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Il ruolo del punto vendita come strumento d’immagine di marca nel mercato cinese* Abstract Nei nuovi grandi mercati come quello cinese il punto vendita assume un ruolo rilevante nella costruzione dell’immagine di marca, in special modo se la marca è appena entrata in quel mercato. Il punto vendita può favorire la conoscenza e il posizionamento di una marca, essere prova tangibile della sua forza e dei suoi valori, può anche influenzare il processo di acquisto. È dunque fondamentale adottare strategie adeguate sia nella scelta del format distributivo sia negli elementi che formano la store image. Obiettivo di questo paper è analizzare come le marche italiane utilizzano lo strumento del punto vendita per trasmettere l’immagine di marca nel mercato cinese. Verranno presi in considerazione cinque casi aziendali (Gruppo RDM-Fingen, Arrex, Loro Piana, Ferrero e Inglesina), analizzando le strategie adottate in termini di format distributivo e comunicazione nel punto vendita. Tra gli elementi indagati, particolare attenzione verrà dato al ruolo della percezione del Made in Italy nell’influenzare un’immagine positiva di marca all’interno del punto vendita. Keywords: retail; immagine di marca; Cina; Made in Italy 1. Introduzione La marca rappresenta uno dei principali asset aziendali la cui immagine si costruisce nel tempo grazie agli investimenti in comunicazione da parte dell’impresa (Aaker, 1996; Kapferer, 1997; Keller, 2003). Accanto ai mezzi di comunicazione di massa, le imprese ricorrono sempre più al punto vendita come strumento integrato di comunicazione. Nei nuovi mercati il consumatore è spesso poco abituato alle marche e non conosce le caratteristiche di alcune categorie di prodotto, è necessario quindi dare prova tangibile della forza della marca e della qualità dei prodotti che essa rappresenta e una delle principali modalità è rappresentata dal punto vendita. Soprattutto nei mercati in cui la marca è entrata di recente, il punto vendita diviene uno strumento strategico (assumendo spesso la forma di flagship store in determinati luoghi delle città), che permette di costruire velocemente brand awareness e ottenere un premium positioning (Surchi, 2011). Il contesto cinese rappresenta per i brand internazionali un mercato relativamente nuovo rispetto a quelli tradizionali, nel quale il punto vendita può favorire fortemente lo sviluppo dell’immagine di marca (Checchinato, 2011). Di * Lala Hu, Francesca Checchinato e Tiziano Vescovi. International Management to Asia Laboratory, Dipartimento di Management, Università Ca’ Foscari Venezia. Cannaregio 873, 30121Venezia. E-mail: imalab@unive.it, tel. 041-2348741. 1
conseguenza, obiettivo del paper è verificare come le marche italiane utilizzano il punto vendita per veicolare l’immagine di marca in questo mercato. 2. La letteratura di riferimento 2.1 Il ruolo del punto vendita Tra i vari strumenti di comunicazione per trasmettere l’immagine della marca, il punto vendita sta assumendo negli ultimi anni un ruolo sempre più importante. Tale rilevanza può essere ricondotta a due principali ragioni: 1) la sua trasformazione in luogo esperienziale e di intrattenimento; 2) il suo essere “luogo tangibile”, uno spazio dove la marca dà prova della sua reale esistenza. Per quanto concerne il primo aspetto, è noto (Vescovi e Checchinato, 2004; Pastore e Vernuccio, 2008) che il punto vendita si sia trasformato da semplice Point of sale a Point of Permanence, luogo in cui trascorrere il tempo, vivere esperienze e acquistare prodotti. Negli anni ’70-’80, infatti, inizia a farsi strada il concetto di consumo edonistico (Holbrook e Hirschman, 1982) dove gli aspetti esperienziali assumono un ruolo importante nel comportamento d’acquisto. Tali aspetti vengono guidati e stimolati dai fattori ambientali (Mehrabian e Russell, 1974) e quindi il punto vendita si trasforma in teatro nel quale far vivere un’esperienza, un vissuto che spesso è legato alla marca che lo trasmette (Gilmore e Pine, 1999). Per quanto concerne il secondo punto, è da notare come nel contesto di mercato attuale, il consumatore riceva un numero sempre maggiore di stimoli e si trovi di fronte a numerose marche, spesso poco note, se non sconosciute, di cui deve comprenderne qualità e valori. In tale situazione, che nei mercati recentemente emersi come quello cinese è ancor più estrema, il punto vendita diventa la prova della forza e dell’esistenza della marca (Checchinato, 2011) e ne può trasmettere i valori. Il ruolo del punto vendita e del distributore può divenire quindi fondamentale nel decretare il successo o il fallimento della marca (Kapferer, 1997; Nicholson, Clarke e Blakemore, 2002). Se sono importanti il luogo, l’esposizione dell’assortimento, l’atmosfera e altri elementi che compongono la store image (Hu e Jasper, 2010), ecco che il format distributivo diviene una scelta strategica per trasmettere l’immagine stessa di marca (Jacoby e Mazursky, 1984; Mulhern, 1997; Shergill e Chen, 2008) e rappresenta l’interfaccia tra il consumatore e l’impresa (Doyle, Moore, Doherty e Hamilton, 2008). Come conferma la letteratura sui flagship store, tale interfaccia è così rilevante che spesso vengono scelti tali format distributivi in modo che vi sia una corretta comunicazione dell’immagine di marca (Nobbs, Moore e Sheridan, 2012) e veicolazione dei valori. Il flagship inoltre assume un ruolo importante nei processi d’internazionalizzazione, poiché è uno strumento di comunicazione in grado di creare brand reputation in quanto sorge spesso in edifici lussuosi, nelle strade principali delle più importanti città (Moore, Fernie e Burt, 2000) e quindi dimostra la forza della marca e dell’impresa che la sostiene. 2
Al tempo stesso, per aumentare la propria penetrazione nel territorio, le imprese sono costrette a utilizzare strategie multi-channel, utilizzando più format distributivi al fine di ottenere una buona copertura distributiva e soddisfare le esigenze sia funzionali sia esperienziali dei propri consumatori (Nicholson, Clarke e Blakemore, 2002; Reynolds, Ganesh, e Luckett, 2002). Nell’approcciarsi ai mercati internazionali, inoltre, è da sottolineare che nelle strategie di comunicazione, emerge anche un ulteriore elemento da enfatizzare nel luogo dove la marca è venduta: il country of origin (Chaney e Gamble, 2008). Le imprese si troveranno a dover decidere se utilizzare tale ulteriore attributo per la marca, come utilizzarlo e quale legame creare con la marca stessa (Checchinato, Hu e Vescovi, in press). 2.2 Il punto vendita in Cina Come rilevato da alcune recenti ricerche il principale problema percepito dalle imprese italiane che vogliono vendere i propri prodotti nel mercato cinese è rappresentato dall’affidabilità del partner distributivo (Vianelli, De Luca e Pegan, 2012), dimostrando quindi come sia proprio la distribuzione un fattore chiave. Sebbene considerato un Paese ormai sviluppato, non è ancora possibile parlare di Cina come un unico mercato omogeneo, forti sono infatti le differenze interne che si riflettono in modo evidente anche sulla distribuzione commerciale e sullo sviluppo del sistema distributivo nel suo complesso. Non solo differenze tra aree rurali e città, ma anche tra i diversi livelli di città (tier) (Casaburi, 2008; Madden, 2007; Rayburn e Conrad, 2004). L’ingresso nel WTO nel 2001 ha sicuramente dato forza agli investimenti esteri nel sistema distributivo cinese (Vianelli, De Luca e Pegan, 2012), ma si tratta ancora di un processo in pieno sviluppo. Stando ai dati Euromonitor (2011), saranno i format distributivi moderni a crescere a discapito dei piccoli dettaglianti indipendenti anche per l’ingresso sempre più massiccio dei grandi leader mondiali anche nelle città di secondo e terzo livello (Krafft e Mantrala, 2010). In generale i Department store sono i format prevalenti, utilizzati dal segmento dei cosiddetti “white collars” come luogo di relax dove passare il tempo (Euromonitor, 2011). Anche gli shopping mall hanno avuto e stanno avendo un forte sviluppo, tra il 2001 e il 2015 sono cresciuti dell’893%1 e sono localizzati prevalentemente nelle zone costiere. I prodotti ad alto valore simbolico per il Made in Italy in Cina (abbigliamento e accessori, arredo e alimentare) portano per loro natura a scelte distributive differenti, ma richiedono tutti un buon presidio dell’ultimo anello della catena distributiva per arrivare a un consumatore, quello cinese, che spesso non conosce il prodotto. Per quanto concerne il settore alimentare, la scelta distributiva deve tener conto dell’abitudine di spesa spesso legata al “one stop shop”, come un ipermercato o un supermercato, preferiti per il 56,2% delle occasioni di acquisto. La scelta del punto vendita avviene infatti soprattutto per motivazioni funzionali: prossimità e fedeltà al negozio (Unicredit e Accenture, 2012). In questo settore si 1 http://english.mallchina.net/new_5413.shtml (ultimo accesso 12/07/2013) 3
stanno affermando i format occidentali, grazie agli investitori sia locali sia stranieri che stanno sfruttando il potenziale del mercato, con una netta prevalenza di operatori francesi e americani. I principali distributori (Planetretail, 2011) sono infatti cinesi (China Resources Enterprise al primo posto, seguito da Lianhua Supermarket Holdings Co.) francesi e americani (Auchan, Wal Mart e Carrefour). Il prodotto italiano si trova quindi fianco a fianco con altri prodotti stranieri, spesso nel reparto “imported product”, senza la possibilità di essere spiegato al consumatore, finendo per alzare le barriere all’acquisto. Per farsi riconoscere in questi casi le imprese possono ricorrere a due principali strategie: il richiamo al “Made in” Italy (Checchinato, Hu e Vescovi, in press) o un forte investimento in comunicazione nel punto vendita, acquistando spazio (scaffali) e, quindi, visibilità perché il consumatore cinese è sensibile al brand (Niu et al., 2012). Per quanto concerne il settore fashion, il mercato cinese è dominato da shopping mall e department store. In un mercato dove il brand è un elemento di status e una delle ragioni principali per le quali il consumatore è disposto a pagare un premium price, le imprese investono per avere alta visibilità, che dal punto di vista retail significa negozi monomarca e flagship store, soprattutto negli shopping mall più importanti e nelle strade dello shopping delle principali città. La distribuzione multimarca2 sta iniziando a svilupparsi solo recentemente e ciò potrà agevolare innanzitutto le imprese di piccole medie dimensioni, che finalmente potranno trovare un canale distributivo economicamente sostenibile in cui proporsi. Per quanto concerne il settore casa e arredo, secondo il rapporto Unicredit e Accenture (2012) i canali distributivi più utilizzati sono i negozi non specializzati e i negozi specializzati in arredamento. È un settore in cui i retailer sono ancora prevalentemente locali, con poche eccezioni come Ikea. Come per l’abbigliamento, una delle possibili strategie a disposizione delle imprese, è rendere il punto vendita il tempio della marca, spiegare il prodotto e utilizzare il Made in Italy come legame a qualcosa di identificativo nella mente del consumatore cinese, per quanto l’immagine paese possa ancora risultare confusa. Da una recente indagine su questi tre principali settori, è emerso che il ricorso al Made in Italy nel punto vendita è ancora poco sviluppato in Cina (Checchinato, Hu e Vescovi, in press). Gli elementi di richiamo sono spesso banali (testi, bandiere, colori…) e poco attrattivi per il consumatore che nel Made in Italy dovrebbe poter trovare una storia da trasmettere ai prodotti. 3. Metodologia La metodologia adottata è di tipo qualitativo e consiste nell’intervista in profondità a manager di cinque aziende italiane con strutture retail operanti in Cina. Questa metodologia ha permesso di ottenere una visione d’insieme sulle possibilità per la marca di utilizzare il punto vendita come canale di comunicazione nel mercato cinese. 2 Fashion Magazine 25_11_2011, p. 17. 4
In particolare, sono stati intervistati: 1) un gestore di retail (Gruppo RDM- Fingen), al fine di individuare come vengono realizzati i centri commerciali in Cina, dove trovano collocazione le marche internazionali; 2) il manager della divisione “Tessuti” e il Retail coordinator di Loro Piana, per comprendere le peculiarità di un brand operante contemporaneamente nel BTB e nel BTC; 3) la Marketing manager di Arrex, l’Export manager responsabile della Cina e la General manager dello store di Shanghai per approfondire il ruolo della distribuzione nel settore cucine; 4) il General manager di Ferrero Cina, per avere un quadro approfondito della distribuzione multimarca nel dettaglio moderno e GDO; 5) l’Amministratore delegato di Inglesina e l’importatore cinese, per comprendere come le marche che vendono tramite importatore vengono comunicate nei punti vendita multimarca, con particolare riferimento ai department store. 4. I casi analizzati 4.1 Gruppo RDM-Fingen Il gruppo immobiliare RDM-Fingen ha aperto gli spazi commerciali outlet di Florentia Village nel giugno 2011 in collaborazione con un partner cinese dal quale era partita l’idea iniziale. Si tratta di un conglomerato di 158 punti vendita (dati aggiornati ad aprile 2013) situato nella città di Wuqing, in una posizione strategica a metà strada fra Pechino e Tianjin, di fronte alla fermata dei treni ad alta velocità. Il complesso è suddiviso in quattro zone: lifestyle, casual, sportwear e luxury. Da richiesta specifica del partner cinese, il centro commerciale è stato architettonicamente concepito per richiamare le città e i monumenti italiani, soprattutto quelli di Firenze, Venezia e Roma. Sono presenti una riproduzione del Canal Grande e una del Colosseo, sotto i cui portici sono collocati gli store della zona luxury. L’italianità, oltre che attraverso l’architettura, viene trasmessa tramite attività di marketing (eventi, mostre tematiche) e il cibo (sono presenti un ristorante italiano e una caffetteria). Secondo il manager di RDM-Fingen intervistato, «la cultura del cibo italiano si sta ora rafforzando in Cina, sta diventando un mercato educato. Per esempio, il ristorante italiano richiama molti clienti anche oltre l’orario di apertura dei negozi». Complessivamente i brand presenti sono per l’80% occidentali e italiani, mentre il rimanente 20% è costituito da brand cinesi o asiatici. All’interno dei negozi italiani il richiamo al Made in Italy è in realtà poco presente, sia nell’arredamento sia nei materiali di comunicazione. Il 10% del fatturato dell’outlet deriva dalle vendite del settore lusso con anchor brand quali Prada, Ferragamo, Gucci, Burberry e Bottega Veneta, la cui presenza risulta fondamenta per l’avvio dell’intero complesso. La formula di Florentia Village si è rivelata di grande successo: nel 2012, infatti, il complesso commerciale è stato visitato da 2 milioni di persone ed è riuscito a trainare lo sviluppo di Wuqing, prima centro industriale, e ora nuovo polo di sviluppo. RDM-Fingen attualmente sta svolgendo lavori di ampliamento della 5
struttura per ospitare nuovi brand. Inoltre, sta progettando l’apertura di nuovi outlet in altre città, tra cui Shanghai (nell’area Pudong) e Shenzhen. 4.2 Loro Piana Loro Piana è un brand specializzato nell’abbigliamento di alto livello, che opera nel mercato cinese attraverso i canali sia BTB che BTC. Per avere un quadro completo del modello di business dell’azienda, sono state effettuate due interviste, una con il manager della divisione “Tessuti”, e l’altra con la Retail coordinator China del gruppo. L’ingresso dell’azienda in Cina è avvenuto nel 1992. L’entrata nel mercato si è rivelata un fallimento a causa di un partner sbagliato e delle caratteristiche del mercato stesso, che all’epoca non era ancora maturo. L’azienda si è quindi ritirata dal mercato cinese diretto e ha operato attraverso Hong Kong. La successiva entrata nel mercato è avvenuta nel 2001 in modo diretto iniziando a vendere tessuti a operatori professionali cinesi, prima attraverso un ufficio di rappresentanza e poi con la costituzione di una WFOE (Wholly Foreign Owned Enterprise) nel 2007. I tessuti Loro Piana sono totalmente prodotti in Italia. I clienti della divisione Tessuti sono rappresentati da confezionisti locali di fascia alta. Si tratta di marche cinesi che si possono dividere in Pure Chinese brands (con nome cinese) e Global brands (con nomi European Sound). Per quanto riguardala divisione “Retail”, Loro Piana possiede 8 negozi in Cina, tra cui punti vendita a Shanghai, Pechino, Hangzhou, Nanchino e Shenyang. Se si considerano anche Macao, Taiwan, Hong Kong, vi sono circa 20 punti vendita nell’area Greater China. Inoltre, all’inizio di maggio 2013 è stato aperto il sito web dedicato all’e-commerce. La location dei punti vendita viene scelta sulla base di popolazione, reddito e presenza delle marche principali del lusso. All’interno del negozio di Shanghai, prevale un’atmosfera europea, mentre non c’è nessun riferimento diretto al Made in Italy. L’unico materiale di comunicazione presente nello store è un libro fotografico sul viaggio che ogni anno Loro Piana compie in Mongolia per acquistare il baby cashmere. Nel rapporto col consumatore, secondo il Retail coordinator, «Loro Piana non si identifica come un “fashion brand” quale Gucci o Luis Vuitton, ma si considera un “luxury brand” basato sulla qualità e l’innovazione». Le attività di marketing non vengono implementate in maniera massiccia, tuttavia, oltre a strumenti più classici (pubblicità classica o advertorials su magazine per raccontare la storia del brand), sono contraddistinte da una modalità esclusiva di comunicazione col consumatore (es. inviti a concerti riservati a VIP). Mentre nel B2B il valore del Made in Italy è ben chiaro ai clienti, nel B2C è ancora confuso in una percezione brand “occidentale” più generale. In riferimento al ruolo del venditore, per Loro Piana egli rappresenta un brand ambassasor, infatti «non solo possiede la capacità di vendita, ma fornisce anche conoscenza sul brand». In questo senso una formazione e addestramento specifici sul valore della marca e sull’immagine paese sarebbe necessaria. Mentre il primo aspetto viene curato, il secondo viene ignorato. 6
4.3 Arrex Arrex è un’azienda produttrice di cucine operante in Cina dal 2002, dove possiede sette showroom e vende i propri prodotti a consumatori finali sia direttamente sia tramite arredatori. I punti vendita Arrex richiamano volutamente il Made in Italy attraverso i prodotti esposti e poster che raccontano la storia dell’azienda in lingua cinese. Inoltre, si organizzano eventi/presentazioni a clienti, stampa e dimostrazioni culinarie, nelle quali viene fatto percepire l’Italian style insegnando come si cucinano i piatti italiani e anche offrendo vino italiano ai partecipanti. Nel mercato cinese lo sviluppo del settore cucine è piuttosto recente. Tradizionalmente la cucina cinese è un luogo piccolo e nascosto, per questo il cliente non conosce l’arredamento della cucina occidentale come prodotto. Di conseguenza, lo staff del negozio assume un’importanza fondamentale nel guidare il cliente passo dopo passo nella scelta e anche nella fase di post-vendita per l’utilizzo e l’assistenza. In questo contesto il prodotto “cucina italiana” si è adattato alle usanze locali, ma le sta anche modificando. Infatti, se da una parte i fornelli possiedono 3 o 5 fuochi di maggiori dimensioni, con un fuoco molto grande in mezzo, per adattarsi al modo di cucinare cinese, dall’altra parte, «nel cliente cinese sta avvenendo un processo di cambiamento. La cucina italiana fa cambiare il modo di vivere la casa, ora si passa più tempo in cucina rispetto a prima, per questo a cucina si sta trasformando da luogo di lavoro a luogo sociale». Attualmente le principali tendenze nel mercato cinese delle cucine sono due: una verso uno stile tradizionale e l’altra verso l’high-tech e la domotica. La prima tendenza è positiva per le aziende italiane poiché i costruttori cinesi non possiedono ancora le competenze per produrre le parti artigianali della cucina (es. lavorazione del legno). Per questo motivo «i cinesi facoltosi preferiscono lo stile tradizionale che solo gli italiani riescono a realizzare, mentre le cucine dal design moderno risultano facili da imitare, possono essere prodotte da tutti (tedeschi, americani, cinesi). Inoltre, al contenitore tradizionale può essere comunque aggiunta un’anima tecnologica». I maggiori competitor nel mercato cinese sono rappresentati da aziende italiane e tedesche. Tuttavia, rispetto alla concorrenza, secondo i manager intervistati, il punto di forza di Arrex consiste nel fatto che «il cliente cinese preferisce la cucina tradizionale rispetto a quella moderna perché possiede una storia». Lo storytelling è un processo fondamentale di comunicazione e valorizzazione della marca e del prodotto. 4.4 Ferrero L’entrata di Ferrero nel mercato cinese inizia da Hong Kong negli anni Novanta. Successivamente, nel 2007, l’azienda ha registrato la legal entity in Cina e l’anno successivo ha aperto la filiale a Shanghai. 7
Le linee di prodotti Ferrero commercializzate in Cina sono due: le praline e la linea Kinder, entrambe completamente importate dall’Italia per mantenere la percezione di qualità elevata. La distribuzione avviene solo tramite dettaglio moderno perché permette di assicurare il livello di servizio richiesto. L’assortimento è stato adeguato per il mercato cinese, con particolare adattamento del packaging Rocher (per la funzione regalo). L’azienda ha ottenuto un forte successo nel mercato cinese trainato proprio da questo prodotto, che è diventato uno degli oggetti più comunemente usati come dono dai Cinesi nei momenti di festa. La pralina Rocher, infatti, grazie al suo design e i suoi colori, è coerente con la cultura cinese, e viene considerata dalla middle-aspirational class cinese il prodotto “per non perdere la faccia” nei momenti di scambio regalo, per questo «i prodotti degli imitatori hanno poco spazio di mercato». Alcuni punti in comune tra Italia e Cina che hanno favorito il successo di Ferrero nel mercato cinese consistono nel valore dell’heritage - carattere di un’azienda quale Ferrero che viene apprezzato poiché rappresenta un elemento positivo per la cultura cinese; nell’importanza della famiglia, la convivialità, e l’importanza dei pasti. Secondo il General manager di Ferrero, nel settore food il concetto d’italianità deve essere sviluppato su tre dimensioni: l’esperienza del prodotto (dare possibilità di assaggio), la vendita del prodotto (è importante quindi migliorare la qualità di vendita) e il training sulla cucina (food e vino). Gioca a svantaggio dei prodotti italiani la catena distributiva, nella quale operano grandi retailer locali e stranieri (soprattutto francesi), ma non distributori italiani che facilitino la distribuzione dei prodotti dall’Italia. 4.5 Inglesina L’ingresso nel mercato cinese da parte di Inglesina è avvenuto nel 2001 attraverso un importatore unico, For-U, con sede a Shanghai. I principali canali distributivi del settore baby-carriage (che comprende carrozzine, passeggini e seggiolini auto) della fascia medio-alta sono rappresentati da: corner specializzati in department store e negozi monomarca concentrati solitamente all’interno di un intero piano dedicato all’infanzia di uno shopping mall. Gli operatori appartenenti a questa fascia di prezzo sono quasi tutti internazionali, con l’eccezione di Goodbaby, azienda cinese leader di mercato (Checchinato, Hu, Perri e Vescovi, 2013). Nel mercato cinese il settore baby-carriage possiede forti peculiarità, soprattutto dovute alla politica del figlio unico. Data la centralità del bambino all’interno della famiglia, i prodotti relativi all’infanzia sono contraddistinti negli ultimi anni da una continua crescita, registrata per l’anno 2011 al 17% (Euromonitor, 2012). In secondo luogo, il passeggino rappresenta un prodotto nuovo per le consumatrici cinesi, in quanto è stato introdotto solo negli anni Novanta, per questo il ruolo del punto vendita è fondamentale per testare il prodotto ed effettuare la scelta di acquisto. Il prodotto viene solitamente acquistato dai genitori stessi o da parte dei nonni e degli amici nella forma di regalo. Nel secondo caso, la marca e la provenienza del prodotto possono influenzarne maggiormente la scelta finale. 8
Nel processo d’acquisto il personale del negozio non possiede solo la funzione di vendita, ma svolge attività rilevanti quali la presentazione del prodotto passeggino e del brand stesso. Il Made in Italy fa parte degli argomenti usati dal venditore, e viene inoltre sottolineato attraverso elementi fisici del negozio (testi e immagini riprese dalle campagne pubblicitarie di Inglesina usate in Italia). Al fine di innalzare l’immagine della marca in un mercato relativamente nuovo, secondo il distributore cinese di Inglesina, sarebbe efficace «raccontare la storia la marca anche in forme di “documentario”, da trasmettere attraverso media tradizionali e non». 5. Principali risultati della ricerca La ricerca ha permesso di evidenziare i seguenti aspetti, che andranno confermati in futuro con una ricerca più approfondita sulle singole ipotesi emerse. • l’experience italiana e il lifestyle italiano richiamano l’attenzione nel consumatore cinese, ma sono vissuti soprattutto fuori dal punto vendita, attraverso l’architettura e gli spazi decorativi della struttura dove sono collocati (centro commerciale o aree urbane dedicate allo shopping), e non all’interno del negozio poiché il richiamo al country of origin potrebbe oscurare la marca. L’Italian lifestyle potrebbe quindi essere utilizzato come “contenitore di marche”, che in questo modo acquisiscono alcune associazioni legate al Made in Italy, ma non ne vengono prevaricate; • se il consumatore non è abbastanza educato e la marca non sufficientemente nota per godere di una buona brand awareness, nel punto vendita viene enfatizza anche l’origine del prodotto con immagini, testi e colori che richiamano al Paese d’origine; • il consumatore educato non ha la necessità di avere una comunicazione in store del “Made in” poiché lo conosce già. In questi casi per la marca è più importante la location del punto vendita che è una dimostrazione di forza; • il ruolo del venditore è fondamentale per spiegare gli aspetti funzionali dei prodotti, soprattutto nei mercati non educati (caso delle cucine e del passeggino), mentre in quelli più sofisticati il venditore rappresenta un brand ambassador che aiuta a trasmetterne i valori (come nel caso di Loro Piana); • il consumatore cinese percepisce prevalentemente il concetto di Occidente o di Europa piuttosto che di Italia, anche se per alcune categorie di prodotti avviene un’associazione più precisa; • le marche italiane soffrono della mancanza di gruppi distributivi forti, pertanto sono ridotte le opportunità d’ingresso tramite la grande distribuzione lasciando ad altri paesi il primato di notorietà e presenza; • Nei mercati non pienamente educati nella conoscenza di marche, prodotti e country of origin, l’importanza del “Made in” è prevalente a monte verso il B2B. 9
6. Conclusioni e implicazioni manageriali La ricerca evidenzia come sia forte il legame tra struttura distributiva al dettaglio e valore percepito della marca. Il fenomeno è noto in letteratura, ma acquisisce nuove dimensioni e particolarità nei nuovi mercati e in particolare in quelli che presentano un insieme maggiore di distanze (geografiche, culturali, dimensionali, storiche, economiche ecc.) come il mercato cinese, che può essere considerato un esempio di scuola. Nello sviluppo del valore di marca le imprese italiane presenti nei settori classici dei beni di consumo di riferimento del nostro paese (alimentare, abbigliamento, arredamento) hanno sempre trovato un punto di forza nella evidenziazione del paese di origine, come garanzia di tradizione qualitativa superiore. Ciò risulta concettualmente ancor più vero in mercati di recente formazione, dove le marche devono costruirsi notorietà e reputazione partendo da zero. Tale problema non esiste solo per le marche di prodotti, ma anche per il brand ombrello rappresentato dall’immagine paese, da cui deriva il valore del “Made in”. Infatti l’immagine paese che l’Italia ha in ambito internazionale è il frutto di decenni di presenza e utilizzo di tali prodotti da parte dei consumatori dei diversi paesi e, inoltre, spesso dalla loro esperienza diretta di Italia e di Italian lifestyle. Pensare che questo sia un dato di fatto e un background costante nei mercati di recente apertura o culturalmente lontani è quanto meno naïve. In realtà la Cina evidenzia la grande difficoltà di riconoscere le caratteristiche country of origin di un paese solo recentemente avvicinato e la ragionevole semplificazione di costruire un’immagine di Area-Paesi (Occidente, Europa), piuttosto che misurarsi con la grande difficoltà di doversi costruire in breve tempo diverse corrette immagini paese (10-15 per la sola Europa). L’immagine del paese d’origine si presenta in tali mercati quanto meno confusa, imprecisa, sovrapposta. La costruzione pianificata e il rafforzamento di una marca ombrello, come quella rappresentata dal Paese di origine, costituirebbe una piattaforma di base per la costruzione del valore di marche per i diversi operatori italiani sui mercati di consumo culturalmente lontani. Una modalità “quotidiana” e di facile esperienza per il consumatore è certamente rappresentata dal punto vendita. D’altra parte, la costruzione di un valore di marca comune, rappresentato dal Made in Italy non può essere affrontato singolarmente dalle imprese, sia per l’entità dimensionale dello sforzo richiesto, sia per il carattere collettivo del beneficio che ne deriva. La questione da risolvere è rappresentata da come accelerare un processo che ha richiesto molti decenni nei mercati tradizionali delle esportazioni italiane. Nella ricerca (caso dell’outlet Florentia Village) è risultato evidente come una soluzione percorribile sia rappresentata da aggregatori di distribuzione al dettaglio (mall, outlet, department store) che possono basare la propria proposta competitiva proprio sul paese d’origine dei prodotti, ottenendo il doppio risultato: a) diretto, di costruire un vantaggio competitivo fondato sul paese d’origine; b) indiretto, essere diffusori della conoscenza del Made in Italy. La ricerca evidenzia come al di fuori di questi aggregatori distributivi le singole marche utilizzano i punti vendita concentrandosi sui propri 10
aspetti distintivi, per rispondere a una competizione diretta, utilizzando una strategia di mirroring (Pontiggia e Vescovi, 2013) che porta a replicare seguendo un concetto semplificato di globalizzazione, le forme utilizzate in molti altri mercati, non considerando la differenza sulle conoscenze e percezioni di base dei clienti. Sono quindi formati che si sono sviluppati in un contesto di mercato dove l’immagine di paese di origine era molto più chiara e definita, mentre ora vengono replicati in una realtà dove questo non esiste e ne risultano quindi molto più confusi. Non esiste all’interno del punto vendita una strategia di storytelling dedicata e pensata al paese in cui si trova il negozio, alla cultura del consumatore, al suo livello di comprensione e conoscenza dei prodotti. Le marche quindi finiscono per mancare di agganci culturali e valoriali forti. Il risultato è che le singole marche italiane finiscono per rendere meno efficace lo sforzo inteso alla loro promozione credendo di perseguire una strada più efficiente. Entrano cioè in un loop che potremmo definire della “trappola della competizione non cooperativa”. Si tratta della situazione in cui si pensa più alla competizione diretta che a una collaborazione di sviluppo comune del mercato. Se questa strategia può essere comprensibile e corretta in un mercato tradizionale e consolidato, appare inadatta a un nuovo mercato. Si tratta quindi di una mera competizione che costruisce la percezione di categorie di valore per le marche di carattere generale, che avvicinano il nuovo cliente alla comprensione dei vantaggi che tali marche rappresentano nella loro generalità. In un momento competitivo successivo combatteranno poi tra loro per la conquista finale del cliente. Ciò non avviene per altri paesi come la Francia e la Germania, che si preoccupano innanzitutto di costruire un’immagine paese forte e successivamente di competere, come risulta evidente nel settore alimentare e moda (Francia) e nei settori automotive e meccanica (Germania). Una prima indicazione di policy andrebbe quindi diretta sia alle istituzioni che si occupano di favorire lo sviluppo internazionale delle imprese italiane, sia alle imprese stesse. Dovrebbe essere sviluppata una strategia di storytelling sul made in Italy, sull’immagine paese Italia che possa essere ripreso e rafforzato dalle singole marche all’interno dei punti vendita propri su alcuni valori comuni e forti da proporre con continuità. Una seconda indicazione, indirizzata ai manager delle imprese che desiderano operare e rafforzarsi sui nuovi mercati internazionali, è quella di rafforzare la cooperazione competitiva nella prima fase di ingresso in tali mercati. Si intende che sia importante la cooperazione, più forse della competizione, nel medio periodo per sviluppare la competenza del mercato e la capacità di comprendere il valore dei prodotti offerti. Una volta educato il mercato si potrà ritornare a una competizione diretta. I nuovi mercati, le loro dimensioni, la necessità di educare i nuovi clienti alla comprensione dell’offerta e al suo valore richiedono un approccio cooperativo di medio-lungo termine per la costruzione del mercato, successivamente si competerà per la sua divisione. 11
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