Anticipazioni Salone del Mobile.Milano 2019 Nuovi indirizzi di ricerca per il furniture design
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Anticipazioni Salone del Mobile.Milano 2019 Nuovi indirizzi di ricerca per il furniture design Nel 2018 avevamo postulato che la rinuncia a un’estetica condivisa fosse, nel mondo del design del mobile, la tendenza dominante. A un anno di distanza dobbiamo confermare quest’ipotesi o si sono verificati dei significativi cambiamenti? Analizziamo la situazione nel dettaglio per scoprire alcuni spostamenti piuttosto evidenti. La definizione di un arredo universale Innanzitutto, va rilevato il tentativo, derivato dalle sempre più pressanti esigenze del mercato, di definire degli “arredi universali”: che non significa neutri, ma piuttosto accettabili da un pubblico variegato e trans-nazionale. Tale necessità ha portato ad adottare una poetica semplicità che non va confusa però con il Minimalismo della fine degli anni ‘90. Si tratta piuttosto di un approccio che coniuga il sofisticato pauperismo delle sette millenaristiche americane con un disegno a tratti ingenuo che riporta alla mente gli arredi delle scuole della nostra infanzia. Esemplificano perfettamente tale filone di ricerca sia Artek, introducendo a catalogo la sedia Atelier, progettata per il Nationalmuseum di Stoccolma da Taf Studio, sia Lema, con il segno minimo della consolle “Ella” di David López Quincoces. In questa tendenza, orientandosi però a una rilettura della straordinaria tradizione del mobile danese, possiamo inserire la poltroncina “Kay Lounge” disegnata da Jean-Marie Massaud per Poliform e il divano “Trigono” di Michele De Lucchi per Alias. Verso ovest, alla stagione essenziale del design americano anni ‘50, guarda invece Rodolfo Dordoni per dare vita a “Tusa”, poltroncina prodotta da Zanotta. Al medesimo risultato di poetica semplicità si può poi giungere percorrendo una seconda strada volta a ripensare quegli arredi storici, in specie viennesi dell’inizio del XX secolo, in cui l’essenzialità si poneva come strumento per superare la ridondanza degli stili storici (pensiamo a Hoffmann o a Kolo Moser, di cui, guarda caso, proprio a Vienna è in corso un’importante antologica). Rientra in questa accezione la poltroncina “200” di Michael Anastassiades per Gebrüder Thonet Vienna, rilettura degli intramontabili arredi in faggio curvato. Lavorare sul passato D’altra parte, il tema della riedizione vera e propria, ossia il percorso di scavo all’interno degli archivi alla ricerca di pezzi dimenticati, prosegue la sua corsa come tendenza assolutamente dominante, in grado di “curare”, con la sicurezza del déjà-vu, una sorta di ansia del nuovo, fenomeno sempre più evidente tra i compratori. Nell’anno del centenario del mitico Bauhaus non poteva mancare un forte ricordo dei pezzi più significativi prodotti dal movimento di Weimar-Dessau e, in questo percorso, Knoll International, che da sempre ne controlla una parte, gioca una partita vincente. È, in particolare, Mies van der Rohe, ultimo direttore della storica scuola chiusa nel 1933 dal partito nazista, a essere salutato. Tra gli omaggi stilistici al Bauhaus da segnalare senz’altro quello di Nicola Gallizia con la poltrona “Lullaby” per
Porro. Un altro centro di interesse e di rinnovato studio è la Danimarca: particolarmente significativa in questa accezione la ricerca condotta da Carl Hansen&Son che ha portato al recupero dell’iconica sedia CH30, disegnata da Hans J. Wegner nel 1954, e della poltroncina “Contour” (1949) di Børge Mogensen, caratterizzata da un peculiare accostamento di legno massello e multistrati curvato. Fredericia 1911 ha, invece, analizzato gli archivi del danese Jens Risom, scomparso centenario nel 2016, rieditando alcuni capolavori dimenticati quali il piccolo, ma figurativamente complesso, tavolino “Magazin”. Fritz Hansen se da un lato prosegue un lavoro filologico sull’eredità dell’americano Paul McCobb (1917-1969), non più editato dagli anni ‘60 e oggi nuovamente presente con pezzi di dichiarata impronta razionalista (vedi gli scaffali “Planner”), dall’altro supera il criterio di riedizione introducendo un’inedita concezione di reinterpretazione o meglio di ri- lettura: Jaime Hayon ha infatti lavorato sulle figure classiche del design danese degli anni ‘50, nello specifico Hans Wegner e Finn Juhl, gonfiando leggermente le linee originali e trasformando le loro poltrone in personaggi da fumetto. L’attenzione dei produttori si è però spostata recentemente anche verso personaggi italiani da riscoprire: così, Poltrona Frau prosegue l’opera di analisi del corpus progettuale di Gianfranco Frattini, proponendo una libreria da centro girevole (“Turner”, già modello “823” del 1963) che costituisce una vera e propria invenzione tipologica. In generale poi il concetto di riedizioni si è avvicinato a noi nel tempo: la JK easy chair, disegnata da Jun Kamahara alla fine degli anni ‘90, rientra in produzione per Ritzwell con i suoi voluminosi cuscini appoggiati su un’esile struttura in metallo che, col passare degli anni, “invecchierà”, acquistando una preziosa patina secondo il principio giapponese del furubi. Al 1993 (sembra l’altro ieri, ma sono passati 26 anni!) risale infine l’iconico sistema di sedute componibili “Todo Modo”, disegnato da Jean-Michel Wilmotte per il museo del Louvre, e oggi rieditato da Tecno. Superare l’equilibrio formale Ma quali sono invece le strade percorse, in questo 2019, alla ricerca del tanto agognato “nuovo”, necessario, come abbiamo imparato da tempo analizzando il mondo “fratello” del fashion design, a distinguersi da una produzione di grande serie che, ormai in tempo reale, “duplica” qualsiasi proposta. Tra queste strade appare particolarmente peculiare il neo- primitivo: movimento trasversale a vari settori tipologici e merceologici, incline a utilizzare pietre di provenienza e testura particolare (scure, venate, brecciate), legni grezzi e pesanti, tessuti filati a mano (come tricoté), cemento colorato con pigmenti e finito a cera. Insomma, un mondo ove il lusso, di chi ha già avuto e visto tutto, si coniuga con il mito della caverna primigenia. Lo vedremo più nello specifico occupandoci del mondo dei rivestimenti tessili, ma intanto, per il neonato marchio JCP, Analogia Project scava un blocco di plexiglas, come nell’erosione di un antico ghiacciaio (centro tavola “Glacoja”), e Sam Baron sospende una piccola coppa in rame ossidato a un cubo di onice (porta fiori/candele “Aboram”). Paola Navone propone invece, con Gervasoni, una classica sedia a schienale continuo
forato (“Next”), realizzata però in fusione di alluminio, tecnica usualmente impiegata in scultura o per piccoli componenti. Breve, e quasi automatico, è il passo dall’imperfezione alla valorizzazione di una “estetica del dissonante”, fenomeno riscontrabile in tutti i periodi storici simili al nostro e quindi segnati da accentuato estetismo (si pensi alla transizione dal Rinascimento al Manierismo). Anche in questo caso il ricorso all’opera dei Maestri aiuta il pubblico nel processo di accettazione. Esempio perfetto di tale meccanismo sono gli attaccapanni da muro “Calvet” (dal nome del committente per cui furono pensati), progettati da Antoni Gaudì nel 1899 e oggi riproposti da BD Art Editions. Benvenuto anche l’omaggio che A lot of Brasil fa, con la collezione di panche “Amazonia”, al grande Alessandro Mendini, da poco scomparso e già molto rimpianto, caposcuola assoluto di una tendenza di dissacrazione estetica. Alla santificazione immediata di Mendini contribuisce evidentemente anche William Sawaya, per Sawaya&Moroni, con le credenze, decorate a tarsie optical in polipropilene, intitolate “Alessandro I”, “Alessandro II” e “Alessandro III”. Le figurazioni letterarie o fiabesche non mancano nemmeno però in settori più tecnici, basti guardare la “Pinna”, protuberanza zoomorfa da parete o soffitto, prodotta in tessuto anacustico da Caimi Brevetti su disegno di A+B Dominoni Quaquaro. Andrea Ruggiero sogna invece per Offecct una foresta di colonne (imbottite), “Soundsticks”, utilizzabili come inediti divisori spaziali. La lezione ecologica A una estetica alternativa d’altronde ci stanno progressivamente abituando le sempre più frequenti incursioni nella dimensione del riuso. Una nuova coscienza, ecologica e consapevole, del progettare, unita a una certa fascinazione per il ruvido, il non finito, il presunto casuale, porta infatti al recupero sistematico di materiali già utilizzati. Emblematica in questo senso l’operazione compiuta da Jorge Penadés, nell’ambito della collezione “Remix vol.3” di BD Barcelona, su trafilati d’alluminio colorati: semilavorati realizzati per prodotti non più a catalogo, giuntati assieme a creare gli articolati vasi della collezione “Piscis”. Importante rilevare come una parte dell’ambiente del furniture design sia stato influenzato della tematica e dal messaggio apocalittico della XXII Triennale di Milano, “Broken Nature”, che evidenzia un’irrimediabile perdita di sintonia tra l’uomo e la natura. Perfezione/Imperfezione Riassumendo, le produzioni di design 2019 ci pongono di fronte a due ipotesi contrastanti: da un lato persiste un’idea di comfort e di lusso, sovente mediata dagli anni ‘50 e declinata in decor continui e sofisticati. Costruiti non tanto disegnando il singolo pezzo quanto preoccupandosi della resa atmosferica dell’insieme, in continuità con la grande tradizione italiana dell’interior decoration. In questa dimensione si trovano perfettamente a loro agio le aziende (come Giorgio Collection, Annibale Colombo e Baccarat La Maison) che condividono i padiglioni xLux: ogni dettaglio, ogni materia è attentamente selezionata per giungere a un’idea complessiva di lusso e raffinatezza.
Dall’altro lato, invece, si delinea chiaramente, come abbiamo sopra esplicitato, un nuovo valore attribuito all’imperfezione e a tutti processi artigianali (artigianato è senz’altro una delle parole più citate in assoluto). Un’unica dimensione pare accomunare le due tendenze ed è il ricorso all’oro. Tutte le sfumature del prezioso metallo sono consentite: dall’ottone invecchiato al luccicore più deciso, dalla foglia stesa a mano alle verniciature da carrozzeria, l’importante è che di oro si possa parlare. Persino nell’outdoor (vedi la collezione “Solanas” di Daniel Germani per Gandia Blasco) l’oro diventa improvvisamente un colore di riferimento. L’outdoor come nuovo status symbol Bisogna rilevare che, se la dimensione degli arredi da interni non appare in forte incremento, indubbiamente lanciatissimo è il settore dell’outdoor. Aziende leader nella produzione dell’imbottito, come Flexform, propongono intere collezioni da esterno, nello specifico con il design “classico” di Antonio Citterio. Un’altra realtà, celebre per la qualità delle finiture quale Giorgetti, si è invece affidata, per le collezioni da esterno, alla coppia Palomba Serafini che hanno citato la divina Eileen Gray negli articolati supporti della collezione “Break”. Potremmo arrivare a dichiarare che il sistema di vasi comunicanti indoor-outdoor si sia invertito, con un passaggio di ispirazioni dall’esterno all’interno: da Glas Italia, ad esempio, il duo Yabu Pushelberg, con studio a New York e Toronto, presenta grandi “vasche” in cristallo con funzione di terrario/fioriera. Un fenomeno verificabile anche nell’esplosione di riferimenti naturalistici, portati dalla cultura del wallpaper, con macro pattern vegetali, ove palme e ficus introducono negli ambienti abitati l’illusione di una natura incontaminata. Lussureggiante, ad esempio, “Wanderlust” di Marcel Wanders per Londonart. Non mancano nemmeno grandi immagini di animali (Wall&Decò) e sognanti soggetti bucolici, dalle settecentesche toile de jouy alle “pastorellerie” da Gran Tour. In generale possiamo sostenere che il titolo di materiale dell’anno vada assegnato alle tappezzerie (Jannelli&Volpi, con “A tribute to Kandinsky”, suggerisce addirittura l’adozione di un’arte ambientale, alla portata di tutti però). Rosita Missoni per MissoniHome assume le cromie naturali come tema dominante delle nuove collezioni 2019 (bellissimo “Winter Garden”). E, parlando invece del vero e proprio design per outdoor, scopriamo percorsi che il più timido approccio in interni non osa intraprendere: si veda la collezione “Swing” disegnata da Patrick Norguet per Ethimo o “Ribes” di Antonio Citterio per B&B ove viene esaltata la semplicità tipologica del futon (per quanto con doghe in vetro resina) e la freschezza di tessuti rigati “da materasso”. In generale dominano i riferimenti etnici, in particolare all’Africa e alle culture sud-americane pre-occupazione europea, che paiono, con la loro decisione segnica, soppiantare (o affiancare) i più garbati riferimenti all’Estremo Oriente in uso negli anni passati. Nascono infine nuove realtà, tra cui Diabla, che propone per la prima volta un intero catalogo di mobili e complementi da esterno. Particolarmente significativo l’utilizzo, suggerito dall’inglese Jonathan Lawes, di pattern geometrici, degni del più puro astrattismo,
impiegati come piani per tavolini (“Mona”). Arte in esterni, a fare il paio con la raffinata “arte in interni” proposta da Colé con i paraventi “Kazimir” ispirati a Malevic di Julia Dosza. Ma, tornando in oudoor, interessante appare, dal produttore francese Fermob, la collezione di tavoli “Bebop” (design Tristan Lohner) che coniuga minimalismo e citazioni anni ’80, con un particolare effetto di sospensione tra gambe e piano. Utilizzano viceversa con garbo motivi arabeggianti, evocativi di intrecci tessili, i pouf “Trame”, disegnati da Angeletti Ruzza per da a. L’ibridazione dei contesti Motivi economici, quali la preponderante diffusione di un mercato di altissimo livello per il progetto contract, e motivi psicologici, come la necessità di costruire una “stanza-nido”, totalmente coordinato e capace di accogliere e “consolare” gli individui, portano a postulare l’ibridazione fra contesti diversi e, conseguentemente, il passaggio dal disegno del pezzo singolo a quello dell’intero ambiente. Oggi, pochi individui, e non facciamo riferimento soltanto agli utenti finali, ma persino ai progettisti, sono ancora in grado di procedere, nell’architettura degli interni, per “assemblaggi di differenze” (si trattasse anche di mobili-capolavoro). L’apparato decorativo si presenta ormai come un unicuum indissolubile: il pavimento si riflette nelle finiture a parete, dalle tappezzerie alle verniciature, e queste vengono valorizzate da una sofisticata illuminazione ambientale. Le cromie scelte trovano una immediata continuità nei rivestimenti tessili degli imbottiti (significativo l’incremento della ricerca nel settore dei tessuti). L’oggettistica perde il suo ruolo di aggettivazione a posteriore degli spazi per diventare una fondamentale dimostrazione di gusto e di cultura, posta in essere contemporaneamente al progetto. La manualità riveste, in particolare per quanto concerne gli oggetti, un ruolo fondamentale (come dimostrato, ad esempio, dai maestri artigiani che lavorano l’argilla in Belgio, a Ostenda, presso l’Atelier Vierkant). Una grande fluidità progettuale percorre dunque gli ambienti, suggerendo utilizzi multipli e finiture condivise tra zona living e zona cucina, tra zona notte e spazi acqua-relax (per favore non chiamiamoli più bagni e tanto meno “servizi”, in particolare da quando le saune – vedi “Yoku” di Effegibi – presentano lo stesso livello di finitura degli arredi). Gli spazi esterni all’architettura (che si tratti di un’abitazione, di un albergo o di un ufficio) acquistano, come abbiamo visto, una dignità assolutamente paritetica rispetto agli spazi interni e, conseguentemente, le percentuali di investimento in arredi outdoor crescono a dismisura. Insomma, improvvisamente, ci troviamo a dover rilevare che gerarchie di valori consolidati e priorità di acquisto da parte del pubblico, indiscutibili per generazioni, si sono definitivamente modificate. Nascono progettazioni a cavallo tra dimensioni differenti. La prima e più evidente è quella tra mercato degli spazi collettivi e mercato domestico: l’atmosfera degli uffici e quella del living vengono continuamente in contatto. Ecco, ad esempio, che Raffaella Mangiarotti propone per IOC gli imbottiti “Ghisolfa” dalla linea avvolgente e insonorizzante che, utili senz’altro in contesti pubblici di co-working, potrebbero trovare una felice adozione nelle
più recenti situazioni di co-housing, esattamente come i tavoli “Ponto” proposti da Lammhults su disegno di Troels Grum-Schwensen. A un’ibridazione tra casa e boutique di grande lusso pare invece aspirare Giuseppe Bavuso con l’espositore “Self” per Rimadesio. Ancora parlando di spostamenti progressivi tra discipline, “Teatro” di Piero Lissoni per Lualdi (parete pivotante e rotante a 360° che si trasforma in libreria e scherma l’accesso a una “stanza segreta”) supera la dimensione dell’arredo per farsi architettura degli interni. Allo stesso modo è difficile utilizzare il termine “libreria” per definire “Super_position” di Jean Nouvel per MDF, piuttosto un “volume nello spazio”. Ai confini tra arredo e scultura, altri due ambiti che da anni, o meglio dall’affermazione del art-design, si corteggiano, troviamo il lavoro di Eoos per Walter Knoll: i legni sagomati e i bronzi della scrivania “Tama” ricordano le forme assolute dell’artista nippo-americano Isamu Noguchi. Cita viceversa il mondo della couture la trasposizione su vetro di tessuti d’alta moda effettuata da Lago nella capsule collection “XGlass Home”. E, per finire sorridendo, si potrebbe segnalare un’ultima inedita ibridazione, ossia quella tra progetto e storia personale che non poteva mancare in un momento in cui il gossip svolge un ruolo sempre più significativo: il danese Johannes Torpe disegna per Moroso il divano “Heartbroken”, con braccioli a forma di cuore spezzato, per raccontare a tutti il dolore di una donna che lo ha lasciato alla vigilia del matrimonio! Oltre il mobile, la superficie La vera rivoluzione 2019, se così vogliamo chiamarla, concerne tuttavia piuttosto le superfici che non gli oggetti nella loro identità volumetrica. Si è infatti sviluppata a dismisura quella che potremmo battezzare “un’estetica delle superfici”. Si tratta di una progettualità tendenzialmente bi-dimensionale ove i materiali più tradizionali e consolidati, vedi il marmo bianco di Carrara o il legno di Rovere rigatino, così come le laccature neutre, vengono decisamente superati da un proliferare di vene, brecce, macchie, ossidazioni, innesti, intarsi: la superficie cerca il suo riscatto nella ricchezza delle finiture. È una tendenza che, iniziata alcuni anni or sono, si fa oggi dirompente. De Castelli, con i tavolini “Alchemy” di Stormo, giunge ad esempio a citare le antiche tecniche alchemiche di trasmutazione dei metalli. Bisogna sottolineare d’altronde come quest’attitudine da “bottega rinascimentale trasportata negli anni 3000” (il presente pare non esistere: il passato guarda direttamente al futuro più remoto!) presenti un portato estremamente positivo nel rilancio di tecniche artigianali e realizzative ormai quasi scomparse, nel recupero di vecchie cave e di essenze lignee dimenticate, nella riscoperta di materiali della tradizione quali, ad esempio, il rattan (confronta a questo proposito il lavoro della storica azienda spagnola Expormim), ma anche nella innovativa ricerca sulle finiture con effetti tridimensionali delle superfici (vedi il mondo del rivestimento ceramico, ma anche quello dei laminati e dei nobilitati, piramidali per Cleaf). A un patrimonio di capacità eccelse fanno riferimento in particolare le aziende che lavorano sulla tessitura: sia Dedar sia Rubelli non si limitano a sofisticate ricerche d’archivio e a incursioni nella magnificenza del passato, ma aggiungono ai loro tessuti performance
tecnologiche considerate fino a poco tempo fa impossibili. Trionfa, ormai da tempo, il velluto in ricchissime palette di colori che potremmo definire autunnali: sfumature di rosso (dal rosa cipria al terracotta al sangue di bue), sfumature di giallo (marsala, miele), sfumature di marrone, sfumature di verde (militare, marcio, salvia). Ma, oltre all’operazione “di scavo” sui materiali naturali, assistiamo anche a una ricerca tesa alla creazione di inedite soluzioni, come la resina colorata battezzata da Antonio Lupi “Cristal Mood” o il “Marmor Natum”, marmo appunto, ma scomposto e poi ricomposto in minuscoli intarsi da Gwenael Nicolas per Budri. Kartell, con la collezione “Smart Wood” di Philippe Starck, riesce a trasformare, attraverso un procedimento brevettato, una realtà antica come il legno in una materia ad alta prestazione industriale. Dal designer all’art director, dall’art director allo stylist Il concentrarsi del lavoro progettuale sui materiali fa sì che, una volta concluse le fasi di ricerca condotte nei centri studio e negli uffici tecnici, molto spesso la presentazione dei risultati, che impone ovviamente una grande accuratezza di accostamenti, venga affidate agli stylist piuttosto che ai designer. A sua volta il designer si trova quindi, in questo 2019, a dover modificare il suo ruolo trasformandosi da progettista-inventore, quale era stato dalla fine della seconda guerra mondiale, in art-director. Si tratta di un cambiamento già in atto da qualche tempo, che è giusto iniziare a codificare, in attesa di verificarne il reale portato e la durata nel tempo. Un’ulteriore conseguenza di questa modifica di passo è l’evidente ridimensionamento delle cosiddette design-star: il marchio e gli skill aziendali assumono un’importanza sempre crescente, a discapito della firma e del protagonismo personale dei progettisti. Una novità, questa, che sorprende solo alcune aziende, ma non altre, abituate da sempre a un corretto bilanciamento marchio/designer. Esempio di tale bilanciamento è Maruni, realtà giapponese che riesce silenziosamente ad amalgamare le parole di due giganti quali Jasper Morrison e Naoto Fukasawa. In un analogo mood “anonimo”, anche se declinato in termini maggiormente vernacolari (vedi i tavoli con panche in massello), si situano anche le proposte della danese Muuto e della finlandese Nikari, con l’essenziale sedia “Akademia” disegnata dalla coppia Kaksikko. Per finire con l’americana Emeco, da sempre in prima linea nella ricerca di un fondamentale “silenzio progettuale” cui si unisce una forte attenzione all’ambiente (vedi la nuova collezione “On & On” di Barber&Osgerby, realizzata al 70% con Pet da bottiglie in plastica). Milano, 9 aprile 2019 Ufficio Stampa Salone del Mobile.Milano Francesca De Ponti – francesca.deponti@salonemilano.it – tel. 02/72594222 Patrizia Malfatti – patrizia.malfatti@salonemilano.it – tel. 02/72594262 Marilena Sobacchi – marilena.sobacchi@salonemilano.it – tel. 02/72594319
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