L'eros nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese. 11 poesie erotiche tradotte da Loredana Magazzeni e Andrea Sirotti
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L’eros nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese. 11 poesie erotiche tradotte da Loredana Magazzeni e Andrea Sirotti da Gatti come angeli. L’eros nella poesia femminile di lingua inglese, a cura di Loredana Magazzeni e Andrea Sirotti, Postfazione di Rita Monticelli, Milano, Medusa, 2006 Poesia sconcia Marge Piercy C’è neve sui miei campi anche se l’aria è calda voglio rotolare sulla schiena e dimenarmi. Proprio così, l’oscuro pianto in pendio mostra il vincitore, e il tetto d’erba alta sporge dalle rive, ma io voglio cominciare ad arare e seminare. Le mie gonfie colline, il mio fertile suolo argilloso trapunto di lombrichi rossi come bocche, il mio giardino, perché non ti affretti a toglierti i vestiti? Cosa vogliono le donne Kim Addonizio Voglio un vestito rosso. Lo voglio leggero e a buon mercato, voglio che sia troppo stretto, lo voglio portare finché qualcuno non me lo strappi di dosso. Lo voglio sbracciato e scollato, quel vestito, così nessuno dovrà immaginarsi cosa c’è sotto. Voglio andarci per strada passare davanti al discount e alla ferramenta con tutte quelle chiavi che brillano in vetrina, davanti al caffè dei signori Wang coi bomboloni del giorno prima, davanti ai fratelli Guerra che buttano i maiali dal camion sul muletto, issandosi in spalla quei lucidi grugni. Voglio andare in giro come fossi l’unica donna al mondo a caccia di una preda. Lo voglio davvero quel vestito. Lo voglio per confermare i tuoi peggiori sospetti su di me, per farti vedere quanto poco ci tengo a te o par farti vedere tutto, tranne quello che voglio. Appena lo trovo, lo tiro giù dalla gruccia perché cerco un corpo che mi porti nel mondo, in mezzo alle urla del parto e a quelle dell’amore, e lo indosserò come ossa, come pelle, sarà lo stramaledetto vestito dentro cui mi seppelliranno. Momenti rubati Kim Addonizio
Se è successo, è successo una volta. Adesso tutto è memoria – lui tagliava un’arancia: la buccia intatta, poi il coltello, lo spicchio gelato sollevato alla mia bocca, la sua bocca, la fine membrana tra di noi, l’arancia squisita, lingua, arancia, la mia nudità e la sua, il modo in cui mi ha spinto contro il frigo – Ora sento ancora le sue mani, il bacio che non durò, ma che mandò neuroni gemelli a balenare folli sulla corteccia. L’amore è spietato, il modo in cui penetra e continua ad emettere luce. Accanto alla stufa mangiammo un’arancia. E c’erano fiori viola sul tavolo. Era solo questione di ore. confetto di Gayle Brandeis (9/15/99) dolciume consistente in un pezzo di frutta secca, una radice (come la liquirizia), una mandorla, o un seme rivestito e conservato con lo zucchero Voglio rotolarti nello zucchero. Ti voglio dolce di glassa. Voglio i granellini stipati nel ricciolo dell’orecchio, che ti luccicano dalle ciglia, che ti riempiono l’ombelico come lanugine. Vorrei rivestire tutte le parti del tuo corpo di una seconda pelle zuccherina. Voglio sciroppare ogni dolcissimo pezzo di te. Voglio amarti fino a che i denti mi fanno male. Desiderio Joy Harjo Facciamo che mastico desiderio e il succo esplode di ali di zucchero in bocca. Facciamo che ha il tuo sapore. Facciamo che potrei anche annegare se te ne vai per il tempo che occorre a un merlo per capire un pino. Facciamo che all’alba entriamo in pineta. Non abbiamo dormito e il solo oppio che abbiamo fumato è quello che esala dai nostri respiri congiunti. Facciamo che le stelle non hanno mai imparato a dire addio. (Una è un gioiello di magia azzurra nel tuo orecchio perfetto).
Facciamo che tutto questo è vero com’è vero che ci sono merli in un paradiso di merli. Non amore Nanette Rayman Sono in molti a cercare l’amore. Io voglio solo rannicchiarmi in una stanza silenziosa. A sentire l’assalto del tuo cuore o non esistere neanche. Mani che mi aiutano a dormire. Una lucciola che freme contro il freddo torso del cielo, aspettando un sapore. Desiderio ondeggiante nel buio che mi rende più giovane degli uccelli. Toccami l’ombelico, chiamami carne, come un fiore fa’ sbocciare il mio seno, curvami all’indietro e risalimi finché rovineremo dentro al fuoco dei teschi che vengono a sorridere. Pianto di ciottolo di luna. Ossa di fiori che non hai mai colto. Conformazioni Grace Nichols Lui le dà tutte le conformazioni dell’Europa. Lei gli dà una tempesta di pappagalli. Lui le dà lisci capelli biondi e una bianca frenesia. Lei gli dà lana nera. L’oscurità dei suoi frutti gemelli. Lui le dà uranio, platino, alluminio e concordia. Lei gli dà le sue “natiche Bantu”. Lui vanta la spina dorsale sotto la pelle di lei. Lei canta il suo alabastro e lo accarezza. Lui fa come Colombo che cade sulle rive intricate del suo frutteto riccio. Lei gli consegna ancora le Indie tutte ma questa volta chiude le lunghe gambe piano piano facendo della testa di lui il trono d’oro del suo impero. Il canto della biancheria sporca
Erica Mann Jong Quest’è il canto della biancheria sporca – dacché viaggiammo di città in città Accumulando intimo macchiato & camicie sudate & jeans incrostati & coagulati dei nostri fluidi & T-shirt raggrinzite dalla nostra gloriosa confusa passione & biancheria irrigidita dall’intera nostra gioia. Sono tornata a casa per lavare i miei panni. Come la pioggia ticchettano, cadendo sul pavimento del bagno. L’acqua sgocciola via i giorni fino a te. L’acqua sporca mi parla d’amore. Vaporosamente nelle bolle del nostro amore Ho tuffato le mani nell’acqua bollente Così come avrei potuto tuffarle Dentro il tuo cuore. Dopo anni di macchie & schizzi Sto finalmente diventando pulita. Voglio volare da te con una valigia di biancheria fresca, togliermi i vestiti, ammucchiarli sul pavimento, & farti strofinare il mio corpo col tuo amore. Dopo l’amore Maxine Kumin E dopo, la ricomposizione. I corpi riprendono i loro confini. Queste gambe, ad esempio, sono le mie. Le tue braccia ti riportano in te. I cucchiai delle nostre dita, le labbra riconoscono il loro possessore. Le lenzuola sbadigliano, una porta insensatamente sbatte e nel cielo, cantilenando un aereo scende. Niente è cambiato, se non che c’è stato un momento in cui il lupo, il lupo mercante che sta fuori dal sé si è sdraiato sereno, e si è messo a dormire. Sesso senza amore Sharon Olds Ma come fanno quelli che fanno l’amore senza amore? Belli come ballerini, scivolano l’uno sull’altro come pattinatori sul ghiaccio, le dita infilate nei corpi dell’altro, le facce
rosse come bistecche, o come vino, bagnati come neonati appena partoriti che le madri abbandoneranno. Come fanno a venire fino al venire fino al venire fino al Dio fino alle acque ferme, e non amare chi è venuto là con loro, la luce che s’alza lenta come vapore dalla loro pelle congiunta? Questi sono i veri religiosi, i puristi, i professionisti, quelli che non accettano un falso Messia, che amano il prete e non Dio. Non confondono l’amante col proprio piacere, come maratoneti: sono soli con la superficie della strada, il freddo, il vento, la forma delle loro scarpe, la loro salute cardio- vascolare complessiva—solo coefficienti, come il partner nel letto, e non la verità, che è il corpo singolo da solo nell’universo a battere un record. Il corpo del maschio. Leonore Wilson Sia lode al corpo del maschio, sia lodato tutto quanto: il fucsia dei genitali, i plettri delle unghie dei piedi. Ad ogni parte sia lode, selvatico afrore d’ascella, pancia dove l’occhio vigila, scopre ogni cosa come un neonato, l’a-piombo dei fianchi sulla terra, la chioma che odora talvolta di sudato e unto, altre ancora di sale; sia lode alle gambe dell’uomo che s’arcuano e incurvano trasportando la stazza del maschio; sia lode alle braccia, la parte migliore, quando a mezzo ti piegano come un’amaca o una frombola. Mani rozze e screpolate e pungenti scorze di frutti indicibili, mani che scompaiono nella gentilezza; sia lode al naso del maschio e alle orecchie recanti quelle caverne, orifizi per sprofondare dentro il corpo i loro misteri stuzzicanti; sia lode al dorso come una vela spiegata, la spina dorsale che si piega come un alberello; sia lode e molta a ciò che si nasconde, regioni oscure della pelle, luoghi di pura energia che pure se non vedono mai la luce ne sono completamente intrise. * Nota sui traduttori
Loredana Magazzeni, insegnante e operatrice culturale, fa parte del “Gruppo ‘98”, con cui cura incontri e letture dedicati alla poesia prodotta dalle donne. Ha pubblicato Carte provvisorie, ("La Volpe e l'Uva", a cura di Marco Ribani, Bologna, 1998), La miracolosa ferita, (Archivi del ‘900, Milano, 2001), Canto alle madri e altri canti (DARS, Udine, 2005), Piccolo atlante dei popoli amici, (Fondazione Marazza, Borgomanero, 2005), Parole che premono, antologia del gruppo ‘98 (Gazebo, 2006), Gatti come angeli, antologia di poesia femminile inglese (con Andrea Sirotti) (Medusa, 2006), Progetto Patchwork, una rete di poesia delle donne. Poesie, articoli, traduzioni e recensioni compaiono su varie riviste, tra cui Il Verri, L’Immaginazione, Poesia, Graphie, Leggere Donna. Andrea Sirotti è traduttore, consulente editoriale e operatore culturale. Si occupa soprattutto di poesia e narrativa femminile e postcoloniale. Fa parte della redazione di «Semicerchio», rivista di poesia comparata e collabora a svariate riviste letterarie. Ha curato e tradotto per la casa editrice Le Lettere di Firenze diversi volumi di poesia tra cui L’India dell’anima (2000), antologia di poetesse indiane in lingua inglese, l’antologia tematica Men/Uomini (insieme a Giorgia Sensi, 2004), Margaret Atwood, Mattino nella casa bruciata (2007) e una Antologia poetica di Eavan Boland (in preparazione). È traduttore di narrativa postcoloniale per la casa editrice Einaudi. Da anni è co-curatore, per il comune di Firenze, dell’iniziativa Nodo Sottile sulla poesia giovanile. Recensione di Paola Evangelista a Gatti come angeli. L’eros nella poesia femminile di lingua inglese “E nella scrittura delle donne abbiamo incontrato l’eros” (Introduzione, p. 13) in tutte le sue cangianti sfumature, dai toni e le espressioni di un linguaggio universale (ma sempre nuovo e individualizzato) all’unicità di esperienze sensuali vissute o rivissute nella consapevole pienezza della loro sostanza irripetibile. La pluralità di trascorsi sentimentali e sessuali, di revêrie e incontri reali, tramati nel nobile tessuto della poesia, dona a questa raccolta la completezza di una veduta chiara e particolareggiata, mentre la scelta attenta e l’organizzazione formale da parte dei curatori vi aggiunge l’armonia di un brano musicale, forse dovremmo dire – strizzando l’occhio a Joyce – di musica da camera. Le donne che si “spogliano” in queste pagine (degli abiti, dei tabù, dei convenzionali veli di reticenza che avvolgono le personali storie di passione) testimoniano ognuna della volontà di non farsi raccontare, di non costituire più l’alterità, l’altra parte del cielo nella descrizione di un rapporto, al contrario rivendicano in esso un punto di osservazione troppo a lungo ignorato o posto ai margini, spesso snaturato dalla sensibilità maschile o “decorosamente” contraffatto dagli specchi delle ipocrisie. E i veli cadono scoprendo femminilità e grazia anche in immagini e situazioni di grande tensione erotica nonché profondo realismo e partecipazione del corpo e dei sensi, in un’arte che non imita, dopo averlo svirilizzato, l’accento dei poeti, e soprattutto non cede alla volgarità che l’occhio perbenista e disattento potrebbe decidere di attribuirle. Il sesso qui non si dà come trasgressione bensì come natura, istinto del bello e del vero, affermazione della vita e della gioia, anche quando è diviso dall’amore o non viene ricambiato con uguale trasporto del cuore, quando lo si intuisce clandestino, mercenario oppure saffico. Gli abiti che scivolano nell’urgenza dell’amplesso sono il termometro del desiderio ma, nel contempo, la metafora della libertà (del corpo, della mente, della parola) dai lacci di conformismo e tradizione. Arricchitasi di tali storie e visioni, l’arte della seduzione (cui la prima parte del volume è dedicata) finalmente abbandona, o quanto meno riconsidera in maniera
radicale gli stereotipi comportamentali irrigiditi e surreali nonché la banalità di alcune icone idealizzate e poco rappresentative di una realtà ben più sfaccettata e “primitiva”. La consapevolezza orgogliosa del proprio corpo e dell’intensità del desiderio che riesce a suscitare nell’uomo, tanto da sottomettere qualsiasi altro anelito, emerge nitida in molti passi, in particolare nella bella chiusa della prima poesia, che recita fiera: “Don’t think / that I don’t know / that you know / everything I say / is a garment” (Anne Stevenson, “Sous-Entendu”). Persino quando la voce lirica sembra volere indugiare su classiche associazioni naturalistiche tra il proprio corpo di donna e il giardino, la smentita nel tono giunge tanto inattesa quanto carica di giocosa ironia con il distico finale, che ristabilisce la priorità dell’ansiosa carnalità del sesso e del desiderio, non solo maschile, su un asessuato, ingannevole romanticismo: “why don’t you harry up / and take your clothes off?” (Marge Piercy, “Dirty Poem”). La libertà sessuale e spirituale (le due cose non vanno distinte) è come un abito osé che deve fondersi con le forme del corpo per mostrarne senza pudore le naturali fantasie (“[...] I want to wear it / until someone tears it off me”), celando invece quelle pieghe del cuore che necessitano riserbo. A ben guardare, dare voce ai propri intimi sentimenti può essere più scandaloso che esternare gli appetiti sinceri (e comuni) della carne, scopre Kim Addonizio con illuminante intuizione (“What Do Women Want?”). L’unica possibilità di incontro e di conoscenza reciproca – seppure fugace – tra uomo e donna si verifica nell’amplesso, momento di epifaniche rivelazioni in cui si smettono la maschera sociale e i suoi linguaggi per esibire “unpublic face and honest skin” (Alison Croggon, “Seduction Poem”). Seduzione è allora sincerità del cuore e del corpo, è offrirsi agli sguardi dell’altro senza la doppiezza di una vamp inarrivabile o di un’austera bigotta, come suggerisce Karen Alkalay-Gut con la divertita ironia di uno stile altrettanto franco e coloritamente efficace (“Style”). In effetti, le donne che animano queste stanze sanno non prendersi sul serio anche di fronte alla noia e all’abbandono (le ferite dell’amore), e guardare alle proprie avventure con una comicità lucida che ricorda da vicino talora il teleobiettivo di Woody Allen puntato sui suoi “maniaci sentimentali”, altre volte la colloquialità “da strada” di certo Bukowski che sfuma, però, nel garbo e in un gusto tutto femminile. Contro ogni stereotipo neoromantico o pseudo-cortese, Lisa Glatt svela che la sua poesia più autentica, lungi dallo scaturire da un cuore gonfio d’affetto mal corrisposto, trae ispirazione dalle appaganti letizie dell’incontro carnale (“When I Go without Sex”). La forza di tale momento non si attenua anche quando il suo palcoscenico si sposta dal talamo ai morbidi antri della fantasia. La seconda sezione accoglie l’amore immaginato o ripensato in “an ecstasy of memory”, e tuttavia altrettanto reale, da “sognatrici” ora delicatamente infantili ora ardite fino a sfidare il comune senso del ridicolo nonché l’omologazione sessuale e affettiva. Sotto l’impeto della revêrie e il peso del desiderio le atmosfere si arroventano e le artiste distillano, nell’eloquenza elegante di pochi versi, un intero romanzo d’amore, come L’amante di Marguerite Duras (cfr. “Korean Snapshot” di Adrienne Lee). Il primum movens della fantasticheria è il desiderio, moto dell’animo e del corpo che non risponde alla logica di qualunque altro sentimento ma ubbidisce a precetti straordinari e individuali. Le
autrici elaborano qui una vera e propria poetica del desiderio. Ogni anelito che palpita in queste pagine non trova definitiva consumazione nel rapporto, né tantomeno può dirsi mai frustrato o frustrante: la brama dei sensi è un’energia positiva, creativa, conoscitiva, non a caso la metafora ricorrente del convegno d’amore è quella archetipica del viaggio per mare. Il sesso regala, per un istante, la conoscenza libera del partner ma soprattutto di sé, e riconcilia lo spirito con le disarmonie del mondo: “[...] when / I take you into my body / [...] It is the moment they could almost let us go free” (Jane Hirshfield, “Each Happiness Ringed by Lions”). La nave del desiderio muove verso quell’attraente mistero che è il corpo dell’altro, spazializzato nella fantasia come una regione da esplorare, territorio che racchiude in sé il mondo intero: “Where does the ground end / and she begin? / She must have swallowed the sky [...]” (“The Kama Sutra Retold” di Sujata Bhatt). La scoperta del piacere erotico, nelle liriche che compongono la terza sezione del volume, avviene tra magia e brutalità, ma la realtà supera sempre in senso positivo vagheggiamenti e aspettative. La precisione nelle descrizioni di dettagli anatomici e pratiche amorose e il realismo di un’intima quotidianità non cedono alla prosa, bensì si colorano della tenera innocenza che intravede gioie sconosciute, come nella bella “First Sex” di Sharon Olds. Un senso di ancestrale continuità serpeggia in questi versi, che idealmente riscrivono il mito di Leda e il cigno già filtrato dalla penna di Yeats: alla sensuale figura di Leda non si addice più un atteggiamento ritroso ma la curiosità del desiderio che nasce. Così, l’implacabile Zeus è un timido adolescente che fa esperienza dell’amore, delle sue armonie e disarmonie (questi sono i titoli, significativi, dei due successivi raggruppamenti di liriche). Nel suo momento più alto, il sesso allontana il pensiero del thanatos o lo vanifica, trasformando l’acme effimero in eterna bellezza. Ragione, cultura, valori istituzionalizzati: la passione ricambiata sovverte, nello spazio di una notte, i principi di un’intera vita, ma la bellezza è la sua controparte non trascurabile. Anche nella definizione di rapporti “armonici”, le nostre poetesse non cadono nella rete dell’idealizzazione patinata, al contrario, complice una schietta autoironia, intuiscono tanto nelle imperfezioni del vivere e sentire quotidiani quanto nelle “comuni” fisionomie dei volti amati il benessere del desiderio soddisfatto e pur sempre tenuto vivo come la prima volta. E soprattutto eludono sensatamente l’illusione romantica di una fusione spersonalizzante con l’altro, ricordando “Afterwards, the compromise. / Bodies resume their boundaries”, seppure qualcosa è cambiato e l’unione dei corpi ha “addomesticato” anche le anime (Maxine Kumin, “After Love”). Le artiste sono pronte, però, a riconoscere anche tutte le gradazioni delle disarmonie nel rapporto a due: dalla dolorosa “amnesia” degli uomini che, dopo la condivisione di un momento di estrema vitalità, si lavano via definitivamente dalla pelle umori e ricordi (affrontato con impareggiabile grazia, tra le altre, da Ana Castillo in “I Decided Not to Fall in Love”) all’incomunicabilità tra i due sessi, dal senso di inadeguatezza di donne prorompentemente sensuali di fronte a signore e signorine “[...] impervious / to desire and weather alike” (memorabile il ritratto femminile disegnato da Marge Piercy in “Always Unsuitable”) al rifiuto di costringersi nei panni di un esotico piacere (si veda quella che potrebbe essere
definita una riscrittura “anti-tagoriana”: “exotic”, di Suheir Hammad). Eppure, su tutte le disarmonie, aleggia infine il pensiero armonioso che il sesso è sempre amore, anche se per un istante: “how utterly amusing, I told myself, / what fitting (albeit bitter) irony, this / most carnal of encounters, mere bodies / by night clashing, should end as pure / pulsation, virtual communication, / an airy signalling” (Brenda Porster, “Binary Signals”). Nei versi appena citati, non è il cuore ma il corpo (ora è sempre più chiaro che essi pulsino all’unisono) a “tradire” la profondità di sensi e sentimenti nell’unione suprema. E gli ultimi due “capitoli”, lungi dall’aprire toppe da cui spiare segretamente il corpo di lei e di lui, spalancano le loro pagine su due universi paradossalmente complementari e non compatibili, invertendo in maniera decisiva (o forse dovrei dire riformulando secondo natura) l’immaginario erotico stereotipato. Il canone, che pensa la donna sfuggente e l’uomo schiavo dei desideri centralizzati nel proprio sesso, s’infrange di fronte alla questione retorica tutta femminile “[...] And who am I / to command the waves: «thus far and no further shall you come»” (Nin Andrews, “The Talking Pussy”) o all’esternazione delicata quantunque esplicita delle proprie fantasie, come in “Browsing” di Adhara Law. Il corpo è sempre ottimista: non si rassegna alla fine di un rapporto e all’esilio dal piacere, la sua sensibilità è direttamente proporzionale a quella dello spirito. La donna sa comunicare con il corpo, non più mortificato o celato quando trasgredisce le regole del senso estetico imposto, si comprende nella bellissima “Homage to My Hips” di Lucille Clifton, che emana una sensualità morbida e compiaciuta. Con la medesima accuratezza, lo sguardo di lei sa posarsi con stupore e lodare l’anatomia del maschio, scoprendone, insieme con la solenne virilità, una gentilezza tenera e goffa. All’eloquenza di questi versi, Loredana Magazzeni e Andrea Sirotti aggiungono un’introduzione che chiarisce il percorso – in discesa, a giudicare dai felicissimi esiti – dei traduttori nel volgere in italiano le poesie delle cinquanta autrici contemporanee di diversa generazione, provenienza e percorso biografico che hanno collaborato all’opera, e inoltre proiettano al futuro uno stimolante discorso sull’erotismo come chiave di lettura della libertà. Rita Monticelli arricchisce il volume con il saggio dal titolo “Nei ‘giardini delle nostre madri’: memorie e riscritture del corpo”, dove ripercorre puntualmente la storia della creazione di una tradizione femminile letteraria e culturale che ha come punto d’arrivo la bellezza, partendo dall’amore. “Forse è vero, l’amore ci salverà” (Introduzione, p. 16).
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