IL BAMBINO AUTISTICO, L'ACQUA, IL DELFINO: FONDAMENTI E PROSPETTIVE DELL'INTERVENTO EDUCATIVO-TERAPEUTICO
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IL BAMBINO AUTISTICO, L’ACQUA, IL DELFINO: FONDAMENTI E PROSPETTIVE DELL’INTERVENTO EDUCATIVO-TERAPEUTICO “Pet Therapy: nuovi orizzonti riabilitativi”. Univ.Messina – Medicina Veterinaria, 15-16 dicembre 2000 Il mio contributo a questo interessante dibattito vuole essere soprattutto una analisi della mia esperienza con i bambini autistici e i delfini, maturata dal ‘93 ad oggi, anni in cui mi sono occupata del coordinamento e della supervisione di programmi psicoeducativi con l’ausilio dei delfini presso il Delfinario di Rimini. In questi anni è stato necessario affrontare molti dei temi qui trattati, dalla formazione dell’équipe al tipo di relazione da stabilire con l’animale, ai metodi di ricerca. L’équipe Condivido appieno la necessità, più volte sottolineata in questa sede, di una équipe multidisciplinare, che possa contare su diverse consulenze e collaborazioni per quanto riguarda il trattamento del paziente. In effetti, gli animali sono dei grandi catalizzatori e ho verificato spesso che, lavorando ad esempio sul piano educativo, emergono potenzialità, e quindi interessanti possibilità di intervento, a livello psicomotorio o psicoterapeutico, che andrebbero perdute se mancasse la consulenza del professionista competente. L’équipe che collabora con me è perciò formata da persone con diverse competenze, psicologi, pedagogisti, educatori, medici, psicomotricisti, ecc. Oltre alla qualifica, questi operatori devono avere capacità ed esperienza nel trattare pazienti gravi come gli autistici e, dal momento che hanno la responsabilità dei bambini anche in acqua, brevetto di salvamento. Prima di prendere individualmente in carico un paziente, effettuano un periodo di osservazione, come volontari e un periodo di tirocinio, con la supervisione di operatori più anziani; partecipano inoltre a seminari sulla pet therapy e imparano a conoscere il comportamento dei delfini attraverso lo studio e l’osservazione diretta. La cura degli animali, è sotto la responsabilità del Delfinario che si avvale della consulenza di un veterinario specializzato in cetacei e della collaborazione e della costante presenza di un biologo e di diversi addestratori, che assistono anche alle nostre immersioni. Come si svolge il programma Indispensabile premettere che le interazioni con i delfini sono sempre rigorosamente spontanee. Durante le immersioni l’addestratore non interviene, a meno che non sorgano problemi, né i delfini ricevono alcun addestramento specifico finalizzato a farli interagire con le persone immerse. Tuttavia, specialmente i più giovani, hanno sempre mostrato la loro socievolezza e il loro giocoso interesse per noi. I programmi sono destinati a bambini autistici o con gravi disturbi della comunicazione di età compresa tra i 5 e i 12 anni, accompagnati dalla famiglia. Hanno la durata di circa 2 settimane e sono residenziali, dal momento che i pazienti provengono da tutta l’Italia. Durante il soggiorno a Rimini, oltre agli incontri con i delfini, vi è un coinvolgimento a tutto campo. Si svolgono infatti sessioni educative o psicomotorie con i bambini in piscina e a terra, colloqui degli operatori con i genitori, sessioni di counseling psicologico con la coppia genitoriale e/o con la famiglia, attività ricreative in cui vengono coinvolti tutti i
parenti presenti. In tutte queste attività il rapporto è sempre almeno di uno a uno, a volte di due (operatori) a uno (paziente). Questi “programmi lunghi” sono preceduti e integrati da programmi di tre giorni che hanno funzioni preselettive e di mantenimento, cioè, nel caso di pazienti nuovi, servono a farceli conoscere e a valutare la loro reazione ai delfini e al nuovo ambiente, nel caso di pazienti già in trattamento, offrono la possibilità di mantenere i contatti e seguire l’evoluzione del bambino. Date le diverse provenienze, l’équipe non è in grado di seguire i bambini nel corso dell’anno, né di vederli prima dell’inizio del programma: diventa perciò necessario raccogliere informazioni scritte circa diagnosi, capacità del bambino nelle varie aree, comportamenti problematici, scolarizzazione, trattamenti in corso, situazione familiare, ecc. A questo proposito con la facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, sono state messe a punto alcune schede informative da far compilare alle famiglie, agli insegnanti e ai diversi specialisti che seguono il bambino. Sulla scorta di queste informazioni, e di un colloquio preliminare degli operatori con la famiglia, viene definito un programma di intervento individualizzato, che tenga conto delle esigenze di ciascun bambino. Non si tratta di un protocollo fisso ma di un intervento flessibile, che può subire variazioni giorno dopo giorno, con il progredire della conoscenza del bambino e della famiglia, e con la consulenza del supervisore e degli altri professionisti. Per questo motivo l’équipe si riunisce quotidianamente, per commentare i comportamenti dei bambini e condividere osservazioni e riflessioni, e almeno due volte, durante il soggiorno, si fa un esame approfondito dei singoli casi, con l’intervento del supervisore e di tutti gli operatori e tirocinanti interessati. Al termine del programma viene stilata una relazione sul comportamento e sulle abilità del bambino nelle varie aree, con particolare attenzione a quella della comunicazione, il cui sviluppo rappresenta l’obiettivo centrale del trattamento, e vengono rilevate le eventuali variazioni osservate nel corso del programma. La relazione, come la preventiva raccolta di informazioni, rappresentano un ponte che si cerca di stabilire non solo con la famiglia, ma anche con la scuola e con gli altri operatori che seguono il bambino, in modo che l’esperienza non rimanga limitata al breve periodo di soggiorno a Rimini, ma diventi un momento stimolante in tutto il percorso evolutivo del piccolo paziente. La presenza dell’intera famiglia al programma, nata per esigenze pratiche - mancanza di un’organizzazione abbastanza efficiente da poter gestire autonomamente i bambini - si è poi rivelata un fattore di primo piano nel promuovere il cambiamento e l’evoluzione, sia nel paziente, sia negli equilibri familiari più complessivi. Il bambino autistico è protagonista di un evento eccezionale, cui tutti i familiari partecipano con emozione ed entusiasmo e non è raro che questo li induca a vederlo in un’ottica nuova, non come una persona che ha qualcosa in meno, ma qualcosa in più, un protagonista, appunto. Questo ha contribuito a rafforzare le speranze di genitori troppo rassegnati e a cementare i rapporti tra fratelli, rendendoli più paritari. Autismo e comunicazione La scelta di lavorare con una sola patologia, o meglio con un gruppo di patologie collegate nell’ambito dei disturbi generalizzati dello sviluppo (DSM IV) è stata dettata da una serie di fattori. Prima di tutto, la limitata disponibilità di tempo presso il delfinario (circa 3 ore al
giorno per un totale di 35-40 giorni l’anno) richiedeva di per sé una selezione, per rendere tollerabili le liste d’attesa, che tuttavia sono ancora di oltre un anno. Posta questa esigenza, si trattava di selezionare la patologia che poteva rispondere meglio al trattamento. Ho fatto perciò ricorso alla teoria formulata dallo stesso Boris Levinson, che è alla base di ogni forma di pet therapy: cioè che l’animale rappresenta un ottimo intermediario per la relazione e la comunicazione, aree queste che è fondamentale stimolare proprio nell’autismo. Ho poi assistito ai programmi che si svolgevano negli Stati Uniti e ne ho studiato la metodologia. Infine ho iniziato le prime sperimentazioni in Italia aprendole anche a casi diversi dall’autismo; tutto ha confermato la validità dell’ipotesi iniziale: i bambini autistici sembravano rispondere meglio degli altri a questo approccio; di qui la scelta di lavorare prioritariamente con loro. Per comprendere meglio “dall’interno” il vissuto di un autistico verso l’animale, ci vengono in aiuto anche alcune riflessioni di Temple Grandin, una donna autistica “high functioning” (ad alto funzionamento), che opera come biologa nell’ambito dell’allevamento dei bovini. Temple Grandin afferma che, nonostante i suoi ottimi risultati nel campo dello studio e del lavoro, una delle sue maggiori difficoltà rimane quella di comprendere le aspettative, le emozioni, e nel complesso il funzionamento mentale degli esseri umani. Con gli animali le è invece molto più facile, si sente più vicina a loro e riesce a condividere e a intuire le loro reazioni emotive, più dirette e semplici. Forse è proprio questa minore difficoltà ad entrare in contatto con esseri più semplici e immediati nelle loro manifestazioni, che aiuta il bambino autistico ad uscire, almeno in parte, dall’isolamento, a provare interesse per un mondo altrimenti percepito come troppo complesso e caotico e a cercare modi per comprendere l’altro e interagire con esso. E’ un piccolo primo passo che però, nel tempo, può portare a grandi cambiamenti. Perché il delfino? Il delfino sembra particolarmente adatto a fornire questo tipo di stimoli soprattutto per due motivi: la sua grande curiosità e intelligenza e il suo ambiente, l’acqua. Probabilmente per il fatto di premere uniformemente su tutta la superficie del corpo e, nello stesso tempo di sostenerlo, l’acqua accresce la consapevolezza dei limiti del corpo e induce importanti modificazioni alla motricità. Il bambino appare spesso più concentrato e contento, i muscoli diventano più rilassati, diminuiscono i movimenti bruschi, come le stereotipie e aumenta la capacità di muoversi in modo fluido e lento. In questo stato di maggior benessere psicofisico anche le potenzialità emotive e percettive dell’incontro con l’animale vengono potenziate al massimo e il delfino, grande e potente ma delicato, presente senza imporsi, capace di inventare giochi sempre nuovi e spontanei, diventa il compagno ideale del bambino immerso e catalizza il suo interesse. Bambini autistici che abitualmente non degnano di un’occhiata persone o oggetti vicini a loro, se non per soddisfare un bisogno immediato, seguono a lungo con sguardo attento i delfini che nuotano, sorridendo loro, cercando di avvicinarli e accarezzarli, scambiando schizzi d’acqua e imitandone i movimenti. L’interesse e l’attenzione si rivolgono anche agli operatori che li accompagnano in acqua. I bambini autistici non hanno facilità ad accettare persone nuove, ma in queste occasioni, fin dai primi giorni, la condivisione del rapporto con il delfino crea una alleanza speciale, che rende più facile la relazione e lo svolgimento delle attività educative.
Qualcosa di nuovo e speciale si crea anche nei rapporti familiari e, al ritorno a casa, nella relazione con parenti, compagni o insegnanti. Forse per la prima volta, il bambino autistico viene messo al centro dell’attenzione, visto come qualcuno che ha avuto un’esperienza speciale e ha capacità speciali. Di qui lo sviluppo di un senso di autostima, spesso destinato a mantenersi stabilmente. Non è quindi da sottovalutare l’impatto del programma su tutta la famiglia ed è importante rafforzarne gli aspetti positivi: per questo uno psicologo conduce riunioni di gruppo tra i genitori e fornisce sostegno e consulenze ad ogni singolo nucleo familiare. La ricerca Alla nostra osservazione clinica diretta e molte volte agli occhi di genitori e insegnanti risultano evidenti alcuni cambiamenti comportamentali dei bambini, sia nel corso dei programmi, sia nei mesi successivi. Ma come rendere ancora più obiettive le nostre valutazioni e come quantificare i dati? Nel campo della pet therapy la ricerca è ancora agli inizi, sia perché è difficile in ogni caso misurare, in modo obiettivo, modificazioni che hanno a che fare con il mondo della psiche e delle emozioni, sia perché l’incontro bambino – animale - operatore è ricco proprio perché vario e creativo e non può, né a mio avviso deve, prevedere procedure standardizzate, che mortificherebbero la ricchezza di un incontro che per ciascuno è unico e irripetibile. Posti questi limiti, che rendono necessaria una certa flessibilità nell’approccio, pur senza rinunciare al rigore scientifico, nell’esaminare gli effetti dell’incontro con i delfini sul comportamento, si è fatto riferimento soprattutto a una ricerca di Redefer e Goodman (“Brief report: pet facilitated therapy with autistic children”) impostata sull’osservazione del comportamento di un piccolo gruppo di pazienti in presenza e assenza di un cane, in un contesto il più possibile privo di altre variabili. Con i debiti aggiustamenti, dovuti al diverso setting, abbiamo quindi stabilito di osservare il bambino in piscina e in delfinario, accompagnato dallo stesso operatore e seguito dallo stesso osservatore, cercando così di isolare la variabile presenza/assenza del delfino. Finora, anche per mancanza di mezzi finanziari, non è stato possibile esaminare un numero sufficiente di casi, riporterò tuttavia i dati più recenti, raccolti con la collaborazione di Vito Verna, un tirocinante dell’Università di Firenze, che ringrazio. Il paziente è un bambino autistico, non verbale di 7 anni, che partecipava per la prima volta a un programma con i delfini. Una premessa indispensabile, anche se non quantificabile, è che il bambino, inizialmente preoccupato, se non dai delfini, dall’acqua profonda, nel corso del programma, con grande soddisfazione dei genitori, è riuscito a rinunciare alla sicurezza offerta dall’aggrapparsi all’operatore, nuotando autonomamente, e accettando il distacco prima in delfinario che in piscina. Come nella ricerca citata, le rilevazioni riguardano principalmente due ambiti: a) i comportamenti positivi, legati soprattutto alla socializzazione e alla continuità dell’attenzione; b) quelli sintomatici, come stereotipie, autolesionismo, ecc.
Lo schema, riportato nella pagina seguente, richiede la definizione di alcuni termini. S = comportamento Spontaneo; R = comportamento in Risposta a uno stimolo; O = Operatore; D = Delfino. Il termine Accarezza, indica qualunque forma non aggressiva di contatto fisico, quindi non solo le carezze ma anche abbracci o altro. Perciò l’item “accarezza SD” significa che il bambino tocca spontaneamente il delfino; “accarezza RD” indica che il bambino tocca il delfino in risposta a uno stimolo (ad esempio il delfino si avvicina e inizia a giocare). La voce “presenza delfino” indica quante volte, nel corso della sessione, il delfino preseta attenzione alla persone immerse e/o si avvicina a loro. E’ indispensabile in quanto le interazioni sono esclusivamente spontanee e quindi può capitare che il delfino sia poco partecipe alla sessione (ad es. nuoti prevalentemente sul fondo o si tenga costantemente a distanza). Esaminando i dati giorno per giorno è possibile rilevare interessanti variazioni comportamentali, correlate non solo al setting, piscina/delfinario, ma anche alla presenza/assenza del delfino nelle sessioni in delfinario. Ci atterremo, per ora, ai dati complessivi più importanti, riportati in sintesi nella tabella. Nell’intero programma, la quantità di attenzione verso l’operatore è maggiore in delfinario che in piscina: 171 contro 130. A questa è da aggiungersi l’attenzione verso il delfino, rilevata 234 volte nel corso delle immersioni. Quindi, nel complesso, la concentrazione e la continuità di attenzione del bambino, indipendentemente dall’oggetto dell’attenzione stessa, sono state, in delfinario, almeno tre volte superiori alla piscina. Il “pianto”, per esaminare un altro item significativo che, per questo bambino, era molto legato alla paura dell’allontanamento dalla figura di riferimento (in questo caso l’operatore che gli offriva sostegno sia emotivo che fisico) è presente in sole 24 occasioni in delfinario e 87 volte in piscina, anche se sicuramente in piscina, in assenza dei delfini, l’attenzione dell’operatore fosse più concentrata sui bisogni immediati del bambino. L’impressione complessiva è che lo stimolo/diversivo offerto dai delfini riesca a rendere il bambino più presente e partecipe all’esperienza, migliorando le sue prestazioni anche a livello cognitivo (continuità dell’attenzione, risposta corretta alle richieste dell’operatore). Questo è il più recente dei casi esaminati, nel complesso circa 30 l’anno dal 93 ad oggi. Purtroppo spesso non è stato possibile uniformare, e quindi rendere paragonabili, il setting, il campione e le modalità di rilevazione. Attualmente è in corso un progetto di ricerca, in collaborazione con il CNR, che dovrebbe permettere di completare la raccolta dati.
Una cosa mi preme segnalare. Come ho già detto, noi ci limitiamo a far immergere bambini con gravi problemi relazionali e di comunicazione in un ambiente favorevole, abitato da delfini amichevoli. Desidereremmo molto che questi delfini, che ci offrono tanto, vivessero in un ambiente a loro più confacente, ad esempio in mare, in una situazione di semicattività come quella di Eilat, in Israele. Fino ad oggi in Italia questo non è stato possibile, e siamo grati al delfinario di Rimini che ci ha ospitato continuativamente e gratuitamente dal 93 ad oggi. Credo però che farebbe piacere a tutti immaginare che i programmi educativi e terapeutici con i delfini si possano svolgere, nel futuro, in un habitat più adatto a questi animali, con spazi più ampi e un ambiente più naturale. OSSERVAZIONI RIMINI 2000* DELFINARIO (date 11/9 12/9 14/9 15/9 18/9 20/9 presenze) ATTENZIONE SO 13 18 15 21 29 75 ATTENZIONE SD 25 51 53 25 52 28 ATTENZIONE RO 7 5 4 10 3 3 ATTENZIONE RD 2 15 16 1 5 / ACCAREZZA SO 5 13 20 24 33 31 ACCAREZZA SD 1 11 / / / / ACCAREZZA RO 1 2 6 5 4 4 ACCAREZZA RD 4 11 20 / 5 / SORRIDE 21 21 5 11 3 17 PIANGE 2 / 9 10 3 / STEREOTIPIE 4 9 14 22 3 7 AUTOLESIONISMO / / / / 1 / INDIFFERENTE / / / 3 / / PRESENZA DELFINO 6 11 11 1 5 1 DURATA SESSIONE 20 min. 20 min. 20 min. 20 min. 20 min. 20 min.
PISCINA (date presenze) 9/9 10/9 13/9 16/9 17/9 19/9 ATTENZIONE S 15 6 21 32 23 33 ATTENZIONE R 5 24 25 13 10 15 ACCAREZZA S 24 23 15 29 16 26 ACCAREZZA R 2 12 6 10 6 13 SORRIDE 18 12 20 3 1 3 PIANGE / 4 11 22 36 16 STEREOTIPIE 3 3 8 16 9 10 AUTOLESIONISMO / / / / / / INDIFFERENTE / / 2 / / / DURATA SESSIONE 20 min. 20 min. 20 min. 20 min. 20 min. 20 min. *Ricerca effettuata dal Dott. Vito Verna, Università di Firenze – Scienze della formazione
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