La Copertina d'Artista - Il Natale che verrà 2020 - Smart ...

Pagina creata da Stefano Baldini
 
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La Copertina d'Artista - Il Natale che verrà 2020 - Smart ...
La Copertina d’Artista - Il Natale che verrà
2020
Un raggio di luce filtrato forse da un’imposta socchiusa taglia in due l’interno di un appartamento.
Nella stanza, il salone probabilmente, incombe un’unica monocromatica atmosfera, che più che un
unico colore sembra la rappresentazione grafica di un’emozione.

Su di un divano vediamo una ragazza seduta con le gambe rannicchiate, come se sentisse freddo o
fosse impaurita, il suo sguardo è fisso sia sul vuoto che opprime la stanza che su di noi che
osserviamo la scena. Davanti a lei un tavolo con alcuni pacchi regalo, sulla destra intravediamo i
rami di un albero di Natale, per il resto si vede una libreria, qualche quadro alle pareti e niente più.

Che questo Natale 2020 sia diverso da tutti gli altri lo capiamo subito guardando la copertina di
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questo numero, opera di Alice Marchi, giovanissima e talentuosa artista e fumettista di Milano.

Ad una prima occhiata, infatti, l’opera ci trasmette una sensazione di strisciante ansia, una certa
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crescente inquietudine e il presentimento di un’insostenibile solitudine. A confermare questo mix di
emozioni collabora anche la postura e l’espressione della ragazza sul divano: è rannicchiata su sé
stessa, come abbiamo già detto, e il suo sguardo, orbo, perché metà viso è coperto da una ciocca di
capelli, ci rivela l’unico occhio con il trucco leggermente sbavato, sicuramente ha pianto e le
lacrime, adesso, hanno lasciato il posto all’angoscia, che ghermisce sia lei che noi che osserviamo
quest’opera.

Dovremmo concludere che l’opera di questo mese conferma tutte quelle sensazioni che dal
marzo scorso il Covid-19 ha lasciato nei nostri animi, paura, spaesamento, ansia e
incertezza sul futuro???

Possibile che l’arte non ci dia un qualche conforto, non ci soccorra in questa che è una
delle ore più buie della nostra storia???
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ubblicato da ALT! comics.
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Sono sicuro che né io né i lettori, che seguono da quasi 7 anni questa rubrica, possiamo credere a
questo, ed in effetti quello che davvero salta all’occhio nella copertina di questo numero, quello che
davvero “domina” la composizione è quell’incredibile, tagliente e tenace raggio di luce, che ottunde
la nostra percezione dello sfondo, della scena, e rapisce ogni nostra attenzione.

                Scopri il nuovo numero: Il Natale che verrà
      Che natale sarà? Difficile dirlo o anche solo immaginarlo. Per tanti sarà un Natale senza un
    parente o un amico, per altri un Natale segnato dall’incertezza economica e la paura del futuro,
   per tutti (crediamo) sarà un Natale dove riscoprire un contatto intimo con se stessi e con gli altri.

La luce divide l’immagine a metà: parte dal soffitto, taglia il fiocco su di una ghirlanda natalizia e il
buio profondo che emerge da una porta alle spalle della ragazza e prosegue illuminando, è proprio il
caso di dirlo, i pacchi regalo disposti sul tavolo. È una luce viva, vibrante, quasi reale, che ricorda le
grandi opere fiamminghe, e, ne siamo certi, rappresenta la luce del futuro, del cambiamento, della
speranza. Nonostante l’atmosfera dell’opera sia cupa, come cupi sono i tempi che attraversiamo, la
luce, ossia la speranza, di un nuovo giorno entra e si fa largo, prima ancora che nelle nostre case,
nei nostri occhi e nei nostri cuori, e adesso non è neppure più la, direbbe il poeta Rilke, e già nel
sangue.
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ealizzate in occasione della Giornata Mondiale contro i Disturbi Alimentari.

Non so se Alice Marchi conosca o abbia mai sentito il grande cantautore Leonard Cohen, ma a me,
quando ho visto la prima volta quest’opera, mi è venuta in mente, prepotentemente, una sua famosa
citazione, che sono sicuro non dispiacerà neanche alla Marchi: “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è
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da lì che entra la luce”. Già, perché credo che la sua opera sia la rappresentazione ideale delle
parole di Cohen.

Alice Marchi ci dice, anzi ci illustra (perché lei sa che un’immagine vale mille parole), che anche le
nostre tenebre, quelle della pandemia, quelle del Covid-19, quelle di questo strano ed assurdo
Natale, saranno squarciate e dissipate dalla luce della speranza, perché noi non ci arrenderemo e
continueremo a sperare in un nuovo e radioso domani. È questo il messaggio che, credo, filtra e ci
abbaglia da questa copertina, ne sono quasi certo, anche perché l’artista ha deciso di chiamare
l’opera con lo stesso nome del numero: “Il Natale che verrà”, dando concretezza anche a questo
titolo ed alle speranze di questa particolare uscita di novembre del nostro magazine che, credo, mai
come ora abbia necessità di uno sguardo fresco e speranzoso sul futuro.

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In quel raggio di luce c’è tutta la freschezza, la spontaneità ed il coraggio di una ragazza di 22 anni
che, nonostante tutto, vuole continuare a sperare in un futuro migliore, un futuro che è il suo, ma
anche il nostro, ma che appartiene soprattutto alla sua generazione. Una generazione, ricordiamolo,
privata quest’anno di tutto, anche della scuola, della socialità, della giovinezza, ma che si ostina a
credere che il domani sarà migliore, una grande lezione di speranza di cui noi più adulti avevamo un
disperato bisogno.
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Quindi raccogliamo questo invito e completiamo quest’opera di Alice Marchi con quell’unico
elemento di cui davvero si avverte l’assenza nell’immagine di copertina, come nelle nostre vite: la
famiglia, che sarà l’unica costante che deve accompagnarci nella complicata equazione di questo
Natale 2020, sicuri che come novelli ed aspiranti matematici riusciremo a risolverla.

  Alice Marchi nasce a Milano nel 1998.
  Diplomata al liceo artistico, studia Scenografia
  presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove
  frequenta il corso di fumetto biografico tenuto
  da Paolo Castaldi presso la Scuola Superiore di
  Arte Applicata del Castello Sforzesco. Nel 2019
  illustra i racconti “Quando non conta” e
  “Lettere che ho scritto e bruciato” di Salvatore
  Vivenzio, pubblicati online, e partecipa alla
  rubrica di illustrazioni “Immagina lo Spazio
  Bianco” per l’omonimo sito. Sempre nel 2019,
  durante il Lucca Comics, pubblica
  “Underwater”, la sua prima storia a fumetti,
  edita da ALT! comics. Attiva sui social, pubblica
  online molti dei suoi lavori, principalmente
  disegni, illustrazioni e brevi storie a fumetti.
  Nel 2020 pubblica online “Blulockdown”, una breve storia a fumetti ispirata ai pensieri e
  alle sensazioni vissute nel periodo di quarantena. Partecipa inoltre all’esposizione
  Solitudini in Mostra/Arte in Quarantena presso il Tempio del Futuro Perduto di Milano,
  una collettiva che raccoglie opere realizzate durante il lockdown da artisti di tutta
  Europa.

  Per contattare l’artista Alice Marchi: profilo Instagram, Behance (portfolio),
  bluealice@outlook.it (e-mail).

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Il Natale che verrà – L’editoriale di
Raffaello Castellano

  Che Natale sarà?

  Cosa ci dobbiamo aspettare da questo dicembre all’insegna, come tutto quest’anno, della
  pandemia da Coronavirus, dell’emergenza sanitaria, del Covid-19?

  Comincio subito con il dirvi che questo sarà un Natale molto triste per me: sono legato
  profondamente a questa festa, anche se lo sono da laico, o meglio ateo, ma non credo
  che questa sia una contraddizione e voglio spiegarvi il perché.

  Non penso che bisogna essere, per forza, credenti per godere appieno di questa festa,
  sono sempre stato affascinato, come ho già detto in altri editoriali natalizi, dal clima
  spirituale ed emozionale che si sperimenta in questo periodo. I negozi aperti, le vetrine
  piene di balocchi e luci colorate, le decorazioni e le luminarie in mezzo alla strada, la
  frenesia e l’ansia insieme alla gioia e all’emozione che accompagna l’acquisto dei regali
  per figli, parenti e/o amici, le commesse ed i commessi più gentili e disponibili, il
  profumo delle caldarroste e del torrone caldo alle bancarelle, l’odore di agrumi ai
  mercati e per le campagne, il calore, il colore e la luce degli addobbi natalizi nelle nostre
  case e tante altre sensazioni, più sottili e sfuggenti, ma altrettanto importanti, che
  respiriamo, assaporiamo e sentiamo durante il Natale non possono non scaldare il cuore
  anche del più scettico dei razionalisti.

  Figuratevi il mio!

Ma tant’è, questo, come dicevo all’inizio di questo articolo, sarà un Natale diverso, molto diverso.
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Come sapete, per evitare situazioni di contagio sono stati chiusi ristoranti ed alberghi, quindi aboliti
cenoni e veglioni, i negozi rispettano rigidi orari d chiusura, i sindaci e gli assessori hanno deciso di
tagliare le spese per le luminarie e le decorazioni cittadine (quei soldi adesso servono per altre e ben
più importanti spese), le bancarelle per le strade sono quasi scomparse, i negozi non alimentari sono
aperti solo nelle zone arancioni e gialle della nostra penisola, e, per di più, le commesse degli stessi
negozi hanno pochissima voglia di sorridere, bardate come sono con mascherine, guanti e visiere;
insomma, tutto quello che “faceva Natale” pare scomparso, svanito, come la prima neve al tiepido
sole d’inizio inverno.

Ed allora cosa dobbiamo fare per evitare che la nostalgia lasci il testimone alla tristezza, che la
voglia di festeggiare, anche se in pochi e solo in famiglia, lasci il posto allo sconforto, che la nostra
voglia di emozionarci arretri fino a scomparire dinnanzi alla depressione?

Cosa dobbiamo fare affinché l’oscurità, che sembra ghermirci da ogni lato, non ci
sommerga del tutto, come fare affinché il buio non vinca?

Sinceramente non lo so, questa festa è troppo importante per me e il vederla così mutilata
quest’anno non riesce a farmi essere il solito ottimista, questa volta è dura, molto dura, anche per
me che, come molti lettori hanno imparato, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno e un’altra bottiglia
pronta sul tavolo.

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Ma se è vero che ognuno di noi può abbattersi nel suo intimo, molti altri, e penso alle mamme ed i
papà, ai nonni ed alle nonne, agli zii e zie, non possono farlo, anzi NON DEVONO farlo. Perché, se è
vero che il Natale ci fa tornare tutti un po’ bambini, è pur vero che i bambini veri e propri sono le
prime e più inermi vittime d questo Natale 2020 all’insegna del Covid19; e non ci sono solo loro, la
macchina della solidarietà, che di solito viaggia a gonfie vele durante questo periodo, è venuta un
po’ a mancare, nonostante la pandemia abbia creato un nuovo esercito di poveri e bisognosi.

Ed allora, il miglior rimedio contro la depressione che monta e la tristezza che cresce credo che sia,
anche quest’anno, il donarsi agli altri, l’aiutare i deboli e gli indifesi, siano essi i nostri figli o i poveri
ad una mensa della Caritas. Se ci guardiamo in giro, con gli occhi aperti, le orecchie tese e il cuore
pronto, troveremo sicuramente la maniera di diventare utili per qualcuno, ed è questa, io credo, la
cosa più importante che dobbiamo recuperare del Natale: la voglia di regalare non qualcosa, ma noi
stessi, magari il nostro lavoro o il nostro tempo, anche solo poche ore alla settimana. Ed allora
vedrete che succederà qualcosa di straordinario, ne sono sicuro; donandoci agli altri, scopriremo che
aiutando chi ha bisogno non solo gli faremo un grande regalo, ma anche noi, riscoprendo il vero
significato e lo spirito natalizio, sentiremo meno la tristezza, lo sconforto e la depressione.

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   per tutti (crediamo) sarà un Natale dove riscoprire un contatto intimo con se stessi e con gli altri.

Quindi niente paura, addobbate le vostre case per i vostri figli, vestitevi da Babbo Natale e portategli
i doni, cucinate il più sontuoso dei cenoni, anche se solo per 6 persone, se potete rivolgetevi a
qualche associazione, onlus o Caritas della vostra città e chiedete, semplicemente, come poter
essere utili, vedrete che vi troveranno qualcosa da fare ed allora, allietando, come ho già detto, le
giornate dei più indifesi e bisognosi, siano figli, parenti o estranei, scoprirete che il vero Natale,
quello che neanche il Covid-19 può portarvi via, era già dentro di voi, nel vostro cuore ed è quella
cosa, quell’unica cosa, che vi rende degli autentici esseri umani.

Buon Natale e coraggio a tutti voi.

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Covid-19 e videochat: i migliori programmi
per sentirsi vicini, anche a Natale
Quello di quest’anno, caratterizzato dalla pandemia di COVID-19, sarà un Natale strano e diverso,
in cui ci troveremo tutti un po’ più distanti, almeno dal punto di vista fisico. Tuttavia, se le norme
impongono il distanziamento sociale, il consiglio per le prossime festività è quello di riscoprire la
condivisione virtuale, con video aperitivi con gli amici e video chat con famiglia e parenti, per
rimanere vicini anche se lontani.

Sicuramente i più giovani partiranno avvantaggiati, data la loro familiarità con smartphone e nuove
tecnologie, rispetto ai nonni, ma oggi ci sono tanti programmi di videochat semplici e intuitivi
per sentirsi vicini, anche a Natale.

In questo particolare momento è importante rimanere positivi e comunicare con i nostri cari online,
così come guardare film e giocare in modo virtuale con amici lontani è il miglior modo per
contrastare lo stato di ansia che si è venuto a creare in noi.

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Natale 2020: l’invito a restare connessi

In questo Natale 2020 l’invito è a restare connessi: secondo i dati di We Are Social contenuti dal
Report Digital 2020 sono 4,54 miliardi le persone che nel mondo usano Internet per studio,
lavoro e svago e tra queste ci sono 49,48 milioni di italiani, che usano trascorrono quasi 2 ore al
giorno sui social media.
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I servizi più amati nel nostro Paese sono sicuramente, come emerge dal report, Facebook,
Instagram e WhatsApp a cui si sta piano piano aggiungendo anche Telegram. L’emergenza
COVID-19 ha tuttavia portato alla crescente diffusione di altre applicazioni, vediamo una rapida
panoramica per dire #iorestoacasa e sto bene, tra cultura online, film e svago.

WhatsApp e Telegram: i protagonisti di questo 2020

La soluzione più diffusa per inviare foto, video e messaggi di testo, ma anche per fare videochiamate
senza limiti e costi è sicuramente WhatsApp, anche se sta lentamente prendendo piede Telegram,
che assicura una maggiore privacy dato che i contenuti si autodistruggono dopo un certo tempo.

Skype e Facebook Messanger: le app storiche

Resistono anche le app storiche per la messaggistica istantanea ovvero Skype e Facebook
Messenger, che permettono di fare videochiamate con più utenti.

Le nuove soluzioni: Viber, WeChat e Kik

Chi ha contatti all’estero o nei paesi orientali avrà sicuramente sentito parlare di Kik o WeChat che
permettono di chattare, ma anche effettuare telefonate voce o videochiamate gratuite e senza limiti.
Infine, funziona in modo simile anche Viber, per telefonare a pagamento a numeri fissi e mobili di
tutto il mondo.

L’app più scaricata e il fenomeno del momento: Zoom

Con il COVID-19 interagire in modo virtuale e lavorare in smart working è diventato una
necessità per tutti e per questo sono nati nuovi strumenti digitali. Il fenomeno del momento è
sicuramente Zoom, la piattaforma di videoconferenze online più scaricata. Ad oggi sono 343.000 le
persone che hanno scaricato l’app sul loro smartphone, di cui 60.000 solo negli Stati Uniti e oggi
Zoom è una delle app gratuite più utilizzate per le video chat.

Il segreto del successo di Zoom sono la sua facilità di utilizzo e l’intuitività dell’interfaccia, ma
anche il fatto di essere completamente gratuita sia per PC, sia per iOS e Android. La versione
chiamata di gruppo permette di accedere a 100 persone e il tempo disponibile in videoconferenza è
di 40 minuti, un lasso di tempo che diventa illimitato se gli utenti sono solo due.

La mia convinzione è che proprio Zoom, assieme a WhatsApp, diventerà la soluzione per la chat
virtuale con amici e parenti che dominerà le feste di Natale 2020, festività in cui saremo tutti un po’
più distanti, anche se virtualmente connessi per scambiarci risate e auguri.

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Tre novità Netflix da non perdere. Un film,
un cortometraggio ed una miniserie, per
accontentare proprio tutti.
Tante le novità Netflix che ci tengono compagnia in questi mesi, si va dalle serie tv ai film, dai
documentari alle animazioni. Ho scelto tre novità molto diverse tra loro: un film italiano, un
cortometraggio animato ed una miniserie americana.

  1. “La vita davanti a sé”
  2. “Se succede qualcosa, vi voglio bene”
  3. “La regina degli scacchi”

“La vita davanti a sé” è un film con protagonista l’icona del cinema italiano Sophia Loren, diretta
dal figlio, il regista Edoardo Ponti. E’ l’adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 1975
dello scrittore Romain Gary, già portato sul grande schermo nel 1977 dal regista Moshé Mizrahi. Il
film racconta la storia del piccolo Momò, un orfano di origine senegalese che va a vivere a casa di
Madame Rosa, una donna anziana, sopravvissuta all’Olocausto, che ospita nella sua casa figli di
prostitute.
https://www.youtube.com/watch?v=En1jkf34xjc

Dapprima il rapporto tra Rosa e Momò non è dei migliori, il ragazzino spaccia per guadagnarsi del
denaro e difficilmente riesce a stare alle regole della signora che lo ospita, ma andando avanti con la
storia il rapporto tra loro si evolverà, fino a diventare un forte legame d’amicizia che cambierà
l’atteggiamento di Momò. Girato a Bari, in alcune delle vie più riconoscibili della città, il film si
presenta come una storia delicata che fa riflettere, grazie anche alla forte carica espressiva della
grande Sophia Loren e al volto incisivo e coinvolgente del giovane attore Ibrahima Gueye.

“Se succede qualcosa, vi voglio bene”, titolo originale “If anything happens, I love you”, è un
cortometraggio animato, targato Netflix, realizzato da Michael Govier e Will McCormack.
Racconta il dolore di due genitori che hanno perso la figlia di dieci anni in una sparatoria a scuola; in
dodici minuti questo cortometraggio riesce a narrare la distanza che si crea tra queste due persone
ed il profondo vuoto emotivo che la perdita della figlia ha portato in loro. E’ struggente, ben
costruito, forte ed incisivo.

https://www.youtube.com/watch?v=3kH75xhTpaM&feature=emb_logo

Bellissimi disegni stile carboncino in bianco e nero, assenza di dialoghi, suoni che contribuiscono
alla descrizione della storia e musiche emozionanti che accompagnano perfettamente le immagini,
sono i punti di forza di questo cortometraggio, che è già entrato nella top ten italiana di Netflix e nel
cuore degli spettatori.
E se parliamo di opere che sono entrate nel cuore degli spettatori, non possiamo non parlare di “La
regina degli scacchi”, la miniserie Netflix più vista di sempre (come ha reso noto Netflix). Tratta
da un romanzo, la serie ha come titolo originale “The Queen’s Gambit”, con riferimento al Gambetto
di donna, il nome di una apertura degli scacchi. Appassionante, emozionante, avvincente, questo e
molto altro si può dire di questa serie, che ha come protagonista il personaggio inventato di Beth
Harmon, una bambina di otto anni che inizia a giocare a scacchi nell’orfanotrofio dove vive, grazie al
custode che le insegna a giocare e scopre il suo incredibile talento.

https://www.youtube.com/watch?v=Ya1MgSu8Pxc

Dipendente da alcol e psicofarmaci, Beth, sin da quando era una bambina prodigio, lotta contro i
pregiudizi legati al suo essere donna in un mondo di giocatori uomini e lo fa con il suo spirito
combattivo e indipendente, solitario e lungimirante. Ciò che rende questa serie magnifica ed
imperdibile è, accanto alle scenografie ed i costumi, sicuramente l’eccezionale prova attoriale della
protagonista, l’attrice Anya Taylor-Joy, assolutamente perfetta nel ruolo della fredda e concentrata
giocatrice, che è anche una donna fragile ed emotiva. Risulterà senza dubbio ancor più
appassionante agli occhi di chi conosce il gioco degli scacchi, con tutte le sue strategie e la sua
storia.

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Nell’attesa di questo Natale particolare, pensiamo un po’ meno ai regali e poniamo l’attenzione sul
nostro percorso interiore, sul rapporto con gli altri e dedichiamo del tempo a ciò che ci aiuta a
riflettere, sia esso un ricordo, un progetto, un libro o un film, perché la motivazione per migliorarsi
la si può trovare ovunque, se siamo disposti a cercarla.
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L'economia della smart felicità

  I lavoratori sono un costo o una risorsa? E chi si occupa di loro è un ufficio personale,
  risorse umane o paghe? Nella pratica non cambia, ma il concetto è ben diverso.

  Si può andare a lavorare la mattina per prendere lo stipendio o per costruire un mondo
  migliore.

  Cosa passa per la testa delle persone quando si rivolgono agli altri fa sicuramente la
  differenza.

Sono numerose le ricerche che affermano quanto lo smartworking abbia migliorato le condizioni di
vita dei lavoratori. L’Osservatorio 2020 sullo smartworking in Italia del Politecnico di Milano
afferma che il 56% delle grandi aziende, contro il 37% del 2017, ha attivato progetti ma solo il 9%
sta ripensando ad organizzare il lavoro in modo stabile. Nelle PMI il 24% si è arrabattato in
emergenza e solo l’8% dichiara di aver cercato di struttarsi per organizzarsi al meglio. Il 38%
non ha considerato questa opportunità e un altro 8% non è interessato a questo cambiamento per
la limitata applicabilità alla propria realtà. Nelle Pubbliche Amministrazioni solo l’8% ha attivato
progetti strutturati in tal senso.
A fronte di questi studi ce ne sono altrettanti che dichiarano come il lavoro agile migliori lo stile di
vita delle persone. Secondo un’indagine di Bva Doxa il 90% delle persone si dichiara soddisfatto e
spera che questo approccio perduri nel tempo.

Ci sono però diverse modalità per approcciarsi a questi nuovi strumenti. C’è propende per l’home
working, mantenendo fissi gli orari di lavoro e cambiando solo il luogo. Chi invece può calibrare
sulla base delle proprie esigenze anche gli orari per conciliarli con altre attività, dalla spesa negli
orari non di punta ai momenti migliori per concentrarsi. Chi ha ricevuto in dotazione dispositivi
aziendali, chi invece ha dovuto utilizzare i propri BYOD (acronimo di Bring your own device).

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    parente o un amico, per altri un Natale segnato dall’incertezza economica e la paura del futuro,
   per tutti (crediamo) sarà un Natale dove riscoprire un contatto intimo con se stessi e con gli altri.

Mettendo insieme le due reazioni sembra che l’entusiasmo dei lavoratori sia spesso frenato dalle
aziende che invece subiscono la sindrome del controllo che il padrone sente di dover esercitare sui
propri dipendenti. Un remote working piace a pochi datori di lavoro che spesso hanno l’impressione
che quando il gatto non c’è i topi ballino. Quindi il dipendente, per definizione pronto a fregare il
capo, cerca escamotage per far finta di lavorare.
Tante aziende con l’arrivo dell’estate hanno fatto di tutto per smantellare questo nuovo sistema e
rientrare nei ranghi. Paura del cambiamento? Incapacità di innovare? Sistemi obsoleti? Peggio
ancora quando serpeggia l’idea che poter lavorare è un privilegio concesso e il dipendente deve solo
ringraziare di avere ancora chi gli paga lo stipendio.

Il partito del 27 c’è, e ci sarà sempre. Da casa o in ufficio. Ma se, almeno per qualcuno, è possibile
immaginare una vita migliore lavorando da casa, perché non permetterlo? Sarà poi un onere
dell’impresa trovare strumenti per valutare il rendimento, senza controlli sugli orari e senza
riduzioni di stipendio.

Intravedo una nuova idea di Corporate Social Reponsability, basata non tanto sull’ecologia, sulle
Fondazioni che aiutano a scolarizzare terre lontane o investire in depuratori d’acqua. La nuova
Responsabilità d’Impresa è prima di tutto nei confronti dei dipendenti. I casi riguardano tutte le
società che si impegnano ad aderire ai protocolli prima per le persone e poi per gli obblighi di legge,
quelle che stringono i denti per pagare gli stipendi pur di non lasciare nessuno a casa, quelle
che premiano economicamente per l’impegno proferito in un momento difficile, quelle che
pensano alle famiglie offrendo sostegni quando le scuole sono state chiuse.
Bisogna puntare all’economia della felicità. Chi è felice, è più produttivo. Questa è l’equazione a
cui è arrivata la scienza, perché fare una buona azione, senza ritorno economico, sembra uno spreco
di risorse.

Serve una giustificazione per lasciare che qualcuno, anche nel mezzo di una pandemia, continui a
sorridere.

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Lettera a Gesù bambino
Ricomincia la prospettiva delle chiusure, l’Italia è a strisce, ma non quelle della nostra bandiera. Il
malcontento è nell’aria, la gente sa cosa la aspetta. I social si popolano di plemiche tra “state a casa”
e ogni lasciata è persa. Ecceggiano di nuovo gli eroi in corsia e chi dice che i numeri sono gonfiati.

Che Natale sarà?

Ho impresso, come tutti i genitori, le prime parole di mio figlio, quelle tanto attese: mamma, papà
e… GEL. Prima di nonna, tato, bibe è comparso il termine GEL. Ognuno è figlio del proprio tempo, si
dice, ma non so se mi piaccia che sul podio delle prime parole, i primi concetti, sia salito anche
l’igenizzante.

                Scopri il nuovo numero: Il Natale che verrà
      Che natale sarà? Difficile dirlo o anche solo immaginarlo. Per tanti sarà un Natale senza un
    parente o un amico, per altri un Natale segnato dall’incertezza economica e la paura del futuro,
   per tutti (crediamo) sarà un Natale dove riscoprire un contatto intimo con se stessi e con gli altri.

Ricordo chi in primavera prendeva a testate la porta di ingresso o cercava di infilarsi nelle sbarre del
balcone cercando di evadere da una casa diventata troppo stretta ogni volta che un adulto uscive per
fare la spesa o buttare la spazzatura.
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Ogni tanto torna alla memoria di mio figlio quella volta in cui “la polizia ci ha sgridato tantissimo
perchè eravamo tutti insieme fuori”. Mamma e papà con i bimbi all’aperto, erano considerati
assembramento, e ci hanno intimato multa e denuncia. E neppure questo vorrei che rimanesse nella
testa di mio figlio. Vorrei fosse certo che stare con la mamma e il papà non è una cosa illegale, tanto
da essere fermati dalle forze dell’ordine. Ma non sono sicura che la sua percezione sia questa.

Così, di fronte all’incertezza del Natale che verrà torno a scrivere una lettera a una persona speciale,
come si faceva quando tutti i sogni erano possibili.

    “Caro Gesù bambino,

    Anche quest’anno il 25 dicembre arriverai tra noi portandoci i tuoi doni. Quest’anno ti
    scrivo una lettera lunga e molto difficile da realizzare. Ma se non le domando a te le
    azioni difficili, a chi mi posso rivolgere?

    Intanto vorrei che le persone guarissero. Guarissero dall’egoismo e dalla paura che
    paralizza e non apre il cuore.

    Vorrei che le persone imparassero a vedere. Vorrei che vedessero l’amore che li circonda
    e non solo i problemi.

    Vorrei che imparassero a usare la bocca per dare baci e non per sparlare e le braccia per
    abbracciare (lo dice la parola, più chiaro di così!) non per bastonare il prossimo.

    Vorrei arrivassero all’ultimo giorno sereni, sapendo di aver fatto tutto e di averlo fatto
    bene. Senza rimpianti.
Vorrei piovesse una neve speciale, che faccia nuove tutte le cose e insegni a tirare fuori
  qualcosa di buono anche quando si raschia il fondo.

  Te l’avevo detto, quest’anno ti scrivo una lettera molto corposa.

  Intanto fremo per preparare l’albero, dipingere gli addobbi, accendere le luci, decorare
  le porte e le finestre, una stalla per accoglierti. E mentre lo faccio, penso a te, con gli
  occhi pieni di certezze. Come i bambini che chiedono i regali e sanno già che mamma e
  papà non glieli negheranno.”

Buon Natale a tutti

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La filosofia smart paga?
Siamo la generazione più smart di tutti i tempi. Siamo diventati smart negli acquisti, smart a
destreggiarci nel traffico, smart nei social e ora anche nel lavoro.

Ma questo Natale con meno luci, sarà davvero più felice?

Mai come quest’anno siamo martellati dalle pubblicità del black friday: Instagram è piena di promo,
le newsletter sono black ovunque e i negozi sembrano aspettare queste offerte nell’ottica che ogni
lasciata è persa.

Solo le piccole rivendite di quartiere resistono, ma per quanto?

Anche loro stanno diventando parte del grande mondo globalizzato, inserendosi, ad esempio, nel
circuito dei punti di ritiro. Come Wish che offre l’opportunità, riducendo le spese di spedizione, di
prelevare i prodotti ordinati presso i negozianti. Chi ha deciso di candidarsi come luogo di
prelevamento ha ottenuto una interessante pubblicità passiva, incrementando il numero di chi
conosce il punto vendita e sia mai che poi ci scappi un acquisto o un cliente in più.

Già da un po’ Amazon offriva differenti modalità per ricevere il pacco, a volte fin troppo
tecnologiche per un utente occasionale. Codici da inserire, armadietti con combinazioni, punti di
ritiro anche dentro gli ospedali, ancor prima di iniziare a vendere i farmaci.
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Dove ci porterà tutta questa tecnologia?

Magari tra una zona arancione e un lockdown, quest’anno i regali saranno recapitati da droni rossi
con la barba direttamente a casa degli amici e parenti. (Ma nessuno ci ha ancora pensato a droni a
forma di slitta???)

Mentre molte professioni non possono essere svolte in remoto, altre hanno cambiato così
radicalmente le abitudini da creare nuove fette di mercato e nuovi bisogni.

Barilla pensa al pranzo dello smartworker. Il prezzo dei PC è salito alle stelle, mentre al
supermercato si fatica a trovare una presa multipla per tutti i device che elettrizzano la nostra casa.

Ci sono le piattaforme contro lo spreco del cibo (ad esempio ToGoodToGo) che offrono visibilità e
aiutano sia il commerciante ad avere un ritorno anche sulle rimanenze e ai fruitori ad avere prodotti
a prezzi scontati.

Le app per il food delivery sono intasate e i negozi che non hanno saputo evolversi soffrono la
mancanza dei clienti. Che fare? Migrare all’e-commerce. Dall’aperitivo, ai vestiti, passando per il
noleggio di attrezzature da giardino quando le giacenze sono troppo alte.

Addio ai tacchi e W i calzini antiscivolo, basta con il cibo spazzatura e sì agli spuntini nutrienti, stop
alle code nel traffico, sì alle sneakers delle 18. Così anche l’abbigliamento si rinnova. Il dress code
degli uffici diventa house dress seguito anche dalle grandi firme.

Mentre diventiamo tutti più self confident con la rete, torniamo ad apprezzare le chiacchiere nelle
botteghe del vicinato e non disdegnamo la consegna a casa, dopo aver fatto acquisti nei negozi di
prossimità.
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Dopo aver imparato ad essere multitasking, anche l’arredamento diventa polifunzionale: un tavolo si
trasforma in un desk dell’ufficio, in una sala riunioni con lo sfondo caraibico (o piatti da lavare e asse
da stiro, dipende dai casi), nel bancone di un bar per l’aperitivo in chat con gli amici e all’occorrenza
anche un supporto dove appoggiare i piatti della cena, se non li consumiamo sul divano in una
maratona di serie tv.

Ma una casa smart e l’home work, quanto costano?

  Selectra ha valutato i consumi elettrici mensili per il lavoro in remoto stimandoli in
  circa 2 euro per il solo utilizzo di PC e modem. Senza contare tutti gli altri dispositivi
  sempre ON, dal riscaldamento o raffreddamento (circa 200 euro in più a semestre), al
  microonde, alle luci, ai nuovi smart coinquilini come Alexa e Google Assistant. Quello
  che invece è cambiato è la quantità di emissioni di CO2, circa il 30% in più per famiglia
  rispetto allo stesso periodo del 2019, a fronte di un indubbio risparmio sui trasporti e le
  aziende (Fonte Il Sole 24 ore – Quanto pesa lo Smartworking sulle bollette?).

La casa assume un nuovo significati. Ogni riunione, ogni call, ogni contatto da remoto diventa
un’occasione per far entrare degli estranei in uno spazio personale, fatto di disordine, di addobbi di
Natale, di oggetti che parlano di noi. Per chi ha cercato di affrontare questo isolamento, fino a
rinchiudersi in uno spazio (sindrome della capanna) diventa il luogo sicuro per non affrontare ciò
che c’è all’esterno e l’ansia di tornare a quella normalità che spaventa. Per altri diviene occasione di
business con le web series che inneggiano a una quotidianità da esaltare (Facchinetti, Katia Follesa,
Ferragnez).

E per chi non può esmimersi dall’essere presente al lavoro?

Incontrerà meno traffico, meno ore di punta, niente file nei bar per il pranzo, meno persone
disinteressate nei negozi, che non sanno come occupare il tempo o vogliono solo fare un giro.

E, speriamo, più reponsabilità.

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Il podcast che ti fa scoprire l’A.I. - L'AI
non è una scatola nera che ti risolve tutti i
problemi, con Nicola Gatti
Durante il primo periodo della pandemia da Covid-19, ma anche adesso, nel pieno della 2° ondata,
una delle critiche mosse più spesso verso l’Intelligenza Artificiale è stata: “come mai l’I.A. ha tutto
questo potenziale eppure non ci è stata utile per fronteggiare il Coronavirus?”.

A parte il fatto che questo non è vero, la domanda in realtà è mal posta, perché “l’I.A. non è una
grande scatola nera dove si inserisce un problema e lei ti dà una soluzione”, e dimostra che
la gente non solo non sa cosa sia e cosa faccia l’I.A., ma pure che i mezzi di informazione e
comunicazione non hanno fatto passare il messaggio corretto, generando un forte “hype” intorno
agli strumenti e agli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale.

Questo è il parere di Nicola Gatti, Professore Associato di Ingegneria Informatica e Co-direttore
dell’Osservatorio in Intelligenza Artificiale al Politecnico di Milano, protagonista del 7* episodio del
podcast “Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, ideato e promosso dall’Associazione
Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA) e Radio IT (il primo podcast network italiano
sull’information technology).

Questo episodio si concentra sul rapporto dei cittadini e delle aziende italiane, sia pubbliche che
private, con l’Intelligenza Artificiale e la tecnologia in generale, e su come questo rapporto, o
assenza dello stesso, sia una questione principalmente “culturale”, ma decisiva per la crescita non
solo economica del “sistema Italia”.
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l 7° podcast, Nicola Gatti, Professore Associato di Ingegneria Informatica
e Co-direttore dell’Osservatorio in Intelligenza Artificiale al Politecnico di
Milano

Il sentire comune, infatti, ma anche molti imprenditori, politici e giornalisti, credono che l’I.A. abbia
il potere quasi magico di risolvere i problemi da un giorno all’altro. In realtà le intelligenze artificiali
vanno addestrate ed istruite su come risolvere i problemi e soprattutto vanno “nutrite” con i dati che
sono l’unico materiale che esse digeriscono e gestiscono.

Fino al febbraio scorso pochissimi ricercatori pensavano di, ed avevano i fondi per, applicare gli
algoritmi dell’I.A. allo studio delle pandemie, ecco perché ancora non abbiamo soluzioni, ci vuole
tempo.

Un esempio su tutti: basta pensare che, per mettere a punto il bot che un po’ di tempo fa ha vinto un
torneo di poker, vincendo 1.800.000 dollari, giocando contro i 4 migliori giocatori al mondo, ha
richiesto una challenge di 15 anni di sviluppo, che è servita ad istruire la tecnologia su tutte le
possibili variabili di questo gioco di carte.

In quest’ultimo, interessantissimo episodio capiremo cosa davvero, e soprattutto in che maniera ed
in quanto tempo, le tecnologie e gli algoritmi dell’I.A. possono fare per noi e quanto sia importante
investire in ricerca, ricerca che negli altri Paesi, compresi quelli dell’Eurozona, vede investimenti
molto più cospicui di quelli erogati dall’Italia.

Torna dopo qualche mese di assenza l’appuntamento con l’istruttivo ed interessante podcast “Alla
scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, che vede al timone, anzi al microfono, il sempre bravo e
spigliato giornalista Igor Principe di Radio IT, che, di puntata in puntata, dialoga con i massimi
esperti italiani dell’I.A. per permetterci di comprendere una tecnologia che trasformerà il nostro
futuro e sta già cambiando radicalmente il nostro presente.
Buon ascolto.

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Diodato. “Storie di un’altra estate”: la
docu-serie da non perdere dal 29
novembre su RaiPlay
Se credessi a Babbo Natale, quest’anno gli chiederei di regalarmi una bella storia, una di quelle
storie che mi faccia riflettere sul senso profondo delle cose, una storia piena di sole, musica e poesia
che mi aiuti a guardare con speranza l’anno che verrà ed a buttarmi alle spalle un anno difficile.

Forse non è il momento giusto per desiderare musica o poesia, e nemmeno per evocare l’estate, il
sole e la conseguente spensieratezza che ne deriva, eppure la docu-serie che racconta il viaggio di
Diodato attraverso un’insolita Italia sembra giungerci proprio come un regalo di Natale anticipato in
un umido, freddo ed altrettanto insolito novembre.

Un viaggio appassionato che tocca la penisola, da nord a sud, al seguito del tour di concerti che
Antonio ha fortemente voluto, nonostante le limitazioni imposte dalle misure di contenimento del
Covid-19 e la conseguente crisi del settore; un viaggio non solo fisico, ma anche interiore, alla
riscoperta della bellezza in tutte le sue forme.
https://www.youtube.com/watch?v=NzarKgpvCtc&feature=emb_title

In fondo, sarebbe solo stato il solito viaggio, uno dei tanti, l’ennesimo tour estivo del settantesimo
vincitore del Festival di Sanremo e noi avremmo potuto vivere la solita estate di concerti, feste,
vacanze, se non fosse altro che l’estate 2020 non ha mai avuto nulla di consueto, non è stata
un’estate come tante, bensì “Un’altra estate”, l’estate diversa di cui ci ricorderemo a lungo.

“Storie di un’altra estate” non poteva che richiamare il singolo che Diodato ha composto durante
il lockdown, perfettamente riassunto, dipinto in un quadro a tinte forti, quel misto di solitudine e
sconforto impastato a speranza, al risveglio della natura dopo un lungo inverno, il desiderio e la
possibilità di guardare oltre la propria finestra, assaporare la libertà di perdersi all’orizzonte o
semplicemente, guardando quell’orizzonte con occhi diversi e apprezzando ciò che prima era dato
per scontato.

È così che un viaggio come tanti diventa racconto appassionato che tocca più livelli, un modo per
guardare l’Italia con occhi diversi e con spirito differente, ma allo stesso tempo il grimaldello che ci
permette di entrare nell’anima dell’artista, carpirne le fragilità, come l’estrema sensibilità, la
positività e l’innata gentilezza.

È un viaggio che va dalle montagne di Aosta, città natale di Antonio, al mare di Taranto, luogo dove
è cresciuto e dove si trova la sua famiglia, lo stesso mare che l’artista traspone nelle sue canzoni,
passando per Roma, luogo di formazione giovanile, Milano, città dove attualmente vive e sede della
Carosello Records (la casa discografica che lo ha accolto e valorizzato), senza tralasciare Venezia
ed il suo rapporto con il Cinema.

Otto puntate sotto la regia di Francesco Di Giorgio, otto capitoli ispirati alle tematiche delle sue
canzoni, otto momenti da guardare con l’entusiasmo di Antonio, che si racconta e racconta i luoghi
dove si è sentito a casa, incontra gli amici autentici e quelle persone che sono state fondamentali nel
suo percorso artistico costellato di tante vittorie, ma anche di tante porte in faccia.

Durante il suo viaggio Diodato incontra personaggi come Manuel Agnelli e Rodrigo d’Erasmo,
fondamentali per la sua crescita musicale, ci spiega il suo rapporto privilegiato con il Cinema
insieme a Daniele Luchetti e Ferzan Ozpetek, ci racconta un’altra Taranto insieme a Michele
Riondino, compagno di tante lotte per dare alla città un futuro alternativo al siderurgico.
Taranto, la bellezza del suo mare come quella architettonica, ma anche con le enormi contraddizioni
di una terra ferita dall’inquinamento insieme alla voglia di rinascita e riscatto dei suoi abitanti, è la
parte più bella e suggestiva del racconto.

https://www.youtube.com/watch?v=D6TvAskGBx4

Del resto, ci si sarebbe meravigliati se Taranto non fosse stata un capitolo a parte, il più intenso,
visto che la vittoria del Festival di Sanremo è stata dedicata alla città; un segno di vicinanza e di
appartenenza che i tarantini non potranno mai dimenticare, restituendo ad Antonio tutto il calore
ricevuto mandando “Fai rumore” in filodiffusione nel centro cittadino all’indomani della vittoria
sanremese, cantandola dai balconi durante i mesi del lockdown.

Sarà, infatti, “Fai rumore” il messaggio di speranza e l’inno che unificherà l’Italia intera durante il
periodo buio del lockdown, e poi arriveranno i live estivi, durante i quali sarà forte l’energia positiva
che arriva dal palco tanto quanto l’abbraccio del pubblico.

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L’abbiamo testimoniato anche noi quando vi abbiamo raccontato “L’energia di Diodato al Cinzella
Festival” per l’unica tappa pugliese del suo tour”, credendo che quella ricerca di bellezza si
fermasse alla musica, senza capire che fosse estesa a tutti i piani della sua esistenza, la luce che
guida i momenti di crisi, come quelli felici.

L’ultima puntata di questo viaggio alla ricerca di radici e ricordi, il ponte tra passato e futuro
dell’artista, termina con “Che vita meravigliosa”, colonna sonora del film “La Dea Fortuna”,
sunto di un’esistenza vissuta fino in fondo senza risparmiarsi gioie e dolori, ma anche leitmotiv che
riassume al meglio “Storie di un’altra estate” e l’anno appena trascorso da Diodato.
Un anno funesto per gli accadimenti che hanno sconvolto l’esistenza di tutti, tanto quanto fortunato
per il cantautore, e che lo hanno portato a vincere, oltre al Festival di Sanremo 2020, Premio
Lunezia, David di Donatello, Nastro d’Argento, Ciak d’oro, Soundtrack Stars Awards e Best Italian
Act degli MTV Europe Music Awards.

Un anno scandito dalla sua musica, che in questi mesi è stata conforto, compagnia e speranza, ma
anche appassionato racconto contemporaneo di un momento irripetibile, faro che ci ha guidati verso
un nuovo orizzonte.

Il suo viaggio attraverso i tanti volti di questa inedita Italia è diventato così metafora di un viaggio
collettivo, dove passato e presente sono il trampolino di lancio per un avvenire migliore ed auspicio
di rinascita sociale e culturale, magari ritornando a fruire di live coinvolgenti come quelli che ci ha
regalato quest’anno Diodato, sicuri “che torneremo a guardare il cielo – alzeremo la testa dai
cellulari” e “torneremo a parlare davvero – senza bisogno di una tastiera”.

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