La Copertina d'Artista - Simply the best 2020 - Smart Marketing

Pagina creata da Giulia Lanza
 
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La Copertina d'Artista - Simply the best 2020 - Smart Marketing
La Copertina d’Artista – Simply the best
2020
Una splendida fanciulla ci osserva dalla Copertina di questo numero di fine d’anno del nostro
magazine. Ha un fascino magnetico ed etereo allo stesso tempo, il suo sguardo fiero, quasi
sprezzante, ci trafigge come le spine della rosa che tiene nella mano e che le copre metà del viso.
L’opera di questo mese, lo capiamo subito, è una questione di sguardi.

A prima vista, sembrerebbe che l’artista Francesca Vivacqua abbia voluto fare un omaggio alla sua
prima Copertina d’Artista realizzata per il nostro mensile, nel marzo 2015, dal titolo “Angeli
sotto un cielo di ruggine”. Allora la sua bambina, una vera e propria Greta Thunberg ante
litteram, denunciava la situazione ambientale a Taranto, città d’origine dell’artista. Oggi, con questo
nuovo intervento, quella bambina è cresciuta, è diventata una giovane donna, ed il suo impegno
politico ed ambientale si è fatto maturo, risoluto e molto più radicale.
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g, realizzata da Francesca Vivacqua.
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Eppure c’è dell’altro, la paletta dei colori usati dall’artista sono tenui pastelli e la tecnica è un
ispirato e lieve acquerello, ma il risultato nel suo insieme ricorda la grande pittura italiana del
Botticelli. La scelta del soggetto innanzitutto sembra la rivisitazione in chiave contemporanea della
Primavera del grande maestro fiorentino, soprattutto per i personaggi di Flora e Venere, che
sembrano i modelli ideali cui si è ispirata la Vivacqua.

La ragazza che ci osserva con in mano una rosa ha in sé la grazia e la bellezza di Venere, ma pure la
compostezza e la severità di Flora, il tutto amalgamato nella figura di una ragazza forte, coraggiosa
ed emancipata dei nostri giorni. Ma ci sono altri elementi che concorrono ad aggiungere un’aura
mistica e sacrale all’immagine: la fanciulla sembra emergere da uno sfondo dominato da un arco, un
arco che richiama le volte di una basilica ma dipinge, o meglio incornicia, quasi un’aureola intorno
alla ragazza. Insomma, a guardare quest’opera, si coglie un profondo senso di spiritualità, tanto che
intuiamo che il messaggio che la ragazza ci vuole comunicare è universale, importante e forse
urgente.

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Forse ci aiuterà il titolo, come spesso accade, a dipanare il significato di quest’opera. “Hope is to
see over”, ossia “La speranza è vedere oltre”, è quello scelto dall’artista, ed allora tutto diventa
più chiaro. Questa donna che ci osserva ci dice che dobbiamo andare oltre le nostre consuetudini,
oltre i nostri preconcetti e soprattutto oltre le nostre convinzioni, un messaggio quanto mai urgente
e puntuale in un anno in cui abbiamo scoperto che la natura, vilipesa e umiliata, si è, attraverso un
virus, rivoltata contro di noi e ci ha lanciato un monito che non possiamo più ignorare.
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Scopri il nuovo numero: Simply the best
    È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio
                che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico.
          Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio.

Ed allora il guardare oltre diventa non solo un esercizio necessario, ma una vera pratica di
sopravvivenza, perché, se questa volta non impariamo la lezione che la pandemia, e la storia, ci sta
impartendo, allora è altamente probabile che per la prossima lezione ci saranno molti meno studenti,
almeno fra noi umani.
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Allora, come mi sentite dire spesso, l’arte diventa la maestra più importante delle nostre vite,
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perché, quando è al meglio, come nell’opera della Vivacqua, allora ci offre non solo un giudizio
severo sul nostro operato, ma “va oltre” e ci dice che la “speranza” è guardare oltre il problema,
oltre la paura, oltre l’attimo presente, un messaggio che piacerebbe a Marcel Proust, che alla fine
della sua Recherche scrisse:

                 “La vera scoperta non consiste nel trovare nuovi mondi,

                                 ma nel vederli con nuovi occhi”

  Francesca Vivacqua (Classe 1971), figlia d’arte, ha sempre
  avuto la predisposizione per il disegno e le discipline
  pittoriche. Ha conseguito la maturità al Liceo artistico
  Lisippo (Taranto) ed in seguito ha frequentato l’Accademia di
  Belle Arti (Bari). Nel corso degli anni ha sperimentato varie
  tecniche: pastello su carta, acquerello, acrilico ed olio su tela,
  senza porre limiti alla sua ricerca artistica. Opera nell’ambito
  del “figurativo”, ponendo particolare attenzione al “ritratto”,
  che per lei è l’ideale specchio dell’anima, in cui gli occhi
  svelano tutte le emozioni interiori.

  Attualmente insegna “tecniche pittoriche” tradizionali alla scuola di fumetto Grafite di Bari.
  Lavora per privati e gallerie d’arte ed esegue anche decorazioni d’interni (trompe l’oeil). Ha preso
  parte a numerose esposizioni d’arte. Attualmente, alcune sue opere sono in permanenza alla
  Galleria “La Cornice” di Taranto.

  Per informazioni e per contattare l’artista:

  Pagina Facebook – “Francesca Vivacqua”, e-mail – f.2vivacqua@gmail.com

Ultime mostre:

2016

Collettiva “News – Cover. Notizie, Immagini e Visioni ai tempi dell’Infotainment” 1°
Edizione, Smart Marketing – Mensile di Comunicazione, Marketing e Social Media, Momart Gallery
– Matera, Chiesa Sant’Andrea degli Armeni – Taranto, Laboratorio Urbano Mediterraneo – San
Giorgio Jonico (TA), Laboratorio Urbano San Marzano di San Giuseppe (TA).

2017

Collettiva d’arte sull’Auto/Ritratto: “Amo Eva?”, Donna a Sud, Università degli studi “Aldo Moro”
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Taranto;

Collettiva d’arte “Storie di sguardi”, Laboratorio Urbano Mediterraneo, San Giorgio Jonico (TA);

Collettiva d’arte “ArtAva”, Castello D’Ajala, Carosino (TA);

Manuscripta Festival: “Ilvarum Yaga” – 100 matite contro la strega rossa, Palazzo Ducale,
Martina Franca (TA).

2019

Personale “Lo spirito della natura”, Cucchevesce – Festival della civetta, Palagianello (TA).

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Simply the best 2020 - L'editoriale di Ivan
Zorico
La Copertina d'Artista - Simply the best 2020 - Smart Marketing
Ti ricordi com’era la tua vita prima del 21 febbraio
2020? Quali erano i tuoi pensieri, come immaginavi il
tuo futuro o quali erano i tuoi progetti?

Dobbiamo proprio sforzarci per andare a recuperare quello stato mentale e, molto probabilmente, ci
sarà anche difficile farlo con pienezza. Siamo ancora troppo immersi nel presente – un presente
lungo dieci mesi – per riuscire a fare un appropriato esercizio di memoria.

E allora, se ci viene difficile pensare ai noi di dieci mesi fa, cerchiamo di portare la linea del tempo
un po’ più in là. Non di tanto, giusto un paio di mesi in più.

Ti ricordi a cosa pensavi di te, del mondo e dei tuoi progetti,
a fine 2019?
Io me lo ricordo. Ricordo che, come ogni fine anno, ho fatto il punto della situazione, riflettuto su
quello che avevo imparato e su quello che avrei dovuto migliorare. Ero grato per quello che avevo
vissuto ed immaginavo le esperienze che avrei potuto vivere nel 2020. Mi ero posto degli obiettivi e
pianificato azioni per conseguirli. Insomma, un grande classico di fine anno. Nulla di nuovo, tutto
abbastanza conosciuto.

Cos’è stato del 2020?
Ora che sono entrato in questo nuovo stato mentale, riesco a vedere meglio cosa accadeva in me, ed
attorno a me, sia a gennaio che a febbraio, prima cioè del fatidico 21 (giorno in cui si è propagata la
notizia del primo caso riconosciuto di Covid-19 in Italia). E ricordo nitidamente due aspetti, uno
personale ed uno di contesto.

Il primo, personale, è la linearità. Al netto dei buoni propositi di fine 2019, la natura dei miei
pensieri, la loro consistenza, era la stessa non di inizio 2019, bensì del 2018, 2017 e così via. Non
c’era granché differenza. Certo non tutti gli anni sono stati uguali; ogni anno ha portato qualcosa di
diverso, tasselli di conoscenza in più ed esperienze che mi hanno arricchito, ma sempre in maniera
costante e senza scossoni.

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La Copertina d'Artista - Simply the best 2020 - Smart Marketing
È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio
  che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico.
  Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio.

Il secondo, di contesto, può essere riassunto in una espressione: “dov’è Bugo”? Sto parlando
del dibattito pubblico. È innegabile che prima del 21 febbraio, ci si interrogasse di questioni più
futili. I grandi temi erano fuori dalla scena pubblica. Non interessavano a molti, erano noiosi o
complessi. Avete mai sentito parlare così tanto di scuola, sanità, digitale, sostenibilità,
lavoro, scienza, futuro e programmazione economica, negli anni precedenti come in questi
ultimi mesi? La domanda non necessita di risposta: è squisitamente retorica.

Il 2020, l’anno della pandemia.
È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che
quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico, e che i suoi effetti ce li
porteremo giocoforza anche nel 2021, non fosse altro perché il virus è ben lontano dall’essere
sconfitto. Certo il vaccino è arrivato, ma è ancora presto per voltare pagina… ci aspettano ancora
mesi difficili sotto questo aspetto.

Ma se possiamo cogliere qualcosa di buono da uno degli anni più bui della nostra storia recente
(Simply the best), allora dobbiamo cogliere quel bagliore di luce che prende il nome di
consapevolezza.

Oggi sappiamo meglio chi siamo e chi vogliamo essere.
Tutto quel tempo passato tra le mura domestiche, se da un lato ci ha privato della socialità, dall’altro
ci ha spinto a guardarci dentro. Nel tempo passato a video chattare, o su Netflix o a leggere libri, c’è
stato certamente il tempo per guardarsi dentro e ridefinire le proprie priorità. E non l’abbiamo fatto,
come negli anni passati, solo nella consuetudine degli ultimi giorni dell’anno. No, abbiamo avuto
mesi per farlo. Tempo per pensare, per mettere in discussione quanto pensato, e per pensare ancora
a qualcosa di nuovo. La consapevolezza che abbiamo raggiunto in questi mesi è un dono prezioso.

Nell’editoriale pubblicato a settembre dicevo che quello era il tempo della riflessione e
della comprensione.

  La pandemia ancora in corso ed il lockdown appena passato hanno riscritto completamente molte
  delle nostre consuetudini ed hanno accelerato processi che, se pur già in atto, erano ancora agli
  albori. Siamo stati catapultati dalla sera alla mattina in un nuovo mondo e dobbiamo riprendere le
  coordinate. È giusto che sia così e non sentirti l’unico o in difficoltà per questo.
  Prendiamoci il tempo per capire, senza farci troppo trascinare dal flusso. Attenzione, non
  rimanendoci fuori, ma cercando di avere la giusta posizione per osservare e valutare. Questo non
  è il momento delle decisioni avventate e neanche quello di stare completamente fermi; è il tempo
  della consapevolezza e del lavoro interiore. Lavorando su noi stessi saremo in grado di
  prepararci alle nuove sfide. Non solo dal punto di vista lavorativo, ma per certi versi anche da
  quello evoluzionistico.
La Copertina d'Artista - Simply the best 2020 - Smart Marketing
Oggi dico che è il tempo di fare tesoro di quanto accaduto e di riprogettare fattivamente le nostre
vite.

L’altra grande consapevolezza è a livello sociale.
Già nei prossimi mesi, e molto di più negli anni a venire, conosceremo un nuovo mondo. Sarà un
percorso medio-lungo, ma per certi aspetti molto veloce. Si parla già di nuova normalità: lo smart
working non come slogan, ma consuetudine, e l’apertura vera al digitale su tutti. Inoltre saranno
mesi accompagnati dalla grande sfida del Recovery fund – Next generation EU –, che darà impulso e
velocità a settori come sanità, ambiente, formazione, digitale e infrastrutture.

Insomma, il 2020 è già il passato. Di questo possiamo rallegrarci. Quello che accadrà nei prossimi
tempi dev’essere ancora scritto. Facciamoci trovare pronti.

  Prima di salutarci, permettetemi di segnalarvi che questo è l’80simo numero del nostro magazine.
  Questo significa che siamo nel pieno del nostro 7° anno di vita. Non male per un giornale che non
  riceve finanziamenti pubblici e privati. Quando abbiamo iniziato non avevamo idea di arrivare a
  questo punto. Avevamo molto entusiasmo, e questo ci bastava. Deve dire che l’entusiasmo nel
  tempo è rimasto intatto o, forse, è anche accresciuto. Anzi, senza forse. E tutto questo è stato
  possibile grazie a due elementi: il primo, voi lettori che ci continuate a leggere e ad apprezzare; il
  secondo, un gruppo di persone – la redazione – che nel tempo si è consolidato e che riesce sempre
  ad esprimere qualità e passione. Qualità e passione che sono certo ritrovate in ogni nostro
  articolo che pubblichiamo.

Buona lettura,

                                                                                            Ivan Zorico

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commenti. Rispondo sempre.
Se vuoi rimanere in contatto con me questo è il link
giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico

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Simply the best 2020 – L’editoriale di
Raffaello Castellano

  Che anno è stato questo 2020?

  Quali sono state le parole che ne hanno scandito il racconto?

  Quali i numeri che ne hanno contabilizzato il report finale?
  Inutile girarci intorno, lo sappiamo benissimo ed ancora lo stiamo vivendo sulle nostre vite, la
  pandemia da Coronavirus e la conseguente malattia da Covid-19 hanno riscritto la trama,
  complicato l’intreccio e confezionato un romanzo completamente differente da quello che ci
  aspettavamo, e ci auguravamo, di leggere esattamente un anno fa.

  Ci eravamo appena lasciati un anno fa carichi di speranze e buoni propositi, come sempre accade
  quando finisce un anno e ne comincia un altro, che a inizio gennaio sono cominciate a filtrare le
  prime informazioni, tra l’altro non ufficiali, dello scoppio, nella città cinese di Wuhan, di un
  preoccupante focolaio di una “Polmonite Atipica”, sconosciuta nell’uomo e legata ad un nuovo
  Coronavirus, che ha fatto quello che si chiama in gergo “spillover”, ossia un salto di specie.

Da allora tutto è cambiato: nel mese immediatamente successivo, a febbraio, i giorni hanno
cominciato a contrarsi ed a scorrere sempre più veloci, mentre le ore che li componevano si sono
dilatate a dismisura, diventando sempre più lunghe. Così fra la paura, che piano piano montava, e
l’incertezza politica e sanitaria, siamo arrivati ai primi DPCM, fra cui il più famigerato di tutti porta
la data del 9 marzo 2020. È in quella data, infatti, che l’Italia, per la prima volta nella sua storia
repubblicana, chiude e diventa “Zona Rossa”.

Il racconto del 2020 ha cominciato a mutare, tutto ciò che ci sembrava normale e scontato è
diventato un lusso: uscire, passeggiare, fare shopping, toccarsi, abbracciarsi, andare al cinema, al
teatro od a un concerto. Era permesso fare la spesa al supermercato, in edicola, alla ferramenta, e
poco più, e bisognava fare una fila, ordinati e distanziati, possibilmente con le mascherine ed i
guanti in lattice, due DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) che intanto cominciavano a
scarseggiare e diventavano sempre più costosi.

Siamo rimasti in casa, quasi tutti quelli che se lo potevano permettere, ma anche molti che non
potevano, e, come la guerra, anche la Pandemia da SarsCov-2 ha acuito le disparità sociali, rendendo
sempre più ampio il divario fra ricchi e poveri. Costretti in casa, abbiamo fatto di tutto, scoprendoci
cuochi e panettieri, ma pure allenatori ed esperti produttori di mascherine di emergenza, ci siamo
incollati ai nostri televisori, fagocitando una mole incredibilmente alta di notizie, tanto che
l’infodemia, almeno nei primi tempi, ha viaggiato più veloce della pandemia, mietendo anche essa
le sue vittime. Ma abbiamo fatto anche cose sorprendenti, se non incredibili, per noi Italiani:
abbiamo letto, sia giornali che libri, mai cosi tanto e così in tanti come quest’anno. Il Rapporto
Annuale 2020, realizzato dall’ISTAT, ha rilevato che nei primi 6 mesi del 2020 a leggere è stato il
62,6% della popolazione, con il 26,9% che ha letto libri e il 40,9% quotidiani”.

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Ma anche il lockdown, un’altra parola nuova e infausta di questo 2020, è finito, e a inizio maggio
sembrava ai più, compreso qualche illustre esperto virologo ed epidemiologo, che la pandemia
potesse terminare per decreto, ed allora l’estate è stata all’insegna del “liberi tutti”. D’altronde i
dati ci dicevano che il nostro Paese (complice proprio il lockdown particolarmente lungo e severo),
stava molto meglio del resto d’Europa, per non parlare del resto del mondo.

Ma la scelta di riaprire tutto e confidare nel senso di “responsabilità” degli Italiani è stata quella
peggiore che si potesse fare. Invece di capitalizzare l’ottimo risultato raggiunto a marzo ed aprile, lo
abbiamo dissipato in appena tre mesi di pura “follia generalizzata”, con spiagge piene, ristornati
stracolmi, aprendo addirittura le discoteche.

                   Scopri il nuovo numero: Simply the best
    È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio
                che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico.
          Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio.

Sì, ok, c’erano le ragioni economiche e bisognava riaprire, altrimenti molte attività piccole e
medie, oltre che l’esercito delle partite iva, rischiavano di non avere di che sostentarsi o peggio
ancora il fallimento e la chiusura. La salute è importante, ma anche l’economia lo è; sembrava,
come ha scritto e detto qualche acuto e sensibile osservatore, che l’Italia intera fosse diventata
come Taranto, dove la salute si sconta con il ricatto occupazionale da oltre 55 anni, ossia da
quando alle porte della città fu inaugurato l’impianto siderurgico più grande e più inquinante
d’Europa.

  L’ho pensato. Tutta Italia come Taranto

  — Viola La Privaci (@VPrivaci) March 20, 2020

Ma, mentre politici, epidemiologi, giornalisti e commercianti esasperati litigavano su tutto, questo
virus opportunista ha approfittato delle nostre umane debolezze e della nostra incapacità di
autodisciplina e a fine settembre ha cominciato a correre e a mietere vittime, tantissime vittime.
Mentre scrivo questo editoriale (29 dicembre) il bilancio per il nostro paese è drammatico: 72.370
morti a fronte di 2,06 milioni di casi da inizio pandemia, con un tasso di positività al 12,5%, fra
i più alti d’Europa.

E con questo arriviamo al presente, all’oggi, al qui ed ora, con il Natale più strano delle nostre vite,
non solo per chi ha meno di 20 anni, ma anche per chi ha 30, 40 o 50 e più anni. Bisogna tornare al
periodo della II Guerra Mondiale per trovare qualcosa di simile, e forse neanche allora.

Quindi cosa dobbiamo salvare, di questo anno?

Qual è, se c’è, il “simply the best” di quest’anno?

Sinceramente non lo so…
Ho provato a pensare ad una serie di parole e cifre significative, ma sono per lo più negative, ed io
non voglio tradire la fiducia dei nostri lettori che da 7 anni si aspettano un numero di dicembre del
nostro magazine – Simply the Best, appunto – che sia ottimista, propositivo, pieno di speranza,
soprattutto da parte del sottoscritto, che da sempre vede il bicchiere mezzo pieno e la bottiglia piena
sul tavolo.
Quindi, con cosa vi lascio quest’anno?
Proverò a ragionare con voi su due dati, uno positivo e l’altro negativo, con cui si sta chiudendo
quest’anno.

Cominciamo da quello negativo:
è notizia di ieri, l’Istat ha pubblicato i dati di un’indagine molto ampia, effettuata tra ottobre e
novembre (riferita ad un universo di 1.019.786 imprese di 3 e più addetti che operano nel
settore dell’industria e dei servizi), che rivela che sono 73.000 le imprese chiuse, ossia il 7,2% del
totale.

Ma ancora più amare sono le stime dei primi 3 mesi del 2021, che sono, se possibile, ancora
peggiori. La Confcommercio ha fatto sapere attraverso una nota ufficiale che saranno oltre
390mila le imprese del commercio non alimentare e dei servizi di mercato a chiudere
definitivamente ed a non riaprire nel 2021. Un fenomeno non sufficientemente compensato dalle
85mila nuove aperture, per cui la riduzione del tessuto produttivo nei settori considerati
ammonterebbe a quasi 305mila imprese (-11,3%). Di queste, 240mila imputabili esclusivamente
alla pandemia.

Voglio riscrivere quest’ultimo dato: 240mila aziende chiuse a causa della pandemia, 240mila
sogni infranti, 240mila famiglie (se contiamo solo quelle dei titolari, ma il dato andrebbe moltiplicato
almeno per 3) precipitate nell’incertezza economica e/o nella povertà, 240mila aziende che
concorrevano alla bilancia economica ed alla produzione di quel Made in Italy tanto invidiato e
ricercato nel mondo.

Come posso “riscrivere” in maniera positiva, senza mentire ed inventare, questo dato?

Non è possibile, quindi non lo farò, ma vi invito a meditare su quelle 85mila nuove aperture che,
visto il momento non certo favorevole, sono non soltanto coraggiose, ma eroiche e un po’ folli, come
piacciono a noi.
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E veniamo adesso al dato positivo:
Come tutti sapete, il 27 dicembre è stato il “V-Day”, che, benché in Italia ricordi altre cose, adesso
significa Vaccine Day: l’Europa ha deciso di usare questa data simbolica per una ripartenza delle
nostre vite. Il primo vaccino contro il coronavirus, quello della Pfizer, ha cominciato ad essere
somministrato in tutta Europa, con l’Inghilterra, ormai ufficialmente fuori dall’Unione, che ha
cominciato circa 2 settimane prima. Fra poche settimane, forse giorni, arriveranno i vaccini della
Moderna ed Oxford-AstraZeneca (quest’ultimo sviluppato insieme all’italiana Irbm di Pomezia)
che, stando alle previsioni, dovrebbero permetterci di vaccinare gran parte, più del 70%, della
popolazione italiana ed europea entro l’estate 2021.

    Per il momento, questa mi pare l’unica vera, e concreta, nota di speranza di quest’anno
    che si chiude, sperando che no vax e complottisti non ci rovinino la festa. Noi di Smart
    Marketing, che con questo numero festeggiamo le “80 uscite mensili”, vigileremo
    attraverso un’informazione puntuale, precisa e verificata che, per quanto riguarda il
    tema vaccino, faremo soprattutto attraverso la nostra rubrica “Il sonno della Ragione”,
    presieduta dal nostro debunker Armando De Vincentiis, che tornerà a gennaio con nuovi
video.

Intanto, se volete finire l’anno con delle buone letture, vi suggerisco, oltre a questo numero del
nostro magazine, un paio di articoli (nostri s’intende).

Se volete approfondire la vostra conoscenza sui vaccini andatevi a rileggere:

■   Novax profiler
■   Perché i vaccini hanno questo nome?

Se invece volete sapere come l’Intelligenza Artificiale potrà contribuire anche alla nostra salute,
andate a scoprire la nostra rubrica “Innovazione e Intelligenza Artificiale”, che raccoglie gli
interessanti podacst ideati dall’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale e Radio IT, e
che noi stiamo periodicamente pubblicando:

■   Innovazione e Intelligenza Artificiale

In particolare gli episodi:

■   Intelligenza Artificiale vs Covid-19, con Emanuela Girardi
■   l podcast che ti fa scoprire l’A.I. – L’AI non è una scatola nera che ti risolve tutti i
    problemi, con Nicola Gatti

Infine, se siete fra quelli che sono sempre in ritardo per i regali di Natale, o che aspettano
l’Epifania, vi proponiamo la nostra iniziativa “Gli imperdibili”, una serie di articoli con i
suggerimenti per creare una biblioteca essenziale per tutti i marketers (ma non solo), per imparare a
capire, decodificare e comprendere la complessità, ma pure la ricchezza e la bellezza del nostro
mondo, che mai come quest’anno è cambiato sotto i nostri occhi; andate a scoprirla:

■   Gli Imperdibili: i libri da regalare e regalarvi in questo Natale 2020

Bene, è tutto, almeno per quest’anno, voglio lasciarvi con un augurio di Buon 2021 che, se saremo
responsabili, sarà un anno di rinascita e di svolta, perché, come scriveva Friedrich Nietzsche nel
“Crepuscolo degli idoli”, molto prima che lo cantassero Tiziano Ferro, Gué Pequeno e compagnia
bella:

                       “Ciò che non mi uccide, mi rende più forte”

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Crescere anche in periodo di Covid-19: il
caso di Briicks
Una piccola realtà di Torino, Briicks, attiva da qualche anno con prodotti dedicati a far crescere la
relazione di coppia, trova nel difficile periodo del Covid-19 l’occasione per migliorarsi, crescere,
svilupparsi.

Nel momento in cui le coppie conviventi non riuscivano più a sopportarsi sotto lo stesso tetto e
quelle distanti non potevano vedersi, hanno ripensato al loro prodotto per andare incontro alle nuove
esigenze e fare un salto di qualità nelle vendite.

                  Scopri il nuovo numero: Simply the best
    È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio
                che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico.
          Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio

Abbiamo intervistato Marco Mattio, ideatore insieme a Maria Cesaro, di questa iniziativa.

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Com’è cambiata la comunicazione negli
ultimi mesi? La pandemia ha contagiato
anche il vocabolario.
Il linguaggio segue l’evoluzione della società rispecchiando i cambiamenti socio-culturali,
la lingua, infatti, si adegua al contesto e, nel corso della storia, tanti vocaboli sono spariti, altrettanti
sono nati e molti altri hanno subito modifiche nell’ambito di utilizzo e del significato.

Un esempio di quanto i fatti che accadano in una società possano influenzare il linguaggio, è
possibile notarlo proprio in questa attuale congiuntura storica. Il Covid, che tanto ha modificato le
nostre vite, in molti diversi aspetti, ha influenzato, senza che ce accorgessimo, anche la
comunicazione.

La comunicazione interpersonale.
D’altronde, come sostenuto già nel 1967 dal filosofo-psicologo Paul Wazlawick, nel primo assioma
della comunicazione, “non si può non comunicare, le parole, il silenzio e le attività hanno valore di
messaggio e influenzano gli interlocutori”. Nell’assioma si citano proprio quegli elementi che, con lo
sviluppo massiccio ed improvviso del digitale, hanno subito sostanziali modifiche. La
comunicazione digitale in linguistica viene definita “parlato trasmesso”, orale ma non in
presenza, e che per tale motivo non può fare affidamento sul contesto extra-linguistico: richiede
continui richiami all’attenzione dell’interlocutore, e deficita di parte della gestualità, della mimica e
della prossemica.

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    È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio
                che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico.
          Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio.

Nel 1960, il linguista William Stokoe, sottolineò l’importanza dei gesti nella comunicazione
(di cui noi italiani probabilmente siamo maestri), elaborando l’idea della fonologia dei gesti, dalla
quale poi prese vita il vocabolario della lingua dei segni. Esattamente allo stesso modo è stato
possibile realizzare un lessico inerente le diverse modalità di comunicazione: ad esempio, il sistema
aptico, ossia il contatto, pensiamo al ritmo e alla frequenza dei contatti delle varie parti del corpo
che si realizzano in una comunicazione e che, con il digitale, vengono meno, semplicemente
“stringersi la mano”, “darsi il cinque” e così’ via; ma anche lo sguardo e il sistema cinesico, cioè le
espressioni del viso, nell’attuale obbligata comunicazione digitale risultano più difficili da cogliere. E
ancora, l’avvicendarsi dei turni di comunicazione, che in presenza avvengono in modo
spontaneo, con maggiore frequenza e sovrapposizioni, nella comunicazione digitale devono essere
ordinati, richiamati dai singoli interlocutori, un po’ come avviene nell’avvicendamento dei turni a
scuola, rendendo i dialoghi più lunghi, quasi dei piccoli monologhi.

L’uso delle parole
Il professore Daniele Baglioni, docente di Storia della lingua italiana, linguistica e dialettologia
presso l’Università Cà Foscari di Venezia, ha sottolineato inoltre la contemporanea modifica
del lessico utilizzato, successivamente alla diffusione del Covid, “vi è una regressione dell’uso
figurato di parole come contagio, virus e pandemia” sostiene il professore, ad esempio, al momento,
non useremmo espressioni del tipo “il nostro entusiasmo è contagioso” oppure “sono una persona
positiva”; alcuni vocaboli hanno assunto un significato aggiuntivo, ad esempio, la parola
“tamponare”, utilizzata ora perfino per indicare l’esecuzione del tampone Covid.

La comunicazione istituzionale e aziendale
Anche il linguaggio istituzionale sembra essere cambiato: analizzando i discordi del Presidente
del Consiglio, Antonio Conte, si può notare la prevalenza del contenuto persuasivo rispetto a
quello informativo, con lo scopo di raggiungere l’obiettivo velocemente, quasi a ricalcare la
comunicazione pubblicitaria. Il primo DPCM dal titolo “Io resto a casa” è diventato immediatamente
un hashtag; nella fase 2 il Presidente si rivolge ai cittadini dando loro del “tu” con la frase “se ami
l’Italia, rispetti le distanze”. Questa necessità di senso di vicinanza è stato colto anche da
molte aziende che hanno iniziato, negli ultimi mesi, a proporre una comunicazione
maggiormente empatica, puntando l’attenzione sulla sensibilità e le esigenze dei consumatori
legate alla nuova situazione.

Se questi cambiamenti comunicativi perdureranno nel tempo, non possiamo ancora saperlo perché
la comunicazione segue la pandemia, nello specifico, e i cambiamenti sociali, in generale,
caratterizzandosi quindi come un fenomeno in continuo divenire.

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Le 10 serie tv del 2020 che dovete
assolutamente guardare
Dire che questo 2020 sia stato un anno bellissimo sarebbe sicuramente un eccesso di benevolenza
nei suoi confronti, ma, non si può neanche buttar via tutto ciò che è successo in questi dodici mesi.

  Abbiamo conosciuto lo smart working, abbiamo inquinato meno, abbiamo imparato a
  panificare, abbiamo aspettato con ansia un dpcm (il lato positivo di questo punto è l’aver
  posto il nostro interesse, volente o nolente, verso la politica), abbiamo conosciuto
  termini nuovi come “lockdown”, insomma, se ci mettiamo d’impegno qualche lato buono
  lo troviamo in questo anno. Sicuramente tra questi c’è quello di aver avuto molto più
  tempo a disposizione da passare in casa e dedicare ai propri hobby, magari uno di questi
  è guardare per ore ed ore serie tv, c’è chi lo chiama “binge watching”, nascondendo, non
  tanto bene, un’accezione negativa del termine, ma chi può dire che questa pratica non si
  sia rivelata utile in questo 2020?

Serve allenamento, non è facile, non bisogna perdere il filo, non bisogna demordere se una serie
comincia ad annoiare, non bisogna cadere nei facili paragoni, non devi spoilerare con i tuoi simili,
non devi scegliere alla leggera una serie da iniziare, insomma, è una faticaccia.

Molte sono le serie del 2020 degne di essere viste e, concentrandomi solo su quelle iniziate
quest’anno, ho provato a fare una piccola selezione (non una classifica), spaziando tra generi e
tematiche.

Le 10 serie tv del 2020 da guardare assolutamente:
1) Unorthodox
E’ una miniserie disponibile su Netflix, basata sul libro autobiografico “Ex ortodossa. Il rifiuto
scandaloso delle mie radici chassidiche” della scrittrice Deborah Feldman. La serie racconta la
storia di Esty, una ragazza di famiglia ultra-ortodossa chassidica, che a causa della sua fede non può
vivere una vita normale, ma è destinata solo ad essere madre e moglie devota; quando ad Esty
questa vita comincia a star stretta decide di scappare via dall’America per andare in Germania. E’
una serie che mostra un mondo con regole che ai nostri occhi risultano incomprensibili e lo fa in
maniera molto elegante e toccante, in soli quattro episodi;

2) The Midnight Gospel
La serie d’animazione di Netflix più surreale che ci sia. E’ nata dalle mani del regista e
animatore Pendleton Ward e dal comico Duncan Trussell, che è l’autore del podcast che l’ha
ispirata. Il protagonista, negli otto episodi, viaggia attraverso un multiverso di fantastici mondi,
attraverso un simulatore, incontrando assurdi personaggi e affronta con loro tematiche filosofiche e
spirituali, acquistando sempre maggior consapevolezza, tutto sullo sfondo di animazioni visionarie
che si susseguono in un turbine di colori psichedelici;

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    È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio
                che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico.
Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio.

3) Romulus
E’ la serie italiana del momento, creata e diretta dal regista Matteo Rovere, che narra le vicende
precedenti alla nascita di Roma. La serie Sky Original, composta da dieci episodi, ricostruisce
fedelmente la società in cui è ambientata, grazie al supporto di storici e archeologi. Il cast è
costituito da numerosi attori visti in altri film e serie tv italiane, come ad esempio “Gomorra”. Il
regista Matteo Rovere si è già cimentato in un progetto a sfondo storico con il film “Il primo re”,
con protagonista Alessandro Borghi;

4) La regina degli scacchi
La miniserie ideata da Scott Frank e Allan Scott, è tratta dal romanzo “The Queen’s Gambit”,
dello scrittore Walter Tevis. La serie americana Netflix, di sette episodi, racconta la storia di
Beth Harmon, una bambina orfana che all’età di otto anni, conosce il mondo degli scacchi a cui si
appassiona in maniera viscerale. Beth inizia presto ad essere dipendente da alcol e psicofarmaci ma,
nonostante la sua natura fragile, riesce a diventare una donna ed una giocatrice forte e tenace,
capace di farsi strada nel mondo degli scacchi. Una serie emozionante, ricca di scenografie e
costumi bellissimi, con la bravissima attrice protagonista Anya Taylor-Joy;

5) Ethos
“Ethos” (titolo originale Bir Başkadır) è una serie Netflix, come “Unorthodox”, basata sulla storia
di una giovane donna influenzata dalle regole della sua religione. Ci troviamo però in Turchia, ad
Istanbul, protagonista degli otto episodi è Meryem, interpretata dall’intensa e bellissima attrice
Öykü Karayel, che vive con la famiglia del fratello a cui è molto devota. La donna comincia ad
andare da una psicologa a causa di svenimenti frequenti e da lì si snodano le storie di personaggi
provenienti da differenti classi sociali con livello culturale e problemi molto diversi tra loro. “Ethos”
è una serie che sta facendo molto discutere in Turchia e che affonda le radici in un profondo
universo psicologico oltre che religioso. I titoli di coda sono quasi tutti accompagnati da videoclip
musicali anni ottanta, un’idea molto originale per una serie tv;

6) Hollywood
E’ la miniserie targata Netflix che con ironia e leggerezza affronta lo spinoso tema della
discriminazione, razziale e sessuale. “Hollywood” racconta la storia di sei giovani ragazzi, aspiranti
attori e registi, con il sogno di aver successo nel mondo del cinema, che dovranno scontrarsi con i
pregiudizi dell’America del secondo dopoguerra. La serie di sette episodi, creata da Ryan
Murphy e Ian Brennan, diretta da Daniel Minahan, è brillante e coinvolgente e ha come ciliegina
sulla torta la straordinaria interpretazione di Jim Parsons (Sheldon Cooper di “The Big Bang
Theory”) nei panni del chiacchierato agente delle star Henry Willson, realmente esistito;

7) We are who we are
E’ la miniserie italo-americana diretta dal regista Luca Guadagnino per Sky Atlantic, co-creata
con lo scrittore Paolo Giordano e la sceneggiatrice Francesca Manieri. Negli otto episodi viene
raccontata una storia di crescita, amicizia, amore, scoperta ed accettazione di sé e degli altri, con
protagonisti l’inquieto e sensibile Fraser e la bellissima e razionale Caitlin. I due adolescenti vivono
in una caserma a Chioggia, base militare statunitense dove lavora il padre di lei e dove la madre di
lui è diventata il nuovo comandante. Un’emozionante serie capace di coinvolgere sia i più giovani
che gli adulti, un prodotto del regista italiano che, dopo il successo del bellissimo “Chiamami col
tuo nome”, torna a raccontare le inquietudini tipiche dell’adolescenza con poesia e raffinatezza e
con riuscite scelte dal punto di vista degli attori, dei costumi e della colonna sonora;
8) I am not okay with this
E’ la serie americana creata e diretta dal regista Jonathan Entwistle, già regista della serie “The
End of the F***ing World”, e prodotta dai produttori di “Stranger Things”. La serie presente nel
catalogo Netflix, è tratta da una graphic novel del fumettista americano Charles Forsman e ha
come protagonista l’adolescente Sydney che improvvisamente si accorge di avere dei superpoteri,
che si manifestano quando è particolarmente arrabbiata o impaurita. Una commedia dark nello stile
anni ottanta, che può piacere anche ai non più adolescenti, ma c’è un però: la prima stagione
composta da sette episodi pare essere anche definitivamente l’ultima, perché la serie è stata
cancellata; non si può dire, quindi, che abbia avuto lo stesso successo delle altre due famose serie
sopra citate;

9) The Last Dance
Il successo planetario che ha riscosso la docu-serie Netflix “The Last Dance” è innegabile. Punto
di forza è sicuramente il fenomeno del basket Michael Jordan e la sua squadra, i Chicago Bulls, e
la possibilità che questa serie offre di seguire tutte le loro vicende, sportive e personali, nei dieci
episodi che raccontano la clamorosa ascesa che la storica squadra dell’NBA ha vissuto negli anni
’90. Un bellissimo mix di spezzoni di partite e interviste a giocatori, allenatori, dirigenti e giornalisti,
coinvolti nella storia del cestista icona mondiale dello sport e nelle vittorie dei Chicago Bulls, la
squadra che vinse per ben sei volte il campionato NBA;

10) The New Pope
“The New Pope” è la miniserie, sequel del già bellissimo e fortunato “The Young Pope”, scritta e
diretta dal regista premio Oscar Paolo Sorrentino per Sky Atlantic. Racconta in nove episodi
l’ingresso in Vaticano di Sir John Brannox, interpretato da uno strepitoso John Malkovich, che
viene nominato Papa col nome di Papa Giovanni Paolo III e subentra a Papa Pio XIII, ovvero Lenny
Belardo, ovvero il fantastico Jude Law. Serie tv meravigliosa sotto tutti i punti di vista, dalla regia
agli attori, dalla sceneggiatura alle scenografie, costumi e musiche. Accanto a mostri sacri come
Malkovich e Law, spicca un ineguagliabile Silvio Orlando, nel ruolo del Cardinale napoletano Angelo
Voiello. Personalmente credo che questa sia, tra le dieci, quella che metto al 1° posto,
assolutamente imperdibile, da vedere solo dopo aver visto “The Young Pope”.

Vi consiglio di guardare tutte queste serie tv ed anche altre interessanti che ho dovuto lasciare fuori
da questa selezione; non cercate solo generi che già conoscete e vi appassionano, ma provate la
visione anche di quei prodotti che vi sembrano molto lontani dai vostri gusti, perché se c’è una
cosa che il 2020 ci ha insegnato è che non dobbiamo mai smettere di metterci alla prova, di
scavalcare i nostri limiti ed anche iniziare una nuova serie tv può essere un ampliamento del nostro
piccolo confortevole mondo.

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Un 2020 da buttarci alle spalle, ma che ci
ha insegnato a lottare e a reinventarci con
nuove forme di lavoro: intervista a Roberto
Adrower
Quest’anno volge al termine e anche se tutti vorremmo buttarci alle spalle un 2020 fatto di
sofferenza e di tristezza dobbiamo pur reagire. Quella speranza che ogni volta ci fa guardare
all’anno nuovo con una prospettiva fiduciosa e la gioia nel cuore quest’anno effettivamente si sente
di meno, si ha paura di provarla veramente perché timorosi di quello che sarà, e perché ancora non
si vede la luce in fondo a questo tunnel così buio che stiamo affrontando.

Che il mondo dopo questa pandemia stia cambiando ormai
non ci sorprende più.
Dichiarazioni iniziali che ci sembravano inverosimili, molto più vicine ad un film di fantascienza che
alla realtà sono invece constatazioni. Quando sentivamo gli esperti dire dovremmo imparare a
convivere con il virus, trascorreremo le nostre giornate con le mascherine indossate, non ci
abbracceremo più, non faremo più grandi riunioni familiari, lavoreremo da casa la maggior parte del
tempo sembrava impossibile divenisse davvero realtà e invece, è la nostra quotidianità, la nostra
NUOVA NORMALITA’.

Guardiamoci dentro e in fondo in fondo scopriremo che,
però, non è tutto da buttare.
Abbiamo imparato tanto, ci siamo scoperti più forti, pronti a metterci in gioco con un senso di
imprenditorialità intrinseco, capace di modificare quello che è stato e di guardare la quotidianità con
occhi nuovi.

Abbiamo sperimentato un nuovo modo di vivere al quale tutti piano piano ci stiamo adattando e
che sarà paragonabile ad una nuova rivoluzione, con il propagarsi del digitale sempre più presente
nelle nostre vite, una nuova modalità di lavorare quale forma di resilienza e di propensione al
cambiamento e nuove forme di lavoro, un ricrearsi e riorganizzarsi, reinventarsi e rivalutarsi.

Un po’ in tutti i campi si sta provando questa situazione soprattutto in quei settori più colpiti che
hanno visto all’improvviso chiudere i battenti, riorganizzare orari e trovare momenti nuovi per
“incontrare” i clienti: le cene trasformate in pranzi, gli aperitivi in colazioni, cambiamenti nelle
abitudini e nella quotidianità.

Tante le professioni che si stanno riorganizzando dove lo spirito di adattamento mette a dura prova
perché non esiste più: abbiamo sempre fatto così.

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wer Professore a Contratto di Marketing e
Tecniche di Accesso al Mercato del Farmaco
Presso il Corso laurea Scienza
Farmaceutiche Applicate Facoltà Farmacia
e Medicina dell’Università La Sapienza
Roma

Abbiamo chiesto a Roberto Adrower, Professore a Contratto di Marketing e Tecniche di Accesso al
Mercato del Farmaco Presso il Corso laurea Scienza Farmaceutiche Applicate Facoltà Farmacia e
Medicina dell’Università La Sapienza Roma – Come sta evolvendo e cambierà sempre di più una
delle professioni tradizionali che al tempo del COVID -19 ha incontrato una brusca frenata e una
forte interdizione nello svolgere la propria attività così come “si era abituati a fare”; quella
dell’informatore scientifico del farmaco (ISF), dal momento che i medici sono tra i più impattati a
causa della pandemia e l’accesso agli ospedali e ambulatori è fortemente limitato.

Cosa vuol dire essere informatore farmaceutico oggi ai tempi del Covid -19?

Significa essere un professionista della salute a 360 °. Rapido nel “percepire opportunità di
mercato” ancor prima che si manifestino. Veloce nel passare a nuove soluzioni e sempre al passo con
il tempo, pronti a percepire i “segnali del mercato”. In una parola è richiesto essere più
“imprenditore”. Questo è lo scatto in più che oggi chiede il sistema Healthcare, di cui l’ISF fa parte
ricreandosi una professione con un vantaggio competitivo molto importante che ne caratterizza il
settore farmaceutico, rispetto ad altri, proprio in questa fase delicata che stiamo attraversando.

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Quali Occasioni ed opportunità ha messo sul tavolo la pandemia per questo ruolo
storicamente tradizionale basato sul rapporto e contatto con il medico?

Senza averlo pianificato, si è messo in piedi il più grande esperimento di utilizzo della multicanalità
mai visto, sia per lavorare che per comunicare in sanità. Dal face to face tradizionale,
repentinamente si è passati allo Smart Working arrivando ad utilizzare tutte le forme di
multimedialità. L’obiettivo importante ma non facile, è stato quello di non perdere i rapporti creati
nel tempo. La multimedialità se utilizzata bene, può essere notevolmente di aiuto. Nessuno meglio
dell’informatore farmaceutico conosce in modo approfondito le necessità del Medico, comprendendo
il modo migliore e il mezzo migliore per comunicare in modo efficace. La tecnologia ha dato la
possibilità di continuare un rapporto, anche se a distanza, lì dove altrimenti si sarebbe interrotto.
L’opportunità di crescita formativa e di riorganizzazione è stata quella di non vivere passivamente il
mezzo, ma di pensare di avere più possibilità di scelta per comunicare. La sfida abbracciata è stata
quella di sperimentare e conoscere un nuovo modo di lavorare ottimizzando il tempo per rendere il
rapporto con il cliente più approfondito, perché “non disturbato” dai “rumori di fondo” dello studio
medico, in momenti scelti dal medico stesso, anche solo perché in una giornata di difficoltà necessita
di una chiacchierata ed un confronto su temi diversi.

Come si evolverà questa figura professionale e quali competenze saranno necessarie per
essere al passo con l’evoluzione del ruolo?

Nella parte finale della “catena del valore “del farmaco, la Supply Chain e le Vendite, hanno un ruolo
determinante. Rappresentano il “valore aggiunto” determinante per il successo commerciale del
prodotto. Proprio per la rapidità dei cambiamenti e delle scelte che abbiamo definito prima, è
importante dare input veloci alle strutture di Sede, in modo chiaro e netto. Per questo l’ISF deve
ampliare le sue conoscenze e competenze e metterle in pratica. Un esempio? Potrebbe essere quello
di comprendere meglio il patient journey in relazione alla terapia del prodotto presentato
approfondendo una migliore conoscenza qualitativa dei percorsi del paziente. In una era dove non si
è più parte passiva nell’assunzione del farmaco, ritengo che conoscere meglio i percorsi on ed off
line nella scelta di continuare o meno una terapia, aumenti il valore e l’eticità dell’Azienda stessa nei
confronti del Medico Curante. Saper testare differenti comunicazioni, anche attraverso metodologie
multimediali, è uno degli skill essenziali, per capire i mutamenti rapidi che il mercato attua in questi
periodi. Per questo le aziende dovranno investire in formazione continua della rete di ISF, ma con
un approccio che non sia solo “prodotto-centrico” ma di ampie vedute.

Da un Suo ultimo articolo ritiene che l’informatore sia un missionario tecnologico, cosa
intende e come si può approcciare a questo ruolo oggi?

Questo concetto viene dal Prof Riccardo Gallo Economista che nel Libro Industria Italia: ce la faremo
se saremo intraprendenti, analizzando i vari settori economici, ha dato una chiave di lettura
interessante dell’ISF. Lo definisce come l’esempio del “Missionario Tecnologico ideale “perché
conosce le persone le aziende ed il territorio. E’ una persona qualificata in grado di interagire con
l’azienda e con la sua attività “consulenziale” permette il trasferimento tecnologico dalle filiere alle
imprese. In economia questo professionista è il “vantaggio competitivo” del settore farmaceutico,
perché ha una base di lavoro solida e ben costruita. L’approccio migliore oggi? A mio avviso
potrebbe essere quello di chiedere all’informatore scientifico del farmaco di diventare “laboratorio
di Idee “. Sarà poi la strategia a valutare accettare o rifiutare le idee in base a delle analisi di
fattibilità. Per fare ciò la formazione su tematiche come analisi di mercato, la comunicazione
sanitaria multimediale, è essenziale. Ritorna in pieno il concetto di “imprenditore” prima espresso.
Da parte delle aziende mi sembra che sia un buon obiettivo o almeno una strada da tentare.

Come l’Università si sta organizzando per formare le nuove leve considerando la situazione
odierna e le prospettive?

Personalmente posso parlare della mia competenza nell’ambito del Corso di Laurea in Scienze
Farmaceutiche Applicate della Università Sapienza. Nel Corso dedicato al Marketing e Tecniche di
Accesso al Mercato del Farmaco, ci concentriamo sul ruolo della Informazione Scientifica. Agli
studenti diciamo chiaramente che è inutile raccontare di come era, cominciamo a descrivere invece
come è diventata e come sarà questa professione. Per questo stiamo sviluppando anche alcuni
programmi di “eccellenza “dove approfondire le conoscenza di aspetti economici, analizzare macro
trend di mercato, conoscere la multimedialità comunicativa hanno lo scopo di aiutare i talenti, ad
entrare nell’arena del mondo competitivo del lavoro per essere, speriamo, più pronti e con gli skill
che le Aziende sperano di vedere nelle nuove generazioni.

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Capire il 2020 attraverso le "3 + 1" parole
che hanno segnato quest'anno.
                        I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo

Il filosofo viennese Ludwig Wittgenstein, con questa espressione, voleva indicare l’importanza delle
parole nella costruzione dei nostri pensieri.

Ossia le parole che conosciamo, e utilizziamo, determinano in maniera profonda la natura stessa del
nostro pensiero. Riconosciamo il (nostro) mondo sulla base delle parole che padroneggiamo e
frequentiamo.

Quindi per capire che anno è stato, che anno abbiamo vissuto, ho raccolto le “3+1” parole che
hanno caratterizzato il 2020.

1. Pandemia
Di certo pandemia, è stato il termine più ricercato in Italia. A dircelo ci viene in soccorso
Google, con la raccolta delle tendenze del 2020. Difficile, onestamente, pensare ad una parola
diversa. Ci ha accompagnato per quasi tutto quest’anno e chissà per quanto ancora lo farà.
Abbiamo scoperto la differenza sottile (ma neanche troppo) che c’è con un’altra parola,
epidemia. La differenza la ritroviamo nel livello di propagazione: se infatti l’epidemia è la
manifestazione e diffusione di una malattia in un territorio; la pandemia è una epidemia, ma di
dimensioni molto più vaste. Il Coronavirus, ad esempio, è stato classificato dapprima come
epidemia, per poi trasformarsi in pandemia per via della sua diffusione globale.

2. Coronavirus
Un’altra parola di tendenza nel 2020 è stata appunto Coronavirus. Anche questa per certi versi
abbastanza scontata. Ma, se provo a portare la mente a prima che questo virus arrivasse in Italia
(primo contagiato riconosciuto nel nostro territorio è del 21 febbraio), non mi sembra che se ne
parlasse tanto. Se ben ricordate, se ne parlava come qualcosa di distante, qualcosa che non ci
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