Ladri di zaffiri 2020 - Flavio ZUCCA - Sfogliami.it

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Ladri di zaffiri 2020 - Flavio ZUCCA - Sfogliami.it
Ladri di zaffiri
     Flavio ZUCCA

       2020
Premio Campiello Giovani 2020
Selezione della cinquina finalista
Ladri di Zaffiri di Flavio Zucca,
Roma
Ladri di zaffiri

    Qualcuno una volta disse che la via per l’inferno è lastricata di buone       3
intenzioni. Leonardo, quando la intraprese, vide innanzi a sé soltanto un
enorme e nuovissimo palazzo.
Pareva ergersi nella nebbia come un baluardo di luce nel buio, fu questa la
prima impressione del giovane quando vi giunse. Era un edificio alto, mo-
derno, con ampie vetrate come i più prestigiosi uffici americani, e a fargli
da sfondo c’era un’uggiosa giornata milanese.
    La sede di quella misteriosa clinica era stata inaugurata da pochi giorni,
ma subito aveva attirato tutta l’attenzione dei media e soprattutto l’interesse
di molti giovani in cerca di occupazione come Leonardo, giunto da fuori
città per il suo primo giorno di lavoro e desideroso di fare bella impressione.
    Quando ebbe varcato le porte scorrevoli, Leonardo si ritrovò immerso
in un ambiente ancora più moderno e avveniristico di quanto si potesse
immaginare dall’esterno: pareti, soffitti e pavimenti erano tutti di un bianco
marmoreo che dava un senso di asetticità tipico degli ospedali, ma il perso-
nale cordiale e sorridente che si aggirava nell’ingresso e i molteplici schermi
ed elementi tecnologici lasciavano trasparire la natura all’avanguardia di
quella giovane azienda.
    «Le diamo il benvenuto alla Mnemoniac, come possiamo aiutarla?» gli
chiese cordialmente la receptionist appena Leo si fu avvicinato «Salve, sono
stato assunto come psicologo in prova, è il mio primo giorno» «Il suo co-
gnome?» «Fresi, Leonardo Fresi» «Benissimo, si diriga al secondo piano
sig. Fresi, il dottor Zanella le mostrerà tutto ciò che deve sapere prima di
mettersi a lavoro» concluse lei con un sorriso che Leo cercò di ricambiare
nonostante si sentisse un po’ a disagio.
Il dottor Zanella era un volto conosciuto per Leonardo: da qualche tem-
    po appariva su tutti i giornali per le sue sconvolgenti scoperte in ambito
    scientifico che poi lo avevano portato a fondare insieme ai suoi collabora-
4   tori la Mnemoniac SpA.
        «Lei deve essere Leonardo» Zanella lo salutò con una vigorosa stretta di
    mano «venga, la porto a fare un giro. Durante questo mese di prova il suo
    ufficio sarà qui al secondo piano e lavorerà a stretto contatto con i nostri
    pazienti, è un compito di primaria importanza. Riponiamo molta fiducia in
    lei e speriamo che sia all’altezza del suo curriculum» scherzò il medico «Lo
    spero anche io» rispose Leo sorridendo. Zanella sembrava un tipo a po-
    sto. «Come avrà letto ovunque in questi giorni, i laboratori Mnemoniac si
    occupano di estrapolare i ricordi dei clienti per permettere loro di riviverli
    quante volte desiderano nelle nostre sale per proiezioni» esordì Zanella
    aprendo una delle porte azzurre sul corridoio del secondo piano «è qui che
    avviene la magia» concluse facendo gesto a Leonardo di entrare a vedere.
        La sala per proiezioni si presentava come un piccolo cinema privato: al
    centro c’era una poltrona con evidenti componenti tecnologiche, collega-
    ta ad un paio di cuffie che Leonardo immaginò servissero ad immergere
    completamente il cliente nel ricordo che stava guardando, mentre di fronte
    c’era un ampio schermo di ultima generazione leggermente curvilineo.
        «Queste sale sono dei piccoli gioielli di tecnologia multimediale: le pol-
    trone sono fatte in modo tale da compiere piccoli movimenti e vibrazioni
    per stimolare il cliente in base a com’è strutturato il ricordo, le cuffie ga-
    rantiscono un’immersione completa, l’audio delle proiezioni viene ripro-
    dotto contemporaneamente anche dalle casse di tipo surround presenti in
    sala; inoltre vengono diffusi nella sala odori e profumi esattamente identici
    a quelli che ritroviamo nel ricordo estratto dalla mente del paziente» spie-
    gò Zanella «È davvero impressionante» rispose Leonardo sinceramente
colpito.
    «Il lavoro più delicato si svolge ai piani superiori e prevede l’estrazione
del dna del cliente e l’estrapolazione dei suoi ricordi tramite analisi sinap-
tiche, ma questo non la riguarda più di tanto. Il suo lavoro qui è assicurarsi      5
che i pazienti, durante e soprattutto dopo la proiezione del ricordo, stiano
bene psicologicamente e che siano consapevoli di dove si trovano e “quan-
do” si trovano. Dai nostri primi esperimenti abbiamo subito notato che
talvolta rivivere il ricordo porta il cliente in uno stato confusionale. Starà
a lei assicurarsi che non escano da qui in un simile stato di disordine men-
tale» «Tutto chiaro, più o meno è lo stesso che mi è stato detto durante il
colloquio telematico» rispose prontamente Leonardo «Molto bene Fresi,
le mostro il suo ufficio. Ah, dimenticavo, è importante ricordarle una sem-
plice quanto fondamentale regola della nostra azienda: ha diritto in caso
di emergenza di entrare in sala anche durante la proiezione del ricordo,
ma sappia che se per qualsiasi ragione verrà scoperto a spiare i ricordi dei
clienti senza che una situazione di emergenza lo richieda, verrà licenziato
in tronco. Non esiste cartellino giallo per lei: la privacy del paziente è una
priorità assoluta. La fiducia e la riservatezza sono le fondamenta del no-
stro rapporto con i clienti» «Ma certo, ricevuto» rispose Leonardo «Molto
bene, il suo studio è in fondo al corridoio. Tutti i pazienti dovranno essere
visitati da lei e firmare gli appositi documenti prima di lasciare l’edificio».
    Passò circa una settimana e l’affluenza di clienti fu notevolissima: Leo-
nardo vide in pochi giorni decine di persone entrare in quelle sale. Quando
uscivano avevano quasi tutti il volto rigato di lacrime e generalmente nessu-
no aveva voglia di raccontare ciò che aveva rivissuto, ma tutti si lanciavano
in commossi ringraziamenti come se fosse stato Leonardo a costruire quel
luogo. Lui si limitava a seguire le direttive di Zanella e aiutava i pazienti più
confusi a ritrovare l’ordine mentale; inoltre, qualora il cliente avesse voglia
o bisogno di parlare, lo psicologo era lì a disposizione.
        Passarono altri giorni ed un cliente in particolare catturò l’attenzione di
    Leonardo: si chiamava Elia, era un uomo sulla cinquantina, aveva un’aria
6   perennemente triste e stanca. Una folta barba grigia e incolta copriva parte
    del suo viso e due occhiaie profonde gli conferivano un aspetto cupo e
    scavato. Negli ultimi giorni aveva usufruito dei servizi Mnemoniac tre volte
    e aveva già prenotato la quarta seduta. In confidenza aveva spiegato a Leo-
    nardo che sua moglie purtroppo era venuta a mancare da poco e a lui non
    restava che rivivere i suoi ricordi con lei.
        Quando Elia arrivò al secondo piano era ormai tardo pomeriggio, lui
    era l’ultimo cliente della giornata e Leonardo, che col procedere del tem-
    po era sempre più tentato di guardare di nascosto il ricordo di qualcuno:
    alla fine fece esattamente l’unica cosa che Zanella gli aveva espressamente
    vietato di fare. Elia prese posto in sala e indossò le cuffie, poi, quando le
    luci furono spente e la proiezione ebbe inizio, Leonardo si intrufolò nella
    stanza e rimase nell’angolo alle spalle del vedovo per osservare finalmente
    la proiezione del ricordo.
        Elia e la ragazza si trovavano su un prato, il video era ovviamente girato
    in prima persona dagli occhi del paziente. Erano stesi su di un telo e tra loro
    c’era uno zaino con alcuni panini. Lei era giovane e non particolarmente
    bella, ma aveva un sorriso e uno sguardo così dolce e gentile da sciogliere il
    cuore anche a Leonardo. Elia nel ricordo si guardò intorno e in lontananza
    lo psicologo riconobbe l’Arco della Pace: erano a Parco Sempione a fare il
    più classico dei pic-nic in una splendida giornata di sole. La sala era pervasa
    dall’odore rugiadoso di erba tagliata e terra umida, lo stesso identico odore
    che Leonardo avvertiva quando andava a correre al parco. Lo psicologo
    non riusciva ad immaginare cosa potesse significare per i clienti un’espe-
    rienza così pervasiva.
«Allora? Com’è il panino?» chiese la ragazza al giovane Elia «Per essere
fatto da te non è poi così male in fondo» rispose lui scherzoso e lei inarcò le
sopracciglia fingendo stupore «Ma come ti permetti! La prossima volta te
lo prepari da solo il pranzo» «Affare fatto» rispose Elia ridendo.                  7
    Leonardo notò che lui non le levava un attimo gli occhi di dosso. Men-
tre lei mangiava il suo panino con la bresaola, mentre si scostava i capelli
dal viso, mentre osservava gli uccellini di passaggio, la telecamera del video,
gli occhi di Elia, erano sempre fissi su di lei.
    «Viola io ti amo lo sai?» chiese Elia con voce più seria «Certo che lo so,
te ne sei mangiati già due di questi cosi» rispose lei, messa in difficoltà dalla
secchezza del panino «se non è amore questo!». «Viola…» «Che c’è?» ri-
spose lei con quello sguardo così affettuoso «Io non riesco ad immaginarla
una vita senza di te. Quando penso che domani partirò, il colloquio di lavo-
ro… tutto questo ha senso solo se lo sto facendo per un futuro con te».
    Gli occhi della giovane iniziarono a riempirsi di lacrime e le sopracciglia
si avvicinarono, ma non smise per un secondo di sorridere. Leonardo a sua
volta sentì di essere sul punto di piangere, guardò Elia seduto sulla poltro-
na e vide che lui già da un pezzo aveva le guance rigate. Nel video il giovane
protagonista stava estraendo dalla sua tasca un anello, Leonardo capì cosa
stava per succedere e decise di non spingersi oltre. Era un momento davve-
ro troppo intimo e si sentì in colpa per averlo spiato, dunque uscì dalla sala
asciugandosi gli occhi con le maniche della giacca.
    Quando Elia ebbe concluso la visione del ricordo entrò come sempre
nell’ufficio di Leonardo, come sempre con gli occhi arrossati dal pianto.
«Ho finito dottore, mi sento bene. Dove devo firmare?» chiese il vedovo e
Leonardo gli rivolse un sorriso amichevole «Ti ho già detto che puoi chia-
marmi Leo, o sbaglio?» «Sì, scusami» rispose Elia passandosi una mano sul
viso, evidentemente provato. «Ti vuoi sedere?» gli chiese Leonardo e l’uo-
mo senza rispondere prese posto di fronte alla scrivania dello psicologo.
    «Non so più cosa fare. È passato già un mese, ma più mi guardo intorno e
    più capisco che nella mia vita non ci sarà mai qualcosa che mi renderà felice
8   come svegliarmi al mattino accanto a Viola» esordì d’un fiato il vedovo con
    voce commossa «la verità, semplice e dura, è che avevo incontrato una per-
    sona fantastica e mi è stata portata via». «Un mese è poco» rispose subito
    lo psicologo «è assolutamente normale che tu ti senta così, devi prenderti
    il tuo tempo, ma senza mai arrenderti, Elia. Non sei ancora abbastanza
    vecchio per dire che non sarai più felice». Elia accennò un sorriso.
        «Però se posso permettermi» proseguì Leonardo «io non credo che
    continuare a venire qui alla Mnemoniac sia la cosa giusta per te… vivere
    nel passato e riguardare i propri ricordi equivale a buttar via il proprio
    presente e il proprio futuro. Non ti aiuta per niente». «Ti sbagli. Rivedere
    i miei momenti con Viola è l’unica cosa che mi fa ancora battere il cuore.
    Mi fa sfogare, in un certo senso. Ringrazio ogni giorno la Mnemoniac per
    questo» «Capisco cosa vuoi dire, ma io penso che tu debba assolutamente
    vivere la tua vita. Cosa speri di fare? Continuare per sempre a passare notti
    insonni e venire in questo posto a rivedere una donna che non c’è più?
    Devi andare a lavorare, devi uscire con gli amici, ritrovare te stesso. Perché
    ancora non è finita. Hai ancora tanto da dare a questo mondo, non fingere
    che non sia così». Elia sembrò sinceramente colpito da quelle parole, il
    suo volto per un attimo si illuminò. «Grazie» fu la sola risposta del vedovo
    «ci penserò su, grazie davvero» «E poi quando hai tempo tagliati quella
    barba» concluse Leonardo scherzoso mentre il paziente chiudeva la porta
    dell’ufficio alle proprie spalle.
        Passarono alcuni giorni e Leonardo non riuscì a fermarsi. Sempre più
    spesso s’appostava per osservare le proiezioni dei ricordi dei clienti e un’i-
    dea sempre più chiara troneggiava nella sua psiche: la Mnemoniac faceva
del male alle persone. Quell’edificio agli occhi di Leo si configurava sempre
più come un abnorme sepolcro di memorie, tragedie ed infinita tristezza.
    Quelle persone non avevano bisogno di questo, ma di tornare a sorridere.
    Fu in una soleggiata quanto gelida mattinata di febbraio che Leonardo         9
vide per la prima volta Alice. Il giovane psicologo giunse come ogni matti-
na al cospetto degli uffici Mnemoniac. Quel palazzo vitreo era sempre più
odioso agli occhi di Leo, che sentiva ogni giorno crescerne inesorabile l’in-
fluenza negativa. Una torre di cristallo in grado di immagazzinare il dolore
delle persone ed amplificarlo, un luogo verso cui al contempo Leonardo
sentiva di sviluppare un attaccamento quasi morboso. Varcò come sempre
le porte scorrevoli e si diresse verso l’ascensore per salire al secondo piano,
ma quando i suoi occhi si posarono su Alice la sua attenzione ne fu imme-
diatamente catturata. Era una giovane donna con i capelli castani, di media
statura ed indossava un lungo vestito invernale di un rosa acceso. «Salve,
ho prenotato una seduta completa di estrapolazione e proiezione» spiegò
la giovane alla receptionist, poi si voltò verso Leonardo e finalmente i loro
sguardi si incrociarono. Lo psicologo rimase folgorato dagli occhi di Alice:
erano di un azzurro intenso e profondo che difficilmente il giovane aveva
mai visto in precedenza. Ad interrompere lo stordimento di Leonardo fu il
dottor Zanella in persona che uscì dall’ascensore «Fresi! Non dovrebbe già
essere nel suo ufficio?» chiese il primario, sembrava estremamente adirato
«Beh non importa, tanto in ogni caso avevo bisogno urgente di parlarle»
proseguì «quindi la voglio nel mio ufficio, tra mezz’ora» concluse Zanel-
la, lasciando Leonardo interdetto. Cosa poteva rendere il primario tanto
scontroso? Leo per un attimo temette di essere stato scoperto a spiare le
proiezioni dei clienti.
    «Dunque, veniamo subito al punto» esordì Zanella quando Leonardo
si presentò nel suo ufficio «questa mattina il signor Elia De Angelis, vedo-
vo di moglie, ha inviato una splendida lettera di ringraziamenti alla nostra
     sede. Una lettera stracolma di complimenti per il nostro simpatico, pro-
     fessionale e capace psicologo: Leonardo Fresi-Leonardo capì subito dove
10   andava a parare quella conversazione. «Il signor De Angelis tuttavia non
     verrà mai più ad usufruire dei servizi Mnemoniac, proseguì Zanella» poi-
     ché, come specificato nella sua lettera, egli sostiene di sentirsi sulla via della
     guarigione dall’attaccamento ai ricordi grazie all’incessante supporto del
     nostro bravo psicologo. Sta parlando di lei, signor Fresi» «Dottore, io…»
     provò a rispondere Leo, ma Zanella lo interruppe colpendo vigorosamente
     la scrivania con un pugno «No lei adesso tace, perché ha già parlato a suf-
     ficienza» ruggì il primario «secondo lei io l’ho assunta per cacciare i miei
     clienti? Questo posto rappresenta la ricerca della mia vita, e secondo lei io
     permetto a Leonardo Fresi di rovinare tutto?» «Non sono qui per rovinare
     nulla» rispose timidamente Leonardo «Ah no? Allora mi dica cosa non è
     chiaro nelle sue mansioni, signor Fresi: lei deve assicurarsi che il cliente
     esca di qui soddisfatto dall’esperienza e in buona salute psicologica. Fine.
         Consigliare ai clienti di abbandonare i nostri servizi non rientra affatto
     nei suoi compiti». « È vero, ma io… non posso ignorare una persona che
     sta soffrendo se posso fare qualcosa per impedirlo. La maggior parte dei
     nostri clienti si rifugia nel proprio passato, perdendosi la preziosa occasio-
     ne di vivere il presente e il futuro. Il compito della Mnemoniac dovrebbe
     essere aiutarli. Io faccio del mio meglio per farli tornare alla vita » « Ma
     nessuno l’ha assunta per questo! Noi non siamo un centro di recupero per
     persone depresse. Noi offriamo un servizio ben preciso a chi ne voglia usu-
     fruire, un servizio che non procura alcun danno al cliente» «Io dico che ne
     procura di danni!» rispose con veemenza Leonardo «C’è gente che viene
     ogni santo giorno a rivedere i propri momenti con i cari defunti, c’è un
     giovane ragazzo di vent’anni che ormai da una settimana non manca un ap-
puntamento! La ragazza lo ha lasciato e lui ogni singolo pomeriggio è qui a
rivedersi i propri ricordi invece che uscire con gli amici, studiare, conoscere
nuove ragazze!» «Perché quel giovane evidentemente non vuole nuove ra-
gazze, maledizione Fresi! Rivuole la ragazza che ama e noi gli offriamo un        11
modo per rivederla» rispose prontamente il fondatore della Mnemoniac.
Calò qualche secondo di silenzio. «Mi ascolti, Fresi, riprese Zanella con
tono più calmo» questa è la prima ed ultima volta che affrontiamo questa
conversazione. Se non si sente in grado di lavorare qui, è libero di andare,
ma se resta, allora deve seguire le nostre direttive, è chiaro?» «Io…» Leo
cercava una risposta adeguata, ma si sentiva confuso. Era la prima volta che
esternava a voce alta tutto il suo risentimento verso la Mnemoniac e lo ave-
va fatto direttamente in faccia al suo fondatore. Di nuovo calò il silenzio.
«Avevo un figlio, Fresi» iniziò a raccontare Zanella interrompendo nuova-
mente la quiete «tredici anni fa ero in viaggio a Venezia con mia moglie e
il mio bambino. Aveva cinque anni. Io e Caterina non eravamo mai stati là
insieme e da tempo sognavamo quel viaggio. Venezia era la città preferita
di entrambi e finalmente per il nostro anniversario eravamo là, con il no-
stro bel bambino» gli occhi del primario si arrossarono e si fecero acquosi
«Caterina era in albergo, io e il piccolo passeggiavamo nelle calli di Venezia
ammirando la bellezza dei canali. Passammo davanti ad una splendida ban-
carella che vendeva gioielli in vetro di Murano ed io decisi di acquistare una
collana per mia moglie. Mi distrassi per cinque secondi. Una volta scelta la
collana più bella mi voltai verso mio figlio per mostrargliela, anche lui un
giorno avrebbe avuto una ragazza a cui fare regali, no?» due lacrime scivola-
rono dolcemente sulle guance di Zanella, le sue labbra si inarcarono verso il
basso «Cinque secondi e il bambino era sparito. Io gridai. Cercai ovunque.
In meno di mezz’ora avevo già chiamato la polizia e chiesto a tutti i negozi
circostanti di fare annunci. Quel giorno persi mio figlio, Fresi. Tredici anni
fa io ho perso il dono più bello che la vita mi avesse fatto, oggi lui ha 18 anni
     e io non so se è vivo, se è morto o cosa diavolo possa essergli accaduto».
     «Io non sapevo… mi dispiace davvero tanto» balbettò Leonardo con voce
12   tremante. Da quando era stato assunto alla Mnemoniac ne aveva sentite di
     storie dolorose, ma questa le superava tutte. «Ovviamente a seguire anche
     il matrimonio con Caterina si concluse. Io e mia moglie diventammo niente
     più che due ombre sprofondate in una quotidianità tetra» proseguì Zanella
     «ed ogni sera, Fresi, ogni sera io riguardo i più bei momenti vissuti in quei
     cinque anni con mio figlio. Ogni sera, grazie a questo luogo a cui lavoro da
     una vita, posso riguardarmi mentre cambio il pannolino al piccolo e il mio
     cuore per una frazione di secondo rivive quel fortissimo senso di speranza
     verso il futuro che provavo guardando gli occhi di mio figlio». Leonardo
     si limitò a deglutire. Qualsiasi possibile frase gli pareva stupida da dire in
     quel momento. «Che c’è? Le ho rovinato il quadretto? Pensava che fossi
     un ricco imprenditore cattivone e spietato che lucra sui ricordi e sulla no-
     stalgia degli altri?» chiese Zanella recuperando un po’ di fermezza nella
     voce «Beh, forse dovrebbe imparare a giudicare meno frettolosamente i
     suoi pazienti. Forse dovrebbe fermarsi e domandarsi perché la gente è così
     affezionata ai propri ricordi più belli» concluse il primario. Leonardo tirò
     su col naso rendendosi conto di essere sul punto di commuoversi «Conti-
     nuerò con questo lavoro, secondo le direttive» fu l’unica cosa che lo psico-
     logo riuscì a rispondere «posso andare?».
         Alice Lentini bussò alla porta dell’ufficio di Leonardo un paio d’ore più
     tardi. «Avanti» la invitò lo psicologo già sapendo che stava per fare il suo
     ingresso la splendida ragazza vista quella mattina alla reception. Mentre
     la giovane si accomodava nell’ufficio Leo continuò a ripetersi di rimanere
     professionale nonostante il fascino di lei. Quando alzò lo sguardo si trovò
     davanti ad una ragazza stranamente rilassata, sul suo viso non c’era il mini-
mo segno di pianto «Lei è forse la mia prima paziente a non presentarsi in
lacrime» le disse lui schiettamente «Se volessi piangere starei a casa a guar-
darmi il telegiornale» rispose Alice con semplicità, suscitando un sorriso
sincero nello psicologo. «Allora. Si sente bene? Deve solo compilarmi que-        13
sto foglio e firmarlo e poi la lascio andare a casa» esordì lui con fare forma-
le, ma lei era distratta, stava giocherellando con un modellino di aeroplano
preso dalla scrivania di Leonardo. «Stia attenta con quello, è un pezzo da
collezione» «Ma sei serio? Collezioni aeroplanini? Assumono bambini del-
le elementari alla Mnemoniac?» scherzò lei fingendo di giocare con l’aereo
come farebbe un bimbo piccolo e lui sbottò a ridere. Lei era davvero bella.
Quegli occhi così blu, così allegri, quel sorriso così genuino.
    Cosa ci faceva lei in quel cimitero di ricordi? «Com’è stata l’esperienza
in sala? Vuoi parlarne?» chiese lui arrendendosi a darle del tu e lei scosse
la testa «Decisamente non ho voglia di parlarne, però devo ammettere che
è stato impressionante. Non pensavo che mi avreste fatto rivivere il ricordo
in maniera così vivida, alcuni dettagli nemmeno li ricordavo. O meglio non
sapevo di ricordarli» spiegò Alice e Leo annuì «Sì, quello che succede in
questo posto decisamente sfiora la fantascienza».
    La settimana successiva Alice si presentò altre tre volte e Leonardo im-
piegò tutte le proprie energie per non legarsi sentimentalmente alla ragaz-
za. Non lasciarsi conquistare dalla sua bellezza, dal suo carisma e dalla sua
simpatia era quasi impossibile, ma innamorarsi di una paziente è contrario
a qualsiasi codice e regolamento per un bravo terapeuta. “Anche se Alice
non è propriamente una mia paziente” pensava Leonardo la sera prima di
coricarsi nel letto, ma poi cercava di scacciare via quell’immagine dalla sua
mente. Cercò anche di imporsi di non spiare le proiezioni della ragazza no-
nostante la curiosità lo divorasse come un parassita insaziabile, ma quando
lei fissò il suo quinto appuntamento Leo non riuscì più a resistere. Quel
giorno quando le luci della sala si spensero lo psicologo si appostò come al
     solito nell’angolo vicino alla porta, dopo che Alice si fu messa le cuffie.
         C’era il mare. Davanti agli occhi della giovane c’era un immenso ed
14   immobile mare calmo. Nessun bagnante, nessuno sulla spiaggia intorno a
     lei. Dove si trovava? Quale spiaggia è così vuota? D’un tratto nel campo vi-
     sivo di Alice giunse correndo all’impazzata un cane. Era enorme, appariva
     così grande che Leonardo immaginò che Alice dovesse essere una bambina
     all’epoca. Probabilmente non era un cane di razza, aveva una folta pelliccia
     grigia e bianca a conferirgli l’aspetto di un cane da slitta. Leonardo guardò
     Alice seduta sulla poltrona, non sembrava piangere. Nel ricordo la giovane
     iniziò a giocare con il cane che le saltava festosamente addosso, poi prese
     un piccolo ramo trovato lì nella sabbia e lo lanciò in acqua, il cane in due
     balzi si gettò a riva a cercarlo. Quando l’animale uscì con il bastone stretto
     tra le fauci aveva il pelo completamente fradicio e si sgrullò vigorosamente
     suscitando le risate di Alice. Leo sbirciò e anche nel presente Alice stava
     sorridendo davanti alla scena. Lo psicologo decise di aver visto a sufficienza
     e lasciò la sala chiudendo adagio la porta alle sue spalle.
         Quando lei entrò nel suo ufficio Leo come al solito finse di aver a che
     fare con un cliente qualunque. «Ehilà, come sta il mio collezionista di ae-
     roplanini preferito?» scherzò la giovane sedendosi, ma lui notò che la sua
     voce era leggermente più triste del solito. O forse era solo un’impressione.
     Forse Leo si stava facendo solo influenzare dalla malinconia che gli era
     rimasta addosso dopo aver visto il ricordo con il cane. «Bene, tu? Tutto
     ok? Ormai è circa la quinta volta che vieni alla Mnemoniac» constatò lo
     psicologo «ricorda che se vuoi parlarne, io sono qui per questo» «Non ti
     arrendi, eh? Vuoi proprio che io ti racconti cosa guardo nei miei ricordi»
     rispose Alice con fare scherzoso «Certo che no, è pienamente nei tuoi di-
     ritti non dirmi…» iniziò prontamente a spiegare lui, ma lei lo interruppe
«Io al tuo posto morirei di curiosità. Lavori in questa specie di museo pie-
no di ricordi intimi e personali… come fai a non impazzire dalla voglia di
rubarli?» «Rubarli?» chiese Leo confuso «Non ho la minima idea di come
vengano conservati i ricordi e in che forma, dubito che sarei in grado di        15
rubarli» «Era per dire! Sei sempre il solito impiegato palloso» lo prese in
giro, lui scrollò le spalle   «Come ti pare». Alice lo osservò attentamente,
lui continuò a fingere di lavorare su delle scartoffie, ma in realtà si senti-
va piuttosto nervoso. «Ce l’ha una fidanzata il nostro tenebroso psicologo
della Mnemoniac?» chiese lei d’un tratto e lui alzò lo sguardo arrossendo
leggermente «Questo non è appropriato, Alice. Non ti risponderò» «Santo
cielo, ma sei assurdo! Avrai circa la mia stessa età. Rilassati, no? Quanti
anni hai?» «Ne faccio ventotto venerdì prossimo». Il viso di lei si illuminò
«Fai una festa di compleanno?» «Ti ho detto che non è appropriato! Non
deve esserci questo tipo di rapporto tra me e una paziente» «Ma io non
sono una tua paziente! Vengo qua solo per mettere una firma». I due si
guardarono per qualche istante. «Molto bene. Se tu mi dici perché una
ragazza come te non ha di meglio da fare che venire per ben cinque giorni
di fila alla Mnemoniac, io ti dico se festeggio il mio compleanno» propose
Leo con tono innervosito e gli occhi di Alice si incupirono «Complimenti,
wow, tu sì che sei appropriato invece» pronunciò lei d’un fiato, poi senza
dire una parola prese la penna, firmò e lasciò l’ufficio. Leo si maledì per
quell’uscita infelice, ma poi pensò che tutto sommato fosse meglio così: i
sentimenti verso Alice crescevano ogni giorno irrefrenabili ed era un bene
dar loro una battuta d’arresto.
    Nonostante il piccolo alterco, Alice fissò un nuovo appuntamento per
la mattina seguente. Quando Leo lo scoprì sapeva già che resistere alla ten-
tazione di spiare il suo ricordo sarebbe stato inutile. Era un ricordo diverso
da quello del giorno prima. Non c’era il cane e nemmeno il mare. Il ricordo
si aprì con l’immagine di una cascina in aperta campagna e la protagonista,
     Alice, stava correndo su un sentiero di ciottoli verso la porta d’ingresso
     gridando a gran voce «Toc toc! Toc toc!» e, quando giunse innanzi al por-
16   tone di legno, dall’interno della casa le rispose la voce di un’anziana signora
     «Chi è? Chi sarà mai?» «Sono il brigante della montagna!» rispose Alice.
         Leonardo dalla voce capì subito che si trattava di un ricordo d’infanzia,
     probabilmente anche precedente a quello del cane. «Cosa posso fare per
     te?» rispose la signora anziana dentro casa, con un tono di voce fintamente
     intimorito. «Voglio tutti i biscotti che avete preparato per la vostra nipoti-
     na» gridò Alice e una voce maschile alle sue spalle rise di gusto, probabil-
     mente c’era suo padre ad accompagnarla. La porta del casale si aprì e ne
     uscì una signora anziana con i capelli bianchi tinti e gli occhi azzurri simili a
     quelli della ragazza «Ma Alice! I briganti rubano gioielli preziosi, era così il
     gioco» le disse la signora sorridendo «Cosa ci faccio con i gioielli nonna? Io
     voglio i biscotti!». Leonardo si sentiva confuso. I ricordi che Alice veniva
     a vedere alla Mnemoniac erano differenti da quelli degli altri clienti, erano
     scene così semplici e quotidiane, ma al tempo stesso Leo sentiva addosso
     una malinconia così schiacciante nel guardarli. Lo psicologo si sporse per
     sbirciare il viso di Alice e notò che stavolta stava cedendo al pianto.
         Nei giorni seguenti la giovane continuò senza sosta a frequentare la cli-
     nica dei ricordi guardandone ogni volta uno differente. Il giorno successivo
     fu la volta di un ricordo più recente che raffigurava il momento in cui Alice
     lasciava il suo fidanzato. Anche in questo caso Leo la vide piangere e si
     chiese quanto potesse essere masochista per rivivere quel momento nono-
     stante fosse stata lei a lasciare lui. Un ricordo era ambientato in Germania,
     in viaggio con le amiche, altri ricordi erano di nuovo legati al suo bel cane
     probabilmente defunto, mentre in un’occasione Leo ebbe modo di vedere
     i suoi genitori grazie ad un ricordo ambientato in Spagna in una vacanza
fatta da bambina. Alice cercava di essere socievole con lo psicologo, ma la
situazione s’era fatta imbarazzante da quella volta in cui le aveva risposto
male e Leonardo ad ogni visita si limitò a reprimere la pressante curiosità
di farsi raccontare da lei il perché di tutte quelle visite alla Mnemoniac.         17
    Venerdì mattina Alice aveva come sempre il suo appuntamento per la
proiezione, ma Leo aveva del lavoro da fare e non spiò il suo ricordo, si
limitò ad attenderla in ufficio. Stava compilando alcuni moduli quando la
luce del suo studio si spense improvvisamente. Leo alzò lo sguardo e vide
Alice fare il suo ingresso con una torta in mano: il suo viso era illuminato
soltanto dalla luce delle candeline, ma lui vide chiaramente che stava sorri-
dendo. Leonardo non riuscì a trattenere un sorriso altrettanto radioso.
    «Sei seria? Mi hai portato una torta?» «Devo ancora decidere se tirar-
tela in faccia» rispose lei poggiandola sulla scrivania «non t’illudere, non ti
canto nessuna canzoncina. Soffia dai». Leo soffiò e spense le candeline.
    Alice riaccese la luce dell’ufficio, lui osservò la torta e notò che era pic-
cola e al pistacchio. «Pistacchio?» chiese lui «Beh, non ho idea di cosa ti
piaccia. Quindi ho scelto una torta che piace almeno a me» rispose Alice
tirando fuori dalla borsa due piattini e delle posate. I due mangiarono una
fetta di torta a testa e si limitarono a chiacchierare un po’.
    «Allora? Stasera come festeggi?» chiese lei guardandolo con quegli
occhi di un azzurro intenso «Non ho programmi in verità» rispose Leo
«probabilmente la settimana prossima vengono a Milano i miei genitori
a trovarmi, ma per stasera penso proprio che me ne starò a casa» «he ne
pensi di una pizza moralmente sbagliata con una tua cliente?» chiese lei
semplicemente «Conosco un posto dove la fanno davvero buona, vicino
al Duomo». Leonardo la osservò per qualche secondo «Immagino di non
poter rifiutare. Non dopo che hai fatto irruzione in ufficio con una torta in
mano».
In qualità di psicologo Leonardo s’era fatto un’idea piuttosto precisa di
     Alice, ma cercava di mentire a sé stesso e fingere che andasse tutto bene. I
     clienti della Mnemoniac in genere si limitavano a guardare un singolo tipo
18   di ricordi, come Elia De Angelis, ma Alice era diversa. Alice li guardava
     tutti: dal cane alla nonna, dall’ex fidanzato ai momenti con i genitori. Una
     nostalgia così ossessiva era un campanello d’allarme molto pericoloso e Le-
     onardo lo sapeva, ma cercava di non pensarci. Perché s’innamorava di lei
     ogni giorno di più e non riusciva a guardarla come una paziente, perché in
     fondo non voleva dar credito ai numerosi segnali di depressione che Alice
     esprimeva con il suo comportamento anomalo e morbosamente nostalgico.
         Quella sera s’incontrarono fuori dalla pizzeria all’orario stabilito. Lei
     era incantevole e Leonardo si sentì quasi inadeguato al suo cospetto. Per
     tutta la durata della cena non riuscì a scacciare dalla mente l’idea che quello
     fosse il compleanno più bello della sua vita. «Prendiamo qualcosa per dol-
     ce?» chiese Leo notando che Alice ancora teneva d’occhio il menu «Non
     lo so…» rispose lei «non m’ispira quasi nessuno di questi dolci. Però ne ho
     voglia» «Allora andiamoci a prendere un gelato» propose Leonardo «Un
     gelato? Con questo freddo?» rispose lei ridendo «Ci sto».
         Mentre passeggiavano verso la gelateria continuarono a chiacchierare
     ininterrottamente. Alice senza accorgersene diede alcune risposte impor-
     tanti ai quesiti di Leonardo. Raccontò del suo cane, morto da tre anni, rac-
     contò di avere una casa in montagna ereditata da sua nonna e si aprì anche
     un po’ sullo spinoso argomento Mnemoniac. La giovane spiegò di aver letto
     sui social network di questa nuova clinica dei ricordi e di essersi incuriosita
     all’istante e raccontò anche di quanto emozionante fosse stato rivedere le
     proprie memorie in maniera così incredibilmente realistica. Leo fece finta
     di non aver mai visto la proiezione di un ricordo. Lo psicologo non riusciva
     a non analizzare ogni sguardo di lei, ogni movimento delle sue sopracci-
glia ed ogni suo sorriso, non riusciva a non intravedere una profondissima
tristezza nascosta nell’animo di Alice. D’un tratto il ragazzo non riuscì più
a trattenersi: «Io credo che dovresti smettere di venire alla Mnemoniac»
«Cosa?» rispose lei visibilmente confusa. «Più lavoro in quel posto assurdo        19
e più penso che non faccia per niente bene ai clienti» argomentò Leonardo
«quante mattinate ci hai già speso? Sei venuta da noi almeno una dozzina
di volte, Alice. Sono davvero preoccupato per te». Lei rimase in silenzio
per un attimo, sembrò leggermente offesa dalle parole di Leonardo. «Forse
vengo perché mi sei simpatico tu» cercò di sdrammatizzare la ragazza, ma
Leo rimase serio «È davvero così necessario per te buttare il tuo tempo
per rivivere i ricordi?» «Tu non sai nulla di me» rispose Alice iniziando ad
innervosirsi «È vero, non so nulla, ma sto imparando a conoscerti» «Non
mi pare» borbottò lei «Invece sì. Li vedo i tuoi occhi quando entri nel mio
ufficio. Alice tu sei una ragazza fantastica, bellissima e sai anche essere così
spiritosa e divertente, ma quel posto ti spegne. I ricordi sono importanti
per gli esseri umani, ma non devono sovrapporsi alla vita reale! Devi anche
imparare a lasciare andare il passato» «Smettila! Smettila, mi hai capito?»
Alice alzò la voce «Mi stai parlando come se fossi una tua paziente. Io ce
l’ho già una psicologa! Leo, io non ti ho chiesto di uscire con me per farmi
psicanalizzare» «Hai ragione, senti scusami, io davvero…» «Cosa? Dav-
vero cosa? Pensi che io non stia bene? Pensi che io venga tutti i giorni alla
Mnemoniac perché non mi sento felice? Beh wow, congratulazioni Sher-
lock!» «Alice, dai calmiamoci un secondo» «Cosa sei tu? Un robot? Hai
mai perso una persona cara? Hai mai voluto bene a qualcosa? No, tu te ne
stai lì a giudicarmi solo perché voglio riabbracciare per qualche secondo
il mio cane o rivedere i miei genitori quando erano sposati felicemente».
Leonardo si rese conto che la serata era ormai rovinata irrimediabilmente.
«Vuoi che ti accompagni a casa?» chiese lui quando lei ebbe per un atti-
mo finito di sfogarsi «No, sono venuta in macchina, grazie» rispose Alice
     bruscamente, poi gli voltò le spalle e iniziò a camminare spedita. «Alice
     aspetta, ascoltami. Ti chiedo scusa ho sbagliato» le disse Leonardo e lei si
20   fermò, ma senza voltarsi «Quando ti guardo negli occhi io… tu non puoi
     capire cosa provo» cercò di dire goffamente lo psicologo.
         La ragazza si voltò, sembrava intenzionata ad ascoltarlo «Sei sicuro che
     io non possa capire?» «Alice, i tuoi occhi sprigionano luce. Sono stupendi
     e brillano di vitalità, sono gli occhi di qualcuno che ha tantissimo da offrire
     a questo mondo. Vedere che quei due zaffiri brillano per cose morte, ve-
     dere che si accendono guardando ricordi che ormai non torneranno mai
     più, è un peccato. La verità è che sono anche invidioso. Perché vorrei che
     un giorno i tuoi occhi brillassero in quel modo, ma guardando me». Alice
     accennò un sorriso «Hai detto zaffiri? Ho sentito tanti complimenti smie-
     lati sui miei occhi in passato, ma zaffiri mi è nuovo» «Allora mi perdoni?»
     chiese lui sorridendole, ma lei fece segno di no con la testa e due lacrime
     calde iniziarono a farsi strada sulle sue guance. Leo era confuso, Alice gli si
     avvicinò piangendo «Sono stata una stupida a pensare che tra noi potesse
     nascere qualcosa. Tutto quello che hai detto è vero: io vivo nel passato,
     sono ostaggio di questa maledetta nostalgia, ma non so come fare capisci?»
     iniziò a singhiozzare, Leo allungò le mani e le poggiò delicatamente sulle
     braccia di Alice «Non lo so se capisco, non posso neanche prometterti che
     saprò aiutarti, ma ti giuro che ci proverò» cercò di rassicurarla lui, ma lei
     ormai piangeva senza controllo, l’azzurro delle pupille venne esaltato an-
     cora di più dal rossore dei suoi occhi. «No Leo, non puoi aiutarmi. Non è
     colpa tua, non è colpa di nessuno. Tu sei una bella persona e ti ringrazio,
     ma sono io a dover convivere con questo cervello» spiegò lei guardandolo
     negli occhi, Leonardo d’impulso decise di giocarsi il tutto per tutto e la
     baciò. Alice ricambiò il bacio per qualche secondo, lui sentì il sapore delle
sue lacrime, poi delicatamente lei pose la mano sul petto di Leonardo e
si allontanarono. Il viso di Alice era ancora rigato dal pianto «Anche la
mia psicologa mi ha consigliato vivamente di smetterla con la Mnemoniac»
spiegò lei estraendo un fazzoletto dalla giacca «non ci vedremo più Leo.          21
    È stato uno sbaglio stasera» concluse asciugandosi gli occhi «No, Alice
non fai sul serio» ribattè prontamente Leonardo, ma lei pareva davvero
decisa «Sono serissima. Non lascerò che tu perda tempo con una ragazza
così, ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto per me. Non ci verrò più nel tuo
cimitero di ricordi. Va bene?» «Sì, io credo che ti farà stare molto meglio,
ma questo non vuol dire che noi due non possiamo…» «Mi dispiace Leo.
    Ti ripeto che non è colpa di nessuno, devo fare i conti con me stessa e
non intendo coinvolgerti. È stato uno sbaglio. Buonanotte».
    Per tutta la settimana successiva Leonardo non la rivide. Da un lato ne
fu lieto perché non aveva dubbi sul fatto che ad Alice avrebbe fatto bene
abbandonare la Mnemoniac, ma dall’altro lato lo psicologo voleva ardente-
mente avere sue notizie, sentire la sua voce e rivederla. Leonardo si sentiva
un vero schifo per com’era andata la serata con lei ed ogni mattina sperò di
rivedere quegli occhioni azzurri e quel sorriso spuntare dalla porta dell’uf-
ficio, ma lei non venne.
    Nel corso di quella settimana il giovane si rese conto anche di quante
cose non conoscesse di Alice. Dove abitava quella ragazza? A Milano o fuo-
ri città? Aveva raccontato di essersi laureata, ma si rese conto di non averle
chiesto se lavorasse o che lavoro facesse per avere tutte le mattine libere.
Leo si trovò a fantasticare, si chiese se Alice avesse preso un nuovo cane da
quando era morto il cane dei suoi ricordi, si chiese da quanto frequentasse
una psicanalista. Dalla separazione dei genitori? Da quando si era lasciata
con il fidanzato? Da sempre? Si chiese anche di che diavolo avessero par-
lato per tutta la sera lui e Alice visto che gli sembrava di non averle fatto
tutte le domande più importanti. Strano a dirsi, ma Leonardo sentiva la
     mancanza anche dei suoi ricordi. Iniziò a ripensare con tenerezza a quel
     cagnone grigio e bianco, alla nonna che le faceva i biscotti e ai viaggi con
22   i suoi genitori, si rese conto di quanto fosse entrato in intimità con Alice
     spiandone di nascosto le memorie. Dopo una settimana senza vederla, alla
     fine Leo si decise a chiamarla, ma come era prevedibile non ci fu nessuna
     risposta. Lo psicologo immaginò perfino che potesse aver conosciuto un
     nuovo ragazzo e si scoprì incredibilmente geloso, finché alla fine il lunedì
     seguente capì di non riuscire ad andare avanti così e violò per l’ennesima
     volta le regole di privacy della Mnemoniac.
         Tramite i documenti in suo possesso Leonardo risalì facilmente all’indi-
     rizzo di casa di Alice e nel pomeriggio, dopo aver concluso il suo turno in
     ufficio, uscì dal palazzo di vetro e andò a comprare un mazzo di fiori. Il suo
     piano era presentarsi sotto casa della ragazza, regalarle i fiori, congratularsi
     con lei per non essere più venuta alla Mnemoniac, ma soprattutto rivederla,
     sapere come stesse e farle capire quanto lei fosse importante per lui.
         Quando giunse all’indirizzo indicato sulle scartoffie si trovò di fronte ad
     un ampio condominio pieno di verde e di aiuole all’interno, contava almeno
     cinque o sei palazzine, e sul citofono non c’era da nessuna parte il cognome
     Lentini. Leonardo ipotizzò che Alice dovesse vivere in affitto o qualcosa
     del genere, per questo sul citofono non c’era il suo cognome. Attraverso
     le sbarre del cancello lo psicologo vide un tale che spazzava il pavimento
     e teneva pulite le aiuole e gli fece cenno con la mano di avvicinarsi. Era un
     uomo sulla quarantina probabilmente di origine sudamericana «Che c’è?»
     chiese lui togliendosi le cuffiette «Mi scusi, sto cercando una ragazza, si
     chiama Alice, abita in questo condominio. L’ha mai vista? Saprebbe dirmi
     dove abita?» Leonardo non aveva alcun dubbio: se quell’uomo aveva visto
     Alice di certo non se l’era dimenticata.
L’uomo abbassò lo sguardo e sul suo volto apparve un’espressione den-
sa di tristezza «Lei non c’è più» balbettò con accento marcatamente stra-
niero «qualche giorno fa lei morta. Morta di medicine». “Morta di medi-
cine” quelle parole rimbombarono tra le tempie di Leonardo per secondi           23
interminabili. Il labbro inferiore dello psicologo iniziò a tremolare, i fiori
gli caddero di mano sparpagliandosi sul suolo «No, si sbaglia, Alice… no»
balbettò Leonardo cadendo in ginocchio. «Dispiace tanto signore, dispiace
tanto» cercò di dire l’uomo, ma anche lui sembrò sul punto di piangere «io
conosceva Alice, dicono che lei suicidata, dispiace tanto signore». Gli oc-
chi di Leonardo si riempirono di lacrime, sentì il respiro mozzarsi, la testa
girare vorticosamente e non riuscì più a proferire mezza parola.
    Era sera tarda quando il dottor Zanella uscì dalle porte scorrevoli della
clinica. Fuori era buio, ma la sede della Mnemoniac, nonostante avesse le
luci spente, sembrava emanare una straniante aura opalescente dalle vetra-
te, come una sorta di macabro riflesso lunare.
    L’automobile di Leonardo giunse proprio innanzi al palazzo parcheg-
giandosi in sosta vietata e lo psicologo scese sbattendo la porta e cammi-
nando con passo deciso verso Zanella. «Fresi, che diavolo…» provò a chie-
dere il primario, ma Leonardo Fresi aveva uno sguardo terrificante. «Sono
venuto per licenziarmi, ho chiuso» pronunciò Leo guardandolo fisso negli
occhi. Il primario cercò di mantenere un tono fermo «Le sembra l’ora-
rio per presentare le dimissioni? Abbiamo appena chiuso» «Si è uccisa»
dichiarò in un soffio lo psicologo «Alice Lentini, ha speso quasi un mese
frequentando questa fottuta tomba di ricordi e ora si è tolta la vita.
    È contento Zanella?» «Fresi, cosa sta dicendo? Perché dovrebbe essere
colpa mia?» «Era depressa, Alice aveva bisogno di aiuto, ho scoperto solo
ora che frequentava analisti e anche psichiatri, prendeva dei medicinali.
    Ma quale medicinale è potente come una vostra proiezione, eh Zanella?
Nessun medicinale lo è, ma ha deciso di prenderne abbastanza da uccider-
     si». Le lacrime ricominciarono a scendere convulsamente sulle guance di
     Leonardo «Lei aveva mille ragioni per vivere» singhiozzò lo psicologo «e
24   voi l’avete aiutata a vedere soltanto le cose che ha perso» «Lei deve calmar-
     si, Fresi. Accetto le sue dimissioni, ma le sue accuse sono ridicole. Come
     fa a dare a me la colpa del suicidio? L’ha detto lei stesso: era una ragazza
     depressa, non sappiamo niente della sua vita» «Io lo so… io ho visto i suoi
     occhi. Aveva due occhi così luminosi, brillavano di vita, aveva ancora così
     tanto da dare. Siete stati voi a rubare la luce dai suoi occhi» ruggì Leonardo
     «sei stato tu a rubarla e questa maledetta clinica». Zanella aveva ormai un
     quadro chiaro della situazione «Adesso basta, deve andarsene ha capito?
         La smetta di comportarsi da squilibrato. Capisco il suo dolore, ma non
     le permetto di lanciare certe accuse. Da quanto mi dice capisco anche che
     lei aveva una qualche sorta di relazione con questa ragazza, per quanto mi
     riguarda può essersi suicidata per colpa sua». “Per colpa mia” Leonardo
     per un attimo sentì il tempo fermarsi. Come aveva fatto a non pensarci?
     Alice si era tolta la vita pochi giorni dopo la cena passata insieme. Lo psi-
     cologo ritrovò la compostezza, si asciugò le troppe lacrime e con sguardo
     perso nel vuoto ritornò verso la sua macchina. Alice Lentini non aveva
     lasciato alcun biglietto prima di ingerire il cocktail letale di farmaci, nessu-
     na spiegazione, nessuno a cui dare la colpa. Le domande di Leonardo non
     avrebbero mai trovato una risposta.
         Erano passati alcuni giorni quando Leonardo Fresi varcò nuovamente
     le porte scorrevoli della Mnemoniac SpA. La receptionist vide un uomo a
     stento riconoscibile: aveva il volto pallido e trasandato di chi non dorme
     per giorni e un accenno di barba incolta che lo invecchiava di svariati anni.
         «Ho un appuntamento per estrapolazione e proiezione» biascicò Leo-
     nardo dopo essersi avvicinato all’accoglienza clienti «Certo, secondo pia-
no» rispose la receptionist intimorita «Lo so. Lo so» rispose Leonardo di-
rigendosi verso l’ascensore.
     Quando si mise a sedere sulla poltrona della sala, si accorse di quanto
fosse strano guardare per la prima volta un ricordo senza spiarlo dal fondo      25
della stanza. Lo schermo lievemente curvo gli dava la sensazione di avere
una visuale a centottanta gradi. Lo psicologo indossò le cuffie, le luci si
spensero e iniziò ad avvertire un odore forte diffondersi nell’ambiente. Il
cuore gli saltò in gola e prima che la proiezione cominciasse già si sentì sul
punto di piangere: era il profumo di Alice. La proiezione ebbe inizio. Era-
no a tavola al ristorante, lei rideva, ma con la coda dell’occhio continuava
ad osservare il menu dei dolci. Leonardo pensava di aver esaurito le lacrime
in quei giorni, ma non appena vide Alice si ritrovò a piangere senza control-
lo. Il ricordo proseguì, a Leonardo sembrò di vivere un sogno, cercò di ag-
grapparsi ad ogni singolo fotogramma e di godersi ogni secondo di quella
visione. Arrivò il momento della discussione: «Cosa sei tu? Un robot? Hai
mai perso una persona cara? Hai mai voluto bene a qualcosa? No, tu te ne
stai lì a giudicarmi solo perché voglio riabbracciare per qualche secondo il
mio cane o rivedere i miei genitori quando erano sposati felicemente» stava
sbraitando Alice nel video. Leonardo ricordava ogni parola di quel dialogo.
     Arrivò il momento del bacio, Leo ormai a malapena riusciva a vedere
il ricordo a causa delle troppe lacrime, sentì quasi l’impulso di uscire dalla
sala e andarsene, ma non lo fece.
     «No Leo, non puoi aiutarmi. Non è colpa tua, non è colpa di nessuno»
stava pronunciando la ragazza in lacrime. Leonardo scosse la testa e cercò
di deglutire, poi chiuse gli occhi e fece un respiro profondo per continuare
la visione.
     Nel frattempo Sergio Valenti, nuovo psicologo appena assunto, dal cor-
ridoio notò che la porta della sala da proiezione non era chiusa corretta-
mente, ma leggermente accostata. Decise dunque di andare a chiuderla, ma
     quando pose la mano sulla maniglia qualcosa lo bloccò. Sentì i singhiozzi di
     Leonardo provenire dalla stanza e una curiosità fulminea e prepotente lo
26   spinse a sbirciare all’interno.
        Ciò che vide sullo schermo fu un bacio: una splendida ragazza in lacri-
     me aveva appena baciato il cliente all’interno del ricordo. Sergio si affac-
     ciò ulteriormente e vide Leonardo sulla poltrona con il viso sconvolto dal
     pianto che si toglieva le cuffie con il fare di chi non ce la fa più per la troppa
     commozione. Valenti si chiese se non fosse meglio per quella persona stare
     con gli amici, andare a lavoro, uscire e conoscere nuove ragazze piuttosto
     che seppellirsi nei propri ricordi e nel proprio passato. Si chiese cosa potes-
     se mai spingere un uomo a rivivere i propri ricordi in quel modo.
        Scrollò le spalle, uscì dalla sala chiudendo adagio la porta e tornò nel
     suo ufficio.
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