DOVE VANNO A DORMIRE LE FOGLIE? - come parlare ai bambini della morte

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Diocesi di Concordia-Pordenone
                                                  Ufficio Scuola

                DOVE VANNO A DORMIRE LE FOGLIE?
               come parlare ai bambini della morte
                                                                  Franca Feliziani Kannheiser

Bisogna affrontare con i bambini il tema della morte? È giusto parlarne? Come?
Possiamo senz’altro dire che l’educatore non può eludere questo compito, e che naturalmente deve
scegliere modi e approcci diversi, a seconda che la riflessione sulla morte sia inserita in un normale
percorso educativo che ha per oggetto la vita, nella molteplicità dei suoi fenomeni, o che le domande
sulla morte diventino pressanti e urgenti, nel caso, molto più delicato, in cui il bambino stesso sia
colpito direttamente da un lutto1. La risposta affermativa si basa su un osservazione: il pensiero della
morte non è affatto estraneo al bambino, anche piccolo, egli lo rimugina tra se, ne è spaventato, ma
anche misteriosamente attratto. Non parlarne significherebbe, dunque, lasciarlo solo con questi
pensieri, privandolo della possibilità di chiarirli e di confrontarli con i compagni e con l’adulto. Spesso
i genitori e gli educatori si lasciano condizionare dal mito dell’infanzia come tempo beato, a cui sono
estranei dolori e sofferenze. Ma, purtroppo, questo tempo di felicità piena non esiste ed anche i genitori
più attenti non possono risparmiare ai loro figli l’esperienza della malattia e del dolore e la
consapevolezza che la vita di ogni creatura è segnata ineluttabilmente dalla morte. Nel film ‘Piccolo
Buddha’ è efficacemente tratteggiato il contrasto tra il padre protettivo e il figlio, desideroso di
accostarsi ai grandi misteri della vita. Quando per Siddharta giunge il momento del ‘risveglio’: di fronte
al dolore e alla morte, egli non nasconde la testa, non fugge, ma in questa nuova consapevolezza, trova
la spinta per orientare il suo futuro verso la compassione per chi soffre e la ricerca di una risposta
positiva al problema della sofferenza.
L’obiettivo di un educazione che promuova lo sviluppo dell’ identità dell’alunno è questo: aiutarlo a
prendere coscienza del problema della morte, ricercando insieme una risposta che non porti alla
rimozione del lato oscuro dell’esistenza, ma a vivere la vita, in ogni sua manifestazione, sorretto dalla
fiducia che non è solo, dalla convinzione che vale la pena di vivere e dalla speranza che tutto ha un
senso, seppure misterioso e nascosto. Giovanni Bollea ricorda che la famiglia ha il dovere
fondamentale di insegnare che il dolore esiste: «se non mettiamo nella nostra componente pedagogica
di genitori e di educatori anche il rispetto (non l’accettazione, ma il rispetto) del dolore, educhiamo una
generazione incapace di accettare e sopportare qualsiasi tipo di sofferenza, così come in passato si
rifiutava qualsiasi tipo di diversità».

L’ambiguità del mondo adulto nei confronti della morte
L’educazione del bambino verso questi obiettivi è messa a rischio dalla profonda contraddizione che
caratterizza la società odierna. Mentre, infatti, si evita di rispondere alle domande del bambino sulla
morte («Ne riparleremo quando sarai più grande») e si utilizza un linguaggio ambiguo ed elusivo per
informarlo su quella di un conoscente o di un parente («Il nonno non c’è più... è partito per un
viaggio...», trasmettendo così il messaggio: Ti ha lasciato…ti ha abbandonato - che conferma

1
    M. LEIST, I bambini di fronte alla morte, Leumann (TO) 1993
l’angoscia di separazione del bambino); lo si espone, d’altra parte, con colpevole leggerezza, a scene
di morte violenta, veicolate dai telegiornali o dai film.
Anche in questo caso, si trasmettono al bambino dei messaggi che hanno un influsso estremamente
negativo sul suo equilibrio psichico: quello che la morte non sia un evento naturale, ma sia sempre
associato alla violenza o quello che sia una fiction recitata sul grande palcoscenico della vita, infatti,
l’attore che muore in un film, ricompare, vivo e vegeto, in quello successivo). I giochi dei ragazzi e
egli adolescenti con la morte (riproducendo appunto scene di film) sono spesso il tragico risultato di
questi spettacoli. C’è, infine, un altro effetto causato dalla morte in TV: molte volte il bambino assiste
a scene di guerra e di catastrofi, assiste alle lacrime dei parenti delle vittime e, immediatamente dopo,
appare sullo schermo una ragazza in bikini deliziata da una certa bibita o una famiglia felice intorno al
barattolo della Nutella. Stimoli contraddittori che si susseguono senza soluzione di continuità,
producono il noto effetto della desensibilizzazione: tutto è sullo stesso piano, tutto è spettacolo, non
vale la pena di lasciarsi coinvolgere emotivamente.
È necessario, dunque, che gli educatori, sviluppino un sesto senso per i messaggi e gli stimoli che
colpiscono i bambini attraverso i mass media, che non si nascondano dietro la giustificazione: «Tanto
è piccolo, non capisce», ma abbiamo il coraggio di non permettere la visione di certi programmi o, in
ogni caso, vi assistano insieme al figlio per rielaborarli attraverso il dialogo e la riflessione comune.

Il bambino e la morte secondo la psicologia dell’età evolutiva
Ma quale concezione ha il bambino della morte? Generalmente, per i bambini molto piccoli, la morte
coincide con uno stato d’immobilità fisica: l’uccellino, il gattino, è fermo, non mangia, non gioca, non
si muove più.
Egli è stranamente attratto da questo fenomeno, ma non lo considera ancora qualcosa d’irreversibile.
Pensa magari che più tardi la bestiolina si risveglierà o che lui stesso potrà risvegliarlo con la forza del
suo desiderio e del suo pensiero (magico).
Questo concetto di reversibilità della morte opera anche nei confronti della dipartita di persone care:
«Perché la norma non torna? lo voglio che tomi!». La morte è intesa come un assenza, un vuoto che
può essere colmato. Ed anche verso i cinque, sei anni quando il suo pensiero si fa più razionale, pur
sapendo che il normo o la zia amata non torneranno e che il gattino non giocherà più con lui, dentro di
sé percepisce la morte come "qualcosa di vago, misterioso, incomprensibile, che può riguardare solo
gli altri, mai se stesso"2.
Più in generale, facendo riferimento alle ricerche di R. Vianello3 si può affermare che:
    - il bambino di 3-4 anni constata gli effetti fisici della morte e inizia a distinguerla, in qualche
         modo, dal sonno, la considera, però, un fenomeno reversibile.;
    - dai 5 anni, è in grado di comprendere che la morte può essere conseguenza della vecchiaia,
         della malattia, d’incidenti; sperimenta sentimenti di lutto; comincia a comprendere
         l’ineluttabilità e l’irreversibilità della morte e, in qualche modo, della propria mortalità;
    - con l’inizio dell’età scolare e della catechesi sistematica sviluppa in maniera più elaborata
         pensieri a riguardo di una vita oltre la morte e, se orientato dall’educazione religiosa, si accosta
         in modo più riflessivo a concetti come quello del Paradiso ecc.

Accostarsi al mistero della morte accompagnati dall’adulto
Proprio i suoi tentativi di dominare la morte con il suo pensiero magico o con i suoi desideri di
onnipotenza («Non morirò mai») rivelano quanto confuso e vulnerabile sia il bambino di fronte a
questo fenomeno e come sia indifeso, quando essa colpisce qualcuno a lui caro. È dunque necessario
che le persone di riferimento (genitori, educatori) lo accompagnino in un lungo, graduale cammino di
educazione alla vita e alla morte, come parte sostanziale di essa.

2
    S.VIGETTI FINZI, A piccoli passi, ed. Mondadori, Milano 1994, p. 270ss.
3
    R. VIANELLO-M.L. MARIN, La comprensione della morte nel bambino, Giunti&Barbera, Firenze 1985.
IN FAMIGLIA
Alcune occasioni di vita quotidiana sembrano prestarsi particolarmente alla riflessione sul mistero della
morte.

Dove vanno a dormire le foglie?
L’osservazione dell’albero che si spoglia e delle foglie che diventano grigie e secche invita a un dialogo
semplice e sereno.
Perché l’albero perde le sue foglie? Che ne sarà di loro? Lo psicologo italo-americano Buscaglia, con
la sua fiaba La foglia Muriel, invita l’educatore a percorrere proprio questa strada. La foglia Muriel
muore ‘danzando’, ma il suo destino non è senza senso; a primavera sull’albero, nutrito dal terreno
concimato anche da essa, spunteranno nuovi boccioli e nuove foglie. Chi ha un orto o un giardino potrà
accostare il bambino a questa esperienza, magari preparando insieme il composto organico che servirà
a far crescere più belle e più sane le piante in primavera.

Addormentarsi
C’è un momento nella giornata in cui il bambino, per così dire, fa l’esperienza di una piccola morte: è
il momento dell’addormentarsi. Genitori e psicologi hanno rilevato come esso scateni spesso angosce
di separazione e di abbandono: il bambino ha paura di perdere il contatto con il mondo reale, con le
persone a lui care, di essere inghiottito dal buio. In questo momento, in cui egli esperimenta ‘angosce
di morte’ è da evitarsi, naturalmente, ogni diretto riferimento ad essa, ma è importante far sentire, con
il linguaggio del cuore e del corpo, che, anche di fronte all’oscurità e il buio, egli non è solo: la mano
della mamma lo accompagna sulla soglia del sonno (oblio), la mano della mamma è pronta ad
accoglierlo al suo risveglio. E’ questa esperienza umana che rende credibili e concrete le parole del
salmo 23: "Anche se andrò nella valle tenebrosa, non temerò alcun male, perché tu sei con me" . Questo
passaggio quotidiano viene facilitato da piccoli gesti pacificatori: la presenza di una persona cara vicino
al lettino; stringere tra le braccia l’orsetto Billy (l’oggetto transizionale di Wirmicott), il fare la pace e
il chiedersi vicendevolmente perdono in caso di conflitti, la preghiera insieme per affidarsi a colui che
veramente può guidare nella valle della morte fino alle fonti della vita e, infine, come sigillo, il segno
di benedizione tracciato dal genitore sulla fronte del bambino. Non è forse questo un piccolo rito
quotidiano di accompagnamento in una situazione di passaggio che, in un modo molto più dolce e
sfumato, prelude al grande passaggio verso cui è avviata la vita di ciascuno?

I cani in cielo hanno le ali?
La perdita di un animale amato è, generalmente, la prima occasione in cui la morte irrompe nella vita
del bambino con il suo carico di sofferenza. Il compagno di giochi è morto, non si muove più, non
risponde alle sollecitazioni affettuose del suo padroncino. Dire “Ne compreremo un altro!” è una rozza
strategia per eludere il problema e per non permettere al bambino di elaborare il suo lutto. Nessuno è
intercambiabile, nel mondo degli affetti, nemmeno Fido! È più giusto permettere al bambino di
piangere il suo piccolo amico, mentre si ricordano insieme i buffi, teneri episodi che hanno costellato
la loro amicizia. Anche seppellire insieme l’animaletto in un posto scelto dal bambino è un modo di
prendere congedo che allevia il dolore della perdita attraverso il ritmo tranquillizzante del rito. Un
colloquio intimo e affettuoso con il papà e la mamma è di fondamentale importanza, magari un
colloquio come quello riportato da E. Reed «Durante un fine settimana, mentre i genitori (di Giulio)
erano fuori e lui era con la prozia Ester, Bridget è stato investito da un camion. Suo padre tornò a casa
che era quasi mezzanotte... Giulio si gettò tra le braccia del padre, senza che entrambi riuscissero a
parlare ... “E dura, vero? - disse poi - È dura che nessuno abbia abbaiato, quando sei entrato...”. “Sì, è
dura, figlio mio”. “Papà, non è andato in paradiso. La zia dice che in paradiso non c’è posto per gli
animali. Nella Bibbia non se ne parla”. “Macché - suo padre liquidò la faccenda con un gesto -. Non
importa che la Bibbia ne parli, perché sta scritto che Dio è nostro padre, e un padre si deve prendere
cura anche dei cani e degli altri animali dei suoi figli”. Poi si voltò verso Giulio e gli disse, con gravità:
“Io non so molto del paradiso, figlio mio, ma credo che tutto quello che accade dopo la nostra morte
sia giusto. Capisci cosa voglio dire? Può darsi che sia completamente diverso da tutto quello che
conosciamo. Ma qualunque cosa sia, Dio farà quello che è più giusto per ciascuno di noi. Uomini,
donne, bambini, bambine, neonati, cani...per tutti. E infine, se Dio è amore, non dobbiamo temere che
non si prenda cura di noi. Io la vedo così... Ne riparliamo domani. Sicuramente il piccolo Bridget ci
mancherà, ma dovunque sia, sta bene”»4

Portiamo fiori alla nonna
Ma come comportarsi quando a morire è una persona cara, magari un familiare? Prima dei sette-otto
anni è certamente da escludere la partecipazione al funerale o ancor più la visione del defunto. È
necessario, invece, un dialogo caldo e sincero con il bambino che lo aiuti a comprendere - nel caso
della morte di un anziano o di un malato - che questo è un processo naturale: “La nonna era tanto
stanca... malata. Adesso vive felice accanto a Dio...”; a ripercorrere i momenti passati insieme,
caratterizzati dal suo affetto e delle sue premure “L’amore dei nostri cari non muore mai, essi
continuano a volerci bene, a vegliare su di noi ...possiamo parlare con loro nella preghiera, così come
parliamo con Dio...”. Anche la visita al cimitero può diventare un abitudine affettuosa che non va
vissuta con paura ma con serenità. Il silenzio che avvolge questo luogo, i fiori e le luci sulle tombe;
qua e là un crocifisso o una statua sacra possono offrire l’occasione per accostarsi dolcemente e
serenamente al mistero della morte. La visita può concludersi con una preghiera recitata insieme «Buon
Dio, benedici il nostro nonno. Ti ringraziamo per lui e per tutti i bei giorni che abbiamo trascorso
insieme. Non sappiamo come sia la sua nuova vita, ma sappiamo che è bella, perché gliel’hai preparata
tu»; « La nonna è morta. Mio Dio, siamo molto tristi. Pensiamo sempre a lei. Le volevamo molto bene.
Ti preghiamo: non la dimenticare neppure tu. Anche tu le volevi bene. Amen »5

                                                         A SCUOLA

Sia che l’argomento venga sollecitato da situazioni attuali, portate dagli stessi alunni o che sia parte
della programmazione dell’insegnante, è importante dal punto di vista metodologico dare spazio alle
domande dei bambini, al loro pensiero, senza preoccuparsi di dare subito le risposte “esatte”.
Il primo obiettivo è quello di contenere le ansie dei bambini, aiutarli a pensare ciò che - se non pensato
- genera angoscia. Il bambino ha bisogno di rendersi conto di ciò che accade nella sua vita ed ha bisogno
di rielaborare con calma e pazienza il lutto e la separazione. Per far ciò gli è indispensabile
l’accompagnamento dell’adulto che sappia ascoltare i suoi sfoghi e i suoi tentativi di spiegazione, che
attraverso storie e racconti gli faccia comprendere che la vita è più potente della morte e che ciò che
abbiamo vissuto con le persone care non è perduto ma diventa parte di noi, continua a vivere attraverso
noi. Alla domanda: «C’è una vita oltre la morte?» i bambini rispondono per lo più affermativamente e
stimolati dall’educazione religiosa parlano del “paradiso” (meno del purgatorio e dell’inferno) o come
un luogo triste (“ci sono tanti morti”!) o al contrario, come una specie di paese della cuccagna: ma
sempre in un modo decisamente antropomorfico.
In questo contesto risulterebbe fuorviante la pretesa dell’educatore di descrivere la vita oltre la morte
(come potrebbe farlo?): egli si preoccuperà, piuttosto, di guidare il bambino a scoprire, partendo dai
suoi vissuti e dai suoi desideri, il senso di una vita veramente realizzata, anche nel confronto con le
immagini bibliche della vita eterna. Tra esse emerge quella della festa.
Far appello alla creatività dei bambini

4
  E.REED, Kinder fragen nach dem Tod (I bambini fano domande sulla morte), Stuttgart 1972.
5
  E.REED, op.cit; D. SCHAEFER, Come dirlo ai bambini,Sonda 2009; S. RUIZ MIGNONE, Mi sentite?, Salani 2006. In libro
di narrativa ci racconta di Andrea che si trova solo in una casa vuota. Nessuno lo cerca, nemmeno i genitori. Come mai?
Un libro commovente, delicato che, pur non eludendo la tragica realtà della morte, l’affronta attraverso alcune sottili
metafore: l’invisibilità, la neve, il silenzio. Il risultato è la pelle d’oca e la pensosità che solo la grande scrittura e i grandi
libri sanno provocare. Inutile definire una fascia d’età, è da consigliare individualmente. Sarebbe bello che bambini e
genitori lo leggessero assieme!
Altre immagini possono nascere dalla creatività dei bambini stessi, come ad esempio queste ‘inventate’
da alcuni alunni di terza elementare.
L’insegnante ha letto questa poesia:
                        «Qualcuno muore ed è come quando i passi si fermano.
                     Ma se fosse solo una breve pausa, prima di un nuovo viaggio?
                         Qualcuno muore ed è come se una porta si chiudesse.
                    Ma se fosse una porta dietro la quale si aprono nuovi paesaggi?
                      Qualcuno muore ed è come un albero che si schianta a terra.
                        Ma se fosse l’inizio di un nuovo seme che germoglia?»
                                           (Benoit Marchon)

I bambini continuano così:
                  «Qualcuno muore ed è come se un terremoto distruggesse tutto:
                           ma se fosse l’inizio di una nuova costruzione?
                     Qualcuno muore ed è come quando uno inciampa e cade:
                     ma se un amico gli desse una mano per rialzarsi in piedi?
                     Qualcuno muore ed è come quando il cielo diventa grigio:
                   ma se dietro le nuvole si scoprisse un cielo ancora più azzurro?
                       Qualcuno muore ed è come quando erutta un vulcano:
                 ma se dalla lava nascesse un cespuglio di rose che non muore mai?
                 Qualcuno muore ed è come quando un uccello non può più volare:
                ma se poi riuscisse a spiccare un volo ancora più alto verso il cielo?
                       Qualcuno muore ed è come se scoppiasse un incendio:
           ma se fosse un fuoco che scoppia nei nostri cuori per infiammarli e riscaldarli?
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