LA CRITICA DEL SENATORE M5S SULLA MANOVRA: "NON DOVEVAMO FERMARE IL PRECARIATO?"

Pagina creata da Matteo Carta
 
CONTINUA A LEGGERE
LA CRITICA DEL SENATORE M5S SULLA MANOVRA: "NON DOVEVAMO FERMARE IL PRECARIATO?"
LA CRITICA DEL SENATORE M5S
SULLA MANOVRA: “NON DOVEVAMO
FERMARE IL PRECARIATO?”
                                       “Conte    blocca     le
                                       assunzioni a tempo
                                       indeterminato. Ma non
                                       si doveva combattere il
                                       precariato?”. Domanda
                                       lecita, eppure molto
                                       curiosa     quando    a
                                       porsela è il senatore
                                       del Movimento 5 Stelle,
                                       Lello Ciampolillo. Lo
                                       stesso che in questi
                                       giorni – scrive Silvia
                                       Dipinto       su     la
Repubblica – ha fatto scalpore difendendo dall’eradicazione un
suo ulivo infetto dalla Xylella.

Con un post sul suo profilo facebook mette in discussione un
pezzo della manovra finanziaria del governo gialloverde che
bloccherebbe le assunzioni per il 2019. “Siamo in democrazia,
un parlamentare ha piena libertà di dire quello che pensa –
spiega il diretto interessato – Le critiche sono utili a un
confronto costruttivo, spero si faccia un passo indietro per
tornare a quanto promesso”.

Il post di Ciampolillo fa notizia perché non è così frequente
leggere voci fuori dal coro nel Movimento, soprattutto in un
momento storico come questo. Il senatore pentastellato posta
sui social l’articolo di Repubblica, che riferisce di un
emendamento alla Legge di bilancio che congelerebbe concorsi e
assunzioni in settori chiave della pubblica amministrazione, a
partire dall’università, fino a novembre del 2019.

“Non si era detto che con quota 100 si sarebbe data la
LA CRITICA DEL SENATORE M5S SULLA MANOVRA: "NON DOVEVAMO FERMARE IL PRECARIATO?"
possibilità ai giovani di avere finalmente un lavoro
stabile?”, si chiede Ciampolillo. E i commenti si dividono,
tra chi apprezza la voce critica e chi, invece, accusa il
senatore di credere alle “bufale dei giornalacci”. Ciampolillo
risponde con serenità. “Credo che quell’emendamento sia
sbagliato e vada in direzione opposta a quanto dovremmo fare,
cioè sostenere il nuovo lavoro – conferma – Credo debba essere
la normalità potere dire ciò che si pensa, dal confronto
possono nascere valutazioni diverse e magari si può cambiare
idea”.
LA CRITICA DEL SENATORE M5S SULLA MANOVRA: "NON DOVEVAMO FERMARE IL PRECARIATO?"
SLITTA IL RESTITUTION DAY DEI
GRILLINI
                                    La piattaforma doveva
                                    essere    pronta    già
                                    qualche settimana fa,
                                    in tempo per lanciare
                                    il ‘restitution day’
                                    prima di Natale. Ma
                                    qualcosa    è   andato
                                    storto e così il varo
                                    della nuova versione di
                                    tirendiconto.it,     il
                                    sito delle restituzioni
                                    grilline, resta ancora
                                    una chimera. Il motivo?
Non c’entrerebbe – assicurano dal Movimento – con la
riluttanza dei parlamentari a rendicontare i bonifici dei
soldi versati per le restituzioni.

 Dietro il ritardo, raccontano all’Adnkronos fonti M5S bene
informate, ci sarebbero soprattutto ragioni tecniche, legate
alla poca dimestichezza di alcuni parlamentari grillini con la
nuova piattaforma. “Millennials un corno… questi sanno usare
solo Facebook”, si sfoga una fonte a taccuini chiusi. Insomma:
caricare dati e scartoffie sul nuovo sito sarebbe diventata
una sorta di ‘mission impossible’ per i deputati e senatori
M5S meno addentro alle cose del web.

Addirittura, raccontano, “abbiamo organizzato dei seminari per
spiegare ai parlamentari come si compilano i moduli online del
nuovo tirendiconto.it”. E sono stati istituiti degli helpdesk
per soccorrere gli internauti più claudicanti. Ma niente.

Lo slittamento della presentazione del portale nuovo di zecca
LA CRITICA DEL SENATORE M5S SULLA MANOVRA: "NON DOVEVAMO FERMARE IL PRECARIATO?"
avrebbe costretto i vertici stellati a rinviare il restitution
day – il giorno dell’orgoglio grillino, in cui viene
simbolicamente mostrato l’assegno con i soldi degli stipendi
‘restituiti’ ai cittadini -, inizialmente programmato per il
periodo natalizio. L’evento potrebbe a questo punto tenersi a
gennaio, alla ripresa dei lavori.

Le istruzioni sui versamenti impartite dai vertici M5S agli
eletti erano tutte contenute in una mail spedita a deputati e
senatori a inizio novembre. Nella missiva si chiedeva agli
eletti di versare 6mila euro (ovvero la quota relativa ai mesi
di luglio, agosto e settembre) entro il 18 novembre, versando
i soldi sul conto della protezione civile a favore delle
popolazioni alluvionate.

Lo scorso 10 dicembre è scaduto invece il termine per
completare la rendicontazione sul sito. All’appello, a quanto
si apprende, mancherebbe ancora qualche grillino.

I vertici M5S, memori del caso delle false restituzioni,
avevano inserito nella mail inviata ai parlamentari alcune
regole ‘anti-furbetti’: “E’ di fondamentale importanza
indicare chiaramente nella causale del bonifico il periodo di
riferimento”, la raccomandazione.

Le caratteristiche richieste per i bonifici da caricare nel
sistema sono: “quietanza definitiva della banca in formato
file Pdf, jpeg o png (non va caricata la richiesta di
bonifico); Iban di destinazione chiaramente visibile; numero
operazione Cro/Trn/Tid visibile; importo bonifico chiaramente
visibile; causale visibile e con chiara indicazione del mese/i
di riferimento”.

Fonte: AdnKronos
LA CRITICA DEL SENATORE M5S SULLA MANOVRA: "NON DOVEVAMO FERMARE IL PRECARIATO?"
SI DIMETTE IL CAPO GABINETTO
DEL MEF, ERA IN ROTTA CON I
5S. TRIA: “LA MANOVRA NON
C’ENTRA”
                                      Dopo        l’accordo
                                      raggiunto con Bruxelles
                                      sulla manovra, evitata
                                      la          procedura
                                      d’infrazione        per
                                      l’Italia, secondo fonti
                                      di governo, il Capo di
                                      gabinetto del Ministero
                                      dell’Economia Roberto
                                      Garofoli        lascia
                                      l’incarico.

La notizia era già nell’aria da giorni, lo aveva anticipato
anche il presidente del Consiglio Conte, che ora glissa: a una
cronista che insiste sulle dimissioni del tecnico, il
presidente del Consiglio ha risposto con una battuta: “Questa
domanda me la faccia alla conferenza di fine anno – risponde
dopo aver deciso con i giornalisti la data della conferenza
stampa di fine anno, presumibilmente sabato prossimo – la
tenga buona per quell’occasione, se la giochi lì”.

Interpellato sulla questione, il ministro dell’Economia
Giovanni Tria ha commentato così: “Mi dispiace molto lui
all’inizio mi aveva detto che probabilmente voleva cambiare lo
avevo obbligato a rimanere fino alla legge di bilancio. Domani
parlerò con lui. Ora torna al suo mestiere nella
Magistratura”. Tria ha assicurato che non si è trattato della
conseguenza delle critiche rivolte ai vertici tecnici del
ministero da esponenti di governo, perché al contrario quegli
attacchi “lo avrebbero blindato”.
LA CRITICA DEL SENATORE M5S SULLA MANOVRA: "NON DOVEVAMO FERMARE IL PRECARIATO?"
Il ministro degli Interni Matteo Salvini si è chiamato fuori
dalla discussione: “Non ne so nulla, non c’entro, almeno
questo non è colpa mia”.

Garofoli è un ex magistrato, arrivato al Tesoro con l’allora
ministro Pier Carlo Padoan sotto i governi Pd di Renzi e poi
Gentiloni. È da tempo in rotta con Movimento 5 Stelle: secondo
i pentastellati sarebbe proprio lui ‘la manina’ che aveva
introdotto in manovra una norma che assegna alla Croce Rossa
84 milioni. Garofoli però smentisce. Come ha raccontato ‘Il
Fatto quotidiano’, nel mirino del Movimento 5 stelle ci
sarebbe poi la società editoriale della moglie, che pubblica
libri scritti e curati dallo stesso Garofoli per aspiranti
avvocati e magistrati: alcuni di questi autori hanno poi
ottenuto incarichi al Tesoro, e un collaboratore ha anche
raccontato di essere stato pagato in nero. Secondo quanto
riporta l’Adnkronos, al suo posto, accanto al ministro
dell’Economia Giovanni Tria, potrebbe arrivare Luigi Carbone,
esperto di semplificazione amministrativa e già componente
dell’autorità per l’Energia elettrica. Nei giorni scorsi per
la successione era circolato il nome di Fortunato Lambiase,
consigliere del Senato e attualmente capo della segreteria
tecnica del ministro Tria.

Fonte: Fanpage

IL VENTO POPULISTA DIVENTA
VENTICELLO
Deficit del 2,4%: da
                                   “intoccabile”         a
                                   “tagliabile”. Alla fine
                                   il deficit al 2,4% è
                                   stato     messo     nel
                                   cassetto e sostituito
                                   da un più modesto
                                   2,04%.     Il    vento
                                   populista – scrive
                                   Rodolfo         Ruocco
                                   su SfogliaRoma diventa
                                   venticello. Di Maio e
                                   Salvini in un lungo
vertice notturno con Conte a Palazzo Chigi hanno trovato
l’intesa sul disavanzo ridotto di circa quattro decimi di
punto.

Il segretario della Lega e ministro dell’Interno ha
annunciato: «Abbiamo trovato l’accordo su tutto». Il capo
politico del M5S, ministro del Lavoro e dello Sviluppo
Economico è soddisfatto: «Siamo compatti, è il giorno più
importante dal 4 marzo», cioè il giorno del successo alle
elezioni politiche.

Per tre mesi Di Maio e Salvini hanno condotto una battaglia
furente contro la commissione europea, difendendo il deficit
pubblico fissato al 2,4% del Pil nel 2019. Da settembre hanno
tuonato: «Dal 2,4% non arretriamo di un millimetro». I due
vice presidenti del Consiglio hanno ripetuto all’unisono fino
a poche settimane fa: tiriamo diritto sul deficit al 2,4%
perché serve a finanziare il reddito di cittadinanza e “la
quota 100” per andare in pensione anticipata, le due
principali promesse del “governo del cambiamento”.

Il bersaglio era sempre Bruxelles, trattata con toni
sprezzanti. Luigi Di Maio proclamava: «Le minacce della Ue non
ci fermano» e «smentisco ogni tipo di ripensamento sul 2,4%».
Matteo Salvini più ruvidamente rilanciava: «Se a Bruxelles mi
dicono che non lo posso fare me ne frego e lo faccio lo
stesso». Si è sfiorata la rottura con la Ue che aveva bocciato
la manovra economica italiana per deficit-debito pubblico
eccessivo.

Il vento populista poi è diventato un venticello: il deficit
del 2,4%, da intoccabile è stato ridotto al 2,04%. Mercoledì
12 dicembre, dopo estenuanti trattative, il presidente del
Consiglio Giuseppe Conte ha proposto il taglio del disavanzo
al presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker.
La notte tra domenica 16 e lunedì 17 dicembre è giunto alla
fine l’accordo tra Di Maio e Salvini sulle spese da diminuire
e le entrate da potenziare. Ora la parola passa di nuovo alla
commissione europea per l’ok finale, poi il governo M5S-Lega
cambierà al Senato la legge di Bilancio 2019 con un
maxiemendamento. Così l’Italia può scongiurare la procedura
d’infrazione sull’euro brandita da Bruxelles.

A far scattare la retromarcia sono state le tante brutte
notizie sul fronte economico collezionate dal governo grillo-
leghista: lo spread schizzato in alto fino a quasi 340 punti,
la frana del 25% della Borsa di Milano. Poi in rapida
sequenza: il calo del Pil, dell’occupazione, dei consumi e
della produzione industriale. Il rischio di passare dalla
ripresa alla recessione.

Il 2,04% non è una novità. Giovanni Tria già alcuni mesi fa
aveva proposto a Bruxelles una riduzione del deficit dal 2,4%
al 2%, ma arrivò l’altolà sia dal capo politico del M5S e sia
dal segretario della Lega. Da qui il forte disagio del
ministro dell’Economia, il tecnico Tria, già da luglio. Si
parlava di sue possibili dimissioni da lui però smentite: è
«pura fantasia».

Questo percorso ad ostacoli non è stato indolore per i conti
pubblici italiani. Gli investitori internazionali hanno
venduto i titoli del debito pubblico del nostro paese. Lo
spread, raddoppiato rispetto all’ultima fase del governo
Gentiloni, saliva stabilmente sopra la pericolosa soglia di
300 punti, causando un’impennata dei tassi d’interesse pagati
dal Tesoro per vendere Btp, Bot, Cct. Qualcuno ventilava
perfino una disordinata uscita dell’Italia dall’euro.

C’è stata una emorragia di miliardi di euro. Infine è arrivato
il sospiro di sollievo per il deficit ridotto dal 2,4% al
2,04%, una mediazione giunta all’ultimo minuto con un taglio
di circa 8 miliardi di euro dal bilancio italiano. E lo spread
è finalmente sceso sotto quota 300. Di Maio e Salvini,
nonostante la “sforbiciata” sui fondi, garantiscono comunque
la realizzazione dei “contenuti”: gli italiani avranno il
reddito di cittadinanza, “quota 100” e la flat tax ridotta al
15% per i lavoratori a partita Iva con ricavi fino a 65 mila
euro l’anno.

Di Maio e Salvini hanno messo da parte le critiche e i
sarcasmi contro “i numerini” e “le letterine” della
commissione europea. Pragmaticamente hanno preso atto della
realtà e hanno operato una marcia indietro azionando una
cortina fumogena, dando a Conte “la piena fiducia” a trattare
con Bruxelles.

A molti militanti ed elettori grillini e leghisti è rimasto
l’amaro in bocca: avevano sognato di veder realizzate le
mirabolanti e salatissime promesse della campagna elettorale
per le politiche del 4 marzo. Le promesse, invece, sono state
ridimensionate per le risorse diminuite.

È molto facile fare promesse mirabolanti, è molto più
difficile mantenerle.

Ora Di Maio e Salvini, ma soprattutto il primo (sotto scopa
per i negativi sondaggi elettorali del M5S), si dovranno
rimboccare le maniche per le prossime elezioni regionali e
comunali. Dovranno correre ai ripari per le elezioni europee
di maggio. Dovranno dare una risposta alle cocenti delusioni
dei loro elettori.

LA SENATRICE GRILLINA CON UN
DEBITO CON IL CONDOMINIO
La   senatrice    M5S,
                                      Felicia Gaudiano, ha un
                                      contenzioso     con   i
                                      vicini e una causa al
                                      tribunale di Bologna.
                                      Le spese condominiali
                                      non   saldate,    come
                                      riporta il Corriere,
                                      ammonterebbero        a
                                      quarantacinque     mila
                                      euro.

l motivo del debito? Un lascito contestato tra parenti per via
di un testamento non troppo gradito dagli eredi. Insomma, per
anni la Gaudiano ha avuto il possesso dell’immobile felsineo,
che però non aveva un proprietario (o un inquilino) stabile in
grado di coprire le spese condominiali. Che negli anni si sono
accumulate fino ad arrivare alla bellezza di 45mila euro. Non
poco, ecco.

Come si legge, i condomini tramite l’avvocato hanno ottenuto
un decreto ingiuntivo di 25mila euro, al quale però la
pentastellata si è opposta in tribunale. La senatrice, dunque,
ha offerto 25mila euro, poi 20 e infine 30, da pagare in
comode rate mensili da 400 euro: i condomini avrebbero
recuperato il credito praticamente in dieci anni. Troppi. Il
condominio, così, ha rifiuto l’offerta, attivandosi per il
pignoramento dell’appartamento e dando l’aut-aut: 20mila euro
entro il 31 dicembre 2018 e altri 40 entro il 2019. E Felicia
Gaudiano ha finalmente accettato di saldare i debiti.

Nel frattempo però il condominio ha trascritto il pignoramento
immobiliare sull’appartamento, in modo da assicurarsi la
posizione di creditore privilegiato.
Puoi anche leggere