tra diritto europeo della concorrenza
e norme interne degli Stati membri.

Nella grande maggioranza dei settori in cui l’Unione è dotata di specifiche competenze,
essa limita il proprio intervento all’emanazione di regole, lasciandone poi l’applicazione,
e le relative modalità, alle competenti autorità degli Stati membri, incluse le giurisdizioni
nazionali. Viceversa, nel caso della concorrenza spetta all’Unione, e per essa alla
Commissione, un ruolo molto importante, sia pur progressivamente delegato ai giudici
degli Stati membri, e soprattutto alle autorità nazionali della concorrenza, specie a seguito
dell’entrata in vigore del Reg. n. 1/2003, di cui si discuterà più tardi in questo stesso

37
  Mangini, Disciplina del Mercato-Lineamenti generali, in Auteri/ Floridia/ Mangini/ Olivieri/ Ricolfi/
Spada (a cura di), Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, p. 375.
                                                  19
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