Il ruolo del punto vendita come strumento d'immagine di - Core

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Il ruolo del punto vendita come strumento d’immagine di
                                                                                              marca nel mercato cinese*

          Abstract
          Nei nuovi grandi mercati come quello cinese il punto vendita assume un
ruolo rilevante nella costruzione dell’immagine di marca, in special modo se la marca
è appena entrata in quel mercato. Il punto vendita può favorire la conoscenza e il
posizionamento di una marca, essere prova tangibile della sua forza e dei suoi valori,
può anche influenzare il processo di acquisto. È dunque fondamentale adottare
strategie adeguate sia nella scelta del format distributivo sia negli elementi che
formano la store image. Obiettivo di questo paper è analizzare come le marche
italiane utilizzano lo strumento del punto vendita per trasmettere l’immagine di marca
nel mercato cinese. Verranno presi in considerazione cinque casi aziendali (Gruppo
RDM-Fingen, Arrex, Loro Piana, Ferrero e Inglesina), analizzando le strategie
adottate in termini di format distributivo e comunicazione nel punto vendita. Tra gli
elementi indagati, particolare attenzione verrà dato al ruolo della percezione del Made
in Italy nell’influenzare un’immagine positiva di marca all’interno del punto vendita.

                                                          Keywords: retail; immagine di marca; Cina; Made in Italy

                                                          1. Introduzione

         La marca rappresenta uno dei principali asset aziendali la cui immagine si
costruisce nel tempo grazie agli investimenti in comunicazione da parte dell’impresa
(Aaker, 1996; Kapferer, 1997; Keller, 2003). Accanto ai mezzi di comunicazione di
massa, le imprese ricorrono sempre più al punto vendita come strumento integrato di
comunicazione. Nei nuovi mercati il consumatore è spesso poco abituato alle marche
e non conosce le caratteristiche di alcune categorie di prodotto, è necessario quindi
dare prova tangibile della forza della marca e della qualità dei prodotti che essa
rappresenta e una delle principali modalità è rappresentata dal punto vendita.
Soprattutto nei mercati in cui la marca è entrata di recente, il punto vendita diviene
uno strumento strategico (assumendo spesso la forma di flagship store in determinati
luoghi delle città), che permette di costruire velocemente brand awareness e ottenere
un premium positioning (Surchi, 2011).
         Il contesto cinese rappresenta per i brand internazionali un mercato
relativamente nuovo rispetto a quelli tradizionali, nel quale il punto vendita può
favorire fortemente lo sviluppo dell’immagine di marca (Checchinato, 2011). Di

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
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 Lala Hu, Francesca Checchinato e Tiziano Vescovi. International Management to Asia
Laboratory, Dipartimento di Management, Università Ca’ Foscari Venezia. Cannaregio 873,
30121Venezia. E-mail: imalab@unive.it, tel. 041-2348741.
	
  
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conseguenza, obiettivo del paper è verificare come le marche italiane utilizzano il
punto vendita per veicolare l’immagine di marca in questo mercato.

         2. La letteratura di riferimento

         2.1 Il ruolo del punto vendita

            Tra i vari strumenti di comunicazione per trasmettere l’immagine della
marca, il punto vendita sta assumendo negli ultimi anni un ruolo sempre più
importante. Tale rilevanza può essere ricondotta a due principali ragioni: 1) la sua
trasformazione in luogo esperienziale e di intrattenimento; 2) il suo essere “luogo
tangibile”, uno spazio dove la marca dà prova della sua reale esistenza.
            Per quanto concerne il primo aspetto, è noto (Vescovi e Checchinato, 2004;
Pastore e Vernuccio, 2008) che il punto vendita si sia trasformato da semplice Point
of sale a Point of Permanence, luogo in cui trascorrere il tempo, vivere esperienze e
acquistare prodotti. Negli anni ’70-’80, infatti, inizia a farsi strada il concetto di
consumo edonistico (Holbrook e Hirschman, 1982) dove gli aspetti esperienziali
assumono un ruolo importante nel comportamento d’acquisto. Tali aspetti vengono
guidati e stimolati dai fattori ambientali (Mehrabian e Russell, 1974) e quindi il punto
vendita si trasforma in teatro nel quale far vivere un’esperienza, un vissuto che spesso
è legato alla marca che lo trasmette (Gilmore e Pine, 1999). Per quanto concerne il
secondo punto, è da notare come nel contesto di mercato attuale, il consumatore
riceva un numero sempre maggiore di stimoli e si trovi di fronte a numerose marche,
spesso poco note, se non sconosciute, di cui deve comprenderne qualità e valori. In
tale situazione, che nei mercati recentemente emersi come quello cinese è ancor più
estrema, il punto vendita diventa la prova della forza e dell’esistenza della marca
(Checchinato, 2011) e ne può trasmettere i valori.
            Il ruolo del punto vendita e del distributore può divenire quindi fondamentale
nel	
   decretare il successo o il fallimento della marca (Kapferer, 1997; Nicholson,
Clarke e Blakemore, 2002). Se sono importanti il luogo, l’esposizione
dell’assortimento, l’atmosfera e altri elementi che compongono la store image (Hu e
Jasper, 2010), ecco che il format distributivo diviene una scelta strategica per
trasmettere l’immagine stessa di marca (Jacoby e Mazursky, 1984; Mulhern, 1997;
Shergill e Chen, 2008) e rappresenta l’interfaccia tra il consumatore e l’impresa
(Doyle, Moore, Doherty e Hamilton, 2008). Come conferma la letteratura sui flagship
store, tale interfaccia è così rilevante che spesso vengono scelti tali format distributivi
in modo che vi sia una corretta comunicazione dell’immagine di marca (Nobbs,
Moore e Sheridan, 2012) e veicolazione dei valori. Il flagship inoltre assume un ruolo
importante nei processi d’internazionalizzazione, poiché è uno strumento di
comunicazione in grado di creare brand reputation in quanto sorge spesso in edifici
lussuosi, nelle strade principali delle più importanti città (Moore, Fernie e Burt, 2000)
e quindi dimostra la forza della marca e dell’impresa che la sostiene.

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Al tempo stesso, per aumentare la propria penetrazione nel territorio, le
imprese sono costrette a utilizzare strategie multi-channel, utilizzando più format
distributivi al fine di ottenere una buona copertura distributiva e soddisfare le
esigenze sia funzionali sia esperienziali dei propri consumatori (Nicholson, Clarke e
Blakemore, 2002; Reynolds, Ganesh, e Luckett, 2002). Nell’approcciarsi ai mercati
internazionali, inoltre, è da sottolineare che nelle strategie di comunicazione, emerge
anche un ulteriore elemento da enfatizzare nel luogo dove la marca è venduta: il
country of origin (Chaney e Gamble, 2008). Le imprese si troveranno a dover
decidere se utilizzare tale ulteriore attributo per la marca, come utilizzarlo e quale
legame creare con la marca stessa (Checchinato, Hu e Vescovi, in press).

                                                          2.2 Il punto vendita in Cina

          Come rilevato da alcune recenti ricerche il principale problema percepito
dalle imprese italiane che vogliono vendere i propri prodotti nel mercato cinese è
rappresentato dall’affidabilità del partner distributivo (Vianelli, De Luca e Pegan,
2012), dimostrando quindi come sia proprio la distribuzione un fattore chiave.
Sebbene considerato un Paese ormai sviluppato, non è ancora possibile parlare di
Cina come un unico mercato omogeneo, forti sono infatti le differenze interne che si
riflettono in modo evidente anche sulla distribuzione commerciale e sullo sviluppo del
sistema distributivo nel suo complesso. Non solo differenze tra aree rurali e città, ma
anche tra i diversi livelli di città (tier) (Casaburi, 2008; Madden, 2007; Rayburn e
Conrad, 2004).
          L’ingresso nel WTO nel 2001 ha sicuramente dato forza agli investimenti
esteri nel sistema distributivo cinese (Vianelli, De Luca e Pegan, 2012), ma si tratta
ancora di un processo in pieno sviluppo. Stando ai dati Euromonitor (2011), saranno i
format distributivi moderni a crescere a discapito dei piccoli dettaglianti indipendenti
anche per l’ingresso sempre più massiccio dei grandi leader mondiali anche nelle città
di secondo e terzo livello (Krafft e Mantrala, 2010). In generale i Department store
sono i format prevalenti, utilizzati dal segmento dei cosiddetti “white collars” come
luogo di relax dove passare il tempo (Euromonitor, 2011). Anche gli shopping mall
hanno avuto e stanno avendo un forte sviluppo, tra il 2001 e il 2015 sono cresciuti
dell’893%1 e sono localizzati prevalentemente nelle zone costiere.
          I prodotti ad alto valore simbolico per il Made in Italy in Cina
(abbigliamento e accessori, arredo e alimentare) portano per loro natura a scelte
distributive differenti, ma richiedono tutti un buon presidio dell’ultimo anello della
catena distributiva per arrivare a un consumatore, quello cinese, che spesso non
conosce il prodotto. Per quanto concerne il settore alimentare, la scelta distributiva
deve tener conto dell’abitudine di spesa spesso legata al “one stop shop”, come un
ipermercato o un supermercato, preferiti per il 56,2% delle occasioni di acquisto. La
scelta del punto vendita avviene infatti soprattutto per motivazioni funzionali:
prossimità e fedeltà al negozio (Unicredit e Accenture, 2012). In questo settore si
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
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        http://english.mallchina.net/new_5413.shtml (ultimo accesso 12/07/2013)	
  

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stanno affermando i format occidentali, grazie agli investitori sia locali sia stranieri
che stanno sfruttando il potenziale del mercato, con una netta prevalenza di operatori
francesi e americani. I principali distributori (Planetretail, 2011) sono infatti cinesi
(China Resources Enterprise al primo posto, seguito da Lianhua Supermarket
Holdings Co.) francesi e americani (Auchan, Wal Mart e Carrefour). Il prodotto
italiano si trova quindi fianco a fianco con altri prodotti stranieri, spesso nel reparto
“imported product”, senza la possibilità di essere spiegato al consumatore, finendo per
alzare le barriere all’acquisto. Per farsi riconoscere in questi casi le imprese possono
ricorrere a due principali strategie: il richiamo al “Made in” Italy (Checchinato, Hu e
Vescovi, in press) o un forte investimento in comunicazione nel punto vendita,
acquistando spazio (scaffali) e, quindi, visibilità perché il consumatore cinese è
sensibile al brand (Niu et al., 2012). Per quanto concerne il settore fashion, il mercato
cinese è dominato da shopping mall e department store. In un mercato dove il brand è
un elemento di status e una delle ragioni principali per le quali il consumatore è
disposto a pagare un premium price, le imprese investono per avere alta visibilità, che
dal punto di vista retail significa negozi monomarca e flagship store, soprattutto negli
shopping mall più importanti e nelle strade dello shopping delle principali città. La
distribuzione multimarca2 sta iniziando a svilupparsi solo recentemente e ciò potrà
agevolare innanzitutto le imprese di piccole medie dimensioni, che finalmente
potranno trovare un canale distributivo economicamente sostenibile in cui proporsi.
Per quanto concerne il settore casa e arredo, secondo il rapporto Unicredit e
Accenture (2012) i canali distributivi più utilizzati sono i negozi non specializzati e i
negozi specializzati in arredamento. È un settore in cui i retailer sono ancora
prevalentemente locali, con poche eccezioni come Ikea. Come per l’abbigliamento,
una delle possibili strategie a disposizione delle imprese, è rendere il punto vendita il
tempio della marca, spiegare il prodotto e utilizzare il Made in Italy come legame a
qualcosa di identificativo nella mente del consumatore cinese, per quanto l’immagine
paese possa ancora risultare confusa.
          Da una recente indagine su questi tre principali settori, è emerso che il
ricorso al Made in Italy nel punto vendita è ancora poco sviluppato in Cina
(Checchinato, Hu e Vescovi, in press). Gli elementi di richiamo sono spesso banali
(testi, bandiere, colori…) e poco attrattivi per il consumatore che nel Made in Italy
dovrebbe poter trovare una storia da trasmettere ai prodotti.

                                                          3. Metodologia

        La metodologia adottata è di tipo qualitativo e consiste nell’intervista in
profondità a manager di cinque aziende italiane con strutture retail operanti in Cina.
Questa metodologia ha permesso di ottenere una visione d’insieme sulle possibilità
per la marca di utilizzare il punto vendita come canale di comunicazione nel mercato
cinese.

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
   	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
2
        Fashion Magazine 25_11_2011, p. 17.

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In particolare, sono stati intervistati: 1) un gestore di retail (Gruppo RDM-
Fingen), al fine di individuare come vengono realizzati i centri commerciali in Cina,
dove trovano collocazione le marche internazionali; 2) il manager della divisione
“Tessuti” e il Retail coordinator di Loro Piana, per comprendere le peculiarità di un
brand operante contemporaneamente nel BTB e nel BTC; 3) la Marketing manager di
Arrex, l’Export manager responsabile della Cina e la General manager dello store di
Shanghai per approfondire il ruolo della distribuzione nel settore cucine; 4) il General
manager di Ferrero Cina, per avere un quadro approfondito della distribuzione
multimarca nel dettaglio moderno e GDO; 5) l’Amministratore delegato di Inglesina e
l’importatore cinese, per comprendere come le marche che vendono tramite
importatore vengono comunicate nei punti vendita multimarca, con particolare
riferimento ai department store.

         4. I casi analizzati

         4.1 Gruppo RDM-Fingen

           Il gruppo immobiliare RDM-Fingen ha aperto gli spazi commerciali outlet di
Florentia Village nel giugno 2011 in collaborazione con un partner cinese dal quale
era partita l’idea iniziale. Si tratta di un conglomerato di 158 punti vendita (dati
aggiornati ad aprile 2013) situato nella città di Wuqing, in una posizione strategica a
metà strada fra Pechino e Tianjin, di fronte alla fermata dei treni ad alta velocità. Il
complesso è suddiviso in quattro zone: lifestyle, casual, sportwear e luxury. Da
richiesta specifica del partner cinese, il centro commerciale è stato
architettonicamente concepito per richiamare le città e i monumenti italiani,
soprattutto quelli di Firenze, Venezia e Roma. Sono presenti una riproduzione del
Canal Grande e una del Colosseo, sotto i cui portici sono collocati gli store della zona
luxury.
           L’italianità, oltre che attraverso l’architettura, viene trasmessa tramite attività
di marketing (eventi, mostre tematiche) e il cibo (sono presenti un ristorante italiano e
una caffetteria). Secondo il manager di RDM-Fingen intervistato, «la cultura del cibo
italiano si sta ora rafforzando in Cina, sta diventando un mercato educato. Per
esempio, il ristorante italiano richiama molti clienti anche oltre l’orario di apertura dei
negozi». Complessivamente i brand presenti sono per l’80% occidentali e italiani,
mentre il rimanente 20% è costituito da brand cinesi o asiatici. All’interno dei negozi
italiani il richiamo al Made in Italy è in realtà poco presente, sia nell’arredamento sia
nei materiali di comunicazione. Il 10% del fatturato dell’outlet deriva dalle vendite
del settore lusso con anchor brand quali Prada, Ferragamo, Gucci, Burberry e Bottega
Veneta, la cui presenza risulta fondamenta per l’avvio dell’intero complesso.
           La formula di Florentia Village si è rivelata di grande successo: nel 2012,
infatti, il complesso commerciale è stato visitato da 2 milioni di persone ed è riuscito
a trainare lo sviluppo di Wuqing, prima centro industriale, e ora nuovo polo di
sviluppo. RDM-Fingen attualmente sta svolgendo lavori di ampliamento della

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struttura per ospitare nuovi brand. Inoltre, sta progettando l’apertura di nuovi outlet in
altre città, tra cui Shanghai (nell’area Pudong) e Shenzhen.

         4.2 Loro Piana

          Loro Piana è un brand specializzato nell’abbigliamento di alto livello, che
opera nel mercato cinese attraverso i canali sia BTB che BTC. Per avere un quadro
completo del modello di business dell’azienda, sono state effettuate due interviste,
una con il manager della divisione “Tessuti”, e l’altra con la Retail coordinator China
del gruppo.
          L’ingresso dell’azienda in Cina è avvenuto nel 1992. L’entrata nel mercato si
è rivelata un fallimento a causa di un partner sbagliato e delle caratteristiche del
mercato stesso, che all’epoca non era ancora maturo. L’azienda si è quindi ritirata dal
mercato cinese diretto e ha operato attraverso Hong Kong. La successiva entrata nel
mercato è avvenuta nel 2001 in modo diretto iniziando a vendere tessuti a operatori
professionali cinesi, prima attraverso un ufficio di rappresentanza e poi con la
costituzione di una WFOE (Wholly Foreign Owned Enterprise) nel 2007.
          I tessuti Loro Piana sono totalmente prodotti in Italia. I clienti della divisione
Tessuti sono rappresentati da confezionisti locali di fascia alta. Si tratta di marche
cinesi che si possono dividere in Pure Chinese brands (con nome cinese) e Global
brands (con nomi European Sound). Per quanto riguardala divisione “Retail”, Loro
Piana possiede 8 negozi in Cina, tra cui punti vendita a Shanghai, Pechino, Hangzhou,
Nanchino e Shenyang. Se si considerano anche Macao, Taiwan, Hong Kong, vi sono
circa 20 punti vendita nell’area Greater China. Inoltre, all’inizio di maggio 2013 è
stato aperto il sito web dedicato all’e-commerce. La location dei punti vendita viene
scelta sulla base di popolazione, reddito e presenza delle marche principali del lusso.
All’interno del negozio di Shanghai, prevale un’atmosfera europea, mentre non c’è
nessun riferimento diretto al Made in Italy. L’unico materiale di comunicazione
presente nello store è un libro fotografico sul viaggio che ogni anno Loro Piana
compie in Mongolia per acquistare il baby cashmere. Nel rapporto col consumatore,
secondo il Retail coordinator, «Loro Piana non si identifica come un “fashion brand”
quale Gucci o Luis Vuitton, ma si considera un “luxury brand” basato sulla qualità e
l’innovazione».
          Le attività di marketing non vengono implementate in maniera massiccia,
tuttavia, oltre a strumenti più classici (pubblicità classica o advertorials su magazine
per raccontare la storia del brand), sono contraddistinte da una modalità esclusiva di
comunicazione col consumatore (es. inviti a concerti riservati a VIP). Mentre nel B2B
il valore del Made in Italy è ben chiaro ai clienti, nel B2C è ancora confuso in una
percezione brand “occidentale” più generale.
          In riferimento al ruolo del venditore, per Loro Piana egli rappresenta un
brand ambassasor, infatti «non solo possiede la capacità di vendita, ma fornisce
anche conoscenza sul brand». In questo senso una formazione e addestramento
specifici sul valore della marca e sull’immagine paese sarebbe necessaria. Mentre il
primo aspetto viene curato, il secondo viene ignorato.

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4.3 Arrex

          Arrex è un’azienda produttrice di cucine operante in Cina dal 2002, dove
possiede sette showroom e vende i propri prodotti a consumatori finali sia
direttamente sia tramite arredatori. I punti vendita Arrex richiamano volutamente il
Made in Italy attraverso i prodotti esposti e poster che raccontano la storia
dell’azienda in lingua cinese. Inoltre, si organizzano eventi/presentazioni a clienti,
stampa e dimostrazioni culinarie, nelle quali viene fatto percepire l’Italian style
insegnando come si cucinano i piatti italiani e anche offrendo vino italiano ai
partecipanti.
          Nel mercato cinese lo sviluppo del settore cucine è piuttosto recente.
Tradizionalmente la cucina cinese è un luogo piccolo e nascosto, per questo il cliente
non conosce l’arredamento della cucina occidentale come prodotto. Di conseguenza,
lo staff del negozio assume un’importanza fondamentale nel guidare il cliente passo
dopo passo nella scelta e anche nella fase di post-vendita per l’utilizzo e l’assistenza.
In questo contesto il prodotto “cucina italiana” si è adattato alle usanze locali, ma le
sta anche modificando. Infatti, se da una parte i fornelli possiedono 3 o 5 fuochi di
maggiori dimensioni, con un fuoco molto grande in mezzo, per adattarsi al modo di
cucinare cinese, dall’altra parte, «nel cliente cinese sta avvenendo un processo di
cambiamento. La cucina italiana fa cambiare il modo di vivere la casa, ora si passa
più tempo in cucina rispetto a prima, per questo a cucina si sta trasformando da luogo
di lavoro a luogo sociale».
          Attualmente le principali tendenze nel mercato cinese delle cucine sono due:
una verso uno stile tradizionale e l’altra verso l’high-tech e la domotica. La prima
tendenza è positiva per le aziende italiane poiché i costruttori cinesi non possiedono
ancora le competenze per produrre le parti artigianali della cucina (es. lavorazione del
legno). Per questo motivo «i cinesi facoltosi preferiscono lo stile tradizionale che solo
gli italiani riescono a realizzare, mentre le cucine dal design moderno risultano facili
da imitare, possono essere prodotte da tutti (tedeschi, americani, cinesi). Inoltre, al
contenitore tradizionale può essere comunque aggiunta un’anima tecnologica».
          I maggiori competitor nel mercato cinese sono rappresentati da aziende
italiane e tedesche. Tuttavia, rispetto alla concorrenza, secondo i manager intervistati,
il punto di forza di Arrex consiste nel fatto che «il cliente cinese preferisce la cucina
tradizionale rispetto a quella moderna perché possiede una storia». Lo storytelling è
un processo fondamentale di comunicazione e valorizzazione della marca e del
prodotto.

         4.4 Ferrero

         L’entrata di Ferrero nel mercato cinese inizia da Hong Kong negli anni
Novanta. Successivamente, nel 2007, l’azienda ha registrato la legal entity in Cina e
l’anno successivo ha aperto la filiale a Shanghai.

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Le linee di prodotti Ferrero commercializzate in Cina sono due: le praline e
la linea Kinder, entrambe completamente importate dall’Italia per mantenere la
percezione di qualità elevata. La distribuzione avviene solo tramite dettaglio moderno
perché permette di assicurare il livello di servizio richiesto. L’assortimento è stato
adeguato per il mercato cinese, con particolare adattamento del packaging Rocher
(per la funzione regalo). L’azienda ha ottenuto un forte successo nel mercato cinese
trainato proprio da questo prodotto, che è diventato uno degli oggetti più
comunemente usati come dono dai Cinesi nei momenti di festa. La pralina Rocher,
infatti, grazie al suo design e i suoi colori, è coerente con la cultura cinese, e viene
considerata dalla middle-aspirational class cinese il prodotto “per non perdere la
faccia” nei momenti di scambio regalo, per questo «i prodotti degli imitatori hanno
poco spazio di mercato».
          Alcuni punti in comune tra Italia e Cina che hanno favorito il successo di
Ferrero nel mercato cinese consistono nel valore dell’heritage - carattere di
un’azienda quale Ferrero che viene apprezzato poiché rappresenta un elemento
positivo per la cultura cinese; nell’importanza della famiglia, la convivialità, e
l’importanza dei pasti. Secondo il General manager di Ferrero, nel settore food il
concetto d’italianità deve essere sviluppato su tre dimensioni: l’esperienza del
prodotto (dare possibilità di assaggio), la vendita del prodotto (è importante quindi
migliorare la qualità di vendita) e il training sulla cucina (food e vino).
          Gioca a svantaggio dei prodotti italiani la catena distributiva, nella quale
operano grandi retailer locali e stranieri (soprattutto francesi), ma non distributori
italiani che facilitino la distribuzione dei prodotti dall’Italia.

         4.5 Inglesina

          L’ingresso nel mercato cinese da parte di Inglesina è avvenuto nel 2001
attraverso un importatore unico, For-U, con sede a Shanghai. I principali canali
distributivi del settore baby-carriage (che comprende carrozzine, passeggini e
seggiolini auto) della fascia medio-alta sono rappresentati da: corner specializzati in
department store e negozi monomarca concentrati solitamente all’interno di un intero
piano dedicato all’infanzia di uno shopping mall. Gli operatori appartenenti a questa
fascia di prezzo sono quasi tutti internazionali, con l’eccezione di Goodbaby, azienda
cinese leader di mercato (Checchinato, Hu, Perri e Vescovi, 2013).
          Nel mercato cinese il settore baby-carriage possiede forti peculiarità,
soprattutto dovute alla politica del figlio unico. Data la centralità del bambino
all’interno della famiglia, i prodotti relativi all’infanzia sono contraddistinti negli
ultimi anni da una continua crescita, registrata per l’anno 2011 al 17% (Euromonitor,
2012). In secondo luogo, il passeggino rappresenta un prodotto nuovo per le
consumatrici cinesi, in quanto è stato introdotto solo negli anni Novanta, per questo il
ruolo del punto vendita è fondamentale per testare il prodotto ed effettuare la scelta di
acquisto. Il prodotto viene solitamente acquistato dai genitori stessi o da parte dei
nonni e degli amici nella forma di regalo. Nel secondo caso, la marca e la provenienza
del prodotto possono influenzarne maggiormente la scelta finale.

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Nel processo d’acquisto il personale del negozio non possiede solo la
funzione di vendita, ma svolge attività rilevanti quali la presentazione del prodotto
passeggino e del brand stesso. Il Made in Italy fa parte degli argomenti usati dal
venditore, e viene inoltre sottolineato attraverso elementi fisici del negozio (testi e
immagini riprese dalle campagne pubblicitarie di Inglesina usate in Italia). Al fine di
innalzare l’immagine della marca in un mercato relativamente nuovo, secondo il
distributore cinese di Inglesina, sarebbe efficace «raccontare la storia la marca anche
in forme di “documentario”, da trasmettere attraverso media tradizionali e non».

         5. Principali risultati della ricerca

        La ricerca ha permesso di evidenziare i seguenti aspetti, che andranno
confermati in futuro con una ricerca più approfondita sulle singole ipotesi emerse.
                • l’experience italiana e il lifestyle italiano richiamano l’attenzione
      nel consumatore cinese, ma sono vissuti soprattutto fuori dal punto vendita,
      attraverso l’architettura e gli spazi decorativi della struttura dove sono collocati
      (centro commerciale o aree urbane dedicate allo shopping), e non all’interno
      del negozio poiché il richiamo al country of origin potrebbe oscurare la marca.
      L’Italian lifestyle potrebbe quindi essere utilizzato come “contenitore di
      marche”, che in questo modo acquisiscono alcune associazioni legate al Made
      in Italy, ma non ne vengono prevaricate;
                • se il consumatore non è abbastanza educato e la marca non
      sufficientemente nota per godere di una buona brand awareness, nel punto
      vendita viene enfatizza anche l’origine del prodotto con immagini, testi e
      colori che richiamano al Paese d’origine;
                • il consumatore educato non ha la necessità di avere una
      comunicazione in store del “Made in” poiché lo conosce già. In questi casi per
      la marca è più importante la location del punto vendita che è una
      dimostrazione di forza;
                • il ruolo del venditore è fondamentale per spiegare gli aspetti
      funzionali dei prodotti, soprattutto nei mercati non educati (caso delle cucine e
      del passeggino), mentre in quelli più sofisticati il venditore rappresenta un
      brand ambassador che aiuta a trasmetterne i valori (come nel caso di Loro
      Piana);
                • il consumatore cinese percepisce prevalentemente il concetto di
      Occidente o di Europa piuttosto che di Italia, anche se per alcune categorie di
      prodotti avviene un’associazione più precisa;
                • le marche italiane soffrono della mancanza di gruppi distributivi
      forti, pertanto sono ridotte le opportunità d’ingresso tramite la grande
      distribuzione lasciando ad altri paesi il primato di notorietà e presenza;
                • Nei mercati non pienamente educati nella conoscenza di marche,
      prodotti e country of origin, l’importanza del “Made in” è prevalente a monte
      verso il B2B.

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6. Conclusioni e implicazioni manageriali

          La ricerca evidenzia come sia forte il legame tra struttura distributiva al
dettaglio e valore percepito della marca. Il fenomeno è noto in letteratura, ma
acquisisce nuove dimensioni e particolarità nei nuovi mercati e in particolare in quelli
che presentano un insieme maggiore di distanze (geografiche, culturali, dimensionali,
storiche, economiche ecc.) come il mercato cinese, che può essere considerato un
esempio di scuola.
          Nello sviluppo del valore di marca le imprese italiane presenti nei settori
classici dei beni di consumo di riferimento del nostro paese (alimentare,
abbigliamento, arredamento) hanno sempre trovato un punto di forza nella
evidenziazione del paese di origine, come garanzia di tradizione qualitativa superiore.
Ciò risulta concettualmente ancor più vero in mercati di recente formazione, dove le
marche devono costruirsi notorietà e reputazione partendo da zero. Tale problema non
esiste solo per le marche di prodotti, ma anche per il brand ombrello rappresentato
dall’immagine paese, da cui deriva il valore del “Made in”.
          Infatti l’immagine paese che l’Italia ha in ambito internazionale è il frutto di
decenni di presenza e utilizzo di tali prodotti da parte dei consumatori dei diversi
paesi e, inoltre, spesso dalla loro esperienza diretta di Italia e di Italian lifestyle.
Pensare che questo sia un dato di fatto e un background costante nei mercati di
recente apertura o culturalmente lontani è quanto meno naïve. In realtà la Cina
evidenzia la grande difficoltà di riconoscere le caratteristiche country of origin di un
paese solo recentemente avvicinato e la ragionevole semplificazione di costruire
un’immagine di Area-Paesi (Occidente, Europa), piuttosto che misurarsi con la
grande difficoltà di doversi costruire in breve tempo diverse corrette immagini paese
(10-15 per la sola Europa). L’immagine del paese d’origine si presenta in tali mercati
quanto meno confusa, imprecisa, sovrapposta.
          La costruzione pianificata e il rafforzamento di una marca ombrello, come
quella rappresentata dal Paese di origine, costituirebbe una piattaforma di base per la
costruzione del valore di marche per i diversi operatori italiani sui mercati di consumo
culturalmente lontani. Una modalità “quotidiana” e di facile esperienza per il
consumatore è certamente rappresentata dal punto vendita. D’altra parte, la
costruzione di un valore di marca comune, rappresentato dal Made in Italy non può
essere affrontato singolarmente dalle imprese, sia per l’entità dimensionale dello
sforzo richiesto, sia per il carattere collettivo del beneficio che ne deriva. La questione
da risolvere è rappresentata da come accelerare un processo che ha richiesto molti
decenni nei mercati tradizionali delle esportazioni italiane. Nella ricerca (caso
dell’outlet Florentia Village) è risultato evidente come una soluzione percorribile sia
rappresentata da aggregatori di distribuzione al dettaglio (mall, outlet, department
store) che possono basare la propria proposta competitiva proprio sul paese d’origine
dei prodotti, ottenendo il doppio risultato: a) diretto, di costruire un vantaggio
competitivo fondato sul paese d’origine; b) indiretto, essere diffusori della conoscenza
del Made in Italy. La ricerca evidenzia come al di fuori di questi aggregatori
distributivi le singole marche utilizzano i punti vendita concentrandosi sui propri

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aspetti distintivi, per rispondere a una competizione diretta, utilizzando una strategia
di mirroring (Pontiggia e Vescovi, 2013) che porta a replicare seguendo un concetto
semplificato di globalizzazione, le forme utilizzate in molti altri mercati, non
considerando la differenza sulle conoscenze e percezioni di base dei clienti. Sono
quindi formati che si sono sviluppati in un contesto di mercato dove l’immagine di
paese di origine era molto più chiara e definita, mentre ora vengono replicati in una
realtà dove questo non esiste e ne risultano quindi molto più confusi. Non esiste
all’interno del punto vendita una strategia di storytelling dedicata e pensata al paese in
cui si trova il negozio, alla cultura del consumatore, al suo livello di comprensione e
conoscenza dei prodotti. Le marche quindi finiscono per mancare di agganci culturali
e valoriali forti.
          Il risultato è che le singole marche italiane finiscono per rendere meno
efficace lo sforzo inteso alla loro promozione credendo di perseguire una strada più
efficiente. Entrano cioè in un loop che potremmo definire della “trappola della
competizione non cooperativa”. Si tratta della situazione in cui si pensa più alla
competizione diretta che a una collaborazione di sviluppo comune del mercato. Se
questa strategia può essere comprensibile e corretta in un mercato tradizionale e
consolidato, appare inadatta a un nuovo mercato. Si tratta quindi di una mera
competizione che costruisce la percezione di categorie di valore per le marche di
carattere generale, che avvicinano il nuovo cliente alla comprensione dei vantaggi che
tali marche rappresentano nella loro generalità. In un momento competitivo
successivo combatteranno poi tra loro per la conquista finale del cliente. Ciò non
avviene per altri paesi come la Francia e la Germania, che si preoccupano innanzitutto
di costruire un’immagine paese forte e successivamente di competere, come risulta
evidente nel settore alimentare e moda (Francia) e nei settori automotive e meccanica
(Germania).
          Una prima indicazione di policy andrebbe quindi diretta sia alle istituzioni
che si occupano di favorire lo sviluppo internazionale delle imprese italiane, sia alle
imprese stesse. Dovrebbe essere sviluppata una strategia di storytelling sul made in
Italy, sull’immagine paese Italia che possa essere ripreso e rafforzato dalle singole
marche all’interno dei punti vendita propri su alcuni valori comuni e forti da proporre
con continuità.
          Una seconda indicazione, indirizzata ai manager delle imprese che
desiderano operare e rafforzarsi sui nuovi mercati internazionali, è quella di rafforzare
la cooperazione competitiva nella prima fase di ingresso in tali mercati. Si intende che
sia importante la cooperazione, più forse della competizione, nel medio periodo per
sviluppare la competenza del mercato e la capacità di comprendere il valore dei
prodotti offerti. Una volta educato il mercato si potrà ritornare a una competizione
diretta. I nuovi mercati, le loro dimensioni, la necessità di educare i nuovi clienti alla
comprensione dell’offerta e al suo valore richiedono un approccio cooperativo di
medio-lungo termine per la costruzione del mercato, successivamente si competerà
per la sua divisione.

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