Il 25 novembre in Cattedrale la cantata "Pater pauperum" di Federico Mantovani

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Il 25 novembre in Cattedrale la cantata "Pater pauperum" di Federico Mantovani
Il 25 novembre in Cattedrale
la cantata “Pater pauperum”
di Federico Mantovani
In occasione della solennità patronale di sant’Omobono, nella
serata di venerdì 25 novembre, alle 21, nella Cattedrale di
Cremona risuoneranno le note di Pater pauperum, imponente
Cantata sacra composta dal maestro cremonese Federico
Mantovani. Un progetto che nasce dalla volontà del compositore
di presentare alla città, a quindici anni dall’ultima
esecuzione, il grande affresco musicale contemporaneo dedicato
alla figura di sant’Omobono, il “padre dei poveri”,
festeggiandolo solennemente dopo il lungo e terribile periodo
della pandemia.

L’iniziativa coinvolge il Coro Polifonico Cremonese, che per
primo ha condiviso con entusiasmo le ragioni profonde della
proposta, e la Camerata di Cremona, affiancati nella
preparazione e nell’esecuzione dell’opera. La ripresa
cremonese, per desiderio dello stesso compositore, sarà
affidata alla direzione del maestro Marco Fracassi, che
commissionò e diresse la Cantata per la prima volta il 31
gennaio 1999, in occasione dell’ottavo centenario della
canonizzazione del santo patrono. L’opera, per 5 soli, 2 voci
recitanti, coro e orchestra, fu poi riproposta con alcune
integrazioni nel 2007 dal Coro Polifonico Cremonese, sotto la
direzione dello stesso Mantovani, nell’ambito delle
celebrazioni per il nono centenario di fondazione della
Cattedrale.

Il concerto, realizzato grazie al sostegno della Fondazione
Arvedi-Buschini e con il patrocinio dell’Assessorato alla
cultura del Comune di Cremona, si collocherà, per volontà del
vescovo Antonio Napolioni, all’interno del programma
celebrativo della festa patronale e nella suggestiva cornice
del massimo tempio cittadino dopo i lavori di adeguamento
liturgico.

Intensa e coinvolgente, la partitura si apre con il festoso
corale Gaude et laetare Cremona (“Gioisci e rallegrati
Cremona”) e si conclude con il solenne inno al santo patrono
su testo latino di Marco Gerolamo Vida, ripercorrendo la vita
e le opere di Omobono Tucenghi, primo santo laico non nobile
della storia della Chiesa, canonizzato dal papa Innocenzo III
nel gennaio 1199 e assunto poi a patrono della città e della
diocesi. I testi sono attinti dalle vite del santo e dalla
bolla di canonizzazione Quia pietas (nella traduzione di don
Daniele Piazzi), oltre che dalle Sacre Scritture.

«Con questa opera musicale – precisa l’autore della Cantata,
il maestro Federico Mantovani – si intende segnalare
l’attualità di Omobono, che si distinse nella vita della città
come uomo di pace, di profonda preghiera e di proverbiale
carità. Riproporre l’esecuzione del lavoro oggi, a cori uniti,
dopo lo smarrimento degli ultimi due anni, acquista inoltre un
significato particolare, perché diventa occasione per
riaccendere l’entusiasmo di un progetto artistico condiviso,
affidando all’intercessione del nostro santo patrono il
cammino dei vivi e la memoria dei tanti cremonesi vittime
della pandemia».

     La Cantata Pater pauperum eseguita nel 2007 dal Coro
              Polifonico Cremonese in Cattedrale
Dalle mani degli ultimi il
Pane della Vita: preparate
dai detenuti di Opera le
ostie   per  la  Messa  di
dedicazione
Sono stati i detenuti delle carceri di Opera (Milano) e di
Castelfranco Emilia (Modena) a preparare le 35mila ostie che
sono state usate durante le celebrazioni del XXVII Congresso
eucaristico nazionale di Matera dal 22 al 25 settembre. In
sintonia con quell’evento nazionale la Diocesi di Cremona ha
voluto chiedere alla Fondazione “La Casa dello Spirito e delle
Arti” del carcere di Opera il pane da usare nella Messa di
dedicazione del nuovo altare della Cattedrale, domenica 6
novembre pomeriggio, quasi per ricevere il Pane della Vita da
Cristo e dagli ultimi.

«Anche noi – spiega don Daniele Piazzi, responsabile
dell’Ufficio liturgico diocesano – vogliamo unirci
all’auspicio del cappellano di Opera che nei giorni del
Congresso così scriveva: “Che possiamo cogliere e comprendere
ancora di più che in quel piccolo pezzo di pane, che nutre la
nostra fragilità umana, oltre ad esserci il Cristo Vivente,
sono racchiusi anche i dolori dell’umanità, sono impressi i
volti di coloro che vivono nelle carceri”».

L’iniziativa è nata nel 2016, anno del Giubileo e della
Misericordia, all’interno del Carcere di Opera. Con la
collaborazione della Fondazione Cariplo è stato avviato un
laboratorio per la produzione di ostie che ha coinvolto alcune
persone detenute.

La forza e l’immediatezza del progetto, che vede il pane per
la celebrazione eucaristica prodotto da chi nel suo passato ha
ucciso ma ha seguito un autentico percorso di conversione
interiore e pentimento, ha incoraggiato l’adesione
di oltre 500 tra Diocesi italiane e straniere, congregazioni
religiose, parrocchie, monasteri, realtà cristiane e
cattoliche, che hanno ricevuto e continuano a ricevere
gratuitamente le ostie portando ad oggi alla produzione
artigianale di oltre 4 milioni di ostie. Per richiedere in
dono le ostie prodotte in carcere, infatti, basta scrivere a
ilsensodelpane@gmail.com.

Scopri di più della Fondazione “La Casa dello Spirito e delle
                            Arti”

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Una festa della fede e della
comunità in Cattedrale per la
Dedicazione del nuovo altare
della Cattedrale

Si è radunata intorno alla mensa eucaristica la Chiesa
cremonese per la solenne celebrazione di Dedicazione
dell’altare della Cattedrale domenica 6 novembre pomeriggio.
Un rito storico, partecipatissimo, segnato da una serie di
atti simbolici che hanno parlato di una tradizione e storia di
fede radicata nel territorio ma condivisa a livello
universale. Dopo 430 anni il duomo ha una un presbiterio
rinnovato secondo le indicazioni sulla liturgia del Concilio
Vaticano II. «Tanta la gioia e la commozione» espressa dal
vescovo Antonio Napolioni che ha presieduto la celebrazione.
I nuovi arredi sacri (altare, cattedra e ambone sul
presbiterio) sprigionano, in tempi segnati da preoccupazioni e
timori, un messaggio di «grande chiarezza: dalla Cattedra Gesù
maestro ci dice “Io sono la guida”. Dall’ambone la Parola
vivente del Padre dice: “Io vi parlo” e nell’altare Cristo si
fa agnello, vittima, pane spezzato e dice: “Io vi nutro”».

Un messaggio (illustrato nell’omelia) fatto di luce, la stessa
che splende sulle opere disegnate dal maestro Gianmaria
Potenza che giocano sui riflessi del bronzo e del marmo,
materiali potenti che, nelle intenzioni dei progettisti
vogliono donare «qualità alla celebrazione».

Ed in effetti, si è trattato di una celebrazione di grande
impatto, quella della Dedicazione, che ha visto intorno alla
mensa oltre a Napolioni, otto vescovi (Dante Lafranconi,
vescovo emerito di Cremona, Gian Carlo Perego, arcivescovo di
Ferrara-Comacchio originario della Diocesi di Cremona, Corrado
Sanguineti, vescovo di Pavia e delegato CEI per l’edilizia di
culto, Franco Agnesi, vescovo ausiliare di Milano e vicario
generale dell’Arcidiocesi di Milano, Daniele Gianotti, vescovo
di Crema, Maurizio Malvestiti, vescovo di Lodi, Giuseppe
Merisi, vescovo emerito di Lodi, Francesco Giovanni Brugnaro,
arcivescovo emerito di Camerino-San Severino Marche, e Gaetano
Fontana, vicario generale della Diocesi di Brescia, in
rappresentanza del vescovo Pierantonio Tremolada), don Luca
Franceschini, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i beni
culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto, insieme ai
canonici del Capitolo della Cattedrale, ai vicari episcopali,
ai vicari zonali, ai coordinatori delle quattro aree pastorali
e moltissimi sacerdoti.

I primi banchi di sinistra erano occupati dai preti e dai
religiosi e religiose, mentre quelli di destra dalle autorità,
il sindaco Gianluca Galimberti, il prefetto Corrado Conforto
Galli, il questore Michele Davide Sinigaglia, i comandanti
provinciali di Carabinieri e Guardia di finanza. Appena dietro
le autorità il maestro Potenza e il team di progettisti
guidati dall’architetto Massimiliano Valdinoci. A seguire
tanti fedeli (arrivati anche con i pullman) che hanno riempito
anche i transetti.

A segnare la solennità del rito anche il Coro della cattedrale
insieme a quello di Castelverde, Soncino il coro Disincanto di
Cremona, un quartetto di ottoni e all’organo Mascioni il
maestro Marco Ruggeri.

Ad aprire la solennità la lunga processione dei celebranti da
palazzo vescovile fino alla Cattedrale dove all’ingresso non è
avvenuto il bacio della mensa perché ancora l’altare non era
stato dedicato, cioè destinato per sempre al culto.

Poi l’apertura della celebrazione con l’evidente commozione
dei presenti.
A Cremona si ha memoria di sole due dedicazioni in duomo. La
prima annotata dal vescovo Sicardo il 16 giugno del 1196
quando vennero poste in un’arca le reliquie dei Santi Imerio e
Archelao e venne dedicato l’altare; la seconda il 2 giugno del
1592 quando il vescovo Speciano dedicò l’altare e l’edificio.
Quella del 6 novembre è dunque la terza solenne dedicazione
per cui si è utilizzato il copione di un rito antico secondo
cui l’altare ripercorre l’iniziazione cristiana, viene prima
asperso con l’acqua (in ricordo del battesimo), poi unto
(Cresima) e quindi      usato   come   mensa   per   celebrare
l’Eucaristia.

L’aspersione ad inizio messa dell’altare è stata seguita dalla
proclamazione della Parola, con cui si è inaugurato
ufficialmente l’ambone a cui è seguita l’omelia di Napolioni
che ha ricordato come «le forme degli arredi, che ci
trasmettono luce, vedo la chiamata a credere». Una chiamata
che coinvolge ciascuno e tutta la comunità «perché – ha
concluso la sua riflessione il vescovo – la Dedicazione di
questo altare rappresenti la dedicazione di tutta la nostra
vita, singolare e comunitaria a Colui che è la fonte della
vita, dell’amore, della pace».

Quindi sono iniziate con le litanie dei santi cremonesi le
preghiere di dedicazione. Una sequenza di gesti forti con il
quale l’altare è diventato «simbolo dell’agnello, centro della
nostra lode e comune rendimento di grazie». In un sepolcreto,
ricavato all’interno dell’altare, è stata posta un’urna
(disegnata da don Gianluca Gaiardi, responsabile per i beni
culturali della diocesi) con le reliquie degli antichi santi
da secoli venerati in Cattedrale: sant’Imerio, vescovo patrono
secondario della città e della diocesi di Cremona, e san
Facio, testimone di caritàdi cui proprio quest’anno ricorrono
i 750 anni dalla morte, oltre alle reliquie dei più recenti
santi e beati cremonesi, dediti all’educazione e alla carità:
santa Paola Elisabetta Cerioli, vedova soncinese che realizzò
la sua vocazione nell’educazione della gioventù e degli
orfani; il beato Arsenio Migliavacca, francescano originario
di Trigolo fondatore delle Suore di Maria Santissima
Consolatrice; san Francesco Spinelli, fondatore delle Suore
Adoratrici del SS. Sacramento di Rivolta d’Adda; san Vincenzo
Grossi, prete diocesano nato a Pizzighettone fondatore
dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio; e il beato Enrico
Rebuschini, camilliano che a Cremona spese la sua vita a
servizio dei malati.

Poi è avvenuta l’unzione del crisma (Cresima) dell’altare ad
opera del vescovo e l’incensazione con un braciere acceso
sulla mensa. Ed infine l’altare è diventato luogo dove si
spezza il pane con la prima consacrazione delle ostie
realizzate per questa occasione dai detenuti di Opera
(Milano).

A conclusione della celebrazione la benedizione finale del
Vescovo e la distribuzione ai presenti della lettera pastorale
“La Casa dello sposo. Vivere oggi la nostra cattedrale”, per
«dar voce – ha scritto il presule – alla gioia della Chiesa,
sposa del Signore, che ha il privilegio di abitare la casa
dello Sposo per stare con Lui e ricevere i suoi doni
vivificanti».

 Il video integrale dello speciale dedicato alla Dedicazione
        con la Messa presieduta dal vescovo Napolioni

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Questo altare sia dedicato a
te per sempre: i gesti del
rito della Dedicazione
La dedicazione dell’altare, come qualsiasi altra liturgia, si
celebra durante l’Eucarestia, che inizia, anche in questo
frangente, con la processione d’ingresso e il saluto.

Il primo rito peculiare è quello della benedizione dell’acqua
e dell’aspersione, tanto del popolo quanto dell’altare stesso.
L’acqua – viene precisato – è segno di penitenza, perché
veniamo purificati dai nostri peccati, e ricordo del nostro
Battesimo. Nella preghiera di benedizione, infatti, si acclama
che «nel disegno della tua misericordia hai voluto che l’uomo,
immerso peccatore nelle acque del Battesimo, muoia con Cristo
e risorga innocente alla vita nuova, fatto membro del suo
corpo ed erede del suo regno». Inoltre, nel prosieguo, si
invoca: «Benedici e santifica quest’acqua che verrà aspersa su
di noi e sul nuovo altare, perché sia segno del lavacro
battesimale che ci fa in Cristo nuova creatura e altare vivo
del tuo Spirito». Quest’ultima immagine richiama una
affermazione di s. Gregorio Magno in forma interrogativa: «Che
cos’è l’altare di Dio se non il cuore di coloro che conducono
una vita santa? A buon diritto, quindi, altare di Dio vien
chiamato il cuore dei giusti». L’identità battesimale è la
radice di qualsiasi scelta nella vita divenuta “altare”, cioè
luogo dell’offerta al Padre di se stessi.

Dopo la proclamazione della Parola e l’omelia del vescovo, si
invocano i santi, che hanno condiviso la vita con Cristo nel
martirio o in qualsiasi altra modalità di testimonianza e ora
sono suoi commensali nel convito eterno. Prospettiva quanto
mai perspicace, che si ricollega al rito successivo, e cioè la
deposizione delle reliquie dei nostri santi locali in una
apposita urna, così esplicitato: «La dignità dell’altare
consiste tutta nel fatto che esso è la   mensa del Signore. Non
sono dunque i corpi dei santi che        onorano l’altare, ma
piuttosto è l’altare che dà prestigio    al sepolcro dei santi.
Cristo però sta sopra l’altare, perché   ha patito per tutti; i
santi, riscattati dalla sua passione, sono collocati sotto
l’altare, in rispondenza all’affermazione del libro
dell’Apocalisse: “Vidi sotto l’altare le anime di coloro che
furono immolati a causa della parola di Dio e della
testimonianza che gli avevano reso” (Ap 6,9)».

Segue la solenne preghiera di dedicazione, fulcro del rito,
strutturata come tutte le grandi preghiere liturgiche:
anzitutto contempla il riferimento ad eventi prefiguratori del
Primo Testamento (Noè, Abramo, Mosè) e a Cristo, centro della
storia, che «compì tutti i segni antichi; salendo sull’albero
della croce, sacerdote e vittima, si offrì a te, o Padre, in
oblazione pura per distruggere i peccati del mondo e stabilire
con te l’alleanza nuova ed eterna». Nella parte invocativa
vera e propria della preghiera l’altare viene salutato come
segno di Cristo, mensa del convito festivo, luogo di intima
comunione con il Padre, fonte di unità per la Chiesa, centro
della nostra lode e del comune rendimento di grazie: una ricca
e ben calibrata prospettiva di salvezza, che abbraccia le tre
dimensioni del tempo, anche quella futura, concludendo:
«…finché nella patria eterna ti offriremo esultanti il
sacrificio della lode perenne con Cristo, pontefice sommo e
altare vivente».

L’unzione con il crisma, entrata ampiamente nella liturgia
occidentale anche delle Ordinazioni sul finire del primo
millennio, in questa celebrazione di dedicazione assume
dimensioni assai ampie, perché, come recita la rubrica, «il
vescovo versa il sacro crisma al centro dell’altare e ai suoi
quattro angoli e ne unge opportunamente tutta la mensa».
Cristo è nome che significa “consacrato, unto”. Dio infatti lo
unse di Spirito Santo (cfr. At 10,38), perché offrisse
sull’altare il sacrificio del proprio corpo per la salvezza di
tutti. Anche noi nel Battesimo e nella Cresima siamo stati
consacrati alla missione della Chiesa, mediante l’unzione.
Ungendo con l’olio del crisma la nuova mensa si vuole
significare che essa diviene per sempre espressione simbolica
di questa realtà di vita tipicamente cristiana.

Pure il rito dell’incenso, che segue immediatamente, bruciato
in un piccolo braciere collocato sull’altare, richiama
anzitutto la missione, tipica dei battezzati, di diffondere
ovunque, appunto come il profumo dell’incenso, la conoscenza
di Cristo (cfr. 2 Cor 2,14-16). Inoltre, rifacendosi alla
visione dell’Apocalisse (cfr. Ap 8,3-4), si vuole indicare che
le preghiere dei fedeli si innalzano come volute di fumo fino
all’altare di Dio, posto davanti al suo trono.

Infine avviene la copertura dell’altare e la sua
illuminazione. Ricoperto      delle tovaglie, che lo fanno
apparire meglio come mensa del convito festivo
dell’Eucarestia, si accendono le candele, e poi tutte le luci,
in segno di gioia. Si richiama ancora Cristo, salutato nel
tempio da Simeone come luce per illuminare le genti (cfr. Lc
2,32). E, nello stesso tempo, diviene indicazione di vita per
ogni credente, chiamato a risplendere davanti agli uomini,
perché tutti vedano il bene compiuto e rendano gloria al Padre
celeste (cfr. Mt 5,16).

Per questo il miglior auspicio, che scaturisce da questo
straordinario evento di vita della nostra Chiesa locale, viene
espresso dalle parole pronunciate durante l’accensione delle
candele, che uniscono in felice connubio altare e fedeli: «La
luce di Cristo rifulga su quest’altare e siano luce del mondo
i commensali alla cena del Signore».

                                              Gianni Cavagnoli

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«La      Cattedrale     dei
cremonesi»:   l’adeguamento
liturgico presentato alla
cittadinanza    a   Palazzo
Comunale
Come a continuare l’antico dialogo tra la comunità civile e
quella religiosa, è stato presentato alla cittadinanza in
Palazzo Comunale l’adeguamento liturgico della Cattedrale che
sarà svelato domenica 6 novembre con il rito della Dedicazione
del nuovo altare. Un dialogo visibile in una piazza dove si
affacciano Duomo e Comune; duomo «voluto dalla gente più che
dal clero», come ha sottolineato il vescovo Antonio Napolioni,
presente accanto al sindaco Gianluca Galimberti. In questo
clima don Gianluca Gaiardi, incaricato diocesano per l’Ufficio
dei Beni culturali e l’edilizia di culto, ha introdotto
l’evento che ha visto gli interventi, oltre che di vescovo e
sindaco, dell’architetto Massimiliano Valdinoci, guida del
gruppo di lavoro vincitore del bando Cei, di Goffredo Boselli
che ha curato l’aspetto liturgico, del maestro Gianmaria
Potenza autore degli arredi sacri, a cui sono seguite a
completamento le voci locali di don Daniele Piazzi, direttore
dell’Ufficio Liturgico e di monsignor Attilio Cibolini,
rettore della Cattedrale.

Proprio nella “casa dei cittadini”, il Comune, si è parlato di
altare, «simbolo della necessità per credenti e non credenti
di sollevare lo sguardo per ritrovare le motivazioni anche
dello spirito per guardare al futuro», come ha dichiarato il
sindaco Galimberti nel suo saluto iniziale. Ma anche invito «a
spezzare il pane della solidarietà, a mettere al centro ciò
che c’è di più fragile nel suo significato laico e civile». E
infine richiamo a ricordare l’antica storia di dialogo tra
Comune e Cattedrale. Storia ripresa nel suo intervento da don
Gaiardi che ha ricordato come fossero stati i massari, gestori
dei beni comunali, nel 1100 a gestire l’edificazione del duomo
la cui prima pietra fu posta il 26 agosto del 1107.

Don Gaiardi ha ripercorso le tappe del progetto di adeguamento
che, seguendo i dettami del Concilio Vaticano II, è stato
pensato a livello locale ma anche nazionale. Dal bando
dedicato a questo tema dalla Conferenza Episcopale Italiana
nel 2018 è stato selezionato il progetto che domenica
diventerà patrimonio vivo della comunità cremonese con la
celebrazione della messa di dedicazione.

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È stato invece l’architetto Massimiliano Valdinoci ha
raccontare il rinnovamento del presbiterio secondo i principi
di «prossimità e distinzione» che significano rispetto
dell’esistente e visibilità del nuovo perché «la Chiesa è un
organismo vivente, monumento e non museo» che cresce con la
creatività degli uomini che la vivono in tutti i tempi. Lo
studio di come nel tempo è evoluta la Cattedrale ha consentito
di affrontare la stratificazione con rispetto rimuovendo e
ricollocando la cancellata che divideva il presbiterio
dall’assemblea (la cancellata è stata risistemata e collocata
in cripta) e facendo ruotare il nuovo su tre poli: altare,
cattedra e ambone.

«Immediata sintonia con le finalità dell’adeguamento espresse
dalla diocesi» è stata sottolineata da Boselli, anima del
pensiero liturgico che nutre il progetto. Più volte nelle sue
parole è ricorsa l’idea di «ascolto, rispetto e obbedienza
verso un cammino fatto dalla diocesi» verso le mete indicate
dal Concilio.

  CLICCA QUI PER GLI AUDIO INTEGRALI DI TUTTI GLI INTERVENTI

Tre le tappe che, a suo dire, hanno segnato la prassi
liturgica della chiesa cremonese. La prima fase dagli anni ‘60
ai ’90 è stata quella della «ricezione» del messaggio del
Concilio con la sistemazione dei 3 poli (altare, cattedra e
ambone) nel presbiterio storico. Una seconda fase dagli anni
’90 fino al 2000 ha mostrato «l’assimilazione» delle
indicazioni conciliari con la sistemazione di altare e ambone
nel presbiterio inferiore, la piazzetta senatoria, più vicina
all’assemblea. Dal 2007 si è sviluppata invece l’ultima fase,
quella della «maturità» con un leggio ligneo che ha assunto le
caratteristiche di una tribuna. Ora, i nuovi arredi «doneranno
stabilità e durevolezza» ai risultati di quel cammino. Non
«definitività» perché il cammino è continuo ma «qualità
celebrativa». L’arte che si esprimerà negli arredi «non è
figurativa ma evocativa», portatrice di un valore «quasi
sacramentale».

Inutile dire che come nel 1100 tra mille difficoltà anche
economiche, oggi i cremonesi, ha detto mons. Napolioni, «hanno
il coraggio di osare», di fare brillare «quella conchiglia
meravigliosa che nei nuovi arredi trova la perla da far
brillare, l’altare», con prudenza e rispetto per il passato.
«Nulla di ciò che c’era è stato toccato», tiene a precisare. E
a proposito di luce, il maestro Potenza ci tiene a ribadire
che «ho giocato con la luce». Quel «fiume di luce» di cui
parla il vescovo nella lettera pastorale La Casa dello sposo.
Vivere oggi la nostra cattedrale, che verrà resa nota
domenica.

A conclusione gli interventi di don Daniele Piazzi che ha
accennato il complesso rito denso di significati che si
snoderà domenica alle 16 in cattedrale per la dedicazione
dell’altare. E le parole di mons. Cibolini sul riordino della
Cattedrale che prevede il completo rinnovo dei banchi al posto
delle sedie per l’assemblea, una nuova tenda per la
controfacciata oltre a numerosi interventi sugli altari
laterali in attesa di altri lavori che interesseranno in
futuro la pavimentazione.

Fondazione        Elisabetta
Germani,   Enrico   Marsella
nuovo presidente della casa
di riposo di Cingia de’ Botti
Passaggio di testimone alla presidenza dalla Fondazione
Elisabetta Germani di Cingia de’ Botti: Enrico Marsella (in
foto a destra), già vicepresidente, prende l’eredità lasciata
da Riccardo Piccioni (in foto a sinistra), dopo 17 anni di
presidenza mantenuta fino al 31 ottobre 2022, che nelle
settimane precedenti aveva rassegnato le dimissioni al
Vescovo. Dal 1° novembre è in carica Marsella a seguito della
nomina da parte del vescovo Antonio Napolioni.

Durante il Consiglio di amministrazione di lunedì 7 novembre
si è infatti preso atto di questo avvicendamento,
contrassegnato da un “passaggio di consegne” e da un momento
di saluto al Piccioni che per tanti anni ha presieduto il Cda
di Fondazione Elisabetta Germani, contribuendo fattivamente,
insieme agli altri componenti del Consiglio che negli anni si
sono avvicendati, a far crescere la Fondazione Germani,
portandola a essere una grande realtà completamente
ristrutturata, consolidata nel territorio e tra le più
apprezzate nel panorama cremonese; una struttura che nel corso
del tempo ha saputo ampliare in modo importante le proprie
unità di offerta ed i servizi erogati alla cittadinanza. Una
Fondazione, quella di Cingia De’ Botti, che l’Amministrazione
presieduta da Riccardo Piccioni ha saputo nel tempo mantenere
sana, solida ed estremamente competitiva sul territorio;
un’azienda che oggi assiste più di 300 persone
contemporaneamente con altrettanti dipendenti, un luogo sereno
e disteso, umanamente e professionalmente ricco, dove al primo
posto nella filosofia di cura e di assistenza c’è stata sempre
la persona, con i suoi bisogni umani, relazionali, ed anche
spirituali con riferimento ai valori cristiani.

«Dopo oltre 17 anni – afferma Piccioni – è doveroso lasciare
“il passo”, per usare un termine popolare. Non spetta a me
ovviamente giudicare il lavoro fatto. Posso soltanto affermare
che ho dedicato molto tempo e impegno per rendere la struttura
sempre più adeguata alle realtà sociale ed istituzionale che
si profilavano. Ho rivolto un particolare riguardo agli
anziani e disabili che con le loro problematiche sempre più
complesse e dedicate richiedevano tempestivi e idonei
interventi da parte dell’amministrazione».

Enrico Marsella è una figura storica alla Fondazione Germani.
Nel 1983 è entrato nell’allora IPAB come dipendente
intraprendendo nel corso negli anni un percorso di crescita
umana e professionale importante (da ausiliario a infermiere,
per poi diventare coordinatore di nucleo e in seguito
coordinatore di Area Socio Sanitaria e Assistenziale), una
carriera sostenuta da anni di intenso studio che gli hanno
permesso di conseguire laurea specialistica e master in
management per le funzioni di coordinamento. Dopo il
pensionamento del 2015, nel 2017 è nominato membro del CdA di
Fondazione e nel 2019 vicepresidente. Enrico Marsella è anche
presidente dell’Ordine delle professioni Infermieristiche di
Cremona.

«Ho accolto con umile spirito di servizio questa nomina da
parte del Vescovo di Cremona Antonio Napolioni – commenta
Marsella – incarico che mi appresto ad affrontare con passione
ed entusiasmo, ma anche con la consapevolezza delle grandi
responsabilità che questo ruolo comporta, soprattutto in
questo particolare momento storico, irto di mille difficoltà
che purtroppo stanno attanagliando tutte le realtà socio-
sanitarie territoriali. La voglia di fare e di mettermi in
gioco è tanta. Fondazione Germani è già un punto di
riferimento per le famiglie e le istituzioni del territorio,
ha grandi potenzialità e dispone di capacità e professionalità
in grado di cogliere le sfide che ci attendono, fra le altre
quella di portare la struttura a posizionarsi e a svilupparsi
ancor di più sul territorio, in risposta ai bisogni sempre più
complessi della persona, della famiglia, della comunità, il
tutto in un’ottica di prossimità. Ringrazio il Vescovo per la
fiducia che ha voluto dimostrare nei miei confronti. Da parte
mia cercherò con tutto l’impegno di saperla meritare senza mai
disattenderla».

Durante il Cda del 7 novembre è stato inoltre individuato e
nominato il vicepresidente nella persona di don Marco Genzini,
già componente del Cda dal 21 ottobre 2019 su nomina del
vescovo. Gli altri componenti del Consiglio di amministrazione
ad oggi sono il sindaco di Cingia de’ Botti ing. Fabio Rossi e
il prof. Angelo Rescaglio.

Tutela e salvaguardia dei
beni culturali, ma non solo
Con l’inaugurazione del nuovo presbiterio della Cattedrale di
Cremona ormai alle porte, la nuova puntata di “Chiesa di
casa”, il talk di approfondimento settimanale sulla vita della
diocesi, è stata interamente dedicata ai beni culturali
ecclesiastici.

«Quello di cui ci occupiamo – ha raccontato don Gianluca
Gaiardi, responsabile dell’Ufficio diocesano per i beni
culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto – è
principalmente la tutela e la salvaguardia del patrimonio
culturale della nostra diocesi, senza però dimenticare che
nostro è anche il compito di sensibilizzare la comunità al
dialogo con il mondo dell’arte».

E proprio in questa direzione va il progetto di adeguamento
liturgico del presbiterio della Cattedrale. «Quando abbiamo
preso in considerazione quest’idea – ha spiegato l’architetto
Gabriele Cortesi, membro della commissione diocesana per i
beni culturali – siamo partiti dalla storia e dalla tradizione
del luogo». Il merito del lavoro svolto dall’architetto
Valdinoci e dall’artista Gianmaria Potenza è proprio questo,
secondo Cortesi: un grande passo in avanti rispetto al
passato, senza che sia avvenuta un’assolutizzazione dell’opera
d’arte a discapito della liturgia.

La ricerca del bello, d’altra parte, è sempre stata un punto
focale del progresso artistico. Da questo punto di vista,
però, il rischio è che essa si ponga in contrasto con il
messaggio del Vangelo, che invita a guardare gli ultimi, a ciò
che spesso è definito “brutto”. Su questa linea di pensiero si
è mossa la domanda di Elisa, giovane studentessa che si è
affacciata alla “finestra” della trasmissione. «In effetti
questo conflitto potrebbe apparire come insanabile – ha
replicato Gaiardi – ma lo stesso Papa Paolo VI, nel suo
celebre discorso rivolto agli artisti, ha chiesto loro di
essere presenti per evitare alle persone di cadere in
depressione. Questo è il motivo per cui, anche nella comunità
cristiana si guarda al bello: è l’unico modo per guarire ciò
che si presenta come più fragile».

In quest’ottica cresce ulteriormente l’attesa in vista della
dedicazione dell’altare e dell’inaugurazione del rinnovato
presbiterio della Cattedrale di Cremona, che «grazie al lavoro
di progettazione e realizzazione operato, contribuirà a
rendere maggior gloria all’edificio e alle celebrazioni
liturgiche che in esso si svolgeranno», secondo l’architetto
Cortesi.

Rifacimento del presbiterio, Museo Diocesano, tutela dei beni
sul territorio: sono solo alcune della attività in cui è
coinvolto l’Ufficio beni culturali, perché «l’arte è qualcosa
che riguarda la vita di ciascuno, e poiché rimanda all’essenza
stessa della persona, è sacra in tutte le sue forme», ha
concluso don Gaiardi.
Festa del Ringraziamento a
Casalmaggiore con il Vescovo
      Guarda la photogallery completa della celebrazione

Domenica 6 novembre si è celebrata a livello diocesano la
72esima Giornata del Ringraziamento con la Messa presieduta
dal vescovo Antonio Napolioni nel Duomo di Casalmaggiore.
Hanno risposto all’invito ad essere presenti diverse
associazioni di categoria, tra le quali Coldiretti e Libera,
oltre alla cooperativa Sol.co e alle ACLI provinciali.

La mattinata, organizzata dalla Pastorale sociale e del lavoro
della Diocesi di Cremona, per la quale ha presenziato il
responsabile Eugenio Bignardi, si è svolta all’insegna dei
doni e dei grazie pronunciati dal Vescovo durante l’omelia e,
successivamente, dai rappresentanti di categoria al momento
dell’offertorio, quando sono stati consegnati all’altare i
frutti della terra.

«Ogni giorno i cristiani ringraziano non solo dei doni della
terra ma della misericordia di Dio – ha detto monsignor
Napolioni –. Anche noi, carichi di impegni, responsabilità e
di peccati, abbiamo bisogno di lui più che del sole e della
pioggia, più che dell’aria che respiriamo».

Riferendosi quindi al messaggio della CEI per questa Giornata,
dal titolo “«Coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto»
(Am 9,14). Custodia del creato, legalità, agromafie” (Leggi il
messaggio CEI per la 72ª Giornata del Ringraziamento), il
Vescovo ha messo in connessione il tema del ringraziamento con
quello della risurrezione.
«L’agricoltura è un’attività umana che assicura la produzione
di beni primari ed è sorgente di grandi valori: la dignità e
la creatività delle persone, la possibilità di una
cooperazione fruttuosa, di una fraternità accogliente, il
legame sociale che si crea tra i lavoratori». E ha continuato:
«Apprezziamo oggi più che mai questa attività produttiva in un
tempo segnato dalla guerra, perché la mancata produzione di
grano affama i popoli e li tiene in scacco. Le scelte assurde
di investire in armi anziché in agricoltura fanno tornare
attuale il sogno di Isaia di trasformare le spade in aratri,
le lance in falci».

L’omelia è poi proseguita ricordando come il bilancio non può
essere l’unico criterio che conduce a determinate scelte
spesso con conseguenze negative, come il trascurare la
famiglia o l’ammalarsi. «Oggi più che mai o viviamo da
fratelli o finiremo per ammazzarci. Ci si salva solo insieme,
si ringrazia solo insieme. Ecco perché ho voluto dare
carattere diocesano a questa festa».

In   seguito   Napolioni   ha   accennato   all’aspetto   della
corruzione, delle agromafie e del caporalato, tematiche
richiamate nel messaggio per la Giornata e su cui lavora la
cooperativa Sol.co e che ha affrontato nella mostra Capo-
volti, esposta a Casalmaggiore durante il periodo della Fiera
di San Carlo. Per contrastare la corruzione esiste la cura, ha
sottolineato il vescovo: «Chi sceglie lo stile con cui
coltivare la terra, mettere a servizio i frutti del lavoro?
Chi si lascia purificare nei cuori e ha il coraggio di scelte
contro corrente, per portare guadagno per tutti soprattutto
per quelli che necessitano». Avere cura del giardino, quindi,
significa accettare che Dio ascolta le preghiere di tutti,
come di un popolo unito. Perché Dio è il Dio dei viventi, che
sono tra loro fratelli tutti.

Così la preghiera di ringraziamento si trasforma in preghiera
per la pace, in richiesta di risurrezione, affinché «la nostra
mente di apra alla fantasia del bene, perché il Vangelo ci
dice che la vita è più forte della morte e che giustizia e
legalità sono per chi custodisce il giardino. Quindi – ha
concluso il vescovo – siamo qui per ricercare quello che la
terra non può darci. I nostri grazie umani si uniscano ai
grazie di Cristo al Padre, che ci ammetterà nell’aia in cui la
festa del raccolto sarà per tutti».

                   iFrame is not supported!
La Messa, stata animata dalla presenza di tre cori condotti
dai maestri Donato Morselli e Ugo Boni, è stata concelebrata
da don Mario Martinengo (membro della commissione di Pastorale
sociale e del lavoro della Diocesi), don Emilio Garattini
(assistente ecclesiastico di Coldiretti) e don Angelo Bravi
(collaboratore parrocchiale di Casalmaggiore in rappresentanza
del parroco don Claudio Rubagotti impegnato in città nelle
celebrazioni della festa delle forze armate e unità
nazionale).

Al termine della Messa i rappresentanti di categoria si sono
intrattenuti con il vescovo per un momento di convivialità.

Congresso eucaristico, il
vescovo Napolioni: «Una sosta
di      riflessione,       di
contemplazione, di preghiera
che dà ancora più senso
cammino sinodale»
Dopo la Via Lucis nel pomeriggio del 23 settembre, il secondo
momento liturgicamente “corale” del Congresso eucaristico che
è stato vissuto nella città di Matera dagli 800 delegati,
accompagnati da 80 vescovi, in rappresentanza di 116 diocesi,
è stato nel pomeriggio di sabato 24 settembre: la processione
eucaristica. A presiederla mons. Antonio Giuseppe Caiazzo,
arcivescovo di Matera-Irsina.

Poco prima della partenza, dalla parrocchia San Pio X, in
piazza Giovanni XXIII, arriva il videomessaggio del vescovo
Antonio Napolioni, che ha voluto condividere quanto la
delegazione diocesana sta vivendo nella città dei sassi.

«Abbiamo riscoperto il gusto del pane e quindi l’impegno a
vivere l’Eucarestia a 360 gradi», ha affermato il vescovo. Il
tutto vissuto grazie a «un cammino di avvicinamento fatto di
dialogo, di incontro con le persone nella loro realtà
quotidiana» e «con la testimonianza che ne deve scaturire poi
nei vari ambienti in cui i cristiani vivono la loro
quotidianità».

«Una sosta di riflessione, di contemplazione, di preghiera –
ha precisato il vescovo – che dà ancora più senso cammino
sinodale che stanno facendo le Chiese in Italia che qui vedete
unita anche nella compresenza di tanti vescovi e di tanti
fedeli».

A portare l’Eucaristia in processione mons. Francesco Savino e
da mons. Erio Castellucci, vicepresidenti della Cei, mons.
Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, e mons.
Gianmarco Busca, presidente della Commissione episcopale per
la liturgia. La conclusione del rito in piazza San Francesco
d’Assisi.

Per il gruppo cremonese guidato dal vescovo Napolioni e che
vede la presenza a Matera dell’incaricato diocesano per la
Pastorale liturgica don Daniele Piazzi insieme ad alcuni
seminaristi diocesani, alcune suore Adoratrici di Rivolta
d’Adda e un ministro straordinario della Comunione, la prima
parte della giornata era stata caratterizzata dalla
partecipazione ad alcune meditazioni.

In serata in piazza Vittorio Veneto uno spettacolo fondato su
tre elementi: terra, acqua e fuoco, che rimandano ai
sacramenti dell’iniziazione cristiana. È “Il gusto del pane”,
prodotto dalla Cei in collaborazione con Tv2000, che
caratterizzerà la serata conclusiva del Congresso eucaristico
nazionale di Matera, in attesa della Messa di Papa Francesco
domenica mattina allo stadio.

Dopo l’intervento di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo,
arcivescovo di Matera-Irsina, che ripercorrerà i momenti
salienti del Congresso eucaristico, sarà la volta della
cantante Amara, accompagnata alla chitarra da Simone
Cristicchi. I luoghi descritti da Carlo Levi in “Cristo si è
fermato a Eboli” saranno rievocati da Sebastiano Somma, mentre
Isabel Russinova leggerà “Pane casalingo” di Grazia Deledda.
Mimmo Muolo, vaticanista di Avvenire e autore della
trasmissione (assieme    a Fabrizio Silvestri, Donatella
Gimigliano e Cristina    Monaco), intervisterà il giovane
scrittore Francesco Musolino e Giovanni Baglioni presenterà
una sua composizione – “Radici” – per poi riflettere su un
verso di “Avrai”, la celebre canzone di papà Claudio: “e
sentirai di non avere amato mai abbastanza, se amore, amore
avrai”. Poi Cristicchi rientrerà sul palco per cantare “Abbi
cura di me” e “La cura” di Franco Battiato. Sul tema
dell’acqua, Sebastiano Somma leggerà la poesia “La Sorgente”
di Karol Wojtyla, mentre la giornalista Donatella Bianchi si
soffermerà sull’importanza dei beni ambientali e la ballerina
Anastasia Kusmina, proveniente dall’Ucraina, interpreterà una
danza. Per la sezione dedicata al fuoco, Somma leggerà del
“Roveto ardente”, mentre a Russinova è affidata la
“Pentecoste”. In collegamento da Roma, la direttrice dei Musei
Vaticani, Barbara Jatta, rileggerà l’opera di grandi pittori,
come Raffaello e Leonardo, dedicata al tema eucaristico.
Giovanni Baglioni canterà “Dolce sentire”, mentre l’attrice e
conduttrice televisiva Beatrice Fazi racconterà la sua
esperienza sull’Eucaristia. Il cantautore siciliano Mario
Incudine canterà “Tutti abbiamo bisogno di lu granu”, prima
del commento del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e
presidente della Cei, in chiusura di serata.

Anche don Primo Mazzolari al
Festival della missione
Da giovedì 29 settembre fino a domenica 2 ottobre Milano è
diventata la capitale del mondo. E non per manie di grandezza,
ma perché la metropoli lombarda ha chiamato a raccolta tutti
coloro che hanno il cuore e gli occhi attenti al mondo e,
contemporaneamente, sono innamorati del Vangelo. Con lo slogan
“Vivere per dono”, titolo del Festival, il capoluogo lombardo
è diventato in vari spazi megafono di storie di missionari che
operano nei cinque continenti, spesso nel nascondimento, senza
proclami né pubblicità. E invece qui trovano palchi che li
ospitano, microfoni che amplificano le loro voci, orecchi
attenti che li ascoltano. E proprio nel contesto del
2° Festival della missione, manifestazione di carattere
nazionale con l’obiettivo di offrire occasioni di riflessione,
di festa e di coinvolgimento sul tema della missione, presso
la basilica di S. Lorenzo, a Milano, è visitabile sino a
domenica 2 ottobre la mostra «Conoscere don Primo Mazzolari».

«Lo slogan del festival, Vivere perDono, – spiega don Umberto
Zanaboni, della Fondazione Mazzolari – ci mette di fronte a
una doppia accezione del termine perdonare: una riflessione
sul senso del perdono e insieme del dono». «Da una parte
troviamo don Primo – prosegue il sacerdote – che con il suo
amore ai lontani ha fatto della sua una vita di misericordia e
di perdono. Dall’altra c’è san Charles de Foucauld, monaco
francese che, nella sua esperienza in Algeria, è stato una
guida, segno di una vita per dono». Ed è proprio su di lui che
è incentrata una seconda mostra, sempre a S. Lorenzo: “Charles
de Foucauld, fratello universale”.

Il Festival si chiuderà ufficialmente domenica pomeriggio con
la Messa presieduta dall’arcivescovo di Milano e concelebrata
dai vescovi lombardi, tra cui monsignor Antonio Napolioni.

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