Il Richiamo della Foresta: recensione del film di Chris Sanders con Harrison Ford - Il Discorso
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Il Richiamo della Foresta: recensione del film di Chris Sanders con Harrison Ford Buck è un cane di grossa taglia, molto forte e dal cuore generoso. Vive in una tranquilla cittadina e il suo padrone è il giudice Miller, per cui vive una vita tranquilla nell’assolata California, e le sue esuberanze sono sempre tollerate dagli umani che lo circondano. Tuttavia un losco figuro lo rapisce, sottraendolo alla sua spensierata esistenza, per venderlo come cane da slitta. Buck si ritrova catapultato in una realtà completamente diversa e ostile, dove conosce il lato oscuro dell’uomo, e viene ridotto all’obbedienza a bastonate. La dura “legge della zanna e del bastone”. Si ritrova a spingere la slitta, facente parte una muta di cani, nelle innevate montagne dello Yukon, in Canada, dove la corsa all’oro sta richiamando molta gente in cerca di fortuna. Riesce a imporsi come capo della muta, guadagnandosi il rispetto e la fiducia non solo degli altri cani, ma anche degli uomini per cui lavora, impegnati a trasportare la posta negli sperduti villaggi persi tra le vette ricoperte di neve. L’arrivo del telegrafo rende obsoleto l’uso delle lettere cartacee come mezzo di comunicazione, per cui la muta di cani alla quale appartiene Buck viene venduta a uno spregiudicato cercatore d’oro. Costui tratta gli animali in modo orribile, arrivando quasi a uccidere Buck. Questi viene salvato in extremis da un vecchio solitario, John Thornton (impersonato da un ottimo Harrison Ford), che lo porterà con sé in un viaggio che per Buck sarà una riscoperta delle sue radici e della sua anima.
Il Richiamo della Foresta: l’ennesimo adattamento del romanzo di Jack London Il film è liberamente tratto dall’omonimo capolavoro di Jack London, pubblicato nel lontano 1904, che ha conosciuto innumerevoli adattamenti per il grande e per il piccolo schermo. Il protagonista della storia è indubbiamente il cane Buck, mentre gli esseri umani sono in definitiva dei comprimari, anche quando vengono interpretati da un mito del cinema come Harrison Ford. La storia ruota intorno all’eterno dualismo tra natura e cultura, declinata in questo caso come opposizione tra la vita nelle selvagge foreste del Klondike, dura ma coerente con le aspirazioni interiori di Buck, e l’esistenza tranquilla e agiata, ma inconsistente e vacua, che il giudice Miller potrebbe garantirgli nella sua tranquilla magione. Il viaggio dall’assolata California alle tempeste di neve dello Jukon è una metafora di quello interiore del personaggio, che da goffo cane di compagnia diventa un rispettato e temuto capo di un branco di lupi, nel quale troverà anche la sua compagna. Le prove da superare sono molto dure: Buck non deve solo sopravvivere ai trattamenti spesso inumani a lui riservati dagli uomini, ma deve anche scoprire e affrontare le difficoltà della natura selvaggia, meravigliosa ma ostile, alla quale in realtà appartiene. A cominciare dal capo della muta, Spitz, che dovrà affrontare in uno scontro mortale. Nel libro Buck deve ucciderlo, mentre in questa versione è Spitz ad allontanarsi dal gruppo, dopo essere stato battuto. L’essere umano in questa storia ha una funzione ambivalente. Ci sono figure bonarie, come il giudice Miller, ci sono personaggi del tutto negativi, ma c’è anche John Thornton, la cui figura è per Buck una guida verso la scoperta di sé stesso. Difficile non immedesimarsi nel protagonista di questo racconto, che in definitiva è nato come romanzo di formazione.
Il Richiamo della Foresta: un uso intelligente ed equilibrato della computer grafica La CGI (Computer Generated Imagery) ha permesso di umanizzare i personaggi canini, a cominciare da Buck, quel tanto che basta per rendere molto più facile immedesimarsi nel protagonista della storia. Senza eccessi, però. Certo, viene spontaneo chiedersi se sia necessario usare animali creati al computer. In fondo in molte pellicole del passato erano stati utilizzati animali addestrati, con risultati non disprezzabili. Ma bisogna ammettere che in questo film i cani, specie nei primi piani, hanno espressioni quasi umane, che nessun animale potrebbe mai riprodurre, rendendoli molto più credibili come personaggi, specie per quanto riguarda Buck. Inoltre c’è un altro aspetto apprezzabile: utilizzare animali virtuali permette di realizzare scene molto impegnative senza ferire o metter a rischio creature viventi, aspetto di non poco conto quando si tratta di girare scene dove queste ultime soffrono, vengono ferite o maltrattate. Indubbiamente la computer grafica ha inoltre contribuito non poco a rendere quasi magiche le scene dove la natura è la vera protagonista, contribuendo a facilitare l’immersione dello spettatore nella storia narrata. Il Richiamo della Foresta: un buon film per famiglie Ci sono diversi motivi per pensare che questo film rapisca il pubblico per il quale è stato concepito, che sono i bambini e i loro genitori. Innanzitutto questa pellicola è sorretta da una storia che funziona, che è stata scritta più di cent’anni fa e che non per niente è diventata un classico della letteratura mondiale. Questo racconto di formazione veicola anche un forte messaggio di rispetto della natura e degli animali, che questa versione digitalizzata ha reso molto più umani, cosa che probabilmente
sarà molto gradita dai più piccoli. Il film è inoltre sorretto da un buon ritmo, è molto equilibrato e scorre piacevolmente sullo schermo. Non per niente è stato girato da un regista, Chris Sanders, che finora ha realizzato solo film di animazione. Apprezzabile anche l’interpretazione di Harrison Ford, che finalmente sembra avere accettato l’idea che il tempo passa per tutti, e non è possibile impersonare solo personaggi giovanili, dinamici e vincenti. Dopo avere fatto una comparsata nel mediocre Star Wars: l’Ascesa di Skywalker, nel quale interpretava per l’ennesima volta un improbabile e sempiterno Han Solo, in questa pellicola finalmente è un vecchio con la barba bianca incolta, con il volto attraversato da rughe profonde, che lasciano trasparire i suoi tormenti interiori. E lo fa in maniera convincente. Era ora. Insomma il Richiamo della Foresta è un buon film per famiglie, fatto con mestiere, che magari verrà apprezzato anche da qualche adulto che, ancora per una volta, vorrà rivivere una storia che già lo aveva fatto sognare tanti anni fa, quando era un bambino. Magie del cinema. Mosaic Young Talent premiati i vincitori del concorso promosso dall’associazione Naonis di Pordenone
Stefano Marroffino – autore di Frank Sinatra Sono Enzo Subiaz e Stefano Marroffino – autori rispettivamente dei ritratti di Al Pacino e di Frank Sinatra – i vincitori del primo premio ex equo Mosaic Young Talent 2020 promosso dall’associazione Naonis di Pordenone, impegnata nella valorizzazione dei giovani mosaicisti allievi della Scuola Mosaicisti del Friuli. Il premio speciale della giuria è andato invece a Sabrina Kudic per la sua Alicia Keys. La premiazione si è svolta al Museo di Storia Naturale di Pordenone durante l’inaugurazione della mostra Icons of art, progetto espositivo di associazione Naonis supportato dal Comune di Pordenone, realizzato in collaborazione con Scuola Mosaicisti del Friuli col contributo di Regione Friuli Venezia Giulia e Fondazione Friuli e col sostegno di Confartigianato e Bcc Pordenonese e Monsile.
Enzo Subiaz autore di Al Pacino La collezione di ritratti musivi, di cui fanno parte i lavori premiati, è dedicata agli artisti italoamericani e si compone di una decina di opere: 5 realizzati appunto nell’ambito della quinta edizione del concorso Mosaic Young Talent; 5 realizzati nell’ambito del Bando nazionale “Per Chi Crea”, indetto da SIAE e MiBACT. Secondo la giuria il lavoro di Enzo Subiaz “inquadra un’espressione intensa di Al Pacino e, nell’aderenza al tratto fisionomico dell’attore, ne interpreta liberamente l’indole fissandola in un atteggiamento ironico e irriverente, mostrando un’apprezzabile capacità di penetrazione psicologica dell’autore”. Il Frank Sinatra di Stefano Marroffino – dove coesistono materiali naturali e frammenti di vinile, mastici e carta, ceramica e juta – è stato invece apprezzato perché “sembra suggerire un dialogo virtuale con il fruitore, aggettando da un fondo che con la sua minima consistenza affidata per lo più alla carta si pone in un dialettico equilibrio con la matericità variegata della figura”. In merito all’Alicia Keys di Sabrina Kurdic la giuria ha sottolineato la sapienza costruttiva in una combinazione di materiali molto diversi: da quelli tradizionali (smalti veneziani, marmi) agli inserimenti (il foulard, frammenti d’oro, cerniere) capaci di sperimentare il nuovo senza rinunciare al tradizionale”. Diplomato in letteratura, Enzo
Subiaz è laureato in affresco e mosaico alla Oliviers de Serres a Parigi. Stefano Marrofino, prima di approdare alla Scuola Mosaicisti del Friuli ha studiato al Liceo artistico Enrico e Umberto Nordio di Trieste, dove ha sviluppato le basi della arti figurative. Sabrina Kurdic, dopo aver intrapreso studi economici e di ragioneria, ha scoperto la propria vocazione artistica, trovando la sua forma espressiva ideale nel mosaico. Alla premiazione hanno presenziato l’assessore alla cultura Pietro Tropeano, il direttore e il presidente della Scuola Mosaicisti del Friuli (Gian Piero Brovedani e Stefano Lovison) e il direttore artistico Guglielmo Zanette, che ha voluto sottolineare l’importanza di valorizzare il talento dei giovani. “Porteremo le loro opere in America – ha promesso – dando delle borse di studio ai più meritevoli”. Geumhyung Jeong Upgrade in Progress 29 feb-2giu. FMAV – Palazzina dei Giardini, Modena L’esposizione presenta una nuova installazione site-specific commissionata da Fondazione Modena Arti Visive, incentrata sul progetto più recente di Geumhyung Jeong. L’artista si è distinta a livello internazionale nell’ambito delle arti performative per le sue coreografie allo stesso tempo divertenti e inquietanti in cui si esibisce con apparecchi elettronici con sembianze umanoidi. Combinando diversi mezzi
espressivi – danza, teatro, film e scultura – l’artista realizza le sue opere con una varietà di dispositivi protesici, strumenti hardware meccanici e tecnologici, cosmetici, manichini medici, inserendo performance dal vivo che “dimostrano” come i suoi oggetti poss ano essere utilizzati. Quando li presenta in contesti dedicati alle arti visive, l’artista dispone gli oggetti secondo strane sequenze e li ordina su piedistalli all’interno di ambienti molto illuminati, imitando gli archivi scientifici e le collezioni museali. Nata nel 1980 a Seoul, dove vive e lavora, Jeong ha studiato recitazione alla Hoseo University di Asan (Corea del Sud), danza e performance alla Korean National University of Arts e cinema di animazione alla Korean Academy of Film Arts (entrambe a Seoul). Fin dall’inizio della sua carriera, l’artista ha dedicato il suo lavoro allo studio del rapporto tra il corpo umano e gli oggetti quotidiani inanimati attraverso delle produzioni che combinano linguaggi e tecniche provenienti dagli ambiti della danza contemporanea, del teatro di figura e delle arti visive. La sua pratica performativa prevede movimenti ordinari e riduce al minimo indispensabile i codici specifici e le convenzioni dell’arte e del teatro. Durante l’interazione fisica tra il suo corpo e gli oggetti, è sempre più ambiguo chi controlla chi. Ciò che invece diventa evidente è l’indagine compiuta dall’artista sull’inesorabile legame tra il nostro corpo e la tecno-sfera contemporanea, ovvero il modello dominante attraverso cui facciamo esperienza della nostra quotidianità. Mettendo in discussione la falsa convinzione secondo cui saremmo in grado di controllare la realtà, le opere di Jeong analizzano il modo in cui si
manifestano le inafferrabili e mutevoli sfumature dello sviluppo tecnologico, che modellano la nostra percezione, condizionano le nostre scelte e ci fanno fare esperienza del tempo e dello spazio. Upgrade in Progress è l’ulteriore sviluppo di Homemade RC Toy, una serie di sculture meccaniche a controllo remoto realizzate dall’artista nel 2019 per la sua personale alla Kunsthalle Basel, e di Small Upgrade, presentato lo stesso anno alla 5° Ural Industrial Biennial of Contemporary Art (Russia). Per via della loro realizzazione fai-da-te con componenti acquistati online, e avendo Jeong imparato da autodidatta codici meccanici e di programmazione, i suoi “robot” risultano estremamente amatoriali e i movimenti ad essi infusi alchemicamente dall’artista appaiono imprevedibili e sgraziati. Come suggerisce il titolo della mostra, questo nuovo gruppo di opere è il prosieguo di una narrativa allegorica intrapresa lo scorso anno. I robot meccanici a controllo remoto sono costruiti con caratteristiche visive e strutturali simili a quelle dei “modelli” precedenti, ma possiedono una maggiore varietà di movimenti grazie a una progettazione che, oltre ad aumentarne la flessibilità, controlla anche lo strano aspetto di alcune parti del loro corpo. Le sculture sono collocate su una serie di piani di lavoro modulariche trasformano le sale della Palazzina dei Giardini in un unico palcoscenico e al tempo stesso in un’officina che l’artista utilizzerà concretamente nel corso della mostra. Grazie a questa specifica ambientazione spaziale, l’opera non è solo una statica rappresentazione del luogo in cui Jeong svolge test ed esperimenti sui propri “giocattoli”, ma si trasferisce,
tramite l’azione dell’artista, in una serie di video che agiscono come tutorial, appositamente prodotti e disposti lungo il percorso espositivo. Come sottolinea la curatrice Diana Baldon, “trasformando questa scenografia ipertecnologica con il solo potere dell’immaginazione creativa, la mostra di Jeong rivela ciò che sta oltre la profonda materialità del corpo tecnologico: una gabbia che ha bisogno di riappropriarsi sia del corpo mortale che del suo controllo, di cui però solo la mente dell’artista ha la chiave”. Domenica 1 e 29 marzo alle ore 17, l’artista metterà in scena un live demonstration tour pensatoappositamente per Upgrade in Progress, in cui interagirà con gli oggetti che compongono l’installazione alla Palazzina dei Giardini. In parallelo alla mostra modenese, il focus su Geumhyung Jeong si estende su Bologna attraverso la collaborazione con Live Arts Week IX (26 marzo > 4 aprile 2020), evento dedicato alle live arts a cura di Xing, che presenta per la prima volta in Italia la performance Rehab Training (26 e 27 marzo ore 19presso la galleria P420). Un’occasione per ampliare lo sguardo su un’artista che interroga la relazione tra il proprio corpo e le tecnologie con delicata ossessione e forte sensualità. Nel caso di questa performance, si tratta di apparecchiature sanitarie utilizzate nella formazione degli infermieri con cui l’artista accompagna (o manipola?) un manichino per l’intero ciclo. La riabilitazione è un viaggio in una relazione intima e perturbante in cui sfuma il confine tra soggetto e oggetto (info e prenotazioni: www.liveartsweek.it). Geumhyung Jeong (Seoul, 1980) è artista e coreografa. Le sue ultime mostre personali in istituzioni di arte contemporanea internazionali comprendono: Homemade RC Toy, Kunsthalle Basel,
Basilea (2019); Private Collection: Unperformed Objects, Delfina Foundation, Londra (2017); Tate Live: Geumhyung Jeong, Tate Modern Tanks, London (2017); Private Collection, Atelier Hermès, Seoul (2016). Ha anche preso parte a numerose mostre collettive tra cui: Immortality, la 5° Ural Industrial Biennial of Contemporary Art, Ekaterinburg (2019); la 9° Asia Pacific Triennial, Brisbane (2018); ANTI, Athens Biennale, Atene (2018); The Public Body 02, Artspace, Sydney (2017); The Promise of Total Automation, Kunsthalle Wien, Vienna (2016); Surround Audience: New Museum Triennial 2015, New Museum, New York (2015); The Beast and the Sovereign, MACBA Museu d’Art Contemporani de Barcelona, Barcellona (2015); East Asia Feminism: FANTasia, Seoul Museum of Art, Seoul (2015); Gesture, Württembergischer Kunstverein, Stoccarda (2014); Burning Down the House, 10° Gwangju Biennale, Gwangju (2014). Nel ruolo di coreografa ha partecipato a prestigiosi festival di arti performative a livello internazionale tracui Kunstenfestivaldesarts, Bruxelles (2019); Kyoto Experiment(2018); BOUGE B Festival, deSigel, Anversa (2018); Theater Spektakel, Zurigo (2017); La Bienal de Performance, Buenos Aires (2017); Time-Based Art Festival, Portland Institute for Contemporary Art, Portland (2016); Tanz im August, Berlino(2015); Oslo Internasjonale Teaterfestival (2015); ImPulsTanz Festival, Vienna (2014); Spielart Festival, Monaco (2013); Festival Bo:m, Seoul (2009). Nel 2016 Jeong ha vinto il premio Award by Hermès Foundation Missulsang e nel 2009 il premio Excellence Award for Alternative Vision al Seoul New Media Art Festival. Geumhyung Jeong. Upgrade in Progress A cura di
Diana Baldon Sede Fondazione Modena Arti Visive Palazzina dei Giardini | Corso Cavour 2, Modena Press preview Giovedì 27 febbraio 2020, ore 11.30 Inaugurazione Venerdì 28 febbraio 2020, ore 18 Date 29 febbraio – 2 giugno 2020 Live Demonstration Tour 1 e 29 marzo, ore 17 Orari Mercoledì, giovedì e venerdì: 11-13 / 16-19; sabato, domenica e festivi: 11-19 Sabato 16 maggio, apertura straordinaria fino alle ore 24 e ingresso libero dalle ore 19 (in occasione della notte bianca “Nessun Dorma”) Ingresso Intero € 6,00| Ridotto € 4,00 Ingresso libero: mercoledì | prima domenica del mese
Acquista online su Vivaticket Informazioni Tel. +39 059 2033166 (in orario di mostra) | www.fmav.org 24 aprile / 2 maggio 2020 – Udine – Teatro Nuovo & Visionario IL FAR EAST FILM FESTIVAL 22 SI FARÀ Il Far East Film Festival si farà: ecco le sette parole che l’affezionatissimo pubblico internazionale della manifestazione stava aspettando e che stavano aspettando anche i cittadini friulani e italiani. L’emergenza del Coronavirus, cioè un’emergenza a livello globale, vincola necessariamente questo annuncio alle normative istituzionali in materia e all’evolversi della situazione, questo è chiaro, ma la ventiduesima edizione del FEFF si farà. «È dal 1999 che il Far East Film Festival porta centinaia e centinaia di filmmaker e artisti asiatici qui in Regione – commentano Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche, i due fondatori e responsabili del FEFF – e la prospettiva di non poterlo fare anche quest’anno, o per lo meno di dover rinunciare agli ospiti di area cinese, ci crea ovviamente un grande dispiacere. Per fortuna viviamo in un’epoca ipertecnologica e, ove mai le cose non dovessero prefigurarsi in modo positivo, garantiremo comunque la loro presenza attraverso i collegamenti digitali». Aggiunge Tiziana Gibelli,
Assessore regionale alla Cultura: «Nel 2001, pochi giorni dopo la tragedia del World Trade Center, la società della quale ero allora Amministratore Delegato realizzò dalla Scuola Grande di San Rocco a Venezia la presentazione mondiale dell’album di Andrea Bocelli. Andò molto bene allora, che si era alla preistoria del digitale via satellite, andrà benissimo anche adesso, con il FEFF 2020, perché nella peggiore delle ipotesi ci collegheremo con estrema facilità con chi dal Far East non riuscirà a raggiungerci e anche con chi da lì vorrà seguirci. Anzi, potremo anche aprire una nuova strada per raggiungere il pubblico che vuole seguire i film del proprio paese che partecipano a un festival europeo così importante». «Il Comune di Udine – conclude Fabrizio Cigolot, Assessore comunale alla Cultura – garantirà al Festival tutto l’appoggio necessario affinché questa importante manifestazione consegua il grande successo delle edizioni precedenti». Se la questione-ospiti rimane, dunque, obbligatoriamente in stand-by (le presenze verranno confermate solo a ridosso dell’inizio, cioè il prossimo 24 aprile), tutto lo staff del FEFF 22 è già operativo da mesi e sta lavorando ogni giorno per dare forma all’attesissima edizione 2020. Alessandro Marotta
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