Il 25 novembre in Cattedrale la cantata "Pater pauperum" di Federico Mantovani
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Il 25 novembre in Cattedrale la cantata “Pater pauperum” di Federico Mantovani In occasione della solennità patronale di sant’Omobono, nella serata di venerdì 25 novembre, alle 21, nella Cattedrale di Cremona risuoneranno le note di Pater pauperum, imponente Cantata sacra composta dal maestro cremonese Federico Mantovani. Un progetto che nasce dalla volontà del compositore di presentare alla città, a quindici anni dall’ultima esecuzione, il grande affresco musicale contemporaneo dedicato alla figura di sant’Omobono, il “padre dei poveri”, festeggiandolo solennemente dopo il lungo e terribile periodo della pandemia. L’iniziativa coinvolge il Coro Polifonico Cremonese, che per primo ha condiviso con entusiasmo le ragioni profonde della proposta, e la Camerata di Cremona, affiancati nella preparazione e nell’esecuzione dell’opera. La ripresa cremonese, per desiderio dello stesso compositore, sarà affidata alla direzione del maestro Marco Fracassi, che commissionò e diresse la Cantata per la prima volta il 31 gennaio 1999, in occasione dell’ottavo centenario della canonizzazione del santo patrono. L’opera, per 5 soli, 2 voci recitanti, coro e orchestra, fu poi riproposta con alcune integrazioni nel 2007 dal Coro Polifonico Cremonese, sotto la direzione dello stesso Mantovani, nell’ambito delle celebrazioni per il nono centenario di fondazione della Cattedrale. Il concerto, realizzato grazie al sostegno della Fondazione Arvedi-Buschini e con il patrocinio dell’Assessorato alla cultura del Comune di Cremona, si collocherà, per volontà del vescovo Antonio Napolioni, all’interno del programma celebrativo della festa patronale e nella suggestiva cornice
del massimo tempio cittadino dopo i lavori di adeguamento liturgico. Intensa e coinvolgente, la partitura si apre con il festoso corale Gaude et laetare Cremona (“Gioisci e rallegrati Cremona”) e si conclude con il solenne inno al santo patrono su testo latino di Marco Gerolamo Vida, ripercorrendo la vita e le opere di Omobono Tucenghi, primo santo laico non nobile della storia della Chiesa, canonizzato dal papa Innocenzo III nel gennaio 1199 e assunto poi a patrono della città e della diocesi. I testi sono attinti dalle vite del santo e dalla bolla di canonizzazione Quia pietas (nella traduzione di don Daniele Piazzi), oltre che dalle Sacre Scritture. «Con questa opera musicale – precisa l’autore della Cantata, il maestro Federico Mantovani – si intende segnalare l’attualità di Omobono, che si distinse nella vita della città come uomo di pace, di profonda preghiera e di proverbiale carità. Riproporre l’esecuzione del lavoro oggi, a cori uniti, dopo lo smarrimento degli ultimi due anni, acquista inoltre un significato particolare, perché diventa occasione per riaccendere l’entusiasmo di un progetto artistico condiviso, affidando all’intercessione del nostro santo patrono il cammino dei vivi e la memoria dei tanti cremonesi vittime della pandemia». La Cantata Pater pauperum eseguita nel 2007 dal Coro Polifonico Cremonese in Cattedrale
Dalle mani degli ultimi il Pane della Vita: preparate dai detenuti di Opera le ostie per la Messa di dedicazione Sono stati i detenuti delle carceri di Opera (Milano) e di Castelfranco Emilia (Modena) a preparare le 35mila ostie che sono state usate durante le celebrazioni del XXVII Congresso eucaristico nazionale di Matera dal 22 al 25 settembre. In sintonia con quell’evento nazionale la Diocesi di Cremona ha voluto chiedere alla Fondazione “La Casa dello Spirito e delle Arti” del carcere di Opera il pane da usare nella Messa di dedicazione del nuovo altare della Cattedrale, domenica 6 novembre pomeriggio, quasi per ricevere il Pane della Vita da Cristo e dagli ultimi. «Anche noi – spiega don Daniele Piazzi, responsabile dell’Ufficio liturgico diocesano – vogliamo unirci all’auspicio del cappellano di Opera che nei giorni del Congresso così scriveva: “Che possiamo cogliere e comprendere ancora di più che in quel piccolo pezzo di pane, che nutre la nostra fragilità umana, oltre ad esserci il Cristo Vivente, sono racchiusi anche i dolori dell’umanità, sono impressi i volti di coloro che vivono nelle carceri”». L’iniziativa è nata nel 2016, anno del Giubileo e della Misericordia, all’interno del Carcere di Opera. Con la collaborazione della Fondazione Cariplo è stato avviato un laboratorio per la produzione di ostie che ha coinvolto alcune persone detenute. La forza e l’immediatezza del progetto, che vede il pane per
la celebrazione eucaristica prodotto da chi nel suo passato ha ucciso ma ha seguito un autentico percorso di conversione interiore e pentimento, ha incoraggiato l’adesione di oltre 500 tra Diocesi italiane e straniere, congregazioni religiose, parrocchie, monasteri, realtà cristiane e cattoliche, che hanno ricevuto e continuano a ricevere gratuitamente le ostie portando ad oggi alla produzione artigianale di oltre 4 milioni di ostie. Per richiedere in dono le ostie prodotte in carcere, infatti, basta scrivere a ilsensodelpane@gmail.com. Scopri di più della Fondazione “La Casa dello Spirito e delle Arti” [the_ad id=”438553″] [the_ad id=”352515″] [the_ad id=”439688″] [the_ad id=”439862″] [the_ad id=”439912″] [the_ad id=”440898″] [the_ad id=”440902″]
Una festa della fede e della comunità in Cattedrale per la Dedicazione del nuovo altare della Cattedrale Si è radunata intorno alla mensa eucaristica la Chiesa cremonese per la solenne celebrazione di Dedicazione dell’altare della Cattedrale domenica 6 novembre pomeriggio. Un rito storico, partecipatissimo, segnato da una serie di atti simbolici che hanno parlato di una tradizione e storia di fede radicata nel territorio ma condivisa a livello universale. Dopo 430 anni il duomo ha una un presbiterio rinnovato secondo le indicazioni sulla liturgia del Concilio Vaticano II. «Tanta la gioia e la commozione» espressa dal vescovo Antonio Napolioni che ha presieduto la celebrazione.
I nuovi arredi sacri (altare, cattedra e ambone sul presbiterio) sprigionano, in tempi segnati da preoccupazioni e timori, un messaggio di «grande chiarezza: dalla Cattedra Gesù maestro ci dice “Io sono la guida”. Dall’ambone la Parola vivente del Padre dice: “Io vi parlo” e nell’altare Cristo si fa agnello, vittima, pane spezzato e dice: “Io vi nutro”». Un messaggio (illustrato nell’omelia) fatto di luce, la stessa che splende sulle opere disegnate dal maestro Gianmaria Potenza che giocano sui riflessi del bronzo e del marmo, materiali potenti che, nelle intenzioni dei progettisti vogliono donare «qualità alla celebrazione». Ed in effetti, si è trattato di una celebrazione di grande impatto, quella della Dedicazione, che ha visto intorno alla mensa oltre a Napolioni, otto vescovi (Dante Lafranconi, vescovo emerito di Cremona, Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio originario della Diocesi di Cremona, Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia e delegato CEI per l’edilizia di culto, Franco Agnesi, vescovo ausiliare di Milano e vicario generale dell’Arcidiocesi di Milano, Daniele Gianotti, vescovo di Crema, Maurizio Malvestiti, vescovo di Lodi, Giuseppe Merisi, vescovo emerito di Lodi, Francesco Giovanni Brugnaro, arcivescovo emerito di Camerino-San Severino Marche, e Gaetano Fontana, vicario generale della Diocesi di Brescia, in rappresentanza del vescovo Pierantonio Tremolada), don Luca Franceschini, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto, insieme ai canonici del Capitolo della Cattedrale, ai vicari episcopali, ai vicari zonali, ai coordinatori delle quattro aree pastorali e moltissimi sacerdoti. I primi banchi di sinistra erano occupati dai preti e dai religiosi e religiose, mentre quelli di destra dalle autorità, il sindaco Gianluca Galimberti, il prefetto Corrado Conforto Galli, il questore Michele Davide Sinigaglia, i comandanti provinciali di Carabinieri e Guardia di finanza. Appena dietro
le autorità il maestro Potenza e il team di progettisti guidati dall’architetto Massimiliano Valdinoci. A seguire tanti fedeli (arrivati anche con i pullman) che hanno riempito anche i transetti. A segnare la solennità del rito anche il Coro della cattedrale insieme a quello di Castelverde, Soncino il coro Disincanto di Cremona, un quartetto di ottoni e all’organo Mascioni il maestro Marco Ruggeri. Ad aprire la solennità la lunga processione dei celebranti da palazzo vescovile fino alla Cattedrale dove all’ingresso non è avvenuto il bacio della mensa perché ancora l’altare non era stato dedicato, cioè destinato per sempre al culto. Poi l’apertura della celebrazione con l’evidente commozione dei presenti. A Cremona si ha memoria di sole due dedicazioni in duomo. La prima annotata dal vescovo Sicardo il 16 giugno del 1196 quando vennero poste in un’arca le reliquie dei Santi Imerio e Archelao e venne dedicato l’altare; la seconda il 2 giugno del 1592 quando il vescovo Speciano dedicò l’altare e l’edificio. Quella del 6 novembre è dunque la terza solenne dedicazione per cui si è utilizzato il copione di un rito antico secondo cui l’altare ripercorre l’iniziazione cristiana, viene prima asperso con l’acqua (in ricordo del battesimo), poi unto (Cresima) e quindi usato come mensa per celebrare l’Eucaristia. L’aspersione ad inizio messa dell’altare è stata seguita dalla proclamazione della Parola, con cui si è inaugurato ufficialmente l’ambone a cui è seguita l’omelia di Napolioni che ha ricordato come «le forme degli arredi, che ci trasmettono luce, vedo la chiamata a credere». Una chiamata che coinvolge ciascuno e tutta la comunità «perché – ha concluso la sua riflessione il vescovo – la Dedicazione di questo altare rappresenti la dedicazione di tutta la nostra
vita, singolare e comunitaria a Colui che è la fonte della vita, dell’amore, della pace». Quindi sono iniziate con le litanie dei santi cremonesi le preghiere di dedicazione. Una sequenza di gesti forti con il quale l’altare è diventato «simbolo dell’agnello, centro della nostra lode e comune rendimento di grazie». In un sepolcreto, ricavato all’interno dell’altare, è stata posta un’urna (disegnata da don Gianluca Gaiardi, responsabile per i beni culturali della diocesi) con le reliquie degli antichi santi da secoli venerati in Cattedrale: sant’Imerio, vescovo patrono secondario della città e della diocesi di Cremona, e san Facio, testimone di caritàdi cui proprio quest’anno ricorrono i 750 anni dalla morte, oltre alle reliquie dei più recenti santi e beati cremonesi, dediti all’educazione e alla carità: santa Paola Elisabetta Cerioli, vedova soncinese che realizzò la sua vocazione nell’educazione della gioventù e degli orfani; il beato Arsenio Migliavacca, francescano originario di Trigolo fondatore delle Suore di Maria Santissima Consolatrice; san Francesco Spinelli, fondatore delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda; san Vincenzo Grossi, prete diocesano nato a Pizzighettone fondatore dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio; e il beato Enrico Rebuschini, camilliano che a Cremona spese la sua vita a servizio dei malati. Poi è avvenuta l’unzione del crisma (Cresima) dell’altare ad opera del vescovo e l’incensazione con un braciere acceso sulla mensa. Ed infine l’altare è diventato luogo dove si spezza il pane con la prima consacrazione delle ostie realizzate per questa occasione dai detenuti di Opera (Milano). A conclusione della celebrazione la benedizione finale del Vescovo e la distribuzione ai presenti della lettera pastorale “La Casa dello sposo. Vivere oggi la nostra cattedrale”, per «dar voce – ha scritto il presule – alla gioia della Chiesa,
sposa del Signore, che ha il privilegio di abitare la casa dello Sposo per stare con Lui e ricevere i suoi doni vivificanti». Il video integrale dello speciale dedicato alla Dedicazione con la Messa presieduta dal vescovo Napolioni [the_ad id=”438553″] [the_ad id=”352515″] [the_ad id=”439688″] [the_ad id=”439862″] [the_ad id=”439912″] [the_ad id=”440898″] [the_ad id=”440902″] Questo altare sia dedicato a te per sempre: i gesti del
rito della Dedicazione La dedicazione dell’altare, come qualsiasi altra liturgia, si celebra durante l’Eucarestia, che inizia, anche in questo frangente, con la processione d’ingresso e il saluto. Il primo rito peculiare è quello della benedizione dell’acqua e dell’aspersione, tanto del popolo quanto dell’altare stesso. L’acqua – viene precisato – è segno di penitenza, perché veniamo purificati dai nostri peccati, e ricordo del nostro Battesimo. Nella preghiera di benedizione, infatti, si acclama che «nel disegno della tua misericordia hai voluto che l’uomo, immerso peccatore nelle acque del Battesimo, muoia con Cristo e risorga innocente alla vita nuova, fatto membro del suo corpo ed erede del suo regno». Inoltre, nel prosieguo, si invoca: «Benedici e santifica quest’acqua che verrà aspersa su di noi e sul nuovo altare, perché sia segno del lavacro battesimale che ci fa in Cristo nuova creatura e altare vivo del tuo Spirito». Quest’ultima immagine richiama una affermazione di s. Gregorio Magno in forma interrogativa: «Che cos’è l’altare di Dio se non il cuore di coloro che conducono una vita santa? A buon diritto, quindi, altare di Dio vien chiamato il cuore dei giusti». L’identità battesimale è la radice di qualsiasi scelta nella vita divenuta “altare”, cioè luogo dell’offerta al Padre di se stessi. Dopo la proclamazione della Parola e l’omelia del vescovo, si invocano i santi, che hanno condiviso la vita con Cristo nel martirio o in qualsiasi altra modalità di testimonianza e ora sono suoi commensali nel convito eterno. Prospettiva quanto mai perspicace, che si ricollega al rito successivo, e cioè la deposizione delle reliquie dei nostri santi locali in una apposita urna, così esplicitato: «La dignità dell’altare consiste tutta nel fatto che esso è la mensa del Signore. Non sono dunque i corpi dei santi che onorano l’altare, ma piuttosto è l’altare che dà prestigio al sepolcro dei santi. Cristo però sta sopra l’altare, perché ha patito per tutti; i
santi, riscattati dalla sua passione, sono collocati sotto l’altare, in rispondenza all’affermazione del libro dell’Apocalisse: “Vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso” (Ap 6,9)». Segue la solenne preghiera di dedicazione, fulcro del rito, strutturata come tutte le grandi preghiere liturgiche: anzitutto contempla il riferimento ad eventi prefiguratori del Primo Testamento (Noè, Abramo, Mosè) e a Cristo, centro della storia, che «compì tutti i segni antichi; salendo sull’albero della croce, sacerdote e vittima, si offrì a te, o Padre, in oblazione pura per distruggere i peccati del mondo e stabilire con te l’alleanza nuova ed eterna». Nella parte invocativa vera e propria della preghiera l’altare viene salutato come segno di Cristo, mensa del convito festivo, luogo di intima comunione con il Padre, fonte di unità per la Chiesa, centro della nostra lode e del comune rendimento di grazie: una ricca e ben calibrata prospettiva di salvezza, che abbraccia le tre dimensioni del tempo, anche quella futura, concludendo: «…finché nella patria eterna ti offriremo esultanti il sacrificio della lode perenne con Cristo, pontefice sommo e altare vivente». L’unzione con il crisma, entrata ampiamente nella liturgia occidentale anche delle Ordinazioni sul finire del primo millennio, in questa celebrazione di dedicazione assume dimensioni assai ampie, perché, come recita la rubrica, «il vescovo versa il sacro crisma al centro dell’altare e ai suoi quattro angoli e ne unge opportunamente tutta la mensa». Cristo è nome che significa “consacrato, unto”. Dio infatti lo unse di Spirito Santo (cfr. At 10,38), perché offrisse sull’altare il sacrificio del proprio corpo per la salvezza di tutti. Anche noi nel Battesimo e nella Cresima siamo stati consacrati alla missione della Chiesa, mediante l’unzione. Ungendo con l’olio del crisma la nuova mensa si vuole significare che essa diviene per sempre espressione simbolica
di questa realtà di vita tipicamente cristiana. Pure il rito dell’incenso, che segue immediatamente, bruciato in un piccolo braciere collocato sull’altare, richiama anzitutto la missione, tipica dei battezzati, di diffondere ovunque, appunto come il profumo dell’incenso, la conoscenza di Cristo (cfr. 2 Cor 2,14-16). Inoltre, rifacendosi alla visione dell’Apocalisse (cfr. Ap 8,3-4), si vuole indicare che le preghiere dei fedeli si innalzano come volute di fumo fino all’altare di Dio, posto davanti al suo trono. Infine avviene la copertura dell’altare e la sua illuminazione. Ricoperto delle tovaglie, che lo fanno apparire meglio come mensa del convito festivo dell’Eucarestia, si accendono le candele, e poi tutte le luci, in segno di gioia. Si richiama ancora Cristo, salutato nel tempio da Simeone come luce per illuminare le genti (cfr. Lc 2,32). E, nello stesso tempo, diviene indicazione di vita per ogni credente, chiamato a risplendere davanti agli uomini, perché tutti vedano il bene compiuto e rendano gloria al Padre celeste (cfr. Mt 5,16). Per questo il miglior auspicio, che scaturisce da questo straordinario evento di vita della nostra Chiesa locale, viene espresso dalle parole pronunciate durante l’accensione delle candele, che uniscono in felice connubio altare e fedeli: «La luce di Cristo rifulga su quest’altare e siano luce del mondo i commensali alla cena del Signore». Gianni Cavagnoli [the_ad id=”438553″]
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gruppo di lavoro vincitore del bando Cei, di Goffredo Boselli che ha curato l’aspetto liturgico, del maestro Gianmaria Potenza autore degli arredi sacri, a cui sono seguite a completamento le voci locali di don Daniele Piazzi, direttore dell’Ufficio Liturgico e di monsignor Attilio Cibolini, rettore della Cattedrale. Proprio nella “casa dei cittadini”, il Comune, si è parlato di altare, «simbolo della necessità per credenti e non credenti di sollevare lo sguardo per ritrovare le motivazioni anche dello spirito per guardare al futuro», come ha dichiarato il sindaco Galimberti nel suo saluto iniziale. Ma anche invito «a spezzare il pane della solidarietà, a mettere al centro ciò che c’è di più fragile nel suo significato laico e civile». E infine richiamo a ricordare l’antica storia di dialogo tra Comune e Cattedrale. Storia ripresa nel suo intervento da don Gaiardi che ha ricordato come fossero stati i massari, gestori dei beni comunali, nel 1100 a gestire l’edificazione del duomo la cui prima pietra fu posta il 26 agosto del 1107. Don Gaiardi ha ripercorso le tappe del progetto di adeguamento che, seguendo i dettami del Concilio Vaticano II, è stato pensato a livello locale ma anche nazionale. Dal bando dedicato a questo tema dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 2018 è stato selezionato il progetto che domenica diventerà patrimonio vivo della comunità cremonese con la celebrazione della messa di dedicazione. [the_ad id=”438553″] [the_ad id=”352515″] [the_ad id=”439688″] [the_ad id=”439862″] [the_ad id=”439912″]
[the_ad id=”440898″] [the_ad id=”440902″] È stato invece l’architetto Massimiliano Valdinoci ha raccontare il rinnovamento del presbiterio secondo i principi di «prossimità e distinzione» che significano rispetto dell’esistente e visibilità del nuovo perché «la Chiesa è un organismo vivente, monumento e non museo» che cresce con la creatività degli uomini che la vivono in tutti i tempi. Lo studio di come nel tempo è evoluta la Cattedrale ha consentito di affrontare la stratificazione con rispetto rimuovendo e ricollocando la cancellata che divideva il presbiterio dall’assemblea (la cancellata è stata risistemata e collocata in cripta) e facendo ruotare il nuovo su tre poli: altare, cattedra e ambone. «Immediata sintonia con le finalità dell’adeguamento espresse dalla diocesi» è stata sottolineata da Boselli, anima del pensiero liturgico che nutre il progetto. Più volte nelle sue parole è ricorsa l’idea di «ascolto, rispetto e obbedienza verso un cammino fatto dalla diocesi» verso le mete indicate dal Concilio. CLICCA QUI PER GLI AUDIO INTEGRALI DI TUTTI GLI INTERVENTI Tre le tappe che, a suo dire, hanno segnato la prassi liturgica della chiesa cremonese. La prima fase dagli anni ‘60 ai ’90 è stata quella della «ricezione» del messaggio del Concilio con la sistemazione dei 3 poli (altare, cattedra e ambone) nel presbiterio storico. Una seconda fase dagli anni ’90 fino al 2000 ha mostrato «l’assimilazione» delle indicazioni conciliari con la sistemazione di altare e ambone nel presbiterio inferiore, la piazzetta senatoria, più vicina all’assemblea. Dal 2007 si è sviluppata invece l’ultima fase, quella della «maturità» con un leggio ligneo che ha assunto le caratteristiche di una tribuna. Ora, i nuovi arredi «doneranno
stabilità e durevolezza» ai risultati di quel cammino. Non «definitività» perché il cammino è continuo ma «qualità celebrativa». L’arte che si esprimerà negli arredi «non è figurativa ma evocativa», portatrice di un valore «quasi sacramentale». Inutile dire che come nel 1100 tra mille difficoltà anche economiche, oggi i cremonesi, ha detto mons. Napolioni, «hanno il coraggio di osare», di fare brillare «quella conchiglia meravigliosa che nei nuovi arredi trova la perla da far brillare, l’altare», con prudenza e rispetto per il passato. «Nulla di ciò che c’era è stato toccato», tiene a precisare. E a proposito di luce, il maestro Potenza ci tiene a ribadire che «ho giocato con la luce». Quel «fiume di luce» di cui parla il vescovo nella lettera pastorale La Casa dello sposo. Vivere oggi la nostra cattedrale, che verrà resa nota domenica. A conclusione gli interventi di don Daniele Piazzi che ha accennato il complesso rito denso di significati che si snoderà domenica alle 16 in cattedrale per la dedicazione dell’altare. E le parole di mons. Cibolini sul riordino della Cattedrale che prevede il completo rinnovo dei banchi al posto delle sedie per l’assemblea, una nuova tenda per la controfacciata oltre a numerosi interventi sugli altari laterali in attesa di altri lavori che interesseranno in futuro la pavimentazione. Fondazione Elisabetta Germani, Enrico Marsella
nuovo presidente della casa di riposo di Cingia de’ Botti Passaggio di testimone alla presidenza dalla Fondazione Elisabetta Germani di Cingia de’ Botti: Enrico Marsella (in foto a destra), già vicepresidente, prende l’eredità lasciata da Riccardo Piccioni (in foto a sinistra), dopo 17 anni di presidenza mantenuta fino al 31 ottobre 2022, che nelle settimane precedenti aveva rassegnato le dimissioni al Vescovo. Dal 1° novembre è in carica Marsella a seguito della nomina da parte del vescovo Antonio Napolioni. Durante il Consiglio di amministrazione di lunedì 7 novembre si è infatti preso atto di questo avvicendamento, contrassegnato da un “passaggio di consegne” e da un momento di saluto al Piccioni che per tanti anni ha presieduto il Cda di Fondazione Elisabetta Germani, contribuendo fattivamente, insieme agli altri componenti del Consiglio che negli anni si sono avvicendati, a far crescere la Fondazione Germani, portandola a essere una grande realtà completamente ristrutturata, consolidata nel territorio e tra le più apprezzate nel panorama cremonese; una struttura che nel corso del tempo ha saputo ampliare in modo importante le proprie unità di offerta ed i servizi erogati alla cittadinanza. Una Fondazione, quella di Cingia De’ Botti, che l’Amministrazione presieduta da Riccardo Piccioni ha saputo nel tempo mantenere sana, solida ed estremamente competitiva sul territorio; un’azienda che oggi assiste più di 300 persone contemporaneamente con altrettanti dipendenti, un luogo sereno e disteso, umanamente e professionalmente ricco, dove al primo posto nella filosofia di cura e di assistenza c’è stata sempre la persona, con i suoi bisogni umani, relazionali, ed anche spirituali con riferimento ai valori cristiani. «Dopo oltre 17 anni – afferma Piccioni – è doveroso lasciare “il passo”, per usare un termine popolare. Non spetta a me
ovviamente giudicare il lavoro fatto. Posso soltanto affermare che ho dedicato molto tempo e impegno per rendere la struttura sempre più adeguata alle realtà sociale ed istituzionale che si profilavano. Ho rivolto un particolare riguardo agli anziani e disabili che con le loro problematiche sempre più complesse e dedicate richiedevano tempestivi e idonei interventi da parte dell’amministrazione». Enrico Marsella è una figura storica alla Fondazione Germani. Nel 1983 è entrato nell’allora IPAB come dipendente intraprendendo nel corso negli anni un percorso di crescita umana e professionale importante (da ausiliario a infermiere, per poi diventare coordinatore di nucleo e in seguito coordinatore di Area Socio Sanitaria e Assistenziale), una carriera sostenuta da anni di intenso studio che gli hanno permesso di conseguire laurea specialistica e master in management per le funzioni di coordinamento. Dopo il pensionamento del 2015, nel 2017 è nominato membro del CdA di Fondazione e nel 2019 vicepresidente. Enrico Marsella è anche presidente dell’Ordine delle professioni Infermieristiche di Cremona. «Ho accolto con umile spirito di servizio questa nomina da parte del Vescovo di Cremona Antonio Napolioni – commenta Marsella – incarico che mi appresto ad affrontare con passione ed entusiasmo, ma anche con la consapevolezza delle grandi responsabilità che questo ruolo comporta, soprattutto in questo particolare momento storico, irto di mille difficoltà che purtroppo stanno attanagliando tutte le realtà socio- sanitarie territoriali. La voglia di fare e di mettermi in gioco è tanta. Fondazione Germani è già un punto di riferimento per le famiglie e le istituzioni del territorio, ha grandi potenzialità e dispone di capacità e professionalità in grado di cogliere le sfide che ci attendono, fra le altre quella di portare la struttura a posizionarsi e a svilupparsi ancor di più sul territorio, in risposta ai bisogni sempre più complessi della persona, della famiglia, della comunità, il
tutto in un’ottica di prossimità. Ringrazio il Vescovo per la fiducia che ha voluto dimostrare nei miei confronti. Da parte mia cercherò con tutto l’impegno di saperla meritare senza mai disattenderla». Durante il Cda del 7 novembre è stato inoltre individuato e nominato il vicepresidente nella persona di don Marco Genzini, già componente del Cda dal 21 ottobre 2019 su nomina del vescovo. Gli altri componenti del Consiglio di amministrazione ad oggi sono il sindaco di Cingia de’ Botti ing. Fabio Rossi e il prof. Angelo Rescaglio. Tutela e salvaguardia dei beni culturali, ma non solo Con l’inaugurazione del nuovo presbiterio della Cattedrale di Cremona ormai alle porte, la nuova puntata di “Chiesa di casa”, il talk di approfondimento settimanale sulla vita della diocesi, è stata interamente dedicata ai beni culturali ecclesiastici. «Quello di cui ci occupiamo – ha raccontato don Gianluca Gaiardi, responsabile dell’Ufficio diocesano per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto – è principalmente la tutela e la salvaguardia del patrimonio culturale della nostra diocesi, senza però dimenticare che nostro è anche il compito di sensibilizzare la comunità al dialogo con il mondo dell’arte». E proprio in questa direzione va il progetto di adeguamento liturgico del presbiterio della Cattedrale. «Quando abbiamo preso in considerazione quest’idea – ha spiegato l’architetto
Gabriele Cortesi, membro della commissione diocesana per i beni culturali – siamo partiti dalla storia e dalla tradizione del luogo». Il merito del lavoro svolto dall’architetto Valdinoci e dall’artista Gianmaria Potenza è proprio questo, secondo Cortesi: un grande passo in avanti rispetto al passato, senza che sia avvenuta un’assolutizzazione dell’opera d’arte a discapito della liturgia. La ricerca del bello, d’altra parte, è sempre stata un punto focale del progresso artistico. Da questo punto di vista, però, il rischio è che essa si ponga in contrasto con il messaggio del Vangelo, che invita a guardare gli ultimi, a ciò che spesso è definito “brutto”. Su questa linea di pensiero si è mossa la domanda di Elisa, giovane studentessa che si è affacciata alla “finestra” della trasmissione. «In effetti questo conflitto potrebbe apparire come insanabile – ha replicato Gaiardi – ma lo stesso Papa Paolo VI, nel suo celebre discorso rivolto agli artisti, ha chiesto loro di essere presenti per evitare alle persone di cadere in depressione. Questo è il motivo per cui, anche nella comunità cristiana si guarda al bello: è l’unico modo per guarire ciò che si presenta come più fragile». In quest’ottica cresce ulteriormente l’attesa in vista della dedicazione dell’altare e dell’inaugurazione del rinnovato presbiterio della Cattedrale di Cremona, che «grazie al lavoro di progettazione e realizzazione operato, contribuirà a rendere maggior gloria all’edificio e alle celebrazioni liturgiche che in esso si svolgeranno», secondo l’architetto Cortesi. Rifacimento del presbiterio, Museo Diocesano, tutela dei beni sul territorio: sono solo alcune della attività in cui è coinvolto l’Ufficio beni culturali, perché «l’arte è qualcosa che riguarda la vita di ciascuno, e poiché rimanda all’essenza stessa della persona, è sacra in tutte le sue forme», ha concluso don Gaiardi.
Festa del Ringraziamento a Casalmaggiore con il Vescovo Guarda la photogallery completa della celebrazione Domenica 6 novembre si è celebrata a livello diocesano la 72esima Giornata del Ringraziamento con la Messa presieduta dal vescovo Antonio Napolioni nel Duomo di Casalmaggiore. Hanno risposto all’invito ad essere presenti diverse associazioni di categoria, tra le quali Coldiretti e Libera, oltre alla cooperativa Sol.co e alle ACLI provinciali. La mattinata, organizzata dalla Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Cremona, per la quale ha presenziato il responsabile Eugenio Bignardi, si è svolta all’insegna dei doni e dei grazie pronunciati dal Vescovo durante l’omelia e, successivamente, dai rappresentanti di categoria al momento dell’offertorio, quando sono stati consegnati all’altare i frutti della terra. «Ogni giorno i cristiani ringraziano non solo dei doni della terra ma della misericordia di Dio – ha detto monsignor Napolioni –. Anche noi, carichi di impegni, responsabilità e di peccati, abbiamo bisogno di lui più che del sole e della pioggia, più che dell’aria che respiriamo». Riferendosi quindi al messaggio della CEI per questa Giornata, dal titolo “«Coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto» (Am 9,14). Custodia del creato, legalità, agromafie” (Leggi il messaggio CEI per la 72ª Giornata del Ringraziamento), il Vescovo ha messo in connessione il tema del ringraziamento con quello della risurrezione.
«L’agricoltura è un’attività umana che assicura la produzione di beni primari ed è sorgente di grandi valori: la dignità e la creatività delle persone, la possibilità di una cooperazione fruttuosa, di una fraternità accogliente, il legame sociale che si crea tra i lavoratori». E ha continuato: «Apprezziamo oggi più che mai questa attività produttiva in un tempo segnato dalla guerra, perché la mancata produzione di grano affama i popoli e li tiene in scacco. Le scelte assurde di investire in armi anziché in agricoltura fanno tornare attuale il sogno di Isaia di trasformare le spade in aratri, le lance in falci». L’omelia è poi proseguita ricordando come il bilancio non può essere l’unico criterio che conduce a determinate scelte spesso con conseguenze negative, come il trascurare la famiglia o l’ammalarsi. «Oggi più che mai o viviamo da fratelli o finiremo per ammazzarci. Ci si salva solo insieme, si ringrazia solo insieme. Ecco perché ho voluto dare carattere diocesano a questa festa». In seguito Napolioni ha accennato all’aspetto della corruzione, delle agromafie e del caporalato, tematiche richiamate nel messaggio per la Giornata e su cui lavora la cooperativa Sol.co e che ha affrontato nella mostra Capo- volti, esposta a Casalmaggiore durante il periodo della Fiera di San Carlo. Per contrastare la corruzione esiste la cura, ha sottolineato il vescovo: «Chi sceglie lo stile con cui coltivare la terra, mettere a servizio i frutti del lavoro? Chi si lascia purificare nei cuori e ha il coraggio di scelte contro corrente, per portare guadagno per tutti soprattutto per quelli che necessitano». Avere cura del giardino, quindi, significa accettare che Dio ascolta le preghiere di tutti, come di un popolo unito. Perché Dio è il Dio dei viventi, che sono tra loro fratelli tutti. Così la preghiera di ringraziamento si trasforma in preghiera per la pace, in richiesta di risurrezione, affinché «la nostra mente di apra alla fantasia del bene, perché il Vangelo ci
dice che la vita è più forte della morte e che giustizia e legalità sono per chi custodisce il giardino. Quindi – ha concluso il vescovo – siamo qui per ricercare quello che la terra non può darci. I nostri grazie umani si uniscano ai grazie di Cristo al Padre, che ci ammetterà nell’aia in cui la festa del raccolto sarà per tutti». iFrame is not supported! La Messa, stata animata dalla presenza di tre cori condotti dai maestri Donato Morselli e Ugo Boni, è stata concelebrata da don Mario Martinengo (membro della commissione di Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi), don Emilio Garattini (assistente ecclesiastico di Coldiretti) e don Angelo Bravi (collaboratore parrocchiale di Casalmaggiore in rappresentanza del parroco don Claudio Rubagotti impegnato in città nelle celebrazioni della festa delle forze armate e unità nazionale). Al termine della Messa i rappresentanti di categoria si sono intrattenuti con il vescovo per un momento di convivialità. Congresso eucaristico, il vescovo Napolioni: «Una sosta di riflessione, di contemplazione, di preghiera che dà ancora più senso
cammino sinodale» Dopo la Via Lucis nel pomeriggio del 23 settembre, il secondo momento liturgicamente “corale” del Congresso eucaristico che è stato vissuto nella città di Matera dagli 800 delegati, accompagnati da 80 vescovi, in rappresentanza di 116 diocesi, è stato nel pomeriggio di sabato 24 settembre: la processione eucaristica. A presiederla mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina. Poco prima della partenza, dalla parrocchia San Pio X, in piazza Giovanni XXIII, arriva il videomessaggio del vescovo Antonio Napolioni, che ha voluto condividere quanto la delegazione diocesana sta vivendo nella città dei sassi. «Abbiamo riscoperto il gusto del pane e quindi l’impegno a vivere l’Eucarestia a 360 gradi», ha affermato il vescovo. Il tutto vissuto grazie a «un cammino di avvicinamento fatto di dialogo, di incontro con le persone nella loro realtà quotidiana» e «con la testimonianza che ne deve scaturire poi nei vari ambienti in cui i cristiani vivono la loro quotidianità». «Una sosta di riflessione, di contemplazione, di preghiera – ha precisato il vescovo – che dà ancora più senso cammino sinodale che stanno facendo le Chiese in Italia che qui vedete unita anche nella compresenza di tanti vescovi e di tanti fedeli». A portare l’Eucaristia in processione mons. Francesco Savino e da mons. Erio Castellucci, vicepresidenti della Cei, mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, e mons. Gianmarco Busca, presidente della Commissione episcopale per la liturgia. La conclusione del rito in piazza San Francesco d’Assisi. Per il gruppo cremonese guidato dal vescovo Napolioni e che
vede la presenza a Matera dell’incaricato diocesano per la Pastorale liturgica don Daniele Piazzi insieme ad alcuni seminaristi diocesani, alcune suore Adoratrici di Rivolta d’Adda e un ministro straordinario della Comunione, la prima parte della giornata era stata caratterizzata dalla partecipazione ad alcune meditazioni. In serata in piazza Vittorio Veneto uno spettacolo fondato su tre elementi: terra, acqua e fuoco, che rimandano ai sacramenti dell’iniziazione cristiana. È “Il gusto del pane”, prodotto dalla Cei in collaborazione con Tv2000, che caratterizzerà la serata conclusiva del Congresso eucaristico nazionale di Matera, in attesa della Messa di Papa Francesco domenica mattina allo stadio. Dopo l’intervento di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina, che ripercorrerà i momenti salienti del Congresso eucaristico, sarà la volta della cantante Amara, accompagnata alla chitarra da Simone Cristicchi. I luoghi descritti da Carlo Levi in “Cristo si è fermato a Eboli” saranno rievocati da Sebastiano Somma, mentre Isabel Russinova leggerà “Pane casalingo” di Grazia Deledda. Mimmo Muolo, vaticanista di Avvenire e autore della trasmissione (assieme a Fabrizio Silvestri, Donatella Gimigliano e Cristina Monaco), intervisterà il giovane scrittore Francesco Musolino e Giovanni Baglioni presenterà una sua composizione – “Radici” – per poi riflettere su un verso di “Avrai”, la celebre canzone di papà Claudio: “e sentirai di non avere amato mai abbastanza, se amore, amore avrai”. Poi Cristicchi rientrerà sul palco per cantare “Abbi cura di me” e “La cura” di Franco Battiato. Sul tema dell’acqua, Sebastiano Somma leggerà la poesia “La Sorgente” di Karol Wojtyla, mentre la giornalista Donatella Bianchi si soffermerà sull’importanza dei beni ambientali e la ballerina Anastasia Kusmina, proveniente dall’Ucraina, interpreterà una danza. Per la sezione dedicata al fuoco, Somma leggerà del “Roveto ardente”, mentre a Russinova è affidata la
“Pentecoste”. In collegamento da Roma, la direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, rileggerà l’opera di grandi pittori, come Raffaello e Leonardo, dedicata al tema eucaristico. Giovanni Baglioni canterà “Dolce sentire”, mentre l’attrice e conduttrice televisiva Beatrice Fazi racconterà la sua esperienza sull’Eucaristia. Il cantautore siciliano Mario Incudine canterà “Tutti abbiamo bisogno di lu granu”, prima del commento del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, in chiusura di serata. Anche don Primo Mazzolari al Festival della missione Da giovedì 29 settembre fino a domenica 2 ottobre Milano è diventata la capitale del mondo. E non per manie di grandezza, ma perché la metropoli lombarda ha chiamato a raccolta tutti coloro che hanno il cuore e gli occhi attenti al mondo e, contemporaneamente, sono innamorati del Vangelo. Con lo slogan “Vivere per dono”, titolo del Festival, il capoluogo lombardo è diventato in vari spazi megafono di storie di missionari che operano nei cinque continenti, spesso nel nascondimento, senza proclami né pubblicità. E invece qui trovano palchi che li ospitano, microfoni che amplificano le loro voci, orecchi attenti che li ascoltano. E proprio nel contesto del 2° Festival della missione, manifestazione di carattere nazionale con l’obiettivo di offrire occasioni di riflessione, di festa e di coinvolgimento sul tema della missione, presso la basilica di S. Lorenzo, a Milano, è visitabile sino a domenica 2 ottobre la mostra «Conoscere don Primo Mazzolari». «Lo slogan del festival, Vivere perDono, – spiega don Umberto Zanaboni, della Fondazione Mazzolari – ci mette di fronte a
una doppia accezione del termine perdonare: una riflessione sul senso del perdono e insieme del dono». «Da una parte troviamo don Primo – prosegue il sacerdote – che con il suo amore ai lontani ha fatto della sua una vita di misericordia e di perdono. Dall’altra c’è san Charles de Foucauld, monaco francese che, nella sua esperienza in Algeria, è stato una guida, segno di una vita per dono». Ed è proprio su di lui che è incentrata una seconda mostra, sempre a S. Lorenzo: “Charles de Foucauld, fratello universale”. Il Festival si chiuderà ufficialmente domenica pomeriggio con la Messa presieduta dall’arcivescovo di Milano e concelebrata dai vescovi lombardi, tra cui monsignor Antonio Napolioni. Scarica il pieghevole con il programma completo
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