Il Fascio ritrovato Nessuna cancellazione né rimozione. E' la legge
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www.passaggimagazine.it Il Fascio ritrovato Nessuna cancellazione né rimozione. E' la legge Caterina Bon Valsassina* “Le immagini sono più potenti dei discorsi” sosteneva nel 1845 l’associazione newyorkese di artisti e imprenditori “American Art Union”, che aveva intuito la straordinaria potenzialità delle immagini come cemento culturale per la nuova nazione americana (Orietta Rossi Pinelli, Arte di frontiera. Pittura e identità nazionale nell’Ottocento nord-americano, Roma, 1996, p.18). A distanza di quasi due secoli l’affermazione sulla potenza delle immagini è ancora oggi pienamente valida, in una linea di continuità con i secoli precedenti nel mondo occidentale: i dipinti nelle chiese erano uno strumento per insegnare le Sacre Scritture ai fedeli per la maggior parte analfabeti (Biblia pauperum), attraverso le arti visive nei palazzi venivano celebrati sovrani, nobili, generali, battaglie. In epoca moderna è interessante l’analogia di intenti fra l’associazione americana di metà Ottocento e il regime fascista negli anni Trenta del Novecento, che aveva affidato molto della sua propaganda alla promozione delle arti come “cemento” per la nuova nazione. Nel tempo presente, la polemica cittadina suscitata dal “fascio ritrovato” nella sala centrale del Mercato coperto di Perugia dimostra, una volta di più, la potenza delle immagini. Una polemica è il sintomo di un disagio che come tale va capito e indagato, nonostante la maggior parte dello sdegno manifestato nei media locali e nei social con le proposte più svariate evidenzi soprattutto una gran confusione, una “regolata mescolanza” di politically correct intriso di un antifascismo più enunciato che realmente vissuto. Emerge allo stesso tempo un aspetto positivo nello sdegno cittadino ed è la volontà di partecipazione stimolata dal sentimento di riconoscere il patrimonio artistico della città, quindi anche l’edificio del Mercato coperto, come “proprio”. Come rispondere a questa volontà di partecipazione? Comincerei innanzitutto col tentare di diradare la principale confusione sul ruolo della Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio dell’Umbria in questa vicenda. Perché la Soprintendenza ha voce in capitolo in un edificio di proprietà comunale? Il motivo è che il Mercato coperto è sottoposto a vincolo in base al Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 sia perché è un edificio di proprietà pubblica di più di settant’anni (è stato costruito nel 1931) sia perché è stato dichiarato espressamente “bene culturale” con un atto
www.passaggimagazine.it amministrativo della Soprintendenza perché presenta “…..un interesse particolarmente importante a causa del [omissis] riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere….” (art. 10, comma 1 e comma 3, lettera d); la sottolineatura è mia). Cosa ha significato in concreto il doppio “vincolo” sul Mercato coperto? Ha significato che, come per tutti i beni culturali, “le opere e i lavori di qualunque genere” (art. 21, comma 4) sono subordinati all’autorizzazione della Soprintendenza. Ora la valutazione della Soprintendenza non può che essere “una valutazione tecnica circa la compatibilità tra la proposta di intervento e le esigenze di più rigorosa salvaguardia dei profili materiali del bene protetto” (Emanuele Boscolo, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, Giuffrè, 2012, p.245). Le immagini di prima del restauro attuale evidenziano uno spesso strato di intonaco cementizio, ammalorato in più punti, che comprometteva anche la lettura del Grifo sovrapponendosi in parte alle linee di contorno. I primi tasselli di pulitura rivelavano un dipinto sottostante, ancora non pienamente leggibile come fascio littorio, ma, in questo come in molteplici casi simili, l’indicazione della Soprintendenza non poteva che essere quella che è stata, e cioè rimuovere l’intonaco da tutta la superficie per arrivare allo strato originale. A questo punto, dopo il restauro, è diventato pienamente visibile non solo il fascio littorio ma anche la data “AX”, anno decimo (dalla rivoluzione fascista) e cioè 1931, sottolineando il carattere di importante testimonianza storica dell’oggetto, dato che gli scritti sul Mercato coperto riportano la data dell’inaugurazione nel 1932, evidentemente successiva a quella della fine dei lavori (F. Rogari, Giuseppe Grossi (1894-1969), in Semplice semplice ma italiano italiano. Architettura moderna in Umbria, “Atti del convegno di studi”, Foligno, 16 maggio 2009, a cura di P. Belardi, Edizioni Orfini Numeister, Foligno 2009, pp.143-147). Il fascio littorio del Mercato coperto, anche in virtù della datazione emersa dopo il restauro, va considerato a tutti gli effetti come un “documento figurativo”, alla pari dei documenti cartacei del periodo fascista conservati negli archivi statali e comunali. Non ha nessuna importanza che l’opera non sia di un artista noto, né se sia bella o brutta (il Codice giustamente non contempla queste categorie di giudizio), ha importanza il suo peso storico di testimonianza. Precedenti di recupero di opere del Ventennio ne abbiamo a decine nel territorio nazionale. Ne citerò solo tre, utili per capire come il nostro caso si inserisca in un contesto più complesso.
www.passaggimagazine.it La ex Casa del Fascio di Como, architettura razionalista di Giuseppe Terragni realizzata nel 1936 e utilizzata come sede del Partito Nazionale Fascista, è stata vincolata nel 1986 (allo scadere dei cinquant’anni previsti dalla normativa di allora) e restaurata negli anni Novanta con attenzione e sapienza da Alberto Artioli, all’epoca funzionario architetto presso la Soprintendenza ai Monumenti di Milano e delle province della Lombardia occidentale (A. Artioli, La Casa del Fascio di Como. Guida critica all’edificio: descrizione, vicende storiche, polemiche, recenti restauri, Roma, BetaGamma editrice, 1989). Anche allora, mi racconta Artioli, ci furono polemiche politiche, tanto che per un periodo l’edificio venne chiamato “Casa Terragni”, ma la Soprintendenza indicò di ripristinarne il nome originario semplicemente aggiungendo “ex” a “Casa del Fascio” per rispetto della memoria storica. Un caso controverso è quello della scultura alta oltre sette metri e raffigurante l’ Era fascista (ma soprannominata “il Bigio” forse perché realizzata in “marmo bigio”), eseguita nel 1932 dallo scultore carrarese Arturo Dazzi e collocata come coronamento centrale di una fontana in piazza della Vittoria a Brescia progettata da Marcello Piacentini. Il nudo virile con i genitali scoperti scatenò fin dall’inizio le polemiche del mondo ecclesiastico tanto che si dovette coprirli con una foglia di vite in metallo, ma è soprattutto nel dopoguerra che iniziò per il “Bigio” una vera odissea non ancora conclusa. Nel 1945, “a caldo”, come ha scritto Gabriella Mecucci in questa rivista, la statua, vista come simbolo del regime fascista, divenne obiettivo di atti vandalici che culminarono con un attacco dinamitardo che la danneggiò in più punti, quindi venne deciso di rimuoverla e collocarla in un magazzino del Comune di Brescia. Ma già negli anni Cinquanta inizia un movimento, animato soprattutto da architetti e urbanisti, a favore della ricollocazione della scultura nel suo luogo originale: il progettista Bruno Fedrigolli, socialista, scriveva nel 1995 “…la rimozione della statua è cosa di cui i bresciani dovrebbero vergognarsi….Purtroppo esistono gli scalpellatori di lapidi. Si tratta, in genere, di importanti cretini che hanno creduto di poter cancellare periodi scomodi semplicemente grattando le scritte” (La statua del Bigio e i molti iconoclasti, lettera al “Giornale di Brescia”, 27 febbraio 1995). Non se ne fece nulla per decenni finché nel 2007 il sindaco di Brescia Paolo Corsini del PD riaprì il dibattito avviando un confronto nella città sulla sorte del Bigio. La successiva giunta di centrodestra con sindaco Adriano Paroli proseguì sulla linea della ricollocazione disponendo il restauro della scultura e provocando le proteste dell’ANPI con lettere, volantinaggi, flashmob con gli stessi argomenti dell’attuale polemica sul fascio del Mercato coperto. Nel 2013 la giunta comunale guidata da Emilio Del Bono (PD)
www.passaggimagazine.it espresse un parere contrario alla ricollocazione della statua per timore di scontri e di possibili danneggiamenti, memore soprattutto della strage di piazza della Loggia, provocando, questa volta, le critiche da parte della Soprintendenza guidata all’epoca dall’ architetto Andrea Alberti che scriveva sul “Giornale di Brescia” l’8 maggio 2014 “L’arte non ha colpe. Il percorso è assolutamente culturale, non può essere ideologico. Nessuno celebra il fascismo. A chiarirlo sarebbe la targa accanto al Bigio, su cui avremmo esplicitato ‘l’era fascista vinta dalla democrazia repubblicana’ “. E, infine, il più recente caso del dipinto murale di Mario Sironi con L’ Italia fra le Arti e le Scienze realizzato nel 1935 per l’Aula Magna del Rettorato della Sapienza a Roma, coperto nel 1945 con carta da parati incollata e inchiodata, rimossa, non senza danni, negli anni Cinquanta quando, dopo i lavori di ben due commissioni, venne affidato al pittore Carlo Siviero Presidente dell’ Accademia di San Luca (ma eseguito in realtà dall’artista Alessandro Marzano) il compito di restaurarlo, ma, in realtà, si trattò di un’estesa ridipintura per “defascistizzare” i simboli più evidenti del regime nel dipinto come il Mussolini a cavallo sull’Arco di Trionfo sullo sfondo. Nel 2015 il restauro del dipinto murale venne affidato all’Istituto Centrale del Restauro che fin dagli anni Ottanta aveva iniziato a studiare il problema principale, e cioè se rimuovere oppure no le ridipinture degli anni Cinquanta. E, anche sulla spinta di studiosi del calibro di Maurizio Calvesi, Simonetta Lux e Ester Coen, facendo tesoro delle indicazioni in tal senso di Michele Cordaro, si decise di privilegiare, seguendo Brandi, l’”istanza estetica” (l’originale di Sironi) sull’”istanza storica” (la ridipintura Siviero/Marzano) (Catalogo della mostra Sironi svelato.Il restauro del murale della Sapienza, a cura di E. Billi e L. D’Agostino, Roma, Città universitaria, MLAC-Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, 23 novembre 2017-21 gennaio 2018, Roma, Campisano Editore, 2017). In un post pubblicato il 13 agosto il sindaco Romizi ha giustamente citato il caso di Sironi alla Sapienza come un esempio di intelligente valorizzazione della memoria storica, caso che ha molti punti di contatto con l’affresco del 1937 con La luce dell’antica madre di Gerardo Dottori nella sede di palazzo Gallenga dell’Università degli Stranieri a Perugia con una differenza sostanziale: nel dopoguerra, per “defascistizzare” il dipinto perugino, l’intervento venne eseguito dallo stesso pittore con evidente maggiore sensibilità nel modificare la propria opera. I tre casi citati sopra (un edificio architettonico, una scultura monumentale, un dipinto murale, eseguite tutte durante il Ventennio) ci conducono nella stessa direzione: la memoria storica va salvaguardata senza seguire pulsioni iconoclaste tardive. E usiamolo, questo fascio littorio
www.passaggimagazine.it ritrovato, per spiegare cosa è stato il fascismo a Perugia, chi era il podestà Giovanni Buitoni, che riuscì a far realizzare dopo secoli l’edificio del Mercato coperto, chi era l’ingegner Giuseppe Grossi che lo progettò. Riprendendo le proposte di Grohmann e Duranti di lasciare al suo posto il dipinto accanto al Grifo e di apporre una targa esplicativa, andrei anche oltre la targa con una mostra permanente nello stesso Mercato coperto, come ha indicato anche Ciuffini in questa rivista. E non dubito che, approfondendo la ricerca, si possa anche trovare il nome dell’artista decoratore che ha sì eseguito il fascio littorio, ma anche il Grifo simbolo della città, entrambi di buona fattura. *Già direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggi e direttore dell'Istituto centrale per il restauro PRIMA DEL RESTAURO DURANTE IL RESTAURO DOPO IL RESTAURO
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