La Copertina d'Artista - Simply the best 2020 - Smart Marketing
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La Copertina d’Artista – Simply the best 2020 Una splendida fanciulla ci osserva dalla Copertina di questo numero di fine d’anno del nostro magazine. Ha un fascino magnetico ed etereo allo stesso tempo, il suo sguardo fiero, quasi sprezzante, ci trafigge come le spine della rosa che tiene nella mano e che le copre metà del viso. L’opera di questo mese, lo capiamo subito, è una questione di sguardi. A prima vista, sembrerebbe che l’artista Francesca Vivacqua abbia voluto fare un omaggio alla sua prima Copertina d’Artista realizzata per il nostro mensile, nel marzo 2015, dal titolo “Angeli sotto un cielo di ruggine”. Allora la sua bambina, una vera e propria Greta Thunberg ante litteram, denunciava la situazione ambientale a Taranto, città d’origine dell’artista. Oggi, con questo nuovo intervento, quella bambina è cresciuta, è diventata una giovane donna, ed il suo impegno politico ed ambientale si è fatto maturo, risoluto e molto più radicale.
L a C o p e r t i n a d ’ A r t i s t a d e l n ° 8 0 d i S m a r t M a r k e t i n g, realizzata da Francesca Vivacqua.
Eppure c’è dell’altro, la paletta dei colori usati dall’artista sono tenui pastelli e la tecnica è un ispirato e lieve acquerello, ma il risultato nel suo insieme ricorda la grande pittura italiana del Botticelli. La scelta del soggetto innanzitutto sembra la rivisitazione in chiave contemporanea della Primavera del grande maestro fiorentino, soprattutto per i personaggi di Flora e Venere, che sembrano i modelli ideali cui si è ispirata la Vivacqua. La ragazza che ci osserva con in mano una rosa ha in sé la grazia e la bellezza di Venere, ma pure la compostezza e la severità di Flora, il tutto amalgamato nella figura di una ragazza forte, coraggiosa ed emancipata dei nostri giorni. Ma ci sono altri elementi che concorrono ad aggiungere un’aura mistica e sacrale all’immagine: la fanciulla sembra emergere da uno sfondo dominato da un arco, un arco che richiama le volte di una basilica ma dipinge, o meglio incornicia, quasi un’aureola intorno alla ragazza. Insomma, a guardare quest’opera, si coglie un profondo senso di spiritualità, tanto che intuiamo che il messaggio che la ragazza ci vuole comunicare è universale, importante e forse urgente. “ I n t r o s p e z i o n e ” , 2 0 1 7 . Forse ci aiuterà il titolo, come spesso accade, a dipanare il significato di quest’opera. “Hope is to see over”, ossia “La speranza è vedere oltre”, è quello scelto dall’artista, ed allora tutto diventa più chiaro. Questa donna che ci osserva ci dice che dobbiamo andare oltre le nostre consuetudini, oltre i nostri preconcetti e soprattutto oltre le nostre convinzioni, un messaggio quanto mai urgente e puntuale in un anno in cui abbiamo scoperto che la natura, vilipesa e umiliata, si è, attraverso un virus, rivoltata contro di noi e ci ha lanciato un monito che non possiamo più ignorare.
Scopri il nuovo numero: Simply the best È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico. Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio. Ed allora il guardare oltre diventa non solo un esercizio necessario, ma una vera pratica di sopravvivenza, perché, se questa volta non impariamo la lezione che la pandemia, e la storia, ci sta impartendo, allora è altamente probabile che per la prossima lezione ci saranno molti meno studenti, almeno fra noi umani.
“ A u r a ” , 2 0 2 0 . Allora, come mi sentite dire spesso, l’arte diventa la maestra più importante delle nostre vite,
perché, quando è al meglio, come nell’opera della Vivacqua, allora ci offre non solo un giudizio severo sul nostro operato, ma “va oltre” e ci dice che la “speranza” è guardare oltre il problema, oltre la paura, oltre l’attimo presente, un messaggio che piacerebbe a Marcel Proust, che alla fine della sua Recherche scrisse: “La vera scoperta non consiste nel trovare nuovi mondi, ma nel vederli con nuovi occhi” Francesca Vivacqua (Classe 1971), figlia d’arte, ha sempre avuto la predisposizione per il disegno e le discipline pittoriche. Ha conseguito la maturità al Liceo artistico Lisippo (Taranto) ed in seguito ha frequentato l’Accademia di Belle Arti (Bari). Nel corso degli anni ha sperimentato varie tecniche: pastello su carta, acquerello, acrilico ed olio su tela, senza porre limiti alla sua ricerca artistica. Opera nell’ambito del “figurativo”, ponendo particolare attenzione al “ritratto”, che per lei è l’ideale specchio dell’anima, in cui gli occhi svelano tutte le emozioni interiori. Attualmente insegna “tecniche pittoriche” tradizionali alla scuola di fumetto Grafite di Bari. Lavora per privati e gallerie d’arte ed esegue anche decorazioni d’interni (trompe l’oeil). Ha preso parte a numerose esposizioni d’arte. Attualmente, alcune sue opere sono in permanenza alla Galleria “La Cornice” di Taranto. Per informazioni e per contattare l’artista: Pagina Facebook – “Francesca Vivacqua”, e-mail – f.2vivacqua@gmail.com Ultime mostre: 2016 Collettiva “News – Cover. Notizie, Immagini e Visioni ai tempi dell’Infotainment” 1° Edizione, Smart Marketing – Mensile di Comunicazione, Marketing e Social Media, Momart Gallery – Matera, Chiesa Sant’Andrea degli Armeni – Taranto, Laboratorio Urbano Mediterraneo – San Giorgio Jonico (TA), Laboratorio Urbano San Marzano di San Giuseppe (TA). 2017 Collettiva d’arte sull’Auto/Ritratto: “Amo Eva?”, Donna a Sud, Università degli studi “Aldo Moro”
Taranto; Collettiva d’arte “Storie di sguardi”, Laboratorio Urbano Mediterraneo, San Giorgio Jonico (TA); Collettiva d’arte “ArtAva”, Castello D’Ajala, Carosino (TA); Manuscripta Festival: “Ilvarum Yaga” – 100 matite contro la strega rossa, Palazzo Ducale, Martina Franca (TA). 2019 Personale “Lo spirito della natura”, Cucchevesce – Festival della civetta, Palagianello (TA). Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Simply the best 2020 - L'editoriale di Ivan Zorico
Ti ricordi com’era la tua vita prima del 21 febbraio 2020? Quali erano i tuoi pensieri, come immaginavi il tuo futuro o quali erano i tuoi progetti? Dobbiamo proprio sforzarci per andare a recuperare quello stato mentale e, molto probabilmente, ci sarà anche difficile farlo con pienezza. Siamo ancora troppo immersi nel presente – un presente lungo dieci mesi – per riuscire a fare un appropriato esercizio di memoria. E allora, se ci viene difficile pensare ai noi di dieci mesi fa, cerchiamo di portare la linea del tempo un po’ più in là. Non di tanto, giusto un paio di mesi in più. Ti ricordi a cosa pensavi di te, del mondo e dei tuoi progetti, a fine 2019? Io me lo ricordo. Ricordo che, come ogni fine anno, ho fatto il punto della situazione, riflettuto su quello che avevo imparato e su quello che avrei dovuto migliorare. Ero grato per quello che avevo vissuto ed immaginavo le esperienze che avrei potuto vivere nel 2020. Mi ero posto degli obiettivi e pianificato azioni per conseguirli. Insomma, un grande classico di fine anno. Nulla di nuovo, tutto abbastanza conosciuto. Cos’è stato del 2020? Ora che sono entrato in questo nuovo stato mentale, riesco a vedere meglio cosa accadeva in me, ed attorno a me, sia a gennaio che a febbraio, prima cioè del fatidico 21 (giorno in cui si è propagata la notizia del primo caso riconosciuto di Covid-19 in Italia). E ricordo nitidamente due aspetti, uno personale ed uno di contesto. Il primo, personale, è la linearità. Al netto dei buoni propositi di fine 2019, la natura dei miei pensieri, la loro consistenza, era la stessa non di inizio 2019, bensì del 2018, 2017 e così via. Non c’era granché differenza. Certo non tutti gli anni sono stati uguali; ogni anno ha portato qualcosa di diverso, tasselli di conoscenza in più ed esperienze che mi hanno arricchito, ma sempre in maniera costante e senza scossoni. Scopri il nuovo numero: Simply the best
È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico. Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio. Il secondo, di contesto, può essere riassunto in una espressione: “dov’è Bugo”? Sto parlando del dibattito pubblico. È innegabile che prima del 21 febbraio, ci si interrogasse di questioni più futili. I grandi temi erano fuori dalla scena pubblica. Non interessavano a molti, erano noiosi o complessi. Avete mai sentito parlare così tanto di scuola, sanità, digitale, sostenibilità, lavoro, scienza, futuro e programmazione economica, negli anni precedenti come in questi ultimi mesi? La domanda non necessita di risposta: è squisitamente retorica. Il 2020, l’anno della pandemia. È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico, e che i suoi effetti ce li porteremo giocoforza anche nel 2021, non fosse altro perché il virus è ben lontano dall’essere sconfitto. Certo il vaccino è arrivato, ma è ancora presto per voltare pagina… ci aspettano ancora mesi difficili sotto questo aspetto. Ma se possiamo cogliere qualcosa di buono da uno degli anni più bui della nostra storia recente (Simply the best), allora dobbiamo cogliere quel bagliore di luce che prende il nome di consapevolezza. Oggi sappiamo meglio chi siamo e chi vogliamo essere. Tutto quel tempo passato tra le mura domestiche, se da un lato ci ha privato della socialità, dall’altro ci ha spinto a guardarci dentro. Nel tempo passato a video chattare, o su Netflix o a leggere libri, c’è stato certamente il tempo per guardarsi dentro e ridefinire le proprie priorità. E non l’abbiamo fatto, come negli anni passati, solo nella consuetudine degli ultimi giorni dell’anno. No, abbiamo avuto mesi per farlo. Tempo per pensare, per mettere in discussione quanto pensato, e per pensare ancora a qualcosa di nuovo. La consapevolezza che abbiamo raggiunto in questi mesi è un dono prezioso. Nell’editoriale pubblicato a settembre dicevo che quello era il tempo della riflessione e della comprensione. La pandemia ancora in corso ed il lockdown appena passato hanno riscritto completamente molte delle nostre consuetudini ed hanno accelerato processi che, se pur già in atto, erano ancora agli albori. Siamo stati catapultati dalla sera alla mattina in un nuovo mondo e dobbiamo riprendere le coordinate. È giusto che sia così e non sentirti l’unico o in difficoltà per questo. Prendiamoci il tempo per capire, senza farci troppo trascinare dal flusso. Attenzione, non rimanendoci fuori, ma cercando di avere la giusta posizione per osservare e valutare. Questo non è il momento delle decisioni avventate e neanche quello di stare completamente fermi; è il tempo della consapevolezza e del lavoro interiore. Lavorando su noi stessi saremo in grado di prepararci alle nuove sfide. Non solo dal punto di vista lavorativo, ma per certi versi anche da quello evoluzionistico.
Oggi dico che è il tempo di fare tesoro di quanto accaduto e di riprogettare fattivamente le nostre vite. L’altra grande consapevolezza è a livello sociale. Già nei prossimi mesi, e molto di più negli anni a venire, conosceremo un nuovo mondo. Sarà un percorso medio-lungo, ma per certi aspetti molto veloce. Si parla già di nuova normalità: lo smart working non come slogan, ma consuetudine, e l’apertura vera al digitale su tutti. Inoltre saranno mesi accompagnati dalla grande sfida del Recovery fund – Next generation EU –, che darà impulso e velocità a settori come sanità, ambiente, formazione, digitale e infrastrutture. Insomma, il 2020 è già il passato. Di questo possiamo rallegrarci. Quello che accadrà nei prossimi tempi dev’essere ancora scritto. Facciamoci trovare pronti. Prima di salutarci, permettetemi di segnalarvi che questo è l’80simo numero del nostro magazine. Questo significa che siamo nel pieno del nostro 7° anno di vita. Non male per un giornale che non riceve finanziamenti pubblici e privati. Quando abbiamo iniziato non avevamo idea di arrivare a questo punto. Avevamo molto entusiasmo, e questo ci bastava. Deve dire che l’entusiasmo nel tempo è rimasto intatto o, forse, è anche accresciuto. Anzi, senza forse. E tutto questo è stato possibile grazie a due elementi: il primo, voi lettori che ci continuate a leggere e ad apprezzare; il secondo, un gruppo di persone – la redazione – che nel tempo si è consolidato e che riesce sempre ad esprimere qualità e passione. Qualità e passione che sono certo ritrovate in ogni nostro articolo che pubblichiamo. Buona lettura, Ivan Zorico Ti è piaciuto? Hai qualche considerazione in merito? Fammelo sapere nei commenti. Rispondo sempre. Se vuoi rimanere in contatto con me questo è il link giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy
Iscriviti alla newsletter Simply the best 2020 – L’editoriale di Raffaello Castellano Che anno è stato questo 2020? Quali sono state le parole che ne hanno scandito il racconto? Quali i numeri che ne hanno contabilizzato il report finale? Inutile girarci intorno, lo sappiamo benissimo ed ancora lo stiamo vivendo sulle nostre vite, la pandemia da Coronavirus e la conseguente malattia da Covid-19 hanno riscritto la trama, complicato l’intreccio e confezionato un romanzo completamente differente da quello che ci aspettavamo, e ci auguravamo, di leggere esattamente un anno fa. Ci eravamo appena lasciati un anno fa carichi di speranze e buoni propositi, come sempre accade quando finisce un anno e ne comincia un altro, che a inizio gennaio sono cominciate a filtrare le prime informazioni, tra l’altro non ufficiali, dello scoppio, nella città cinese di Wuhan, di un preoccupante focolaio di una “Polmonite Atipica”, sconosciuta nell’uomo e legata ad un nuovo Coronavirus, che ha fatto quello che si chiama in gergo “spillover”, ossia un salto di specie. Da allora tutto è cambiato: nel mese immediatamente successivo, a febbraio, i giorni hanno cominciato a contrarsi ed a scorrere sempre più veloci, mentre le ore che li componevano si sono dilatate a dismisura, diventando sempre più lunghe. Così fra la paura, che piano piano montava, e l’incertezza politica e sanitaria, siamo arrivati ai primi DPCM, fra cui il più famigerato di tutti porta la data del 9 marzo 2020. È in quella data, infatti, che l’Italia, per la prima volta nella sua storia repubblicana, chiude e diventa “Zona Rossa”. Il racconto del 2020 ha cominciato a mutare, tutto ciò che ci sembrava normale e scontato è
diventato un lusso: uscire, passeggiare, fare shopping, toccarsi, abbracciarsi, andare al cinema, al teatro od a un concerto. Era permesso fare la spesa al supermercato, in edicola, alla ferramenta, e poco più, e bisognava fare una fila, ordinati e distanziati, possibilmente con le mascherine ed i guanti in lattice, due DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) che intanto cominciavano a scarseggiare e diventavano sempre più costosi. Siamo rimasti in casa, quasi tutti quelli che se lo potevano permettere, ma anche molti che non potevano, e, come la guerra, anche la Pandemia da SarsCov-2 ha acuito le disparità sociali, rendendo sempre più ampio il divario fra ricchi e poveri. Costretti in casa, abbiamo fatto di tutto, scoprendoci cuochi e panettieri, ma pure allenatori ed esperti produttori di mascherine di emergenza, ci siamo incollati ai nostri televisori, fagocitando una mole incredibilmente alta di notizie, tanto che l’infodemia, almeno nei primi tempi, ha viaggiato più veloce della pandemia, mietendo anche essa le sue vittime. Ma abbiamo fatto anche cose sorprendenti, se non incredibili, per noi Italiani: abbiamo letto, sia giornali che libri, mai cosi tanto e così in tanti come quest’anno. Il Rapporto Annuale 2020, realizzato dall’ISTAT, ha rilevato che nei primi 6 mesi del 2020 a leggere è stato il 62,6% della popolazione, con il 26,9% che ha letto libri e il 40,9% quotidiani”. F o t o d i c o t t o n b r o d a P e xels Ma anche il lockdown, un’altra parola nuova e infausta di questo 2020, è finito, e a inizio maggio sembrava ai più, compreso qualche illustre esperto virologo ed epidemiologo, che la pandemia potesse terminare per decreto, ed allora l’estate è stata all’insegna del “liberi tutti”. D’altronde i dati ci dicevano che il nostro Paese (complice proprio il lockdown particolarmente lungo e severo), stava molto meglio del resto d’Europa, per non parlare del resto del mondo. Ma la scelta di riaprire tutto e confidare nel senso di “responsabilità” degli Italiani è stata quella
peggiore che si potesse fare. Invece di capitalizzare l’ottimo risultato raggiunto a marzo ed aprile, lo abbiamo dissipato in appena tre mesi di pura “follia generalizzata”, con spiagge piene, ristornati stracolmi, aprendo addirittura le discoteche. Scopri il nuovo numero: Simply the best È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico. Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio. Sì, ok, c’erano le ragioni economiche e bisognava riaprire, altrimenti molte attività piccole e medie, oltre che l’esercito delle partite iva, rischiavano di non avere di che sostentarsi o peggio ancora il fallimento e la chiusura. La salute è importante, ma anche l’economia lo è; sembrava, come ha scritto e detto qualche acuto e sensibile osservatore, che l’Italia intera fosse diventata come Taranto, dove la salute si sconta con il ricatto occupazionale da oltre 55 anni, ossia da quando alle porte della città fu inaugurato l’impianto siderurgico più grande e più inquinante d’Europa. L’ho pensato. Tutta Italia come Taranto — Viola La Privaci (@VPrivaci) March 20, 2020 Ma, mentre politici, epidemiologi, giornalisti e commercianti esasperati litigavano su tutto, questo virus opportunista ha approfittato delle nostre umane debolezze e della nostra incapacità di autodisciplina e a fine settembre ha cominciato a correre e a mietere vittime, tantissime vittime. Mentre scrivo questo editoriale (29 dicembre) il bilancio per il nostro paese è drammatico: 72.370 morti a fronte di 2,06 milioni di casi da inizio pandemia, con un tasso di positività al 12,5%, fra i più alti d’Europa. E con questo arriviamo al presente, all’oggi, al qui ed ora, con il Natale più strano delle nostre vite, non solo per chi ha meno di 20 anni, ma anche per chi ha 30, 40 o 50 e più anni. Bisogna tornare al periodo della II Guerra Mondiale per trovare qualcosa di simile, e forse neanche allora. Quindi cosa dobbiamo salvare, di questo anno? Qual è, se c’è, il “simply the best” di quest’anno? Sinceramente non lo so… Ho provato a pensare ad una serie di parole e cifre significative, ma sono per lo più negative, ed io non voglio tradire la fiducia dei nostri lettori che da 7 anni si aspettano un numero di dicembre del nostro magazine – Simply the Best, appunto – che sia ottimista, propositivo, pieno di speranza, soprattutto da parte del sottoscritto, che da sempre vede il bicchiere mezzo pieno e la bottiglia piena sul tavolo.
Quindi, con cosa vi lascio quest’anno? Proverò a ragionare con voi su due dati, uno positivo e l’altro negativo, con cui si sta chiudendo quest’anno. Cominciamo da quello negativo: è notizia di ieri, l’Istat ha pubblicato i dati di un’indagine molto ampia, effettuata tra ottobre e novembre (riferita ad un universo di 1.019.786 imprese di 3 e più addetti che operano nel settore dell’industria e dei servizi), che rivela che sono 73.000 le imprese chiuse, ossia il 7,2% del totale. Ma ancora più amare sono le stime dei primi 3 mesi del 2021, che sono, se possibile, ancora peggiori. La Confcommercio ha fatto sapere attraverso una nota ufficiale che saranno oltre 390mila le imprese del commercio non alimentare e dei servizi di mercato a chiudere definitivamente ed a non riaprire nel 2021. Un fenomeno non sufficientemente compensato dalle 85mila nuove aperture, per cui la riduzione del tessuto produttivo nei settori considerati ammonterebbe a quasi 305mila imprese (-11,3%). Di queste, 240mila imputabili esclusivamente alla pandemia. Voglio riscrivere quest’ultimo dato: 240mila aziende chiuse a causa della pandemia, 240mila sogni infranti, 240mila famiglie (se contiamo solo quelle dei titolari, ma il dato andrebbe moltiplicato almeno per 3) precipitate nell’incertezza economica e/o nella povertà, 240mila aziende che concorrevano alla bilancia economica ed alla produzione di quel Made in Italy tanto invidiato e ricercato nel mondo. Come posso “riscrivere” in maniera positiva, senza mentire ed inventare, questo dato? Non è possibile, quindi non lo farò, ma vi invito a meditare su quelle 85mila nuove aperture che, visto il momento non certo favorevole, sono non soltanto coraggiose, ma eroiche e un po’ folli, come piacciono a noi.
F o t o d i E l l i e B u r g i n d a P e x e l s E veniamo adesso al dato positivo: Come tutti sapete, il 27 dicembre è stato il “V-Day”, che, benché in Italia ricordi altre cose, adesso significa Vaccine Day: l’Europa ha deciso di usare questa data simbolica per una ripartenza delle nostre vite. Il primo vaccino contro il coronavirus, quello della Pfizer, ha cominciato ad essere somministrato in tutta Europa, con l’Inghilterra, ormai ufficialmente fuori dall’Unione, che ha cominciato circa 2 settimane prima. Fra poche settimane, forse giorni, arriveranno i vaccini della Moderna ed Oxford-AstraZeneca (quest’ultimo sviluppato insieme all’italiana Irbm di Pomezia) che, stando alle previsioni, dovrebbero permetterci di vaccinare gran parte, più del 70%, della popolazione italiana ed europea entro l’estate 2021. Per il momento, questa mi pare l’unica vera, e concreta, nota di speranza di quest’anno che si chiude, sperando che no vax e complottisti non ci rovinino la festa. Noi di Smart Marketing, che con questo numero festeggiamo le “80 uscite mensili”, vigileremo attraverso un’informazione puntuale, precisa e verificata che, per quanto riguarda il tema vaccino, faremo soprattutto attraverso la nostra rubrica “Il sonno della Ragione”, presieduta dal nostro debunker Armando De Vincentiis, che tornerà a gennaio con nuovi
video. Intanto, se volete finire l’anno con delle buone letture, vi suggerisco, oltre a questo numero del nostro magazine, un paio di articoli (nostri s’intende). Se volete approfondire la vostra conoscenza sui vaccini andatevi a rileggere: ■ Novax profiler ■ Perché i vaccini hanno questo nome? Se invece volete sapere come l’Intelligenza Artificiale potrà contribuire anche alla nostra salute, andate a scoprire la nostra rubrica “Innovazione e Intelligenza Artificiale”, che raccoglie gli interessanti podacst ideati dall’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale e Radio IT, e che noi stiamo periodicamente pubblicando: ■ Innovazione e Intelligenza Artificiale In particolare gli episodi: ■ Intelligenza Artificiale vs Covid-19, con Emanuela Girardi ■ l podcast che ti fa scoprire l’A.I. – L’AI non è una scatola nera che ti risolve tutti i problemi, con Nicola Gatti Infine, se siete fra quelli che sono sempre in ritardo per i regali di Natale, o che aspettano l’Epifania, vi proponiamo la nostra iniziativa “Gli imperdibili”, una serie di articoli con i suggerimenti per creare una biblioteca essenziale per tutti i marketers (ma non solo), per imparare a capire, decodificare e comprendere la complessità, ma pure la ricchezza e la bellezza del nostro mondo, che mai come quest’anno è cambiato sotto i nostri occhi; andate a scoprirla: ■ Gli Imperdibili: i libri da regalare e regalarvi in questo Natale 2020 Bene, è tutto, almeno per quest’anno, voglio lasciarvi con un augurio di Buon 2021 che, se saremo responsabili, sarà un anno di rinascita e di svolta, perché, come scriveva Friedrich Nietzsche nel “Crepuscolo degli idoli”, molto prima che lo cantassero Tiziano Ferro, Gué Pequeno e compagnia bella: “Ciò che non mi uccide, mi rende più forte” Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome
Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Crescere anche in periodo di Covid-19: il caso di Briicks Una piccola realtà di Torino, Briicks, attiva da qualche anno con prodotti dedicati a far crescere la relazione di coppia, trova nel difficile periodo del Covid-19 l’occasione per migliorarsi, crescere, svilupparsi. Nel momento in cui le coppie conviventi non riuscivano più a sopportarsi sotto lo stesso tetto e quelle distanti non potevano vedersi, hanno ripensato al loro prodotto per andare incontro alle nuove esigenze e fare un salto di qualità nelle vendite. Scopri il nuovo numero: Simply the best È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico. Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio Abbiamo intervistato Marco Mattio, ideatore insieme a Maria Cesaro, di questa iniziativa. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome
Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Com’è cambiata la comunicazione negli ultimi mesi? La pandemia ha contagiato anche il vocabolario. Il linguaggio segue l’evoluzione della società rispecchiando i cambiamenti socio-culturali, la lingua, infatti, si adegua al contesto e, nel corso della storia, tanti vocaboli sono spariti, altrettanti sono nati e molti altri hanno subito modifiche nell’ambito di utilizzo e del significato. Un esempio di quanto i fatti che accadano in una società possano influenzare il linguaggio, è possibile notarlo proprio in questa attuale congiuntura storica. Il Covid, che tanto ha modificato le nostre vite, in molti diversi aspetti, ha influenzato, senza che ce accorgessimo, anche la comunicazione. La comunicazione interpersonale. D’altronde, come sostenuto già nel 1967 dal filosofo-psicologo Paul Wazlawick, nel primo assioma della comunicazione, “non si può non comunicare, le parole, il silenzio e le attività hanno valore di messaggio e influenzano gli interlocutori”. Nell’assioma si citano proprio quegli elementi che, con lo sviluppo massiccio ed improvviso del digitale, hanno subito sostanziali modifiche. La comunicazione digitale in linguistica viene definita “parlato trasmesso”, orale ma non in presenza, e che per tale motivo non può fare affidamento sul contesto extra-linguistico: richiede continui richiami all’attenzione dell’interlocutore, e deficita di parte della gestualità, della mimica e della prossemica. Scopri il nuovo numero: Simply the best È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico. Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio. Nel 1960, il linguista William Stokoe, sottolineò l’importanza dei gesti nella comunicazione (di cui noi italiani probabilmente siamo maestri), elaborando l’idea della fonologia dei gesti, dalla quale poi prese vita il vocabolario della lingua dei segni. Esattamente allo stesso modo è stato
possibile realizzare un lessico inerente le diverse modalità di comunicazione: ad esempio, il sistema aptico, ossia il contatto, pensiamo al ritmo e alla frequenza dei contatti delle varie parti del corpo che si realizzano in una comunicazione e che, con il digitale, vengono meno, semplicemente “stringersi la mano”, “darsi il cinque” e così’ via; ma anche lo sguardo e il sistema cinesico, cioè le espressioni del viso, nell’attuale obbligata comunicazione digitale risultano più difficili da cogliere. E ancora, l’avvicendarsi dei turni di comunicazione, che in presenza avvengono in modo spontaneo, con maggiore frequenza e sovrapposizioni, nella comunicazione digitale devono essere ordinati, richiamati dai singoli interlocutori, un po’ come avviene nell’avvicendamento dei turni a scuola, rendendo i dialoghi più lunghi, quasi dei piccoli monologhi. L’uso delle parole Il professore Daniele Baglioni, docente di Storia della lingua italiana, linguistica e dialettologia presso l’Università Cà Foscari di Venezia, ha sottolineato inoltre la contemporanea modifica del lessico utilizzato, successivamente alla diffusione del Covid, “vi è una regressione dell’uso figurato di parole come contagio, virus e pandemia” sostiene il professore, ad esempio, al momento, non useremmo espressioni del tipo “il nostro entusiasmo è contagioso” oppure “sono una persona positiva”; alcuni vocaboli hanno assunto un significato aggiuntivo, ad esempio, la parola “tamponare”, utilizzata ora perfino per indicare l’esecuzione del tampone Covid. La comunicazione istituzionale e aziendale Anche il linguaggio istituzionale sembra essere cambiato: analizzando i discordi del Presidente del Consiglio, Antonio Conte, si può notare la prevalenza del contenuto persuasivo rispetto a quello informativo, con lo scopo di raggiungere l’obiettivo velocemente, quasi a ricalcare la comunicazione pubblicitaria. Il primo DPCM dal titolo “Io resto a casa” è diventato immediatamente un hashtag; nella fase 2 il Presidente si rivolge ai cittadini dando loro del “tu” con la frase “se ami l’Italia, rispetti le distanze”. Questa necessità di senso di vicinanza è stato colto anche da molte aziende che hanno iniziato, negli ultimi mesi, a proporre una comunicazione maggiormente empatica, puntando l’attenzione sulla sensibilità e le esigenze dei consumatori legate alla nuova situazione. Se questi cambiamenti comunicativi perdureranno nel tempo, non possiamo ancora saperlo perché la comunicazione segue la pandemia, nello specifico, e i cambiamenti sociali, in generale, caratterizzandosi quindi come un fenomeno in continuo divenire. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome
Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Le 10 serie tv del 2020 che dovete assolutamente guardare Dire che questo 2020 sia stato un anno bellissimo sarebbe sicuramente un eccesso di benevolenza nei suoi confronti, ma, non si può neanche buttar via tutto ciò che è successo in questi dodici mesi. Abbiamo conosciuto lo smart working, abbiamo inquinato meno, abbiamo imparato a panificare, abbiamo aspettato con ansia un dpcm (il lato positivo di questo punto è l’aver posto il nostro interesse, volente o nolente, verso la politica), abbiamo conosciuto termini nuovi come “lockdown”, insomma, se ci mettiamo d’impegno qualche lato buono lo troviamo in questo anno. Sicuramente tra questi c’è quello di aver avuto molto più tempo a disposizione da passare in casa e dedicare ai propri hobby, magari uno di questi è guardare per ore ed ore serie tv, c’è chi lo chiama “binge watching”, nascondendo, non tanto bene, un’accezione negativa del termine, ma chi può dire che questa pratica non si sia rivelata utile in questo 2020? Serve allenamento, non è facile, non bisogna perdere il filo, non bisogna demordere se una serie comincia ad annoiare, non bisogna cadere nei facili paragoni, non devi spoilerare con i tuoi simili, non devi scegliere alla leggera una serie da iniziare, insomma, è una faticaccia. Molte sono le serie del 2020 degne di essere viste e, concentrandomi solo su quelle iniziate quest’anno, ho provato a fare una piccola selezione (non una classifica), spaziando tra generi e tematiche. Le 10 serie tv del 2020 da guardare assolutamente: 1) Unorthodox E’ una miniserie disponibile su Netflix, basata sul libro autobiografico “Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche” della scrittrice Deborah Feldman. La serie racconta la storia di Esty, una ragazza di famiglia ultra-ortodossa chassidica, che a causa della sua fede non può vivere una vita normale, ma è destinata solo ad essere madre e moglie devota; quando ad Esty questa vita comincia a star stretta decide di scappare via dall’America per andare in Germania. E’ una serie che mostra un mondo con regole che ai nostri occhi risultano incomprensibili e lo fa in
maniera molto elegante e toccante, in soli quattro episodi; 2) The Midnight Gospel La serie d’animazione di Netflix più surreale che ci sia. E’ nata dalle mani del regista e animatore Pendleton Ward e dal comico Duncan Trussell, che è l’autore del podcast che l’ha ispirata. Il protagonista, negli otto episodi, viaggia attraverso un multiverso di fantastici mondi, attraverso un simulatore, incontrando assurdi personaggi e affronta con loro tematiche filosofiche e spirituali, acquistando sempre maggior consapevolezza, tutto sullo sfondo di animazioni visionarie che si susseguono in un turbine di colori psichedelici; Scopri il nuovo numero: Simply the best È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico.
Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio. 3) Romulus E’ la serie italiana del momento, creata e diretta dal regista Matteo Rovere, che narra le vicende precedenti alla nascita di Roma. La serie Sky Original, composta da dieci episodi, ricostruisce fedelmente la società in cui è ambientata, grazie al supporto di storici e archeologi. Il cast è costituito da numerosi attori visti in altri film e serie tv italiane, come ad esempio “Gomorra”. Il regista Matteo Rovere si è già cimentato in un progetto a sfondo storico con il film “Il primo re”, con protagonista Alessandro Borghi; 4) La regina degli scacchi La miniserie ideata da Scott Frank e Allan Scott, è tratta dal romanzo “The Queen’s Gambit”, dello scrittore Walter Tevis. La serie americana Netflix, di sette episodi, racconta la storia di Beth Harmon, una bambina orfana che all’età di otto anni, conosce il mondo degli scacchi a cui si appassiona in maniera viscerale. Beth inizia presto ad essere dipendente da alcol e psicofarmaci ma, nonostante la sua natura fragile, riesce a diventare una donna ed una giocatrice forte e tenace, capace di farsi strada nel mondo degli scacchi. Una serie emozionante, ricca di scenografie e costumi bellissimi, con la bravissima attrice protagonista Anya Taylor-Joy; 5) Ethos “Ethos” (titolo originale Bir Başkadır) è una serie Netflix, come “Unorthodox”, basata sulla storia di una giovane donna influenzata dalle regole della sua religione. Ci troviamo però in Turchia, ad Istanbul, protagonista degli otto episodi è Meryem, interpretata dall’intensa e bellissima attrice Öykü Karayel, che vive con la famiglia del fratello a cui è molto devota. La donna comincia ad andare da una psicologa a causa di svenimenti frequenti e da lì si snodano le storie di personaggi provenienti da differenti classi sociali con livello culturale e problemi molto diversi tra loro. “Ethos”
è una serie che sta facendo molto discutere in Turchia e che affonda le radici in un profondo universo psicologico oltre che religioso. I titoli di coda sono quasi tutti accompagnati da videoclip musicali anni ottanta, un’idea molto originale per una serie tv; 6) Hollywood E’ la miniserie targata Netflix che con ironia e leggerezza affronta lo spinoso tema della discriminazione, razziale e sessuale. “Hollywood” racconta la storia di sei giovani ragazzi, aspiranti attori e registi, con il sogno di aver successo nel mondo del cinema, che dovranno scontrarsi con i pregiudizi dell’America del secondo dopoguerra. La serie di sette episodi, creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, diretta da Daniel Minahan, è brillante e coinvolgente e ha come ciliegina sulla torta la straordinaria interpretazione di Jim Parsons (Sheldon Cooper di “The Big Bang Theory”) nei panni del chiacchierato agente delle star Henry Willson, realmente esistito; 7) We are who we are E’ la miniserie italo-americana diretta dal regista Luca Guadagnino per Sky Atlantic, co-creata con lo scrittore Paolo Giordano e la sceneggiatrice Francesca Manieri. Negli otto episodi viene raccontata una storia di crescita, amicizia, amore, scoperta ed accettazione di sé e degli altri, con protagonisti l’inquieto e sensibile Fraser e la bellissima e razionale Caitlin. I due adolescenti vivono in una caserma a Chioggia, base militare statunitense dove lavora il padre di lei e dove la madre di lui è diventata il nuovo comandante. Un’emozionante serie capace di coinvolgere sia i più giovani che gli adulti, un prodotto del regista italiano che, dopo il successo del bellissimo “Chiamami col tuo nome”, torna a raccontare le inquietudini tipiche dell’adolescenza con poesia e raffinatezza e con riuscite scelte dal punto di vista degli attori, dei costumi e della colonna sonora;
8) I am not okay with this E’ la serie americana creata e diretta dal regista Jonathan Entwistle, già regista della serie “The End of the F***ing World”, e prodotta dai produttori di “Stranger Things”. La serie presente nel catalogo Netflix, è tratta da una graphic novel del fumettista americano Charles Forsman e ha come protagonista l’adolescente Sydney che improvvisamente si accorge di avere dei superpoteri,
che si manifestano quando è particolarmente arrabbiata o impaurita. Una commedia dark nello stile anni ottanta, che può piacere anche ai non più adolescenti, ma c’è un però: la prima stagione composta da sette episodi pare essere anche definitivamente l’ultima, perché la serie è stata cancellata; non si può dire, quindi, che abbia avuto lo stesso successo delle altre due famose serie sopra citate; 9) The Last Dance Il successo planetario che ha riscosso la docu-serie Netflix “The Last Dance” è innegabile. Punto di forza è sicuramente il fenomeno del basket Michael Jordan e la sua squadra, i Chicago Bulls, e la possibilità che questa serie offre di seguire tutte le loro vicende, sportive e personali, nei dieci episodi che raccontano la clamorosa ascesa che la storica squadra dell’NBA ha vissuto negli anni ’90. Un bellissimo mix di spezzoni di partite e interviste a giocatori, allenatori, dirigenti e giornalisti, coinvolti nella storia del cestista icona mondiale dello sport e nelle vittorie dei Chicago Bulls, la squadra che vinse per ben sei volte il campionato NBA; 10) The New Pope “The New Pope” è la miniserie, sequel del già bellissimo e fortunato “The Young Pope”, scritta e diretta dal regista premio Oscar Paolo Sorrentino per Sky Atlantic. Racconta in nove episodi l’ingresso in Vaticano di Sir John Brannox, interpretato da uno strepitoso John Malkovich, che viene nominato Papa col nome di Papa Giovanni Paolo III e subentra a Papa Pio XIII, ovvero Lenny Belardo, ovvero il fantastico Jude Law. Serie tv meravigliosa sotto tutti i punti di vista, dalla regia agli attori, dalla sceneggiatura alle scenografie, costumi e musiche. Accanto a mostri sacri come Malkovich e Law, spicca un ineguagliabile Silvio Orlando, nel ruolo del Cardinale napoletano Angelo Voiello. Personalmente credo che questa sia, tra le dieci, quella che metto al 1° posto, assolutamente imperdibile, da vedere solo dopo aver visto “The Young Pope”. Vi consiglio di guardare tutte queste serie tv ed anche altre interessanti che ho dovuto lasciare fuori
da questa selezione; non cercate solo generi che già conoscete e vi appassionano, ma provate la visione anche di quei prodotti che vi sembrano molto lontani dai vostri gusti, perché se c’è una cosa che il 2020 ci ha insegnato è che non dobbiamo mai smettere di metterci alla prova, di scavalcare i nostri limiti ed anche iniziare una nuova serie tv può essere un ampliamento del nostro piccolo confortevole mondo. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Un 2020 da buttarci alle spalle, ma che ci ha insegnato a lottare e a reinventarci con nuove forme di lavoro: intervista a Roberto Adrower Quest’anno volge al termine e anche se tutti vorremmo buttarci alle spalle un 2020 fatto di sofferenza e di tristezza dobbiamo pur reagire. Quella speranza che ogni volta ci fa guardare all’anno nuovo con una prospettiva fiduciosa e la gioia nel cuore quest’anno effettivamente si sente di meno, si ha paura di provarla veramente perché timorosi di quello che sarà, e perché ancora non si vede la luce in fondo a questo tunnel così buio che stiamo affrontando. Che il mondo dopo questa pandemia stia cambiando ormai non ci sorprende più. Dichiarazioni iniziali che ci sembravano inverosimili, molto più vicine ad un film di fantascienza che alla realtà sono invece constatazioni. Quando sentivamo gli esperti dire dovremmo imparare a
convivere con il virus, trascorreremo le nostre giornate con le mascherine indossate, non ci abbracceremo più, non faremo più grandi riunioni familiari, lavoreremo da casa la maggior parte del tempo sembrava impossibile divenisse davvero realtà e invece, è la nostra quotidianità, la nostra NUOVA NORMALITA’. Guardiamoci dentro e in fondo in fondo scopriremo che, però, non è tutto da buttare. Abbiamo imparato tanto, ci siamo scoperti più forti, pronti a metterci in gioco con un senso di imprenditorialità intrinseco, capace di modificare quello che è stato e di guardare la quotidianità con occhi nuovi. Abbiamo sperimentato un nuovo modo di vivere al quale tutti piano piano ci stiamo adattando e che sarà paragonabile ad una nuova rivoluzione, con il propagarsi del digitale sempre più presente nelle nostre vite, una nuova modalità di lavorare quale forma di resilienza e di propensione al cambiamento e nuove forme di lavoro, un ricrearsi e riorganizzarsi, reinventarsi e rivalutarsi. Un po’ in tutti i campi si sta provando questa situazione soprattutto in quei settori più colpiti che hanno visto all’improvviso chiudere i battenti, riorganizzare orari e trovare momenti nuovi per “incontrare” i clienti: le cene trasformate in pranzi, gli aperitivi in colazioni, cambiamenti nelle abitudini e nella quotidianità. Tante le professioni che si stanno riorganizzando dove lo spirito di adattamento mette a dura prova perché non esiste più: abbiamo sempre fatto così. R o b e r t o A d r o wer Professore a Contratto di Marketing e Tecniche di Accesso al Mercato del Farmaco Presso il Corso laurea Scienza Farmaceutiche Applicate Facoltà Farmacia e Medicina dell’Università La Sapienza Roma Abbiamo chiesto a Roberto Adrower, Professore a Contratto di Marketing e Tecniche di Accesso al Mercato del Farmaco Presso il Corso laurea Scienza Farmaceutiche Applicate Facoltà Farmacia e Medicina dell’Università La Sapienza Roma – Come sta evolvendo e cambierà sempre di più una
delle professioni tradizionali che al tempo del COVID -19 ha incontrato una brusca frenata e una forte interdizione nello svolgere la propria attività così come “si era abituati a fare”; quella dell’informatore scientifico del farmaco (ISF), dal momento che i medici sono tra i più impattati a causa della pandemia e l’accesso agli ospedali e ambulatori è fortemente limitato. Cosa vuol dire essere informatore farmaceutico oggi ai tempi del Covid -19? Significa essere un professionista della salute a 360 °. Rapido nel “percepire opportunità di mercato” ancor prima che si manifestino. Veloce nel passare a nuove soluzioni e sempre al passo con il tempo, pronti a percepire i “segnali del mercato”. In una parola è richiesto essere più “imprenditore”. Questo è lo scatto in più che oggi chiede il sistema Healthcare, di cui l’ISF fa parte ricreandosi una professione con un vantaggio competitivo molto importante che ne caratterizza il settore farmaceutico, rispetto ad altri, proprio in questa fase delicata che stiamo attraversando. Scopri il nuovo numero: Simply the best È indubbio che quest’anno passerà alla storia come l’anno della pandemia. Così come indubbio che quest’anno ha portato malessere sociale, psichico ed economico. Ma dobbiamo sforzarci di cogliere un bagliore di luce anche in un anno così buio. Quali Occasioni ed opportunità ha messo sul tavolo la pandemia per questo ruolo storicamente tradizionale basato sul rapporto e contatto con il medico? Senza averlo pianificato, si è messo in piedi il più grande esperimento di utilizzo della multicanalità mai visto, sia per lavorare che per comunicare in sanità. Dal face to face tradizionale, repentinamente si è passati allo Smart Working arrivando ad utilizzare tutte le forme di multimedialità. L’obiettivo importante ma non facile, è stato quello di non perdere i rapporti creati nel tempo. La multimedialità se utilizzata bene, può essere notevolmente di aiuto. Nessuno meglio dell’informatore farmaceutico conosce in modo approfondito le necessità del Medico, comprendendo il modo migliore e il mezzo migliore per comunicare in modo efficace. La tecnologia ha dato la possibilità di continuare un rapporto, anche se a distanza, lì dove altrimenti si sarebbe interrotto. L’opportunità di crescita formativa e di riorganizzazione è stata quella di non vivere passivamente il mezzo, ma di pensare di avere più possibilità di scelta per comunicare. La sfida abbracciata è stata quella di sperimentare e conoscere un nuovo modo di lavorare ottimizzando il tempo per rendere il rapporto con il cliente più approfondito, perché “non disturbato” dai “rumori di fondo” dello studio medico, in momenti scelti dal medico stesso, anche solo perché in una giornata di difficoltà necessita di una chiacchierata ed un confronto su temi diversi. Come si evolverà questa figura professionale e quali competenze saranno necessarie per essere al passo con l’evoluzione del ruolo? Nella parte finale della “catena del valore “del farmaco, la Supply Chain e le Vendite, hanno un ruolo determinante. Rappresentano il “valore aggiunto” determinante per il successo commerciale del prodotto. Proprio per la rapidità dei cambiamenti e delle scelte che abbiamo definito prima, è importante dare input veloci alle strutture di Sede, in modo chiaro e netto. Per questo l’ISF deve ampliare le sue conoscenze e competenze e metterle in pratica. Un esempio? Potrebbe essere quello
di comprendere meglio il patient journey in relazione alla terapia del prodotto presentato approfondendo una migliore conoscenza qualitativa dei percorsi del paziente. In una era dove non si è più parte passiva nell’assunzione del farmaco, ritengo che conoscere meglio i percorsi on ed off line nella scelta di continuare o meno una terapia, aumenti il valore e l’eticità dell’Azienda stessa nei confronti del Medico Curante. Saper testare differenti comunicazioni, anche attraverso metodologie multimediali, è uno degli skill essenziali, per capire i mutamenti rapidi che il mercato attua in questi periodi. Per questo le aziende dovranno investire in formazione continua della rete di ISF, ma con un approccio che non sia solo “prodotto-centrico” ma di ampie vedute. Da un Suo ultimo articolo ritiene che l’informatore sia un missionario tecnologico, cosa intende e come si può approcciare a questo ruolo oggi? Questo concetto viene dal Prof Riccardo Gallo Economista che nel Libro Industria Italia: ce la faremo se saremo intraprendenti, analizzando i vari settori economici, ha dato una chiave di lettura interessante dell’ISF. Lo definisce come l’esempio del “Missionario Tecnologico ideale “perché conosce le persone le aziende ed il territorio. E’ una persona qualificata in grado di interagire con l’azienda e con la sua attività “consulenziale” permette il trasferimento tecnologico dalle filiere alle imprese. In economia questo professionista è il “vantaggio competitivo” del settore farmaceutico, perché ha una base di lavoro solida e ben costruita. L’approccio migliore oggi? A mio avviso potrebbe essere quello di chiedere all’informatore scientifico del farmaco di diventare “laboratorio di Idee “. Sarà poi la strategia a valutare accettare o rifiutare le idee in base a delle analisi di fattibilità. Per fare ciò la formazione su tematiche come analisi di mercato, la comunicazione sanitaria multimediale, è essenziale. Ritorna in pieno il concetto di “imprenditore” prima espresso. Da parte delle aziende mi sembra che sia un buon obiettivo o almeno una strada da tentare. Come l’Università si sta organizzando per formare le nuove leve considerando la situazione odierna e le prospettive? Personalmente posso parlare della mia competenza nell’ambito del Corso di Laurea in Scienze Farmaceutiche Applicate della Università Sapienza. Nel Corso dedicato al Marketing e Tecniche di Accesso al Mercato del Farmaco, ci concentriamo sul ruolo della Informazione Scientifica. Agli studenti diciamo chiaramente che è inutile raccontare di come era, cominciamo a descrivere invece come è diventata e come sarà questa professione. Per questo stiamo sviluppando anche alcuni programmi di “eccellenza “dove approfondire le conoscenza di aspetti economici, analizzare macro trend di mercato, conoscere la multimedialità comunicativa hanno lo scopo di aiutare i talenti, ad entrare nell’arena del mondo competitivo del lavoro per essere, speriamo, più pronti e con gli skill che le Aziende sperano di vedere nelle nuove generazioni. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome
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