La più importante delle riforme sarebbe tornare a un procedimento parlamentare normale - di Andrea Mazziotti - Sipotra

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PAPER – 30 DICEMBRE 2020

  La più importante delle riforme
sarebbe tornare a un procedimento
       parlamentare normale

             di Andrea Mazziotti
    Avvocato e Responsabile del programma di Azione
La più importante delle riforme sarebbe tornare
  a un procedimento parlamentare normale*
                                        di Andrea Mazziotti
                        Avvocato e Responsabile del programma di Azione

Da decenni oramai si discute in Italia delle disfunzioni del nostro problema parlamentare concentrando
tutta l’attenzione sulle riforme costituzionali. I temi al centro del dibattito sono il superamento del
bicameralismo paritario, il rapporto tra governo e parlamento, l’opportunità di introdurre la sfiducia
costruttiva e, più recentemente, le modalità per rimediare alle distorsioni provocate dalla riduzione del
numero di parlamentari “tanto per tagliare”, voluta dal Movimento Cinquestelle e accettata passivamente
dal resto della maggioranza.
Il problema più grave del nostro sistema parlamentare, però, non è il bicameralismo paritario, né tanto
meno il numero dei parlamentari.
No. Il problema è il metodo. Si lavora senza programmazione, senza orari certi, con continue interruzioni:
un modo di procedere inconcepibile in qualsiasi altro ambiente di lavoro e sconosciuto al grande
pubblico. Io stesso, quando sono arrivato in parlamento nel 2013, non ne avevo idea.
Premetto che non si tratta di un problema nuovo. Si trascina da molte legislature, ma va peggiorando, per
colpa di tutti gli attori coinvolti: governo, presidenze delle camere, partiti. Senza un cambio di passo non
solo culturale, ma mentale, qualsiasi riforma costituzionale naufragherà sulle pessime abitudini della
nostra politica, la prima delle quali è l’assuefazione a questo modo di lavorare assurdo.
Per analizzare questo fenomeno oramai generalizzato, può essere utile prendere come esempio l’iter
dell’ultimo disegno di legge di bilancio, in corso di approvazione in queste ore.

Governo lumaca
Per legge1, il ddl di bilancio deve essere presentato dal Governo alle Camere entro il 20 ottobre di ogni
anno. Conte & co. lo approvano solo il 18 novembre. Un intero mese di lavoro sottratto al Parlamento
per l’inefficienza del governo. Anche in passato, non sempre il termine era stato rispettato, ma nessuno
aveva mai accumulato un ritardo del genere, nemmeno i due governi Conte negli anni precedenti2.

* Paper accettato dalla Direzione.
1 Art. 7, comma 2, lett. d) della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
2 Letta, 21.10.2013, Renzi 24.10.2014, Renzi 25.10.2015, Renzi 29.10.16, Gentiloni 29.10.17, Conte 31.10.2018, Conte,

2.11.19.

2                                                 federalismi.it - paper                         30 dicembre 2020
Si dirà: “ma c’era il Covid da gestire!”. Vero. Peccato che i tedeschi lo abbiano approvato il 23 settembre, i
francesi il 28, gli spagnoli il 28 ottobre...

Una montagna di carta inutile
In ogni caso, il disegno di legge di bilancio 2021 arriva alla Camera il 20 novembre e la prima settimana
è dedicata alle audizioni e ai pareri delle commissioni sulle materie di competenza. Fin qui tutto bene.
Il teatro dell’assurdo parte il 28 novembre, data di scadenza del termine per presentare gli emendamenti,
perché ne arrivano 6.842!
Per discuterli tutti, anche solo cinque minuti ciascuno, servirebbero 23 giorni consecutivi notte e giorno.
Ma nessuno si sogna di discuterli. Servono solo ai presentatori per sbandierarli sui social, e più costosi e
strampalati sono meglio è. Tanto sono solo spot destinati a essere dichiarati inammissibili.
E infatti, tra il 2 e il 3 dicembre, in due sedute di complessivi 25 minuti, vengono cestinati 2.400
emendamenti (più di uno su tre), nello sdegno degli autori, che ovviamente gridano allo scandalo e alla
morte della democrazia. Nel frattempo, gli uffici hanno perso ore e ore a lavorare su cartaccia inutile.
Dopo il massacro degli inammissibili, viene chiesto ai gruppi di indicare gli emendamenti “segnalati”.
Tradotto: “riduceteli a un numero più normale”. E il numero scende a 874, che è comunque troppo.
In conclusione, si è persa un’intera settimana, solo perché i partiti non hanno potuto/voluto impedire ai
propri parlamentari di presentare questa montagna di emendamenti-spot senza speranza.

L’algoritmo della marchetta
Si riparte? No. I lavori si fermano del tutto fino all’11 dicembre e le settimane perse diventano due.
Come mai? Perché ministeri e relatore sono non sono pronti con i pareri (peraltro sono quasi sempre
identici, visto che il relatore, salvo rarissime eccezioni, fa quello che dice il governo). Ma, soprattutto,
perché occorre trattare la spartizione dei pani, dei pesci e delle marchette, che quest’anno ha raggiunto
vette di mercanteggiamento mai viste.
Il governo Conte, infatti, ha stanziato nel disegno di legge un fondo da 800 milioni destinato
specificamente ad essere spartito tra partiti. Una ripartizione matematica, proporzionale alle dimensioni
dei gruppi; un algoritmo della marchetta. Anche questa non è una novità, ma si sperava che almeno nel
mezzo della pandemia e con una crisi economica disastrosa governo e partiti accantonassero gli interessi
di bottega e concentrassero le risorse sui veri problemi del paese. Ma nulla è cambiato, anzi. Invece di
concentrare i propri sforzi su pochi emendamenti seri, i gruppi hanno preferito farne approvare una
miriade totalmente inutili: dal bonus per i sanitari (parliamo di ceramica, non di medici), ai corsi di diritto
penale internazionale, dal fondo per la formazione turistica esperienziale, fino ai quasi 4 milioni di euro

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in tre anni stanziati per il presepe vivente di Rieti. Centinaia di milioni buttati senza ritegno. E senza
alcuna trasparenza.

2,5 minuti a emendamento
Dopo 21 giorni nei quali non si è mai parlato del merito della legge, si torna finalmente in Commissione
venerdì 11 dicembre con la discussione generale sul “complesso degli emendamenti”. A votare si inizia,
invece, domenica 13 alle 6 di sera (se vi pare normale…) e si prosegue nei giorni successivi (14, 15, 16 e
18 dicembre). Ad aumentare la confusione, il 19 dicembre atterrano in commissione tre nuovi fascicoli
di emendamenti dei relatori e del governo che contengono riformulazioni dei segnalati, emendamenti dei
relatori ed emendamenti presentati col consenso di tutti i gruppi. La seduta inizia alle 16 e finisce alle 3
del mattino, ma si lavora solo per 4 ore, per le innumerevoli interruzioni, dovute ancora una volta a
negoziati, pareri mancanti, e riformulazioni.

Chiedete e vi sarà riformulato
Le riformulazioni sono un’altra anomalia: governo e relatore, per cambiare il parere su un emendamento
da contrario a favorevole, chiedono spesso al parlamentare che lo ha presentato di riformularlo. Segue,
un negoziato fatto quasi sempre di corsa, bisbigliando accanto allo scranno di presidenza, mentre gli altri
parlamentari parlano. Il testo viene scritto in pochi minuti, distribuito ai membri di commissione e votato
quasi subito. E poi uno si domanda perché le norme sono scritte male e poco chiare…
Tornando al bilancio di quest’anno, il 20 dicembre si lavora ininterrottamente e alle dieci di sera la
commissione conclude i lavori, approvando il mandato ai relatori a riferire in assemblea. Finito? Macché,
il 22 si torna indietro: il Presidente riconvoca la commissione e comunica che bisogna tornare su una
settantina di emendamenti già approvati, in gran parte di opposizione, perché è arrivata la bocciatura della
ragioneria (che in questo procedimento assurdo li ha ricevuti all’ultimo momento): mancano le coperture.
Ovviamente     le     opposizioni   insorgono,     minacciando            un   ostruzionismo   violentissimo   e…
miracolosamente, tutto si risolve nella notte, o almeno così pare. L’esame riprende la mattina seguente e
finalmente, dopo due ore di seduta, la commissione approva nuovamente il mandato ai relatori e chiude
i lavori.
Lo stesso 23 dicembre viene votata la fiducia in aula. Il voto finale arriva domenica 27.
Riassumendo: alla Camera la Commissione ha avuto a disposizione 33 giorni. Nei primi 21 non si è
minimamente entrati nel merito. Alla discussione sugli emendamenti sono state dedicate 8 sedute, e circa
40 ore di discussione, in buona parte di notte con andamento a singhiozzo. Visto che gli emendamenti

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erano più o meno 900, fanno 2,5 minuti ad emendamento… Il tutto senza alcuna pubblicità e in modo
che definire disordinato è un eufemismo.
In assemblea poi, il dibattito non c’è stato affatto.
Al senato, il disegno di legge è blindato, perché si deve chiudere tutto entro fine anno per evitare
l’esercizio provvisorio. Gli oltre 320 emendamenti presentati non vengono neppure discussi e il testo
arriva in aula senza mandato al relatore. Emerge anche che i problemi di copertura magicamente risolti
alla Camera nella notte del 22-23 dicembre non erano poi così risolti, tanto che il Governo, all’avvio dei
lavori del Senato, è costretto ad intervenire in aula e ad annunciare, per evitare la rivolta delle opposizioni,
che servirà un intervento normativo per correggere alcune parti della manovra. Insomma un capolavoro.

Monocameralismo di fatto
Siamo al monocameralismo di fatto (e non è certo la prima volta), anche se almeno nelle altre occasioni
i testi che arrivavano blindati da una camera all’altra, non erano così clamorosamente sbagliati da
costringere il governo ad annunciarne la correzione ancora prima dell’approvazione definitiva. Ma non
sorprende che sia successo, perché a furia di comprimere il dibattito, accelerare i tempi, e lavorare male,
il procedimento parlamentare non garantisce più in alcun modo la qualità e accuratezza di ciò che viene
approvato. E moltissime volte anche le norme più sbagliate e incoerenti si approvano comunque in
seconda lettura, “perché sennò si deve tornare di là” per un’altra lettura.
Lo stravolgimento del percorso parlamentare è davvero gravissimo e ci si è giustamente domandati se
questo modo di gestire la legislazione possa essere considerato legittimo dal punto di vista costituzionale
e se il singolo parlamentare sia legittimato a sollevare conflitto di attribuzione per violazione delle proprie
prerogative costituzionalmente riconosciute.
Come noto, sul tema, negli ultimi due anni, si è pronunciata la Corte Costituzionale, a partire dalla
fondamentale ordinanza n. 17/2019, che, pur dichiarando inammissibile il ricorso presentato da alcuni
parlamentari in relazione ad asseriti vizi procedurali relativi alla legge di bilancio 2019, ha riconosciuto la
legittimazione del singolo parlamentare a sollevare il conflitto, in presenza di “vizi [del procedimento] che
determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari ed è necessario che tali violazioni siano
rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione”. La Consulta ha anche precisato che non qualsiasi
vizio è rilevante a questi fini, essendo necessaria la prova di “una sostanziale negazione o un’evidente
menomazione della funzione costituzionalmente attribuita al ricorrente”, che la Corte ha identificato con il potere
di discutere, proporre emendamenti e votare in modo consapevole3. L’orientamento è stato confermato

3Corte Cost. Ordinanza n. 17/2019 h
275 (ordinanza n. 275 del 2019 e, nello stesso senso, ordinanza n. 86 del 2020);

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anche nelle successive decisioni 274/19 e 275/19, che pur ribadendo i principi dettati nell’Ordinanza n.
17 hanno respinto i ricorsi affermando che i ricorrenti avevano potuto “discutere, avanzare proposte di modifica
e votare in merito” ai temi oggetto del ricorso.
Seguendo questi principi, è indubbio che è difficile sostenere che nell’iter davanti alla Camera sulla legge
di bilancio 2021 si siano verificate delle lesioni manifeste del diritto di discutere proporre e votare dei
singoli parlamentari. Pur nella confusione, irrazionalità e disorganizzazione sopra descritte, i parlamentari
hanno discusso (anche se non molto), votato (molto) e proposto emendamenti (fin troppo).
Al Senato, però, l’intero procedimento si è risolto, sostanzialmente, nel voto sulla fiducia e nel voto finale.
Nessun Senatore ha potuto proporre emendamenti, né discuterli, né tanto meno votarli. In questo
contesto, è difficile negare la “sostanziale negazione” delle prerogative dei singoli.
E in senso contrario non appare sostenibile una difesa basata sulla prassi degli ultimi anni, visto che la
Consulta, nella stessa Ordinanza 17/2019 ha affermato chiaramente che non è giustificabile “qualunque
prassi si affermi nelle aule parlamentari, anche contra Constitutionem. Anzi, occorre arginare gli usi che conducono a un
progressivo scostamento dai principi costituzionali, per prevenire una graduale ma inesorabile violazione delle forme
dell’esercizio del potere legislativo, il cui rispetto appare essenziale affinché la legge parlamentare non smarrisca il ruolo di
momento di conciliazione, in forma pubblica e democratica, dei diversi principi e interessi in gioco”.
Sembra una fotografia di quanto avvenuto nelle ultime settimane. Ed è la fotografia di un percorso
parlamentare che si allontana sempre più dai canoni costituzionali.

Ma non si potrebbe…
lavorare in modo normale? Si potrebbe sicuramente.
Basterebbe fissare un calendario esatto dei lavori di commissione, con sedute ogni mattina di almeno 4
ore e tempo per preparare i lavori il pomeriggio, gestire per iscritto le fasi più formali, a partire dalle
ammissibilità, limitare il numero di emendamenti segnalabili dai gruppi, stabilire termini inderogabili per
governo e relatori per presentare nuovi emendamenti e riformulazioni, e per la ragioneria per rendere i
propri pareri, contenere la durata degli interventi e assicurare la trasparenza dei lavori della Commissione.
Cose banali, per le quali basterebbero poche modifiche ai regolamenti parlamentari e soprattutto la
volontà politica di lavorare seriamente.
Così come sarebbe sicuramente possibile smetterla di “amministrare per legge”, lasciando
all’amministrazione il ruolo, per l’appunto, di amministrare, e quindi di gestire le risorse destinate alle

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misure di piccola dimensione nei settori di propria competenza, senza perdere tempo a discutere decine
e decine di emendamenti da qualche milione di euro.

Perché non si fa?
Ciò che sarebbe semplice, non avviene. E senza un salto di qualità nella serietà e nell’etica
dell’amministrazione, è difficile che avvenga in tempi brevi.
Perché i partiti non vogliono limitare il numero di emendamenti da sbandierare sui social, perché il
calendario delle commissioni viene sempre sacrificato ai capricci della Presidenza, che si occupa solo
dell’aula, perché i ministeri sono lentissimi nel dare i pareri, perché tutti vogliono trattare sotto banco
fino all’ultimo, perché confusione e mancanza di trasparenza favoriscono le peggiori marchette (magari
infilate nel testo a metà della notte), perché governo e maggioranza vogliono tenersi tutto il tempo
disponibile per accontentare la richiesta di qualche referente politico con un emendamento last minute.
Ma, soprattutto, perché nessuno pensa che processi, organizzazione e razionalità del lavoro contino
qualcosa. E invece sono la cosa più importante per il funzionamento di qualsiasi istituzione.

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