LA MONETA E IL SISTEMA FINANZIARIO - Maturansia

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LA MONETA E IL SISTEMA FINANZIARIO
CAPITOLO 16. LA MONETA
1) LE FUNZIONI DELLA MONETA
Un mezzo di pagamento può essere definito moneta se assolve a tre funzioni fondamentali:
— intermediario degli scambi;
— riserva di valore;
— unità di conto.
La funzione di intermediario degli scambi: moneta-merce e moneta segno. La più antica forma di scambio è stata il baratto: due
soggetti economici scambiano beni con altri beni. Gli inconvenienti derivanti da tale sistema di scambio (difficoltà di raggiungere un
accordo sul valore dei beni da scambiare, deperibilità dei beni, spreco di tempo e di risorse per trovare un individuo disposto allo
scambio) hanno condotto al suo superamento e al passaggio ad un’economia basata sulla moneta come unico intermediario degli
scambi.
Tale funzione nel corso dei secoli è stata assolta da diversi beni (conchiglie, bestiame, oro, sale e altro) aventi però delle
caratteristiche comuni: divisibilità, trasferibilità, non deperibilità e generale accettazione come mezzo di pagamento. Tali beni
venivano definiti moneta-merce, in quanto dotati di un certo valore intrinseco, cioè di una propria utilità.
Nei moderni sistemi economici la moneta-merce è stata sostituita dalla moneta-segno, sostanzialmente priva di un suo valore
intrinseco, rappresentata dalle banconote emesse dall’autorità a ciò autorizzata in ogni paese: la Banca centrale. In questo caso è lo
Stato a stabilire per legge che tale moneta deve essere obbligatoriamente accettato negli scambi (attribuendole potere liberatorio),
per cui si parla di moneta a corso legale.
La funzione di riserva di valore. Condizione necessaria affinché la moneta possa svolgere la funzione di intermediario degli scambi
è che essa conservi il suo valore per un certo periodo di tempo. È, infatti, indispensabile che ogni operatore economico che accetti
di cedere i propri beni o di prestare i propri servizi in cambio di moneta abbia la certezza che potrà impiegare tale quantità di
moneta per acquistare, a sua volta, beni o servizi. D’altra parte, gli agenti economici potrebbero decidere di destinare le proprie
disponibilità monetarie al consumo futuro, rinunciando a quello attuale. In tal caso essi devono essere certi che la moneta non
perda nel tempo il suo potere di acquisto. La moneta, dunque, oltre ad essere un mezzo di scambio deve essere una riserva di
valore.
La funzione di unità di conto. La moneta assolve la funzione di unità di conto in quanto consente di esprimere il valore di tutti i
beni e servizi in un’unica unità di misura (euro, dollaro, sterlina e così via), agevolando in tal modo gli scambi.

2) TIPI DI MONETA
Abbiamo visto che negli attuali sistemi economici la moneta in circolazione ha corso legale. In particolare, sono monete a corso
legale le banconote e le monete metalliche; le prime hanno potere liberatorio illimitato, perché possono essere impiegate per
transazioni di qualsiasi ammontare, mentre la moneta metallica (denominata anche moneta sussidiaria, divisionaria o spicciola) ha
un potere liberatorio limitato e può infatti essere impiegata per pagamenti non superiori ad un certo ammontare.
Oltre alle banconote e alle monete metalliche è considerata moneta qualsiasi altro mezzo in grado di assolvere alle tre funzioni
richiamate nel paragrafo precedente. Si tratta più precisamente della moneta avente corso fiduciario, in quanto la sua circolazione
è legata esclusivamente alla fiducia che gli operatori economici ripongono nell’ente emittente.
Si tratta in pratica dei conti correnti bancari, che consentono di regolare i pagamenti mediante l’emissione di assegni bancari e di
assegni circolari, e delle carte di pagamento (la carta di credito, la carta di debito, il pago bancomat).

3) GLI AGGREGATI MONETARI
 Ogni attività finanziaria ha un certo grado di liquidità (capacità di essere convertita in moneta). In base a tale grado di liquidità è
possibile distinguere tre diversi aggregati monetari (indicati con i simboli M1, M2 e M3), che comprendono tutte le forme di attività
finanziarie capaci di assolvere le diverse funzioni della moneta.
Seguendo il criterio della rapidità di trasformazione in beni e servizi, gli strumenti di pagamento sono stati suddivisi in tre categorie,
caratterizzate da un grado decrescente di liquidità e indicate con i simboli M1, M2 e M3:
— in una prima categoria (liquidità primaria, M1) rientrano le banconote, le monete metalliche e tutte le attività bancarie
convertibili in denaro liquido a vista (cioè subito) o comunque entro un mese (come i depositi in conto corrente);
— nella seconda categoria (liquidità secondaria, M2) rientrano anche tutte le attività bancarie convertibili in denaro entro un arco
di tempo che va da un mese a due anni (come i depositi a risparmio vincolati);
— nella terza categoria (liquidità terziaria, M3) rientrano, infine, anche i BOT (Buoni ordinari del Tesoro) e le attività bancarie
convertibili in denaro in un periodo superiore ai due anni.

CAPITOLO 17. IL MERCATO DEL CREDITO E LE BANCHE
1) IL CREDITO E LE BANCHE
 Alcuni individui (cd. unità in surplus) non utilizzano subito tutta la moneta che hanno per comprare beni o servizi ma ne
risparmiano una parte per effettuare acquisti in futuro o per far fronte ad eventi imprevisti; altri individui (cd. unità in deficit),
invece, non dispongono della quantità di moneta necessaria a soddisfare i loro bisogni e sono costretti a cercare dei prestiti.
Per favorire l’incontro tra le unità in surplus e quelle in deficit interviene un terzo soggetto, la banca, che funge da intermediario;
quindi, come la moneta favorisce l’incontro tra chi domanda e chi offre un certo bene, così le banche facilitano l’incontro tra chi
offre risparmio e chi domanda credito.

2) LE FUNZIONI DELLA BANCA MODERNA
Le modifiche normative e la trasformazione dei mercati hanno condotto le banche moderne ad assumere un ruolo ben più
complesso ed articolato rispetto a quello che tradizionalmente ad esse si assegnava.
Agli istituti di credito oggi possono attribuirsi 5 funzioni principali:
— la funzione creditizia, che si caratterizza per l’esercizio contemporaneo della raccolta del risparmio fra il pubblico e della
concessione dei prestiti. Si tratta del criterio essenziale per individuare la nozione di banca, poiché in ogni caso, costituisce l’attività
primaria delle aziende di credito;
— la funzione monetaria, cioè la capacità delle banche di creare moneta bancaria mettendo a disposizione della clientela le proprie
passività (i depositi) che circolano nel sistema sotto forma di mezzi di pagamento generalmente accettati dagli operatori, gli assegni
(si veda il moltiplicatore dei depositi);
— la funzione di investimento, che consiste nell’attività di finanziamento svolta dalle banche nei confronti delle società e degli enti
che emettono titoli, attraverso investimenti finanziari in titoli di breve, media e lunga durata;
— la funzione di prestazione di servizi, che si riferisce all’insieme di operazioni generalmente denominati servizi bancari che la
banca compie in favore della clientela (consulenza finanziaria, operazioni su titoli per conto della clientela, cassette di sicurezza
etc.);
— la funzione di attuazione delle decisioni delle autorità monetarie, cioè la capacità delle banche di trasferire nel mercato e quindi
alla loro clientela le conseguenze derivanti dalle scelte delle autorità creditizie, che possono, ad esempio, decidere variazioni dei
tassi d’interesse da applicare.

3) LA FUNZIONE CREDITIZIA: LE OPERAZIONI BANCARIE ATTIVE E PASSIVE
Delle funzioni degli istituti di credito in precedenza menzionate, come è stato precisato, la più importante è senza dubbio quella
creditizia che, in base alla modalità e ai criteri con cui viene eseguita, consente di individuare due tipi principali di operazioni
bancarie: le operazioni passive, dette anche di raccolta, e le operazioni attive, o di impiego.
Le somme depositate diventano di proprietà della banca ed essa ne ha piena disponibilità così da poterne fare oggetto di prestito,
mentre il depositante assume la veste di creditore della banca per un importo di denaro equivalente.
Tale deposito assume il nome di deposito irregolare, così da distinguerlo da quello regolare in cui la proprietà della cosa depositata
resta al depositante, il quale ha perciò il diritto di avere in restituzione l’identica cosa che fu depositata (ad esempio depositi a
custodia).
Con le operazioni di impiego la banca mette a disposizione di chi lo richiede somme di denaro non proprie che dovranno essere
restituite nei termini e nei modi pattuiti a seconda dell’accordo fra banca e debitore.
Le più diffuse operazioni attive, cioè di concessione del prestito, sono:
— lo sconto cambiario, che permette alla banca di fornire in via anticipata al cliente, previa deduzione di un compenso
proporzionale al tempo (tecnicamente detto sconto), l’importo di una cambiale non ancora scaduta;
— l’anticipazione bancaria, che consiste in un prestito monetario a breve termine concesso dalla banca e garantito da pegno su
titoli, merci, crediti o depositi bancari;
— l’apertura di credito, contratto stipulato tra la banca e il cliente con il quale la prima si obbliga nei confronti del secondo, a
tenere a sua disposizione una determinata somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato;
— il mutuo bancario, prestito a medio o lungo termine concesso dalle banche in un’unica soluzione che verrà poi restituito in rate
periodiche (mensili, trimestrali, semestrali o annuali) comprensive della quota capitale e dell’interesse;
— il leasing finanziario, operazione finanziaria a cui può ricorrere un’azienda quando deve comprare beni molto costosi (impianti,
attrezzature, macchinari o immobili). Essa si rivolge a un intermediario finanziario (una banca o altro intermediario finanziario) che
acquista il bene in oggetto per cederlo in uso all’azienda stessa, che alla fine potrà diventare proprietaria dei beni pagando un
riscatto.
 L’impresa utilizzatrice rimborserà l’intermediario attraverso il pagamento di una sorta di affitto denominato canone di leasing. In
sostanza, l’impresa restituisce il capitale di finanziamento ottenuto, maggiorato degli interessi pattuiti, mediante il pagamento
delle rate fino al momento in cui eserciterà il riscatto.

4) LA CREAZIONE DEL CREDITO: IL MOLTIPLICATORE DEI DEPOSITI
Anche le banche contribuiscono in qualche modo alla creazione di moneta, attraverso un meccanismo chiamato moltiplicatore dei
depositi bancari. Per comprendere appieno il funzionamento di tale meccanismo è necessario introdurre due importanti concetti:
— la riserva obbligatoria è quel deposito in contanti che le banche devono costituire presso la Banca centrale e che si calcola
applicando una percentuale stabilita dalla legge all’ammontare dei depositi raccolti dalle banche stesse;
— la base monetaria è costituita dall’insieme della moneta a corso legale in circolazione e delle altre attività finanziarie
trasformabili rapidamente e senza costi in moneta a corso legale (cioè da quelle attività che possono essere utilizzate per
adempiere all’obbligo della riserva obbligatoria).
Alla base del concetto di moltiplicatore c’è la constatazione che i titolari dei depositi detenuti presso le banche utilizzano le loro
disponibilità soprattutto a mezzo di assegni bancari; a loro volta, coloro a cui questi assegni sono dati in pagamento spesso se ne
servono senza tramutarli in contanti (ad esempio versandoli sul proprio conto corrente o, se si tratta di assegni trasferibili, girandoli
a terzi).
In sostanza, si ritiene notevolmente improbabile che tutti i clienti richiedano contemporaneamente la trasformazione in banconote
delle somme depositate.
Queste ultime, pertanto, possono essere utilizzate dalle banche per concedere prestiti a coloro che ne facciano richiesta, una volta
accantonata dalle aziende di credito la quota da destinare a titolo di riserva precauzionale (riserva obbligatoria, riserva libera).
Le somme ricevute in prestito non circolano necessariamente nel sistema sotto forma di moneta contante, in quanto il cliente può
disporre del prestito mediante l’emissione di assegni bancari. La circolazione della moneta bancaria tra gli operatori economici
comporta la creazione di nuovi depositi presso le banche, le quali utilizzeranno i fondi così ottenuti per concedere nuovi crediti.
Per ogni deposito di biglietti effettuato presso la banca, questa potrà accordare prestiti per un importo di gran lunga superiore: la
differenza tra i due importi è colmata dagli assegni bancari che saranno spiccati sulla banca e circoleranno tra numerosi soggetti
economici, senza essere convertiti in biglietti.

5) IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO
La struttura del sistema bancario italiano è stata rivoluzionata dal Decreto legislativo n. 385/1993 (cd. testo unico bancario), che ha
determinato il passaggio dal modello della banca pura al modello della banca universale.
Modello della banca pura. Tale modello prevede una netta distinzione fra le aziende di credito, che operano la raccolta e l’impiego
a breve termine, e gli istituti di credito speciale, autorizzati all’esercizio del credito a medio lungo termine.
Modello della banca universale. Si basa sul principio della despecializzazione dell’attività bancaria, per cui ogni banca può svolgere
tutte le attività di raccolta e impiego del risparmio e di intermediazione finanziaria.
Con le nuove disposizioni normative è ora possibile distinguere tre tipi di istituti di credito:
— le banche nazionali, che hanno sede legale in Italia e sono costituite nelle sole forme societarie della società per azioni e della
società cooperativa per azioni a responsabilità limitata. In quest’ultimo caso possono assumere la denominazione di banca
popolare o di banca di credito cooperativo;
— le banche comunitarie, che hanno sede legale e amministrazione centrale in un Paese dell’unione europea diverso dall’Italia. Per
esercitare nel territorio italiano le attività ammesse al mutuo riconoscimento, la banca comunitaria non necessita di alcuna
autorizzazione, poiché è sottoposta al controllo dell’autorità di vigilanza del Paese di origine. È questo il cosiddetto principio
dell’home country control (che tradotto letteralmente significa «controllo nel Paese d’origine»);
— le banche extracomunitarie, che hanno sede legale e amministrativa in uno Stato che non fa parte dell’unione europea e che per
operare in Italia hanno bisogno dell’autorizzazione degli organi competenti.
6) GLI ORGANI PREPOSTI AL CONTROLLO DEL SISTEMA CREDITIZIO ITALIANO
 Gli organi pubblici preposti al controllo e alla vigilanza dell’attività bancaria in Italia sono:
— il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio), organo presieduto dal Ministro dell’Economia e delle Finanze e
costituito nel 1947, dotato di funzioni di alta vigilanza in materia di tutela del risparmio, di esercizio del credito e in materia
valutaria;
— il Ministro dell’Economia e delle Finanze che, oltre a presiedere il CICR, è dotato di competenza amministrativa e normativa nel
settore bancario;
— la Banca d’Italia, cioè la Banca centrale italiana.

7) LE FUNZIONI DELLA BANCA D’ITALIA
 Con il D.Lgs. n. 43/1998 la Banca d’Italia è stata formalmente dichiarata parte integrante del Sistema Europeo delle Banche Centrali
(SEBC).
Nell’ambito del SEBC la Banca d’Italia contribuisce a determinare, insieme alle Banche centrali degli altri Paesi membri, gli indirizzi e
le scelte di politica monetaria per l’intera area euro, con la partecipazione del Governatore alle decisioni del Consiglio direttivo
della BCE.
La Banca d’Italia vigila sul sistema bancario e sulla stabilità degli intermediari finanziari; tutela la concorrenza sul mercato del
credito; esercita la supervisione del mercato; svolge il servizio di Tesoreria dello Stato.
La funzione di vigilanza sulle banche. Il Testo unico bancario attribuisce al CICR «l’alta vigilanza in materia di credito e di tutela del
risparmio». I concreti poteri in questo campo sono, però, esercitati dalla Banca d’Italia.
L’attività di vigilanza sulle banche rientra tra le funzioni (insieme, ad esempio, al controllo sulla stabilità degli intermediari
finanziari) che la Banca d’Italia è deputata a svolgere in maniera esclusiva e indipendente.
La funzione monetaria. La Banca d’Italia, in quanto banca centrale, opera come:
— banca di emissione: in passato alla Banca d’Italia spettava in via esclusiva il potere di emettere carta moneta. L’emissione delle
banconote era stabilita con decreto del Ministro del Tesoro e veniva effettuata e controllata dalla banca centrale. Nell’esercizio di
tale potere, la Banca era tenuta a rispettare l’equilibrio del proprio bilancio, a non pregiudicare il pubblico credito ed a non
compromettere il valore della moneta.
Dal 1° gennaio 1999, la Banca d’Italia è soggetta al potere autorizzatorio della BCE, nell’esercizio della funzione di emissione delle
banconote (art. 4, co. 1, D.Lgs. 43/1998). Tale funzione può essere anche svolta direttamente dal SEBC.
 Quanto alla coniazione e all’emissione di monete metalliche, sempre alla BCE è affidata l’approvazione del volume del conio;
— banca dello Stato: essa svolge il servizio di tesoreria per il Tesoro, il quale è titolare di un conto corrente su cui transitano tutti i
movimenti finanziari dello Stato (conto di disponibilità del teso ro);
— banca delle banche: essa non può concedere finanziamenti a soggetti diversi dalle imprese bancarie, e rappresenta l’ente cui le
banche possono ricorrere sia per la loro provvista ordinaria che per le loro esigenze di finanziamento straordinario.
La funzione valutaria. L’art. 3 dello Statuto del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) affida alla Banca d’Italia il compito di
provvedere alla gestione delle riserve ufficiali in valuta. La nostra banca centrale, inoltre, raccoglie tutte le informazioni per
l’elaborazione delle statistiche sulla bilancia dei pagamenti e sulla posizione patrimoniale verso l’estero.
CAPITOLO 18. LA MONETA E IL CREDITO
1) IL MERCATO DEI CAPITALI
 Il ricorso alle banche rappresenta solo una delle molteplici possibilità a disposizione di un operatore economico (famiglia, impresa
o pubblica amministrazione) per reperire o per investire risorse finanziarie.
Le alternative a disposizione delle unità in deficit e di quelle in surplus sono, quindi, molto più numerose e articolate e fanno parte
di un mondo, altrettanto complesso e articolato, che viene generalmente denominato mercato dei capitali e nel quale le banche,
pur recitando un ruolo da protagoniste, non sono certamente gli unici attori.
Il mercato dei capitali può, dunque, essere definito come il complesso delle transazioni tra unità in deficit (che rappresentano la
domanda di risorse finanziarie) e unità in surplus (che costituiscono l’offerta di risorse finanziarie), in seguito alle quali si determina
il prezzo di tali risorse.
Per effettuare tali transazioni le parti utilizzano strumenti finanziari standardizzati quali, ad esempio, azioni, obbligazioni, buoni del
Tesoro, certificati di deposito.
In base alla durata (scadenza) dell’operazione di prestito, il mercato dei capitali può essere suddiviso in:
— mercato monetario, che comprende tutte le transazioni finanziarie a breve termine, cioè con scadenza non superiore a 12/18
mesi;
— mercato del credito (o finanziario), che comprende tutte le transazioni finanziarie a medio e lungo termine.
un altro criterio che ci consente di suddividere idealmente il mercato dei
capitali in due rami è quello che considera il particolare momento della vita dello strumento finanziario oggetto della transazione:
— il mercato primario è quello in cui vengono offerti strumenti finanziari di nuova emissione e che, dunque, non sono ancora stati
acquistati da nessuno (cd. primo collocamento). L’esempio classico è quello dell’impresa che decide di finanziarsi emettendo nuovi
titoli obbligazionari;
— il mercato secondario è quello in cui, invece, vengono scambiati strumenti finanziari non di nuova emissione, che quindi erano
già stati in precedenza collocati presso determinati investitori e che ora vengono ceduti ad altri investitori.
Il mercato dei capitali può, inoltre, essere suddiviso in tre categorie in funzione della natura degli strumenti finanziari che in esso
vengono negoziati e scambiati:
— il mercato creditizio, in cui vengono effettuate operazioni di prestito personalizzate che non si materializzano in titoli destinati
alla circolazione. Si tratta, sostanzialmente, dei prestiti che le banche concedono, in varia forma, ai loro clienti e che questi ultimi
non possono cedere a terzi;
— il mercato mobiliare, in cui invece vengono scambiati strumenti finanziari che, per loro natura, sono trasferibili e, quindi,
destinati alla circolazione (come azioni e obbligazioni);
— il mercato assicurativo, in cui vengono scambiati strumenti finanziari basati sulla ripartizione dei rischi fra i soggetti interessati.

2) IL MERCATO MONETARIO
 Il mercato monetario è il complesso delle transazioni di strumenti finanziari a breve termine, cioè con scadenza non superiore ai
12-18 mesi.
Operano in tale mercato:
— le famiglie, che possono rivolgersi al mercato monetario sia per investire i loro risparmi sia per far fronte a temporanee crisi di
liquidità;
— le imprese, che possono impiegare a breve termine le proprie temporanee eccedenze di liquidità o, al contrario, finanziare
deficit occasionali;
— lo Stato, che copre i propri fabbisogni di cassa emettendo titoli a breve termine (i BOT);
— le banche, che si procurano risorse, emettendo vari tipi di titoli, e le offrono a famiglie e imprese oppure ad altre banche (si
parla, in quest’ultimo caso, di mercato interbancario);
— gli investitori istituzionali, vale a dire società o enti che per legge o per vincoli statutari effettuano sistematicamente investimenti
nel mercato dei capitali, quali, ad esempio, le società di assicurazione, gli intermediari finanziari (che acquistano e vendono liquidità
per conto dei propri clienti), i fondi comuni di investimento.
3) IL MERCATO FINANZIARIO
 Il mercato finanziario è il complesso delle transazioni di strumenti finanziari a medio e lungo termine, cioè:
— con scadenza superiore ai 18 mesi, se si tratta di titoli rappresentativi di prestiti (come nel caso delle obbligazioni o dei titoli di
Stato);
— senza scadenza predeterminata, se si tratta di titoli rappresentativi di quote del capitale proprio di un’impresa (come nel caso
delle azioni).
Come risulta evidente, coloro che cercano risorse nel mercato finanziario lo fanno per far fronte a problemi strutturali (cioè non
temporanei o occasionali) di liquidità o per effettuare ingenti investimenti; si può dire, anzi, che il mercato finanziario è il principale
strumento attraverso il quale il sistema produttivo, privato e pubblico, finanzia i propri investimenti. Oltre alle banche, infatti, ad
operare in tale mercato in qualità di prenditori di fondi sono le imprese (che emettono obbligazioni e azioni) e lo Stato (che emette
titoli a lunga scadenza come i BTP).
A sottoscrivere tali titoli, cioè ad operare nel mercato in qualità di datori di fondi, sono le famiglie, le imprese, gli investitori
istituzionali e gli intermediari finanziari.

4) IL MERCATO MOBILIARE E LA BORSA
Il mercato mobiliare può essere:
— primario, quando ha per oggetto strumenti finanziari di nuova emissione (cd. primo collocamento) e che, quindi, non sono stati
acquistati ancora da nessuno;
— secondario, quando vengono scambiati strumenti finanziari non di nuova emissione.
Tra questi strumenti finanziari, vi sono:
— le azioni, che sono titoli di credito rappresentativi di quote del capitale sociale di imprese costituite sotto forma di società per
azioni o in accomandita per azioni; con esse i titolari diventano proprietari dell’impresa e ottengono il diritto di partecipare alla
ripartizione dell’utile conseguito dalla società (dividendo). Le azioni sono titoli a reddito variabile perché il profitto delle società
varia di anno in anno;
— le obbligazioni, che sono titoli rappresentativi di un debito che una società assume verso i terzi dai quali ha ricevuto un prestito. I
risparmiatori che le sottoscrivono hanno diritto al rimborso della somma alla scadenza e al pagamento di un interesse annuo
prestabilito. Per questo motivo le obbligazioni sono titoli a reddito fisso;
— i titoli pubblici, che sono titoli rappresentativi di un debito dello Stato nei confronti dei risparmiatori che li hanno sottoscritti
(Buoni ordinari del Tesoro, Certificati di credito del Tesoro, Buoni del Tesoro pluriennali). Si tratta di obbligazioni pubbliche per le
quali è previsto il pagamento di un interesse prestabilito, quindi anche in questo caso si parlerà di titoli a reddito fisso.
La Borsa valori è un mercato regolamentato, in quanto la sua attività è sottoposta ad una serie di regole e la sua gestione è affidata
ad un’impresa organizzata nella forma della società per azioni, Borsa Italiana S.p.a.

5) COME FUNZIONA LA BORSA
 Fino a qualche tempo fa le contrattazioni in Borsa avvenivano ad opera di professionisti autorizzati: gli agenti di cambio.
Oggi questa figura è stata sostituita da altri intermediari finanziari e le negoziazioni si basano su un sistema telematico nazionale,
che, grazie ad una rete di computer e terminali, garantisce una contrattazione continua.
Durante tale fase gli ordini sono inseriti nel sistema telematico dagli intermediari autorizzati secondo la priorità di tempo in cui
sono ricevuti.
Le proposte di acquisto e di vendita degli strumenti finanziari vengono inserite nel book di negoziazione, vale a dire una
successione di pagine-video, sulle quali sono esposte le proposte di negoziazione con indicazione delle loro caratteristiche.
In ogni momento nel mercato vi sono prezzi di proposte di acquisto (cd. denaro) e prezzi di proposte di vendita (cd. lettera).
Durante la negoziazione continua la conclusione dei contratti avviene, per le quantità disponibili, mediante abbinamento
automatico delle proposte di acquisto e di vendita presenti nel mercato.
In Borsa possono accedere soltanto intermediari abilitati (SIM, banche, imprese di investimento comunitarie ed extracomunitarie)
ad effettuare il servizio di negoziazione per conto della clientela.
CAPITOLO 19. LE TEORIE SULLA MONETA
1) IL POTERE D’ACQUISTO DELLA MONETA
Il potere d’acquisto della moneta corrisponde alla quantità di beni e servizi che si possono acquistare in un dato momento con una
determinata quantità di moneta.
Se indichiamo con A il potere d’acquisto della moneta, esso sarà dato dalla seguente formula:

A = 1/P

dove P costituisce il prezzo della merce.
Pertanto, aumentando i prezzi, diminuisce il valore della moneta e viceversa.

2) LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA
Tale teoria individua nella quantità della moneta in circolazione la causa delle variazioni del suo potere d’acquisto. Il concetto
fondamentale che esprime tale teoria è che il valore della moneta varia in senso inverso alle variazioni della sua quantità: più
denaro c’è in giro, meno esso vale.
Poiché il valore della moneta ed il livello generale dei prezzi sono espressioni reciproche, dalla teoria quantitativa si ricava che il
livello generale dei prezzi varia nello stesso senso in cui varia la quantità di moneta (più moneta c’è in circolazione più i prezzi sono
alti).
La formulazione originaria. L’elaborazione originaria della teoria quantitativa si deve a Fisher, che ha formulato la seguente
equazione:

M·V=P·Q

dove M rappresenta la quantità di moneta in circolazione, V la velocità di circolazione della moneta (ovvero il numero di volte in cui
un biglietto di banca cambia proprietario in un determinato periodo di tempo), P il livello generale dei prezzi e Q la
somma delle quantità dei beni scambiati.
Da questa relazione si evince che la somma di moneta necessaria a compiere tutti gli scambi in un determinato periodo di tempo
(M · V) corrisponde al valore monetario di tutte le merci scambiate (P · Q).

Se supponiamo, come faceva Fisher, che Q e V siano costanti nel breve periodo, possiamo riscrivere la formula precedente come:

P = (V/Q) ⋅M

In questo caso la variabile indipendente è M, per cui la variabile dipendente (P) varia in senso direttamente proporzionale alle
variazioni di M.
In sintesi, secondo la teoria quantitativa della moneta, se lo Stato aumenta il numero di banconote in circolazione provocherà
soltanto un aumento del livello generale dei prezzi, senza influire sulle grandezze reali del sistema economico.
La rielaborazione della scuola di Cambridge. La teoria quantitativa della moneta presupponeva che la moneta detenuta fosse
sempre spesa nel breve periodo o comunque investita in operazioni finanziarie.
una rielaborazione di tale teoria, che tiene conto
della volontà dei soggetti a detenere moneta in forma liquida, fu proposta da un gruppo di economisti
dell’università di Cambridge.
Nella rielaborazione della scuola di Cambridge, la relazione fondamentale della teoria quantitativa può essere scritta come:

M = kPQ

dove l’elemento nuovo è rappresentato da k, che indica la percentuale del reddito nazionale che gli individui desiderano detenere
in forma liquida (ed è pari, in pratica, all’inverso della velocità di circolazione della moneta).
3) KEYNES: LA TEORIA DELLA PREFERENZA PER LA LIQUIDITÀ
La domanda di moneta. Secondo Keynes un individuo preferisce detenere moneta liquida infruttifera piuttosto che investirla (ha,
cioè, una preferenza per la liquidità) per tre motivi:
— perché il possesso di moneta gli permette di acquistare i beni di cui necessita ogni giorno (motivo delle transazioni);
— perché il possesso di moneta permette di far fronte a spese impreviste (motivo precauzionale);
— perché la moneta può essere impiegata immediatamente qualora si presenti un’occasione favorevole di investimento (motivo
speculativo).
Se la domanda di moneta per i primi due motivi è influenzata sostanzialmente dal reddito, la domanda a scopo speculativo è
inversamente proporzionale al tasso di interesse.
La trappola della liquidità. Per saggi d’interesse molto bassi, però, Keynes ritiene che la domanda di moneta per fini speculativi
diventi illimitata: poiché gli operatori ritengono che il saggio d’interesse non possa ulteriormente scendere, essi preferiscono
mantenere moneta in forma liquida piuttosto che investirla. Tale situazione viene definita da Keynes «trappola della liquidità»
poiché in questo caso solo un aumento del saggio d’interesse può ridurre le scorte monetarie dei risparmiatori (vedi il par. 4).
L’offerta di moneta. A differenza della domanda di moneta, che è influenzata da vari fattori, l’offerta di moneta è data, in quanto
sono le autorità monetarie a stabilire la quantità di moneta immessa nel circuito economico; tale quantità può essere aumentata o
diminuita a seconda degli obiettivi perseguiti dal governo.

4) L’EQUILIBRIO MONETARIO
Secondo la teoria della preferenza per la liquidità esiste una situazione di equilibrio quando sul mercato della moneta si stabilisce
un dato tasso d’interesse che permette di eguagliare la domanda e l’offerta di moneta.
La domanda di moneta è data dall’equazione:

MD = L1 (Y) + L2 (i)

dove la domanda complessiva di moneta (MD) è pari alla somma della domanda di moneta per scopi transattivi e precauzionali (L1),
che sono influenzati dal reddito (Y), e della domanda di moneta per fini speculativi (L2), influenzata dal saggio d’interesse.

Poiché la domanda di moneta per motivi precauzionali e transattivi è generalmente stabile nel breve periodo, ogni aumento
dell’offerta di moneta (MS) dovrà essere assorbito dal movente speculativo; tuttavia, ciò è possibile soltanto se il tasso d’interesse è
basso.
Nella figura 1 è illustrato l’equilibrio sul mercato monetario dato dal punto di intersezione tra la retta dell’offerta di moneta (MS1
che corrisponde ad una quantità di moneta in circolazione pari a OMS1) e la curva della domanda di moneta (MD); il tasso
d’interesse che porta in equilibrio la domanda e l’offerta di moneta è, in questo caso, i1.
Come sappiamo un basso tasso d’interesse costituisce uno dei maggiori incentivi agli investimenti privati.
Come è dimostrato nella figura precedente le autorità di governo potrebbero porsi come obiettivo quello di ridurre il tasso
d’interesse aumentando l’offerta di moneta (da MS1 a MS2); in questo caso il tasso d’interesse scenderebbe fino al livello i2.
Tuttavia, oltre quel punto ogni ulteriore immissione di liquidità nel circuito economico non avrebbe effetti sul saggio d’interesse
(come è dimostrato dallo spostamento della retta dell’offerta in MS3); si verifica in questo caso quella situazione che Keynes definì
della trappola della liquidità, ovvero la possibilità che in corrispondenza di un tasso d’interesse molto basso la domanda di moneta
per fini speculativi diventi illimitata, poiché le aspettative dei risparmiatori saranno indirizzate verso un aumento del saggio
d’interesse e quindi preferiranno detenere moneta in forma liquida piuttosto che investirla.

CAPITOLO 20. L’INFLAZIONE
1) DEFINIZIONE
Con il termine inflazione si indica quel fenomeno economico caratterizzato dall’aumento persistente del livello generale dei prezzi
che provoca la diminuzione del potere di acquisto della moneta.
È importante sottolineare, però, che solo un aumento progressivo e non sporadico dei prezzi di tutti i beni e servizi, o comunque di
quelli di maggiore consumo, può innescare un processo inflazionistico.
Il tasso d’inflazione esprime, in termini percentuali, la variazione del livello generale dei prezzi in un determinato periodo di tempo.
Esso si calcola facendo riferimento generalmente ad un anno e impiegando la seguente formula:

tasso d’inflazione = [(Pt+1 –Pt)/ Pt]×100

dove Pt è il livello medio dei prezzi in un determinato periodo di tempo e Pt + 1 è quello in un periodo successivo.

2) L’INTENSITÀ
Come qualsiasi altro fenomeno economico dinamico, l’inflazione può assumere un’intensità diversa. Si distingue a tal proposito fra:
— inflazione strisciante, quando il tasso di inflazione ha un andamento piuttosto costante. L’inflazione strisciante è considerata un
fenomeno normale, non patologico, dell’economia di mercato;
— inflazione galoppante, che si manifesta con un aumento progressivo dei prezzi difficilmente controllabile. In questi casi il tasso
d’inflazione annuo può essere pari al 7-9% e crescere fino al 15-20%;
— iperinflazione, in questo caso la crescita del livello generale dei prezzi è talmente rapida che la moneta in circolazione perde
praticamente del tutto il suo valore e quindi la sua funzione di intermediario degli scambi.
Il fenomeno opposto all’inflazione è detto deflazione e si manifesta con la riduzione del livello generale dei prezzi; si tratta di un
evento molto raro nelle economie sviluppate e tipico dei periodi di grave crisi economica.

3) LE CAUSE
L’inflazione è riconducibile a due cause principali: eccesso di domanda e aumento dei costi.
L’inflazione da eccesso di domanda. Si verifica quando la domanda globale supera le capacità produttive del sistema. Poiché non è
possibile aumentare l’offerta, la crescita della domanda si traduce unicamente in un aumento dei prezzi.
L’inflazione da costi. Si ha quando i prezzi dei fattori produttivi (salari, materie prime) aumentano e le imprese, per mantenere
immutati i margini di profitto, aumentano proporzionalmente i prezzi dei prodotti.
4) GLI EFFETTI
Un primo grave effetto negativo che un processo inflazionistico produce sull’economia di un paese è l’alterazione dell’equilibrio
nella distribuzione dei redditi.
L’aumento dei prezzi colpisce, infatti, principalmente coloro che percepiscono un reddito fisso (salariati e pensionati, ad esempio).
Tali categorie sociali dovranno cioè provvedere ai propri fabbisogni, ed eventualmente a quelli dei propri familiari, con un reddito
che in termini reali (rapportato cioè ai prezzi) è inferiore a quello percepito antecedentemente all’aumento dei prezzi.
Dall’inflazione sono penalizzati anche i prestatori di fondi: un suo aumento, infatti, comporta che le somme rimborsate alla
scadenza prevista abbiano un valore inferiore rispetto a quando furono prestate. Risultano avvantaggiati dall’inflazione, per il
ragionamento inverso, coloro che hanno ricevuto in prestito una somma di denaro (i debitori).
L’inflazione genera anche un mutamento nei rapporti commerciali fra gli Stati. In particolare, l’aumento dei prezzi in una
determinata nazione, se maggiore rispetto a quello registrato negli altri paesi, rende più cari i beni domestici rispetto a quelli esteri,
provocando un aumento delle importazioni e compromettendo, quindi, l’equilibrio della bilancia commerciale.

5) IL CONTROLLO: LE POLITICHE ANTINFLAZIONISTICHE
Per combattere l’inflazione si è soliti adottare una politica economica che tende a rallentare i consumi interni utilizzando due
strumenti fondamentali: la politica fiscale e la politica monetaria.
Nel primo caso si aumenta la pressione fiscale o si riduce la spesa pubblica, provocando una contrazione della domanda globale
(più imposte vengono pagate, meno soldi per consumi si hanno a disposizione); nel secondo caso, si riduce l’offerta di moneta, il
che farà crescere il tasso d’interesse e diminuire gli investimenti.
Con il tempo, a queste tradizionali «ricette» deflazionistiche si sono aggiunte altre tecniche, la più importante delle quali è
senz’altro la politica dei redditi, particolarmente indicata in caso di inflazione da costi. Essa si attua, sostanzialmente, in due modi:
— blocco dei prezzi e dei salari. In questo caso il governo decide di bloccare ogni ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti e dei
salari dei lavoratori spezzando così il circolo che si era precedentemente innescato. Chiaramente, questa politica è perseguibile
soltanto per brevi periodi in quanto nel lungo periodo è molto difficile controllare i prezzi ed i salari senza creare delle tensioni
sociali;
— patto sociale. In tale ipotesi il freno all’aumento dei salari e dei prezzi è il risultato di un accordo tra le varie categorie sociali
raggiunto con l’intermediazione delle autorità governative.
 I lavoratori e gli imprenditori decidono di contenere le rivendicazioni salariali e gli aumenti dei prezzi entro limiti circoscritti.
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