Ladri di zaffiri 2020 - Flavio ZUCCA - Sfogliami.it
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Premio Campiello Giovani 2020 Selezione della cinquina finalista Ladri di Zaffiri di Flavio Zucca, Roma
Ladri di zaffiri Qualcuno una volta disse che la via per l’inferno è lastricata di buone 3 intenzioni. Leonardo, quando la intraprese, vide innanzi a sé soltanto un enorme e nuovissimo palazzo. Pareva ergersi nella nebbia come un baluardo di luce nel buio, fu questa la prima impressione del giovane quando vi giunse. Era un edificio alto, mo- derno, con ampie vetrate come i più prestigiosi uffici americani, e a fargli da sfondo c’era un’uggiosa giornata milanese. La sede di quella misteriosa clinica era stata inaugurata da pochi giorni, ma subito aveva attirato tutta l’attenzione dei media e soprattutto l’interesse di molti giovani in cerca di occupazione come Leonardo, giunto da fuori città per il suo primo giorno di lavoro e desideroso di fare bella impressione. Quando ebbe varcato le porte scorrevoli, Leonardo si ritrovò immerso in un ambiente ancora più moderno e avveniristico di quanto si potesse immaginare dall’esterno: pareti, soffitti e pavimenti erano tutti di un bianco marmoreo che dava un senso di asetticità tipico degli ospedali, ma il perso- nale cordiale e sorridente che si aggirava nell’ingresso e i molteplici schermi ed elementi tecnologici lasciavano trasparire la natura all’avanguardia di quella giovane azienda. «Le diamo il benvenuto alla Mnemoniac, come possiamo aiutarla?» gli chiese cordialmente la receptionist appena Leo si fu avvicinato «Salve, sono stato assunto come psicologo in prova, è il mio primo giorno» «Il suo co- gnome?» «Fresi, Leonardo Fresi» «Benissimo, si diriga al secondo piano sig. Fresi, il dottor Zanella le mostrerà tutto ciò che deve sapere prima di mettersi a lavoro» concluse lei con un sorriso che Leo cercò di ricambiare nonostante si sentisse un po’ a disagio.
Il dottor Zanella era un volto conosciuto per Leonardo: da qualche tem- po appariva su tutti i giornali per le sue sconvolgenti scoperte in ambito scientifico che poi lo avevano portato a fondare insieme ai suoi collabora- 4 tori la Mnemoniac SpA. «Lei deve essere Leonardo» Zanella lo salutò con una vigorosa stretta di mano «venga, la porto a fare un giro. Durante questo mese di prova il suo ufficio sarà qui al secondo piano e lavorerà a stretto contatto con i nostri pazienti, è un compito di primaria importanza. Riponiamo molta fiducia in lei e speriamo che sia all’altezza del suo curriculum» scherzò il medico «Lo spero anche io» rispose Leo sorridendo. Zanella sembrava un tipo a po- sto. «Come avrà letto ovunque in questi giorni, i laboratori Mnemoniac si occupano di estrapolare i ricordi dei clienti per permettere loro di riviverli quante volte desiderano nelle nostre sale per proiezioni» esordì Zanella aprendo una delle porte azzurre sul corridoio del secondo piano «è qui che avviene la magia» concluse facendo gesto a Leonardo di entrare a vedere. La sala per proiezioni si presentava come un piccolo cinema privato: al centro c’era una poltrona con evidenti componenti tecnologiche, collega- ta ad un paio di cuffie che Leonardo immaginò servissero ad immergere completamente il cliente nel ricordo che stava guardando, mentre di fronte c’era un ampio schermo di ultima generazione leggermente curvilineo. «Queste sale sono dei piccoli gioielli di tecnologia multimediale: le pol- trone sono fatte in modo tale da compiere piccoli movimenti e vibrazioni per stimolare il cliente in base a com’è strutturato il ricordo, le cuffie ga- rantiscono un’immersione completa, l’audio delle proiezioni viene ripro- dotto contemporaneamente anche dalle casse di tipo surround presenti in sala; inoltre vengono diffusi nella sala odori e profumi esattamente identici a quelli che ritroviamo nel ricordo estratto dalla mente del paziente» spie- gò Zanella «È davvero impressionante» rispose Leonardo sinceramente
colpito. «Il lavoro più delicato si svolge ai piani superiori e prevede l’estrazione del dna del cliente e l’estrapolazione dei suoi ricordi tramite analisi sinap- tiche, ma questo non la riguarda più di tanto. Il suo lavoro qui è assicurarsi 5 che i pazienti, durante e soprattutto dopo la proiezione del ricordo, stiano bene psicologicamente e che siano consapevoli di dove si trovano e “quan- do” si trovano. Dai nostri primi esperimenti abbiamo subito notato che talvolta rivivere il ricordo porta il cliente in uno stato confusionale. Starà a lei assicurarsi che non escano da qui in un simile stato di disordine men- tale» «Tutto chiaro, più o meno è lo stesso che mi è stato detto durante il colloquio telematico» rispose prontamente Leonardo «Molto bene Fresi, le mostro il suo ufficio. Ah, dimenticavo, è importante ricordarle una sem- plice quanto fondamentale regola della nostra azienda: ha diritto in caso di emergenza di entrare in sala anche durante la proiezione del ricordo, ma sappia che se per qualsiasi ragione verrà scoperto a spiare i ricordi dei clienti senza che una situazione di emergenza lo richieda, verrà licenziato in tronco. Non esiste cartellino giallo per lei: la privacy del paziente è una priorità assoluta. La fiducia e la riservatezza sono le fondamenta del no- stro rapporto con i clienti» «Ma certo, ricevuto» rispose Leonardo «Molto bene, il suo studio è in fondo al corridoio. Tutti i pazienti dovranno essere visitati da lei e firmare gli appositi documenti prima di lasciare l’edificio». Passò circa una settimana e l’affluenza di clienti fu notevolissima: Leo- nardo vide in pochi giorni decine di persone entrare in quelle sale. Quando uscivano avevano quasi tutti il volto rigato di lacrime e generalmente nessu- no aveva voglia di raccontare ciò che aveva rivissuto, ma tutti si lanciavano in commossi ringraziamenti come se fosse stato Leonardo a costruire quel luogo. Lui si limitava a seguire le direttive di Zanella e aiutava i pazienti più confusi a ritrovare l’ordine mentale; inoltre, qualora il cliente avesse voglia
o bisogno di parlare, lo psicologo era lì a disposizione. Passarono altri giorni ed un cliente in particolare catturò l’attenzione di Leonardo: si chiamava Elia, era un uomo sulla cinquantina, aveva un’aria 6 perennemente triste e stanca. Una folta barba grigia e incolta copriva parte del suo viso e due occhiaie profonde gli conferivano un aspetto cupo e scavato. Negli ultimi giorni aveva usufruito dei servizi Mnemoniac tre volte e aveva già prenotato la quarta seduta. In confidenza aveva spiegato a Leo- nardo che sua moglie purtroppo era venuta a mancare da poco e a lui non restava che rivivere i suoi ricordi con lei. Quando Elia arrivò al secondo piano era ormai tardo pomeriggio, lui era l’ultimo cliente della giornata e Leonardo, che col procedere del tem- po era sempre più tentato di guardare di nascosto il ricordo di qualcuno: alla fine fece esattamente l’unica cosa che Zanella gli aveva espressamente vietato di fare. Elia prese posto in sala e indossò le cuffie, poi, quando le luci furono spente e la proiezione ebbe inizio, Leonardo si intrufolò nella stanza e rimase nell’angolo alle spalle del vedovo per osservare finalmente la proiezione del ricordo. Elia e la ragazza si trovavano su un prato, il video era ovviamente girato in prima persona dagli occhi del paziente. Erano stesi su di un telo e tra loro c’era uno zaino con alcuni panini. Lei era giovane e non particolarmente bella, ma aveva un sorriso e uno sguardo così dolce e gentile da sciogliere il cuore anche a Leonardo. Elia nel ricordo si guardò intorno e in lontananza lo psicologo riconobbe l’Arco della Pace: erano a Parco Sempione a fare il più classico dei pic-nic in una splendida giornata di sole. La sala era pervasa dall’odore rugiadoso di erba tagliata e terra umida, lo stesso identico odore che Leonardo avvertiva quando andava a correre al parco. Lo psicologo non riusciva ad immaginare cosa potesse significare per i clienti un’espe- rienza così pervasiva.
«Allora? Com’è il panino?» chiese la ragazza al giovane Elia «Per essere fatto da te non è poi così male in fondo» rispose lui scherzoso e lei inarcò le sopracciglia fingendo stupore «Ma come ti permetti! La prossima volta te lo prepari da solo il pranzo» «Affare fatto» rispose Elia ridendo. 7 Leonardo notò che lui non le levava un attimo gli occhi di dosso. Men- tre lei mangiava il suo panino con la bresaola, mentre si scostava i capelli dal viso, mentre osservava gli uccellini di passaggio, la telecamera del video, gli occhi di Elia, erano sempre fissi su di lei. «Viola io ti amo lo sai?» chiese Elia con voce più seria «Certo che lo so, te ne sei mangiati già due di questi cosi» rispose lei, messa in difficoltà dalla secchezza del panino «se non è amore questo!». «Viola…» «Che c’è?» ri- spose lei con quello sguardo così affettuoso «Io non riesco ad immaginarla una vita senza di te. Quando penso che domani partirò, il colloquio di lavo- ro… tutto questo ha senso solo se lo sto facendo per un futuro con te». Gli occhi della giovane iniziarono a riempirsi di lacrime e le sopracciglia si avvicinarono, ma non smise per un secondo di sorridere. Leonardo a sua volta sentì di essere sul punto di piangere, guardò Elia seduto sulla poltro- na e vide che lui già da un pezzo aveva le guance rigate. Nel video il giovane protagonista stava estraendo dalla sua tasca un anello, Leonardo capì cosa stava per succedere e decise di non spingersi oltre. Era un momento davve- ro troppo intimo e si sentì in colpa per averlo spiato, dunque uscì dalla sala asciugandosi gli occhi con le maniche della giacca. Quando Elia ebbe concluso la visione del ricordo entrò come sempre nell’ufficio di Leonardo, come sempre con gli occhi arrossati dal pianto. «Ho finito dottore, mi sento bene. Dove devo firmare?» chiese il vedovo e Leonardo gli rivolse un sorriso amichevole «Ti ho già detto che puoi chia- marmi Leo, o sbaglio?» «Sì, scusami» rispose Elia passandosi una mano sul viso, evidentemente provato. «Ti vuoi sedere?» gli chiese Leonardo e l’uo-
mo senza rispondere prese posto di fronte alla scrivania dello psicologo. «Non so più cosa fare. È passato già un mese, ma più mi guardo intorno e più capisco che nella mia vita non ci sarà mai qualcosa che mi renderà felice 8 come svegliarmi al mattino accanto a Viola» esordì d’un fiato il vedovo con voce commossa «la verità, semplice e dura, è che avevo incontrato una per- sona fantastica e mi è stata portata via». «Un mese è poco» rispose subito lo psicologo «è assolutamente normale che tu ti senta così, devi prenderti il tuo tempo, ma senza mai arrenderti, Elia. Non sei ancora abbastanza vecchio per dire che non sarai più felice». Elia accennò un sorriso. «Però se posso permettermi» proseguì Leonardo «io non credo che continuare a venire qui alla Mnemoniac sia la cosa giusta per te… vivere nel passato e riguardare i propri ricordi equivale a buttar via il proprio presente e il proprio futuro. Non ti aiuta per niente». «Ti sbagli. Rivedere i miei momenti con Viola è l’unica cosa che mi fa ancora battere il cuore. Mi fa sfogare, in un certo senso. Ringrazio ogni giorno la Mnemoniac per questo» «Capisco cosa vuoi dire, ma io penso che tu debba assolutamente vivere la tua vita. Cosa speri di fare? Continuare per sempre a passare notti insonni e venire in questo posto a rivedere una donna che non c’è più? Devi andare a lavorare, devi uscire con gli amici, ritrovare te stesso. Perché ancora non è finita. Hai ancora tanto da dare a questo mondo, non fingere che non sia così». Elia sembrò sinceramente colpito da quelle parole, il suo volto per un attimo si illuminò. «Grazie» fu la sola risposta del vedovo «ci penserò su, grazie davvero» «E poi quando hai tempo tagliati quella barba» concluse Leonardo scherzoso mentre il paziente chiudeva la porta dell’ufficio alle proprie spalle. Passarono alcuni giorni e Leonardo non riuscì a fermarsi. Sempre più spesso s’appostava per osservare le proiezioni dei ricordi dei clienti e un’i- dea sempre più chiara troneggiava nella sua psiche: la Mnemoniac faceva
del male alle persone. Quell’edificio agli occhi di Leo si configurava sempre più come un abnorme sepolcro di memorie, tragedie ed infinita tristezza. Quelle persone non avevano bisogno di questo, ma di tornare a sorridere. Fu in una soleggiata quanto gelida mattinata di febbraio che Leonardo 9 vide per la prima volta Alice. Il giovane psicologo giunse come ogni matti- na al cospetto degli uffici Mnemoniac. Quel palazzo vitreo era sempre più odioso agli occhi di Leo, che sentiva ogni giorno crescerne inesorabile l’in- fluenza negativa. Una torre di cristallo in grado di immagazzinare il dolore delle persone ed amplificarlo, un luogo verso cui al contempo Leonardo sentiva di sviluppare un attaccamento quasi morboso. Varcò come sempre le porte scorrevoli e si diresse verso l’ascensore per salire al secondo piano, ma quando i suoi occhi si posarono su Alice la sua attenzione ne fu imme- diatamente catturata. Era una giovane donna con i capelli castani, di media statura ed indossava un lungo vestito invernale di un rosa acceso. «Salve, ho prenotato una seduta completa di estrapolazione e proiezione» spiegò la giovane alla receptionist, poi si voltò verso Leonardo e finalmente i loro sguardi si incrociarono. Lo psicologo rimase folgorato dagli occhi di Alice: erano di un azzurro intenso e profondo che difficilmente il giovane aveva mai visto in precedenza. Ad interrompere lo stordimento di Leonardo fu il dottor Zanella in persona che uscì dall’ascensore «Fresi! Non dovrebbe già essere nel suo ufficio?» chiese il primario, sembrava estremamente adirato «Beh non importa, tanto in ogni caso avevo bisogno urgente di parlarle» proseguì «quindi la voglio nel mio ufficio, tra mezz’ora» concluse Zanel- la, lasciando Leonardo interdetto. Cosa poteva rendere il primario tanto scontroso? Leo per un attimo temette di essere stato scoperto a spiare le proiezioni dei clienti. «Dunque, veniamo subito al punto» esordì Zanella quando Leonardo si presentò nel suo ufficio «questa mattina il signor Elia De Angelis, vedo-
vo di moglie, ha inviato una splendida lettera di ringraziamenti alla nostra sede. Una lettera stracolma di complimenti per il nostro simpatico, pro- fessionale e capace psicologo: Leonardo Fresi-Leonardo capì subito dove 10 andava a parare quella conversazione. «Il signor De Angelis tuttavia non verrà mai più ad usufruire dei servizi Mnemoniac, proseguì Zanella» poi- ché, come specificato nella sua lettera, egli sostiene di sentirsi sulla via della guarigione dall’attaccamento ai ricordi grazie all’incessante supporto del nostro bravo psicologo. Sta parlando di lei, signor Fresi» «Dottore, io…» provò a rispondere Leo, ma Zanella lo interruppe colpendo vigorosamente la scrivania con un pugno «No lei adesso tace, perché ha già parlato a suf- ficienza» ruggì il primario «secondo lei io l’ho assunta per cacciare i miei clienti? Questo posto rappresenta la ricerca della mia vita, e secondo lei io permetto a Leonardo Fresi di rovinare tutto?» «Non sono qui per rovinare nulla» rispose timidamente Leonardo «Ah no? Allora mi dica cosa non è chiaro nelle sue mansioni, signor Fresi: lei deve assicurarsi che il cliente esca di qui soddisfatto dall’esperienza e in buona salute psicologica. Fine. Consigliare ai clienti di abbandonare i nostri servizi non rientra affatto nei suoi compiti». « È vero, ma io… non posso ignorare una persona che sta soffrendo se posso fare qualcosa per impedirlo. La maggior parte dei nostri clienti si rifugia nel proprio passato, perdendosi la preziosa occasio- ne di vivere il presente e il futuro. Il compito della Mnemoniac dovrebbe essere aiutarli. Io faccio del mio meglio per farli tornare alla vita » « Ma nessuno l’ha assunta per questo! Noi non siamo un centro di recupero per persone depresse. Noi offriamo un servizio ben preciso a chi ne voglia usu- fruire, un servizio che non procura alcun danno al cliente» «Io dico che ne procura di danni!» rispose con veemenza Leonardo «C’è gente che viene ogni santo giorno a rivedere i propri momenti con i cari defunti, c’è un giovane ragazzo di vent’anni che ormai da una settimana non manca un ap-
puntamento! La ragazza lo ha lasciato e lui ogni singolo pomeriggio è qui a rivedersi i propri ricordi invece che uscire con gli amici, studiare, conoscere nuove ragazze!» «Perché quel giovane evidentemente non vuole nuove ra- gazze, maledizione Fresi! Rivuole la ragazza che ama e noi gli offriamo un 11 modo per rivederla» rispose prontamente il fondatore della Mnemoniac. Calò qualche secondo di silenzio. «Mi ascolti, Fresi, riprese Zanella con tono più calmo» questa è la prima ed ultima volta che affrontiamo questa conversazione. Se non si sente in grado di lavorare qui, è libero di andare, ma se resta, allora deve seguire le nostre direttive, è chiaro?» «Io…» Leo cercava una risposta adeguata, ma si sentiva confuso. Era la prima volta che esternava a voce alta tutto il suo risentimento verso la Mnemoniac e lo ave- va fatto direttamente in faccia al suo fondatore. Di nuovo calò il silenzio. «Avevo un figlio, Fresi» iniziò a raccontare Zanella interrompendo nuova- mente la quiete «tredici anni fa ero in viaggio a Venezia con mia moglie e il mio bambino. Aveva cinque anni. Io e Caterina non eravamo mai stati là insieme e da tempo sognavamo quel viaggio. Venezia era la città preferita di entrambi e finalmente per il nostro anniversario eravamo là, con il no- stro bel bambino» gli occhi del primario si arrossarono e si fecero acquosi «Caterina era in albergo, io e il piccolo passeggiavamo nelle calli di Venezia ammirando la bellezza dei canali. Passammo davanti ad una splendida ban- carella che vendeva gioielli in vetro di Murano ed io decisi di acquistare una collana per mia moglie. Mi distrassi per cinque secondi. Una volta scelta la collana più bella mi voltai verso mio figlio per mostrargliela, anche lui un giorno avrebbe avuto una ragazza a cui fare regali, no?» due lacrime scivola- rono dolcemente sulle guance di Zanella, le sue labbra si inarcarono verso il basso «Cinque secondi e il bambino era sparito. Io gridai. Cercai ovunque. In meno di mezz’ora avevo già chiamato la polizia e chiesto a tutti i negozi circostanti di fare annunci. Quel giorno persi mio figlio, Fresi. Tredici anni
fa io ho perso il dono più bello che la vita mi avesse fatto, oggi lui ha 18 anni e io non so se è vivo, se è morto o cosa diavolo possa essergli accaduto». «Io non sapevo… mi dispiace davvero tanto» balbettò Leonardo con voce 12 tremante. Da quando era stato assunto alla Mnemoniac ne aveva sentite di storie dolorose, ma questa le superava tutte. «Ovviamente a seguire anche il matrimonio con Caterina si concluse. Io e mia moglie diventammo niente più che due ombre sprofondate in una quotidianità tetra» proseguì Zanella «ed ogni sera, Fresi, ogni sera io riguardo i più bei momenti vissuti in quei cinque anni con mio figlio. Ogni sera, grazie a questo luogo a cui lavoro da una vita, posso riguardarmi mentre cambio il pannolino al piccolo e il mio cuore per una frazione di secondo rivive quel fortissimo senso di speranza verso il futuro che provavo guardando gli occhi di mio figlio». Leonardo si limitò a deglutire. Qualsiasi possibile frase gli pareva stupida da dire in quel momento. «Che c’è? Le ho rovinato il quadretto? Pensava che fossi un ricco imprenditore cattivone e spietato che lucra sui ricordi e sulla no- stalgia degli altri?» chiese Zanella recuperando un po’ di fermezza nella voce «Beh, forse dovrebbe imparare a giudicare meno frettolosamente i suoi pazienti. Forse dovrebbe fermarsi e domandarsi perché la gente è così affezionata ai propri ricordi più belli» concluse il primario. Leonardo tirò su col naso rendendosi conto di essere sul punto di commuoversi «Conti- nuerò con questo lavoro, secondo le direttive» fu l’unica cosa che lo psico- logo riuscì a rispondere «posso andare?». Alice Lentini bussò alla porta dell’ufficio di Leonardo un paio d’ore più tardi. «Avanti» la invitò lo psicologo già sapendo che stava per fare il suo ingresso la splendida ragazza vista quella mattina alla reception. Mentre la giovane si accomodava nell’ufficio Leo continuò a ripetersi di rimanere professionale nonostante il fascino di lei. Quando alzò lo sguardo si trovò davanti ad una ragazza stranamente rilassata, sul suo viso non c’era il mini-
mo segno di pianto «Lei è forse la mia prima paziente a non presentarsi in lacrime» le disse lui schiettamente «Se volessi piangere starei a casa a guar- darmi il telegiornale» rispose Alice con semplicità, suscitando un sorriso sincero nello psicologo. «Allora. Si sente bene? Deve solo compilarmi que- 13 sto foglio e firmarlo e poi la lascio andare a casa» esordì lui con fare forma- le, ma lei era distratta, stava giocherellando con un modellino di aeroplano preso dalla scrivania di Leonardo. «Stia attenta con quello, è un pezzo da collezione» «Ma sei serio? Collezioni aeroplanini? Assumono bambini del- le elementari alla Mnemoniac?» scherzò lei fingendo di giocare con l’aereo come farebbe un bimbo piccolo e lui sbottò a ridere. Lei era davvero bella. Quegli occhi così blu, così allegri, quel sorriso così genuino. Cosa ci faceva lei in quel cimitero di ricordi? «Com’è stata l’esperienza in sala? Vuoi parlarne?» chiese lui arrendendosi a darle del tu e lei scosse la testa «Decisamente non ho voglia di parlarne, però devo ammettere che è stato impressionante. Non pensavo che mi avreste fatto rivivere il ricordo in maniera così vivida, alcuni dettagli nemmeno li ricordavo. O meglio non sapevo di ricordarli» spiegò Alice e Leo annuì «Sì, quello che succede in questo posto decisamente sfiora la fantascienza». La settimana successiva Alice si presentò altre tre volte e Leonardo im- piegò tutte le proprie energie per non legarsi sentimentalmente alla ragaz- za. Non lasciarsi conquistare dalla sua bellezza, dal suo carisma e dalla sua simpatia era quasi impossibile, ma innamorarsi di una paziente è contrario a qualsiasi codice e regolamento per un bravo terapeuta. “Anche se Alice non è propriamente una mia paziente” pensava Leonardo la sera prima di coricarsi nel letto, ma poi cercava di scacciare via quell’immagine dalla sua mente. Cercò anche di imporsi di non spiare le proiezioni della ragazza no- nostante la curiosità lo divorasse come un parassita insaziabile, ma quando lei fissò il suo quinto appuntamento Leo non riuscì più a resistere. Quel
giorno quando le luci della sala si spensero lo psicologo si appostò come al solito nell’angolo vicino alla porta, dopo che Alice si fu messa le cuffie. C’era il mare. Davanti agli occhi della giovane c’era un immenso ed 14 immobile mare calmo. Nessun bagnante, nessuno sulla spiaggia intorno a lei. Dove si trovava? Quale spiaggia è così vuota? D’un tratto nel campo vi- sivo di Alice giunse correndo all’impazzata un cane. Era enorme, appariva così grande che Leonardo immaginò che Alice dovesse essere una bambina all’epoca. Probabilmente non era un cane di razza, aveva una folta pelliccia grigia e bianca a conferirgli l’aspetto di un cane da slitta. Leonardo guardò Alice seduta sulla poltrona, non sembrava piangere. Nel ricordo la giovane iniziò a giocare con il cane che le saltava festosamente addosso, poi prese un piccolo ramo trovato lì nella sabbia e lo lanciò in acqua, il cane in due balzi si gettò a riva a cercarlo. Quando l’animale uscì con il bastone stretto tra le fauci aveva il pelo completamente fradicio e si sgrullò vigorosamente suscitando le risate di Alice. Leo sbirciò e anche nel presente Alice stava sorridendo davanti alla scena. Lo psicologo decise di aver visto a sufficienza e lasciò la sala chiudendo adagio la porta alle sue spalle. Quando lei entrò nel suo ufficio Leo come al solito finse di aver a che fare con un cliente qualunque. «Ehilà, come sta il mio collezionista di ae- roplanini preferito?» scherzò la giovane sedendosi, ma lui notò che la sua voce era leggermente più triste del solito. O forse era solo un’impressione. Forse Leo si stava facendo solo influenzare dalla malinconia che gli era rimasta addosso dopo aver visto il ricordo con il cane. «Bene, tu? Tutto ok? Ormai è circa la quinta volta che vieni alla Mnemoniac» constatò lo psicologo «ricorda che se vuoi parlarne, io sono qui per questo» «Non ti arrendi, eh? Vuoi proprio che io ti racconti cosa guardo nei miei ricordi» rispose Alice con fare scherzoso «Certo che no, è pienamente nei tuoi di- ritti non dirmi…» iniziò prontamente a spiegare lui, ma lei lo interruppe
«Io al tuo posto morirei di curiosità. Lavori in questa specie di museo pie- no di ricordi intimi e personali… come fai a non impazzire dalla voglia di rubarli?» «Rubarli?» chiese Leo confuso «Non ho la minima idea di come vengano conservati i ricordi e in che forma, dubito che sarei in grado di 15 rubarli» «Era per dire! Sei sempre il solito impiegato palloso» lo prese in giro, lui scrollò le spalle «Come ti pare». Alice lo osservò attentamente, lui continuò a fingere di lavorare su delle scartoffie, ma in realtà si senti- va piuttosto nervoso. «Ce l’ha una fidanzata il nostro tenebroso psicologo della Mnemoniac?» chiese lei d’un tratto e lui alzò lo sguardo arrossendo leggermente «Questo non è appropriato, Alice. Non ti risponderò» «Santo cielo, ma sei assurdo! Avrai circa la mia stessa età. Rilassati, no? Quanti anni hai?» «Ne faccio ventotto venerdì prossimo». Il viso di lei si illuminò «Fai una festa di compleanno?» «Ti ho detto che non è appropriato! Non deve esserci questo tipo di rapporto tra me e una paziente» «Ma io non sono una tua paziente! Vengo qua solo per mettere una firma». I due si guardarono per qualche istante. «Molto bene. Se tu mi dici perché una ragazza come te non ha di meglio da fare che venire per ben cinque giorni di fila alla Mnemoniac, io ti dico se festeggio il mio compleanno» propose Leo con tono innervosito e gli occhi di Alice si incupirono «Complimenti, wow, tu sì che sei appropriato invece» pronunciò lei d’un fiato, poi senza dire una parola prese la penna, firmò e lasciò l’ufficio. Leo si maledì per quell’uscita infelice, ma poi pensò che tutto sommato fosse meglio così: i sentimenti verso Alice crescevano ogni giorno irrefrenabili ed era un bene dar loro una battuta d’arresto. Nonostante il piccolo alterco, Alice fissò un nuovo appuntamento per la mattina seguente. Quando Leo lo scoprì sapeva già che resistere alla ten- tazione di spiare il suo ricordo sarebbe stato inutile. Era un ricordo diverso da quello del giorno prima. Non c’era il cane e nemmeno il mare. Il ricordo
si aprì con l’immagine di una cascina in aperta campagna e la protagonista, Alice, stava correndo su un sentiero di ciottoli verso la porta d’ingresso gridando a gran voce «Toc toc! Toc toc!» e, quando giunse innanzi al por- 16 tone di legno, dall’interno della casa le rispose la voce di un’anziana signora «Chi è? Chi sarà mai?» «Sono il brigante della montagna!» rispose Alice. Leonardo dalla voce capì subito che si trattava di un ricordo d’infanzia, probabilmente anche precedente a quello del cane. «Cosa posso fare per te?» rispose la signora anziana dentro casa, con un tono di voce fintamente intimorito. «Voglio tutti i biscotti che avete preparato per la vostra nipoti- na» gridò Alice e una voce maschile alle sue spalle rise di gusto, probabil- mente c’era suo padre ad accompagnarla. La porta del casale si aprì e ne uscì una signora anziana con i capelli bianchi tinti e gli occhi azzurri simili a quelli della ragazza «Ma Alice! I briganti rubano gioielli preziosi, era così il gioco» le disse la signora sorridendo «Cosa ci faccio con i gioielli nonna? Io voglio i biscotti!». Leonardo si sentiva confuso. I ricordi che Alice veniva a vedere alla Mnemoniac erano differenti da quelli degli altri clienti, erano scene così semplici e quotidiane, ma al tempo stesso Leo sentiva addosso una malinconia così schiacciante nel guardarli. Lo psicologo si sporse per sbirciare il viso di Alice e notò che stavolta stava cedendo al pianto. Nei giorni seguenti la giovane continuò senza sosta a frequentare la cli- nica dei ricordi guardandone ogni volta uno differente. Il giorno successivo fu la volta di un ricordo più recente che raffigurava il momento in cui Alice lasciava il suo fidanzato. Anche in questo caso Leo la vide piangere e si chiese quanto potesse essere masochista per rivivere quel momento nono- stante fosse stata lei a lasciare lui. Un ricordo era ambientato in Germania, in viaggio con le amiche, altri ricordi erano di nuovo legati al suo bel cane probabilmente defunto, mentre in un’occasione Leo ebbe modo di vedere i suoi genitori grazie ad un ricordo ambientato in Spagna in una vacanza
fatta da bambina. Alice cercava di essere socievole con lo psicologo, ma la situazione s’era fatta imbarazzante da quella volta in cui le aveva risposto male e Leonardo ad ogni visita si limitò a reprimere la pressante curiosità di farsi raccontare da lei il perché di tutte quelle visite alla Mnemoniac. 17 Venerdì mattina Alice aveva come sempre il suo appuntamento per la proiezione, ma Leo aveva del lavoro da fare e non spiò il suo ricordo, si limitò ad attenderla in ufficio. Stava compilando alcuni moduli quando la luce del suo studio si spense improvvisamente. Leo alzò lo sguardo e vide Alice fare il suo ingresso con una torta in mano: il suo viso era illuminato soltanto dalla luce delle candeline, ma lui vide chiaramente che stava sorri- dendo. Leonardo non riuscì a trattenere un sorriso altrettanto radioso. «Sei seria? Mi hai portato una torta?» «Devo ancora decidere se tirar- tela in faccia» rispose lei poggiandola sulla scrivania «non t’illudere, non ti canto nessuna canzoncina. Soffia dai». Leo soffiò e spense le candeline. Alice riaccese la luce dell’ufficio, lui osservò la torta e notò che era pic- cola e al pistacchio. «Pistacchio?» chiese lui «Beh, non ho idea di cosa ti piaccia. Quindi ho scelto una torta che piace almeno a me» rispose Alice tirando fuori dalla borsa due piattini e delle posate. I due mangiarono una fetta di torta a testa e si limitarono a chiacchierare un po’. «Allora? Stasera come festeggi?» chiese lei guardandolo con quegli occhi di un azzurro intenso «Non ho programmi in verità» rispose Leo «probabilmente la settimana prossima vengono a Milano i miei genitori a trovarmi, ma per stasera penso proprio che me ne starò a casa» «he ne pensi di una pizza moralmente sbagliata con una tua cliente?» chiese lei semplicemente «Conosco un posto dove la fanno davvero buona, vicino al Duomo». Leonardo la osservò per qualche secondo «Immagino di non poter rifiutare. Non dopo che hai fatto irruzione in ufficio con una torta in mano».
In qualità di psicologo Leonardo s’era fatto un’idea piuttosto precisa di Alice, ma cercava di mentire a sé stesso e fingere che andasse tutto bene. I clienti della Mnemoniac in genere si limitavano a guardare un singolo tipo 18 di ricordi, come Elia De Angelis, ma Alice era diversa. Alice li guardava tutti: dal cane alla nonna, dall’ex fidanzato ai momenti con i genitori. Una nostalgia così ossessiva era un campanello d’allarme molto pericoloso e Le- onardo lo sapeva, ma cercava di non pensarci. Perché s’innamorava di lei ogni giorno di più e non riusciva a guardarla come una paziente, perché in fondo non voleva dar credito ai numerosi segnali di depressione che Alice esprimeva con il suo comportamento anomalo e morbosamente nostalgico. Quella sera s’incontrarono fuori dalla pizzeria all’orario stabilito. Lei era incantevole e Leonardo si sentì quasi inadeguato al suo cospetto. Per tutta la durata della cena non riuscì a scacciare dalla mente l’idea che quello fosse il compleanno più bello della sua vita. «Prendiamo qualcosa per dol- ce?» chiese Leo notando che Alice ancora teneva d’occhio il menu «Non lo so…» rispose lei «non m’ispira quasi nessuno di questi dolci. Però ne ho voglia» «Allora andiamoci a prendere un gelato» propose Leonardo «Un gelato? Con questo freddo?» rispose lei ridendo «Ci sto». Mentre passeggiavano verso la gelateria continuarono a chiacchierare ininterrottamente. Alice senza accorgersene diede alcune risposte impor- tanti ai quesiti di Leonardo. Raccontò del suo cane, morto da tre anni, rac- contò di avere una casa in montagna ereditata da sua nonna e si aprì anche un po’ sullo spinoso argomento Mnemoniac. La giovane spiegò di aver letto sui social network di questa nuova clinica dei ricordi e di essersi incuriosita all’istante e raccontò anche di quanto emozionante fosse stato rivedere le proprie memorie in maniera così incredibilmente realistica. Leo fece finta di non aver mai visto la proiezione di un ricordo. Lo psicologo non riusciva a non analizzare ogni sguardo di lei, ogni movimento delle sue sopracci-
glia ed ogni suo sorriso, non riusciva a non intravedere una profondissima tristezza nascosta nell’animo di Alice. D’un tratto il ragazzo non riuscì più a trattenersi: «Io credo che dovresti smettere di venire alla Mnemoniac» «Cosa?» rispose lei visibilmente confusa. «Più lavoro in quel posto assurdo 19 e più penso che non faccia per niente bene ai clienti» argomentò Leonardo «quante mattinate ci hai già speso? Sei venuta da noi almeno una dozzina di volte, Alice. Sono davvero preoccupato per te». Lei rimase in silenzio per un attimo, sembrò leggermente offesa dalle parole di Leonardo. «Forse vengo perché mi sei simpatico tu» cercò di sdrammatizzare la ragazza, ma Leo rimase serio «È davvero così necessario per te buttare il tuo tempo per rivivere i ricordi?» «Tu non sai nulla di me» rispose Alice iniziando ad innervosirsi «È vero, non so nulla, ma sto imparando a conoscerti» «Non mi pare» borbottò lei «Invece sì. Li vedo i tuoi occhi quando entri nel mio ufficio. Alice tu sei una ragazza fantastica, bellissima e sai anche essere così spiritosa e divertente, ma quel posto ti spegne. I ricordi sono importanti per gli esseri umani, ma non devono sovrapporsi alla vita reale! Devi anche imparare a lasciare andare il passato» «Smettila! Smettila, mi hai capito?» Alice alzò la voce «Mi stai parlando come se fossi una tua paziente. Io ce l’ho già una psicologa! Leo, io non ti ho chiesto di uscire con me per farmi psicanalizzare» «Hai ragione, senti scusami, io davvero…» «Cosa? Dav- vero cosa? Pensi che io non stia bene? Pensi che io venga tutti i giorni alla Mnemoniac perché non mi sento felice? Beh wow, congratulazioni Sher- lock!» «Alice, dai calmiamoci un secondo» «Cosa sei tu? Un robot? Hai mai perso una persona cara? Hai mai voluto bene a qualcosa? No, tu te ne stai lì a giudicarmi solo perché voglio riabbracciare per qualche secondo il mio cane o rivedere i miei genitori quando erano sposati felicemente». Leonardo si rese conto che la serata era ormai rovinata irrimediabilmente. «Vuoi che ti accompagni a casa?» chiese lui quando lei ebbe per un atti-
mo finito di sfogarsi «No, sono venuta in macchina, grazie» rispose Alice bruscamente, poi gli voltò le spalle e iniziò a camminare spedita. «Alice aspetta, ascoltami. Ti chiedo scusa ho sbagliato» le disse Leonardo e lei si 20 fermò, ma senza voltarsi «Quando ti guardo negli occhi io… tu non puoi capire cosa provo» cercò di dire goffamente lo psicologo. La ragazza si voltò, sembrava intenzionata ad ascoltarlo «Sei sicuro che io non possa capire?» «Alice, i tuoi occhi sprigionano luce. Sono stupendi e brillano di vitalità, sono gli occhi di qualcuno che ha tantissimo da offrire a questo mondo. Vedere che quei due zaffiri brillano per cose morte, ve- dere che si accendono guardando ricordi che ormai non torneranno mai più, è un peccato. La verità è che sono anche invidioso. Perché vorrei che un giorno i tuoi occhi brillassero in quel modo, ma guardando me». Alice accennò un sorriso «Hai detto zaffiri? Ho sentito tanti complimenti smie- lati sui miei occhi in passato, ma zaffiri mi è nuovo» «Allora mi perdoni?» chiese lui sorridendole, ma lei fece segno di no con la testa e due lacrime calde iniziarono a farsi strada sulle sue guance. Leo era confuso, Alice gli si avvicinò piangendo «Sono stata una stupida a pensare che tra noi potesse nascere qualcosa. Tutto quello che hai detto è vero: io vivo nel passato, sono ostaggio di questa maledetta nostalgia, ma non so come fare capisci?» iniziò a singhiozzare, Leo allungò le mani e le poggiò delicatamente sulle braccia di Alice «Non lo so se capisco, non posso neanche prometterti che saprò aiutarti, ma ti giuro che ci proverò» cercò di rassicurarla lui, ma lei ormai piangeva senza controllo, l’azzurro delle pupille venne esaltato an- cora di più dal rossore dei suoi occhi. «No Leo, non puoi aiutarmi. Non è colpa tua, non è colpa di nessuno. Tu sei una bella persona e ti ringrazio, ma sono io a dover convivere con questo cervello» spiegò lei guardandolo negli occhi, Leonardo d’impulso decise di giocarsi il tutto per tutto e la baciò. Alice ricambiò il bacio per qualche secondo, lui sentì il sapore delle
sue lacrime, poi delicatamente lei pose la mano sul petto di Leonardo e si allontanarono. Il viso di Alice era ancora rigato dal pianto «Anche la mia psicologa mi ha consigliato vivamente di smetterla con la Mnemoniac» spiegò lei estraendo un fazzoletto dalla giacca «non ci vedremo più Leo. 21 È stato uno sbaglio stasera» concluse asciugandosi gli occhi «No, Alice non fai sul serio» ribattè prontamente Leonardo, ma lei pareva davvero decisa «Sono serissima. Non lascerò che tu perda tempo con una ragazza così, ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto per me. Non ci verrò più nel tuo cimitero di ricordi. Va bene?» «Sì, io credo che ti farà stare molto meglio, ma questo non vuol dire che noi due non possiamo…» «Mi dispiace Leo. Ti ripeto che non è colpa di nessuno, devo fare i conti con me stessa e non intendo coinvolgerti. È stato uno sbaglio. Buonanotte». Per tutta la settimana successiva Leonardo non la rivide. Da un lato ne fu lieto perché non aveva dubbi sul fatto che ad Alice avrebbe fatto bene abbandonare la Mnemoniac, ma dall’altro lato lo psicologo voleva ardente- mente avere sue notizie, sentire la sua voce e rivederla. Leonardo si sentiva un vero schifo per com’era andata la serata con lei ed ogni mattina sperò di rivedere quegli occhioni azzurri e quel sorriso spuntare dalla porta dell’uf- ficio, ma lei non venne. Nel corso di quella settimana il giovane si rese conto anche di quante cose non conoscesse di Alice. Dove abitava quella ragazza? A Milano o fuo- ri città? Aveva raccontato di essersi laureata, ma si rese conto di non averle chiesto se lavorasse o che lavoro facesse per avere tutte le mattine libere. Leo si trovò a fantasticare, si chiese se Alice avesse preso un nuovo cane da quando era morto il cane dei suoi ricordi, si chiese da quanto frequentasse una psicanalista. Dalla separazione dei genitori? Da quando si era lasciata con il fidanzato? Da sempre? Si chiese anche di che diavolo avessero par- lato per tutta la sera lui e Alice visto che gli sembrava di non averle fatto
tutte le domande più importanti. Strano a dirsi, ma Leonardo sentiva la mancanza anche dei suoi ricordi. Iniziò a ripensare con tenerezza a quel cagnone grigio e bianco, alla nonna che le faceva i biscotti e ai viaggi con 22 i suoi genitori, si rese conto di quanto fosse entrato in intimità con Alice spiandone di nascosto le memorie. Dopo una settimana senza vederla, alla fine Leo si decise a chiamarla, ma come era prevedibile non ci fu nessuna risposta. Lo psicologo immaginò perfino che potesse aver conosciuto un nuovo ragazzo e si scoprì incredibilmente geloso, finché alla fine il lunedì seguente capì di non riuscire ad andare avanti così e violò per l’ennesima volta le regole di privacy della Mnemoniac. Tramite i documenti in suo possesso Leonardo risalì facilmente all’indi- rizzo di casa di Alice e nel pomeriggio, dopo aver concluso il suo turno in ufficio, uscì dal palazzo di vetro e andò a comprare un mazzo di fiori. Il suo piano era presentarsi sotto casa della ragazza, regalarle i fiori, congratularsi con lei per non essere più venuta alla Mnemoniac, ma soprattutto rivederla, sapere come stesse e farle capire quanto lei fosse importante per lui. Quando giunse all’indirizzo indicato sulle scartoffie si trovò di fronte ad un ampio condominio pieno di verde e di aiuole all’interno, contava almeno cinque o sei palazzine, e sul citofono non c’era da nessuna parte il cognome Lentini. Leonardo ipotizzò che Alice dovesse vivere in affitto o qualcosa del genere, per questo sul citofono non c’era il suo cognome. Attraverso le sbarre del cancello lo psicologo vide un tale che spazzava il pavimento e teneva pulite le aiuole e gli fece cenno con la mano di avvicinarsi. Era un uomo sulla quarantina probabilmente di origine sudamericana «Che c’è?» chiese lui togliendosi le cuffiette «Mi scusi, sto cercando una ragazza, si chiama Alice, abita in questo condominio. L’ha mai vista? Saprebbe dirmi dove abita?» Leonardo non aveva alcun dubbio: se quell’uomo aveva visto Alice di certo non se l’era dimenticata.
L’uomo abbassò lo sguardo e sul suo volto apparve un’espressione den- sa di tristezza «Lei non c’è più» balbettò con accento marcatamente stra- niero «qualche giorno fa lei morta. Morta di medicine». “Morta di medi- cine” quelle parole rimbombarono tra le tempie di Leonardo per secondi 23 interminabili. Il labbro inferiore dello psicologo iniziò a tremolare, i fiori gli caddero di mano sparpagliandosi sul suolo «No, si sbaglia, Alice… no» balbettò Leonardo cadendo in ginocchio. «Dispiace tanto signore, dispiace tanto» cercò di dire l’uomo, ma anche lui sembrò sul punto di piangere «io conosceva Alice, dicono che lei suicidata, dispiace tanto signore». Gli oc- chi di Leonardo si riempirono di lacrime, sentì il respiro mozzarsi, la testa girare vorticosamente e non riuscì più a proferire mezza parola. Era sera tarda quando il dottor Zanella uscì dalle porte scorrevoli della clinica. Fuori era buio, ma la sede della Mnemoniac, nonostante avesse le luci spente, sembrava emanare una straniante aura opalescente dalle vetra- te, come una sorta di macabro riflesso lunare. L’automobile di Leonardo giunse proprio innanzi al palazzo parcheg- giandosi in sosta vietata e lo psicologo scese sbattendo la porta e cammi- nando con passo deciso verso Zanella. «Fresi, che diavolo…» provò a chie- dere il primario, ma Leonardo Fresi aveva uno sguardo terrificante. «Sono venuto per licenziarmi, ho chiuso» pronunciò Leo guardandolo fisso negli occhi. Il primario cercò di mantenere un tono fermo «Le sembra l’ora- rio per presentare le dimissioni? Abbiamo appena chiuso» «Si è uccisa» dichiarò in un soffio lo psicologo «Alice Lentini, ha speso quasi un mese frequentando questa fottuta tomba di ricordi e ora si è tolta la vita. È contento Zanella?» «Fresi, cosa sta dicendo? Perché dovrebbe essere colpa mia?» «Era depressa, Alice aveva bisogno di aiuto, ho scoperto solo ora che frequentava analisti e anche psichiatri, prendeva dei medicinali. Ma quale medicinale è potente come una vostra proiezione, eh Zanella?
Nessun medicinale lo è, ma ha deciso di prenderne abbastanza da uccider- si». Le lacrime ricominciarono a scendere convulsamente sulle guance di Leonardo «Lei aveva mille ragioni per vivere» singhiozzò lo psicologo «e 24 voi l’avete aiutata a vedere soltanto le cose che ha perso» «Lei deve calmar- si, Fresi. Accetto le sue dimissioni, ma le sue accuse sono ridicole. Come fa a dare a me la colpa del suicidio? L’ha detto lei stesso: era una ragazza depressa, non sappiamo niente della sua vita» «Io lo so… io ho visto i suoi occhi. Aveva due occhi così luminosi, brillavano di vita, aveva ancora così tanto da dare. Siete stati voi a rubare la luce dai suoi occhi» ruggì Leonardo «sei stato tu a rubarla e questa maledetta clinica». Zanella aveva ormai un quadro chiaro della situazione «Adesso basta, deve andarsene ha capito? La smetta di comportarsi da squilibrato. Capisco il suo dolore, ma non le permetto di lanciare certe accuse. Da quanto mi dice capisco anche che lei aveva una qualche sorta di relazione con questa ragazza, per quanto mi riguarda può essersi suicidata per colpa sua». “Per colpa mia” Leonardo per un attimo sentì il tempo fermarsi. Come aveva fatto a non pensarci? Alice si era tolta la vita pochi giorni dopo la cena passata insieme. Lo psi- cologo ritrovò la compostezza, si asciugò le troppe lacrime e con sguardo perso nel vuoto ritornò verso la sua macchina. Alice Lentini non aveva lasciato alcun biglietto prima di ingerire il cocktail letale di farmaci, nessu- na spiegazione, nessuno a cui dare la colpa. Le domande di Leonardo non avrebbero mai trovato una risposta. Erano passati alcuni giorni quando Leonardo Fresi varcò nuovamente le porte scorrevoli della Mnemoniac SpA. La receptionist vide un uomo a stento riconoscibile: aveva il volto pallido e trasandato di chi non dorme per giorni e un accenno di barba incolta che lo invecchiava di svariati anni. «Ho un appuntamento per estrapolazione e proiezione» biascicò Leo- nardo dopo essersi avvicinato all’accoglienza clienti «Certo, secondo pia-
no» rispose la receptionist intimorita «Lo so. Lo so» rispose Leonardo di- rigendosi verso l’ascensore. Quando si mise a sedere sulla poltrona della sala, si accorse di quanto fosse strano guardare per la prima volta un ricordo senza spiarlo dal fondo 25 della stanza. Lo schermo lievemente curvo gli dava la sensazione di avere una visuale a centottanta gradi. Lo psicologo indossò le cuffie, le luci si spensero e iniziò ad avvertire un odore forte diffondersi nell’ambiente. Il cuore gli saltò in gola e prima che la proiezione cominciasse già si sentì sul punto di piangere: era il profumo di Alice. La proiezione ebbe inizio. Era- no a tavola al ristorante, lei rideva, ma con la coda dell’occhio continuava ad osservare il menu dei dolci. Leonardo pensava di aver esaurito le lacrime in quei giorni, ma non appena vide Alice si ritrovò a piangere senza control- lo. Il ricordo proseguì, a Leonardo sembrò di vivere un sogno, cercò di ag- grapparsi ad ogni singolo fotogramma e di godersi ogni secondo di quella visione. Arrivò il momento della discussione: «Cosa sei tu? Un robot? Hai mai perso una persona cara? Hai mai voluto bene a qualcosa? No, tu te ne stai lì a giudicarmi solo perché voglio riabbracciare per qualche secondo il mio cane o rivedere i miei genitori quando erano sposati felicemente» stava sbraitando Alice nel video. Leonardo ricordava ogni parola di quel dialogo. Arrivò il momento del bacio, Leo ormai a malapena riusciva a vedere il ricordo a causa delle troppe lacrime, sentì quasi l’impulso di uscire dalla sala e andarsene, ma non lo fece. «No Leo, non puoi aiutarmi. Non è colpa tua, non è colpa di nessuno» stava pronunciando la ragazza in lacrime. Leonardo scosse la testa e cercò di deglutire, poi chiuse gli occhi e fece un respiro profondo per continuare la visione. Nel frattempo Sergio Valenti, nuovo psicologo appena assunto, dal cor- ridoio notò che la porta della sala da proiezione non era chiusa corretta-
mente, ma leggermente accostata. Decise dunque di andare a chiuderla, ma quando pose la mano sulla maniglia qualcosa lo bloccò. Sentì i singhiozzi di Leonardo provenire dalla stanza e una curiosità fulminea e prepotente lo 26 spinse a sbirciare all’interno. Ciò che vide sullo schermo fu un bacio: una splendida ragazza in lacri- me aveva appena baciato il cliente all’interno del ricordo. Sergio si affac- ciò ulteriormente e vide Leonardo sulla poltrona con il viso sconvolto dal pianto che si toglieva le cuffie con il fare di chi non ce la fa più per la troppa commozione. Valenti si chiese se non fosse meglio per quella persona stare con gli amici, andare a lavoro, uscire e conoscere nuove ragazze piuttosto che seppellirsi nei propri ricordi e nel proprio passato. Si chiese cosa potes- se mai spingere un uomo a rivivere i propri ricordi in quel modo. Scrollò le spalle, uscì dalla sala chiudendo adagio la porta e tornò nel suo ufficio.
Puoi anche leggere