Il presepe, tradizione del Natale
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Il presepe, tradizione del Natale Quando ogni anno, nelle chiese, nelle case, nelle strade, nei luoghi di lavoro, in occasione della festa del Natale si rinnova la tradizione del presepe, i cristiani rivivono in quale modo Dio ha voluto farsi solidale con l’umanità tutta. “In principio era il Verbo… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi …” (Gv 1, 1.14); e: “La vergine partorirà un figlio che sarà chiamato l’Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt 1, 22-23, riprendendo le parole del profeta Isaia). Giotto – Natività – Cappella degli Scrovegni Il termine PRESEPE (o più correttamente, come riportato nella maggior parte dei dizionari, PRESEPIO) deriva dal latino PRAESAEPE, cioè greppia, mangiatoia, composto da prae = “innanzi” e saepes = “recinto”, ovvero luogo che ha davanti un recinto. Nel significato comune questa locuzione è usata ora per indicare la RAPPRESENTAZIONE PLASTICA, CON STATUE O SIMILI, DELL’EVENTO DELLA NASCITA DI GESÙ CRISTO, raffigurato in personaggi ambientati in un paesaggio presumibilmente palestinese. Essenziale al presepio è l’essere fatto oggetto di culto durante il tempo natalizio. Oggi, dopo l’affievolirsi della tradizione negli anni ’60 e ’70, causata anche dall’introduzione dell’albero di Natale, il presepio è tornato a fiorire grazie all’impegno di religiosi e privati che con associazioni come quelle degli Amici del Presepi, musei tipo il Grembo di Dalmine di Bergamo, mostre come quella dei 100 Presepi nelle Sale del Bramante di Roma o dell’Arena di Verona, rappresentazioni dal vivo come quella della rievocazione del Natale di Greccio e i presepi viventi di Rovisondoli in Abruzzo o Revine nel Veneto e soprattutto la produzione di artigiani presepisti napoletani e siciliani eredi delle scuole presepistiche del passato, hanno ricondotto nelle case e nelle piazze d’Italia la Natività e tutti i personaggi della simbologia cristiana del presepio.
Ma da dove sorge questa tradizione, che possiamo dire “tutta italiana”? Tipico presepe napoletano La celebrazione liturgica del Natale Se fin dai tempi apostolici i discepoli di Gesù prendono a celebrare la Pasqua (al 14 di Nisan) quale “memoriale della morte-risurrezione del Maestro” (come testimoniano i racconti evangelici e 1 Cor 5, 7-8 e la 1 Pt., ritenuta un’omelia pasquale e battesimale) e, in parallelo, cinquanta giorni dopo, la Pentecoste quale “memoriale del dono dello Spirito”, rendendo le due feste il “perno” della vita liturgica delle loro comunità, non così avviene per il Natale e per la sua celebrazione nella data fissa del 25 dicembre. Si è verificato qualcosa di analogo alla stesura dei vangeli scritti, frutto di un annuncio-kerigma preoccupato di presentare il mistero della passione-morte-risurrezione di Gesù e non tanto di raccontare la sua infanzia, raccontata e riletta solo in un secondo tempo alla luce di questo elemento fondante.
Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività. Nel loro racconto c’è già tutta la sacra rappresentazione che, a partire dal medioevo, prenderà il nome latino di PRAESEPIUM, ovvero recinto, mangiatoia. C’è l’umile nascita di Gesù (decritta in Lc 2, 7: “Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo”; c’è l’annuncio dato ai pastori; ci sono i magi venuti dall’oriente seguendo una stella per adorare il Bambino che i prodigi del cielo annunciavano già re. Beato Angelico - Natività L’antichità cristiana è incerta sul giorno della nascita di Gesù. La tradizione apostolica manca di qualsiasi accenno alla data storica di questa nascita. Clemente Alessandrino, vissuto nel II secolo, negli Stromata indica tre possibili date (20 maggio, 10 gennaio o 6 gennaio), quest’ultima come quella accettata dai più. Cipriano di Cartagine (morto nel 258) colloca il dies natalis al 28 marzo; il contemporaneo Ippolito di Roma al 2 aprile dell’anno 5500 del mondo o 752 di Roma. L’orientarsi verso queste date è certamente influenzato dall’importanza attribuita all’equinozio di primavera (25 marzo, poi 21 marzo, mercoledì “giorno del sole”), creduto inizio della creazione e quindi data del concepimento (o anche della nascita) del Creatore. Se resta alquanto indeterminato il preciso momento in cui si inizia a celebrare il Natale di Gesù, fuori dubbio è la sua origine liturgica prettamente legata alla comunità cristiana di Roma.
Sarà utile ricordare qui che a Betlemme, nello “Specum Salvatoris” (la chiesa della Natività), si venera lo “stabulum dove Egli nacque”, per usare le parole di Girolamo in una sua lettera del 404. Si tratta della mangiatoia scavata nella roccia, sostanzialmente arrivata fino a noi, già rivestita di placche d’argento (dal 326 al 614) e più tardi di lastre metalliche con fori che permettevano di toccare la roccia sacra.
In Roma, sotto l’altare maggiore della basilica di S. Maria Maggiore, si venera invece la dubbia reliquia della “culla di Gesù”, cinque assicelle di acero del I secolo ritrovate in Terra Santa da Elena, madre di Costantino. Il reliquiario contenente le assicelle della ”Santa culla” Non sappiamo se l’inizio della celebrazione del natale possa essere ricondotta alla presenza di questa pseudo-reliquia, ma possiamo affermare che è verso il 336 che si colloca la notizia di una festa del natale a Roma, festa presto diffusasi nelle altre comunità cristiane del tempo. Ambrogio nel De virginitate (PL 16, 219) riferisce un suo sermone “natalibus Salvatoris” da lui tenuto nel 352 o 353; pochi anni dopo Agostino attesta questa celebrazione anche in Africa. Botticelli - Natività
Possiamo pertanto affermare che dalla fine del IV secolo la celebrazione liturgica del Natale- Epifania è ormai stabilita nel Nord Italia, nelle Gallie e in Spagna ed è considerata tra le grandi festività. Correggio - Natività Inizialmente le due feste, Natale ed Epifania, costituiscono un’unica festa avente come oggetto l’ “incarnazione del Verbo”, celebrata però con accentuazioni diverse, sotto una denominazione e in date differenti in oriente e in Occidente, qui il 25 dicembre come festa di natale, là il 6 gennaio come festa dell’epifania (“manifestazione”). La distinzione in due feste dal contenuto diverso avviene tra la fine del IV secolo e l’inizio del V. Filippo Lippi - Natività
Al sorgere della celebrazione del Natale il 25 dicembre, data che sotto l’influsso della chiesa di Roma prevale ovunque, contribuiscono cause diverse. La data è scelta dai pastori della comunità di Roma nel tentativo di soppiantare la festa pagana del “Natalis (solis) invicti”, cioè la nascita di Mitra, considerato il benefattore dell’umanità che immolava il toro divino, il cui sangue era la vita dell’universo. Il culto del sole, molto in voga in quel periodo di decadente paganesimo, era caratterizzato da solenni celebrazioni al solstizio d’inverno. Per allontanare i fedeli da queste feste idolatriche, la chiesa richiama i cristiani a considerare la nascita di Cristo, vera luce che illumina ogni uomo, fondando l’affermazione sui testi biblici di Mal. 3,20 che ricorda il Messia come “sole di giustizia” e dell’inno cristologico che Lc 1,78 pone sulle labbra di Zaccaria, padre del Battista “ci visiterà un sole che sorge dall’alto”.
Le grandi eresie dei secoli IV e V e la celebrazione dei quattro concili ecumenici di Nicea, Efeso, Calcedonia e Costantinopoli hanno fatto del natale, soprattutto per opera di s. Leone Magno, l’occasione per affermare l’autentica fede nel mistero dell’incarnazione. Da ultimo ricordo che, fin dal VI secolo, il giorno di Natale è caratterizzato dall’uso di celebrare tre messe nelle quali il simbolismo medioevale vuole poi vedere un’allusione alla triplice nascita di Gesù: nell’eternità dal seno di Dio; nel tempo dal seno di Maria; nell’anima di ogni cristiano. La riforma liturgica del Vaticano II e il Messale di Paolo VI hanno conservato sostanzialmente la triplice celebrazione eucaristica nella solennità del natale (la messa della notte, quella dell’aurora e quella del giorno), arricchendola di testi biblici ed ecologici e di un nuovo formulario per la messa vespertina nella vigilia. Domenico Ghiralandaio - Natività
La tradizione francescana del presepio Comunemente la tradizione riconduce il presepio al desiderio di Francesco d’Assisi, tornato dal viaggio in Palestina, di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Betlemme coinvolgendo il popolo nella rievocazione realizzata a Greccio la notte di Natale del 1223, episodio rappresentato poi magistralmente da Giotto nell’affresco della Basilica Superiore di Assisi. Giotto – Il Natale di Greccio (Assisi - Basilica Superiore) Francesco amava il Natale più di tutte le altre feste (2 Cel 199; FF 787). Il motivo di un così grande amore lo esprime egli stesso nella RnB (23,5; FF 64): “E ti rendiamo grazie, perché… hai fatto nascere lo stesso vero Dio e vero uomo dalla gloriosa sempre Vergine beatissima santa Maria”. Nella 2 Lettera a tutti i fedeli (4-5; FF 181-182) scrive ancora: “L’altissimo Padre annunciò… alla santa e gloriosa Vergine Maria, dalla quale ricevette la carne della nostra fragile umanità. Egli, essendo ricco… volle tuttavia scegliere insieme alla sua madre beatissima la povertà”. Se è certamente vero che il mistero dell’incarnazione, nella molteplicità dei suoi aspetti e nella ricchezza di esperienza con le quali è stato vissuto da Gesù – soprattutto quella terribile della passione- occupava costantemente l’animo di Francesco (1 Cel 84 e 115; FF 467 e 522), ciò che in esso più di tutto lo conquistava, era l’umiltà della nascita (1 Cel 84; FF 467).
Perciò egli celebrava più di tutte le altre feste “con ineffabile premura il Natale del bambino Gesù” (2 Cel 199; FF 787). “Invero, benché il Signore abbia operato la nostra salvezza nelle altre solennità, diceva il santo che fu dal giorno della sua nascita c’egli si impegnò a salvarci. E voleva che a natale ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, il quale ha dato a noi tutto se stesso, fosse gioiosamente generoso non solo con i bisognosi, ma anche con tutti gli animali e gli uccelli” (LegP 110; FF 1669). Secondo la lieta giurisprudenza di Francesco, la legge del digiuno non obbliga nel giorno del Natale, anche se cade di venerdì: il quel giorno anche i muri dovrebbero mangiare carne o esserne spalmati (2 Cel 199-200; FF 787-788; e con maggior ragione dovrebbero essere saziati i poveri e i mendicanti, i buoi e gli asini e gli uccellini (2 Cel 199; FF 787; LegP 110; FF 1669; Spec. Perf 114; FF 1814).
Che Francesco, con la celebrazione di Greccio, abbia iniziato la pia costumanza di esporre per quella festa il presepio nelle chiese, nei conventi e nelle case private, così come tuttora praticata, è opinione diffusa, ma anche controversa. Ci si chiede: come Francesco ha celebrato il Natale di Greccio?, da dove ha tratto lo spunto per ideare il presepio “vivente”? quale l’influsso il presepio di Greccio sul presepio realizzato nei tempi seguenti? Cercherò di rispondere a queste domande esaminando le FF. 1) Il primo presepio a Greccio nella celebrazione del Natale del 1223. Siamo indotti a ritenere “attendibile” il racconto riferito da Tommaso da Celano (1 Cel 84-87; FF 466-471; 2 Cel 35; FF 621) perché scritto a fine 1228 – inizio 1229, viventi i testimoni oculari dell’evento. Pur non essendone stato testimone oculare il Celano descrive la celebrazione con vivezza di stile e con una tenerezza che vibra nell’eloquio particolarmente fiorito. Racconta il Celano: “C’era in quella contrada [di Greccio, nella Valle Reatina, romitorio preferito da Francesco ] un uomo di nome Giovanni [Velita, signore di Greccio], di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa quindici giorni prima della festa della Natività, il beato Francesco lo fece chiamare, come faceva spesso, e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio l’imminente festa del Signore, precedimi e prepara quanto ti dico; vorrei fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme, e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una mangiatoia (“in praesepio”) e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.
Appena l’ebbe ascoltato, quell’uomo buono e fedele se ne andò sollecito e approntò, nel luogo designato, tutto secondo il disegno esposto dal santo. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati frati da varie parti; uomini e donne del territorio preparano festanti, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per rischiarare quella notte, che illuminò col suo astro scintillante tutti i giorni e tutti i tempi. Arriva alla fine il santo di Dio e, trovando che tutto era stato predisposto, vede e se ne rallegra. Si accomoda la greppia, si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Quella notte è chiara come pieno giorno e deliziosa per gli uomini e per gli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al rinnovato mistero. La selva risuona di voci e le rupi echeggiano di cori festosi. Cantano i frati le debite lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il santo di Dio è lì estatico di fronte alla mangiatoia, lo spirito vibrante pieno di devota compunzione e pervaso di gaudio ineffabile. Poi viene celebrato sulla mangiatoia il solenne rito della messa e il sacerdote assapora una consolazione mai gustata prima. Francesco si veste da levita, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora è un invito per tutti a pensare alla suprema ricompensa. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva pronunciare Cristo con il nome di “Gesù”, infervorato d’immenso amore, lo chiamava “il Bambino di Betlemme”, e quel nome “Betlemme” lo pronunciava come il belato di una pecora, riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e deglutire tutta la dolcezza di quella parola.
Vi si moltiplicano i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Vide nella mangiatoia giacere un fanciullino privo di vita, e Francesco avvicinarglisi e destarlo da quella specie di sonno profondo. Né quella visione discordava dai fatti perché, a opera della sua grazia che agiva per mezzo del suo santo servo Francesco, il fanciullo Gesù fu risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e fu impresso profondamente nella loro memoria amorosa. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia. Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia i giumenti e gli animali… Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra la mangiatoia è stato costruito un altare ed è stata dedicata una chiesa in onore del beatissimo padre Francesco, affinché là dove un tempo gli animali mangiarono il fieno, ora gli uomini possano mangiare, per la salute dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con infinito e ineffabile amore ha donato se stesso per noi…”. Il racconto è ripetuto dai successivi agiografi francescani senza aggiungere nulla di nuovo. Solo Bonaventura nella Legenda Maior (10,7; FF 1186) aggiungerà il particolare che “Francesco, per evitare l’accusa di introdurre delle novità, aveva prima richiesto il permesso dal papa Onorio III”; notizia plausibile se si pensa che il 23 novembre il poverello d’Assisi aveva ottenuto l’approvazione della Regola e, con ogni probabilità, era stato a Roma in quell’occasione. 2) Il significato dato da Francesco al suo presepio di Greccio. A Greccio, il Natale fu celebrato senza le statue della Madonna e di san Giuseppe. Certamente non c’era nemmeno il simulacro del bambino Gesù, dato il carattere francescano della celebrazione del Natale in forma drammatica: Gesù-sacramento, vivo e vero, presente nel segno del pane e del vino, sarebbe sceso in persona sull’altare-mangiatoia. Ciò che Francesco voleva “vedere” era la massima povertà e l’estrema umiliazione del Figlio di Dio nato a Betlemme e, insieme, il legame tra la “venuta nella carne” di Gesù a Betlemme e quella “sacramentale” sull’altare eucaristico. E’ questa l’interpretazione più appropriata del Natale di Greccio, indicata da Francesco stesso nella 1a Ammonizione (16-21; FF 144):
“Vedete, ogni giorno il Figlio di Dio si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l’altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi Apostoli apparve in vera carne, così ora si mostra a noi nel pane consacrato; e come essi con lo sguardo fisico vedevano solo la sua carne, ma, contemplandolo con gli occhi della fede, credevano che egli era Dio, così anche noi con gli occhi del corpo vediamo e fermamente crediamo che il suo santissimo corpo e sangue sono vivi e veri”. La liturgia educa da sempre i fedeli a vivere i misteri della vita di Cristo attualizzati nelle sue celebrazioni. A Greccio, il mistero della nascita di Gesù veniva celebrato per la prima volta con il rito sacramentale dell’eucaristia, rivestito in forma drammatica delle immagini rappresentative del natale di Betlemme. La novità e originalità dell’ideazione sanfrancescana fu quella di “inventare” un presepio eucaristico. L’abbinamento Betlemme-Greccio, mangiatoia-altare, esisteva già nella liturgia natalizia ed è abbondantemente testimoniata nella tradizione letteraria ecclesiale. L’accostamento tra Eucaristia e Betlemme è del resto facilmente intuibile: “Betlemme” è interpretato come “casa del pane”; Gesù stesso si era definito come “pane vivo”, “pane disceso dal cielo” e “pane della vita” destinato a nutrire i suoi fedeli. Nella liturgia di Natale del cosiddetto Sacramentario gregoriano, ricorreva annualmente il testo “Colui che è il pane degli angeli, nel presepio della Chiesa è diventato il cibo degli animali credenti”. E’ però necessaria una precisazione: per Francesco, come per tutti gli altri autori cristiani, l’attualizzazione della nascita di Cristo nel mistero dell’eucaristia era inteso in senso indiretto, dato che il sacramento dell’eucaristia attualizza direttamente e propriamente il sacrificio della croce e il mistero della cena.
Caravaggio – Natività con i santi Lorenzo e Francesco 3) Il presepio e le sacre rappresentazioni. Vari autori hanno affermato un influsso su Francesco di preesistenti sacre rappresentazioni liturgiche, attuate durante l’ufficio della notte del Natale, ma è influsso di difficile dimostrazione, per mancanza di didascalie nei manoscritti che ci conservano quei testi. I drammi liturgico/natalizi del tempo di Francesco avevano per tema la nascita di Gesù, ma anche la visita dei pastori, l’adorazione dei magi e la strage degli innocenti. In tutti questi “quadri viventi” poteva essere raffigurato anche il presepe. Ciò si faceva dal secolo X in poi nelle cattedrali e nelle chiese dei grandi monasteri di Francia, Svizzera, Germania, Belgio ed Italia del nord, con attori quasi esclusivamente chierici o sacerdoti, anche per le parti femminili (come attestato da un Ordo della cattedrale di Padova del XIII secolo e l’Officium pastorum di Rouen nel secolo XIV; ma già nel 1161 Gerhoh di Reichersberg inveiva contro il clero che compiva un’azione dissacrante, “degna piuttosto dell’anticristo che di Gesù”, manifestando un santo orrore di tali spectacula theatralia, dove uomini si abbassavano a diventare delle donne! La celebrazione natalizia di Greccio, così come ci viene riferita da f. Tommaso da Celano, lo storico più antico e più attendibile di Francesco, sembra non avesse nulla, o quasi nulla, da spartire con le sacre rappresentazioni, a cui si è appena accennato. A Greccio non c’era il fasto delle cattedrali né delle abbazie, dove di solito si celebravano le sacre rappresentazioni. Non c’erano attori, né testi da recitare. Non c’era la coreografia delle grandi cerimonie pontificali dell’Ufficio liturgico entro il quale veniva inserita la sacra rappresentazioni. A Greccio c’era solo una grotta vera, naturale, scavata nella roccia, capace di accogliere appena i celebranti e i pochi assistenti sacri, oltre ai due animali accanto alla mangiatoia-presepio. La celebrazione natalizia di Greccio fu una pura celebrazione della fede e dell’amore.
4) Si può asserire una origine sanfrancescana del presepio? Nessuno degli storici antichi attribuisce a Francesco l’invenzione del presepio. Neppure Diego de Tequile che, nel 1664, accenna ai meriti che l’Ordine francescano aveva per la diffusione di varie devozioni, ma senza menzionare il presepio. Soltanto nel tardo medioevo sembra che, nel ricostruire figurativamente il sacro avvenimento di Betlemme nei presepi delle chiese, dei conventi e delle case, pensassero anche a s. Francesco, stimolate forse dalla nuova ondata di Francescanesimo che emanava dall’Osservanza e aiutate dalla più larga diffusione dei primi scritti francescani per mezzo della stampa, recentemente inventata. Nel Quattrocento la Leggenda Maior di s. Bonaventura e le Meditazioni della vita di Cristo esercitavano un influsso profondo sulla devozione popolare. Di quel secolo ci sono conservate delle preghiere francescane da recitare davanti al presepio, nonché delle “visite al presepio”, anche in compagnia di Francesco. Dal Seicento in poi, sono più numerosi gli scrittori che attribuiscono l’invenzione del presepio a san Francesco e la sua propagazione ai suoi frati. La tradizione francescana del presepio verrà quasi codificata nell’Ordine, nel 1759, dal ministro generale Clemente da Palermo per le case di ritiro e, nel 1890, dal generale Bernardino da Portogruaro per tutti i suoi conventi.
Soltanto dopo l’introduzione legale del presepio nel costume dell’Ordine, si darà per certo che l’inventore ne sia stato Francesco. E non spaventa la mancanza di documenti scritti che ne attestino la veridicità! Era del tutto naturale pensare che i francescani, dopo Greccio, continuassero quella pia devozione inaugurata dal loro fondatore. Quando il 10 settembre 1985 la Congregazione per il culto divino ha confermato Francesco patrono per l’associazione austriaca degli Amici del presepio, anche le altre associazioni nazionali si sono ritenute incluse in quel patronato. Piero della Francesca - natività Nonostante l’assenza di argomenti storici favorevoli bisogna ammettere che la conoscenza della celebrazione del Natale di Greccio del 1223 offre una facile e bela soluzione (ma non vera) a chi è interessato a sapere l’origine del presepio. Francesco ha indubbiamente dato un impulso notevole alla devozione verso l’umanità di Cristo, favorendo la formazione di un clima spirituale atto allo sviluppo del culto per il bambino Gesù e, per conseguenza, alla devozione per il presepio. Ma fu proprio la purezza di fede del santo a escludere che Greccio diventasse il prototipo del presepio che noi conosciamo, perché Francesco cercò di creare la suggestione dell’ambiente per un incontro “reale” con il Gesù eucaristico, accolto nella povertà di una grotta come a Betlemme, ma rifiutò di rappresentare la scena come pura “finzione”. L’attribuzione a Francesco dell’invenzione del presepio risulta antistorica, sia quanto ai dati cronologici e documentaristici, sia quanto alla coerenza con lo spirito di Francesco. Il suo merito non è stato quello di inventare una scena, che tutti possiamo riprodurre, ma quello di aver mostrato con quale cuore ci si deve accostare al bambino Gesù.
Dalla Natività al presepio La raffigurazione della Natività ha origini ben più remote di quella del presepio. La scena della nascita di Gesù colpisce la fantasia degli artisti fin dall’epoca paleocristiana per rendere meno oscuro il mistero di un Dio che si fa uomo e sollecitando a rimarcare gli aspetti trascendenti quali la divinità del Bambino Gesù e la Verginità di Maria. Si possono qui menzionare le effigi parietali del III secolo nel cimitero di S. Agnese e nelle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla in Roma, che mostrano una Natività e l’adorazione dei Magi. La più antica raffigurazione della natività (Catacombe di Priscilla in Roma) A partire dal IV secolo la Natività diviene uno dei temi dominanti dell’arte religiosa. In questa produzione spiccano per valore artistico la Natività e Adorazione dei Magi del dittico a cinque parti in avorio e pietre preziose del V secolo che si ammira nel Duomo di Milano e i
mosaici della Cappella Palatina a Palermo; del Battistero di Santa Maria a Venezia e delle Basiliche di S. Maria Maggiore e di S. Maria in Trastevere a Roma. Lorenzo Lotto - Natività Dal secolo XIV la Natività è stimola l’estro figurativo degli artisti più famosi che si cimentano in affreschi, pitture, sculture, ceramiche, argenti, avori e vetrate che impreziosiscono chiese e dimore della nobiltà o di facoltosi committenti dell’intera Europa (valgano per tutti i nomi di Giotto, Filippo Lippi, Piero della Francesca, Perugino, Dürer, Rembrand, Poussin, Murillo, Correggio, Rubens…).
Per molto tempo il Presepio è essenzialmente elemento iconografico realizzato nelle chiese. Il primo presepio inanimato a tutto tondo di cui si ha notizia è quello realizzato da Arnolfo di Cambio fra il 1290 e il 1292, le cui statue lignee residue si trovano nel Museo Liberiano di S. Maria Maggiore a Roma). Da allora e fino alla metà del 1400 gli artisti producono statue in legno o terracotta che sistemano davanti a una pittura riproducente un paesaggio come sfondo alla scena della Natività, il tutto collocato all’interno delle chiese. D’altro canto dal Quattrocento in poi la Natività e l’Adorazione dei Magi risulteranno soggetti tra i più amati di pittori, scultori e ceramisti.
Nel XV e XVI secolo si diffonde l’usanza di collocare nelle chiese grandi statue permanenti (uno dei più antichi, tuttora esistenti, è il presepio monumentale di S. Stefano in Bologna, allestito ogni anno). Adorazione dei Magi – Bologna (Chiesa di S. Stefano) Dal XVII secolo il presepe inizia a diffondersi anche nelle case dei nobili sotto forma di "soprammobili" o di vere e proprie cappelle in miniatura anche grazie all'invito del papa durante il Concilio di Trento poiché ammirava la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare. Nel XVIII secolo, a Napoli, si scatenerà una vera e propria competizione fra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso (alla cui realizzazione venivano destinate intere camere dei loro appartamenti). Nello stesso secolo a Bologna, città che vanta un'antica tradizione presepistica, venne istituita la Fiera di Santa Lucia quale mercato annuale delle statuine prodotte dagli artigiani locali, che viene ripetuta ancora oggi ogni anno. Nei secoli successivi la realizzazione del presepe, ovviamente in maniera meno appariscente, diviene rito irrinunciabile del tempo natalizio delle famiglie sia borghesi che del popolino.
Ed essendo un prodotto culturale, il presepe si è diffuso nelle diverse culture con significative varianti.
I simboli del presepio In queste opere si fa evidente la dimensione “simbolica” del presepe, dedotta direttamente dal racconto evangelico (mangiatoia, pastori, angeli) o appartenente all’iconografia propria dell'arte sacra (ad es: Maria ha un manto azzurro che simboleggia il cielo; Giuseppe un manto dai toni dimessi a rappresentare l'umiltà; e, a partire dal XIII secolo, rappresentati in atteggiamento di adorazione proprio per sottolineare la regalità dell’infante). Frammento di papiro con testo apocrifo La maggior parte degli elementi costitutivi il presepe risultano tuttavia largamente attinti dai Vangeli apocrifi e da arcane tradizioni dimenticate. Basti ricordare il bue e l'asinello, immancabili in ogni presepe, derivati da una antica profezia di Isaia 1,3 che dice "Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone". Sebbene Isaia non si riferisse assolutamente alla nascita del Cristo, l'immagine dei due animali viene già messa in evidenza nel commento di Ambrogio In Lucam 2, 7 (PL 15,2649) e poi utilizzata come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (dall'asino).
Anche la stalla o la grotta in cui Maria avrebbe partorito il Messia non compare nei Vangeli canonici, ma anche questa informazione si trova nei Vangeli apocrifi [NB.: l'immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli soprattutto mediorientali e, del resto, si credeva che anche Mitra, divinità persiana venerata anche tra i soldati romani, fosse nato in una grotta il 25 dicembre ]. Infine l’apocrifo Vangelo dell’infanzia armeno viene a colmare le lacune irrisolte dal racconto di Matteo, assegnando loro i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, e facendoli diventare tre re-sacerdoti orientali (il primo un persiano recante in dono oro per la regalità; il secondo un arabo meridionale recante l’incenso per la divinità; il terzo un etiope recante la mirra per l’umanità). Ma è papa Leone I (440-462) a fissare il loro numero in tre (prima il numero dei magi oscillava fra due e dodici!), come i doni da loro offerti, permettendo una duplice interpretazione simbolica quali rappresentanti delle tre età dell’uomo (gioventù, maturità e vecchiaia) e delle tre razze in cui si divide l’umanità (la semita, la giapetica e la camita secondo il racconto biblico dei figli di Noé). Da ultimo sarà la tradizione popolare ad arricchire il presepio di nuovi elementi funzionali alla simbologia, come riscontrabile nei presepi bolognesi (che vi collocano la Meraviglia, il Dormiglione e, di recente, la Curiosa) o nei presepi napoletani (che aggiungono alla scena personaggi popolari, osterie, commercianti e case tipiche di borghi agricoli, elementi palesemente anacronistici con costumi ed ambientazioni contemporanee all'epoca di realizzazione dell'opera).
Statuine di presepi bolognesi e genovesi
Dal culto dei “Lari” al presepio? Per comprendere il significato originario del presepe, occorre chiarire la figura del “lari” (lares familiares), profondamente radicata nella cultura etrusca e latina. I larii erano antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia. Ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta, di terracotta o di cera (più raramente in metallo), chiamata sigillum (da signum = segno, effigie, immagine). Le statuette venivano collocate in apposite nicchie e, in particolari occasioni, onorate con l'accensione di una fiammella.
In prossimità del Natale si svolgeva la festa detta Sigillaria (20 dicembre), durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti durante l'anno. In attesa del Natale, il compito dei bambini delle famiglie riunite nella casa patriarcale, era di lucidare le statuette e di disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura. Nella vigilia del Natale, dinnanzi al recinto del presepe, la famiglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino. Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, "portati" dai loro trapassati nonni e bisnonni. Dopo il IV secolo, quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dello stato, in pochi secoli i cristiani tramutarono le feste tradizionali in feste cristiane, mantenendone i riti e le date, ma mutando i nomi ed i significati religiosi. Essendo una tradizione molto antica e particolarmente sentita (perché rivolta al ricordo dei familiari defunti), il “presepe dei larii” sopravvisse nella cultura rurale con il significato originario almeno fino al XV secolo e, in alcune regioni italiane, ben oltre.
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