Iconografia e iconologia: introduzione a Panofsky - Corso di Estetica Università di Cagliari A.A. 2020/21 - Zenodo
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Iconografia e iconologia: introduzione a Panofsky Corso di Estetica Università di Cagliari A.A. 2020/21
Erwin Panofsky ● Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa (1931, 1932) ● Studi di iconologia (1939) ● Il significato nelle arti visive (1955) ● Iconografia e iconologia. Introduzione allo studio dell’arte del Rinascimento (1939, 1955²) ● (introduzione a Studi di iconologia, poi riedito in Il significato nelle arti visive)
Erwin Panofsky ● L’iconografia sta all’iconologia: ● come l’etnografia sta all’etnologia ● L’iconografia è descrittiva – si fonda sull’analisi ● L’iconologia è interpretativa – si fonda sulla sintesi ● «Come il suffisso “grafia” indica qualche cosa di descrittivo, il suffisso “logia” – derivato da logos che vuol dire “pensiero” o “ragione” – indica qualcosa di interpretativo»
L’iconologia è quel ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto o significato delle opere d’arte contrapposto a quelli che sono i valori formali. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia. Introduzione allo studio dell’arte del Rinascimento (1939, 1955²), in Il significato nelle arti visive (1955), tr. it. di R. Federici, Einaudi, Torino 1962, pp. 29-57: 31]
In un’opera d’arte la “forma” non può essere disgiunta dal “contenuto”: la disposizione delle linee e del colore, della luce e dell’ombra, dei volumi e dei piani, per quanto incantevole come spettacolo, dev’essere anche intesa come portatrice di un significato che va al di là del valore visivo. [Erwin Panofsky, L’“allegoria della prudenza” di Tiziano: poscritto (1926), in Il significato nelle arti visive, cit., pp. 147-168: 168.]
Soggetto primario (fattuale o espressivo) Il fatto che i segni raffigurativi contino per me come la rappresentazione di un uomo oppure invece di un uomo “bello” o “brutto”, “triste” o “allegro”, “interessante” o “sordido” comporta una notevole differenza. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa (1932), in La prospettiva come “forma simbolica” e altri scritti, tr. it. di E. Filippini, Feltrinelli, Milano 1999¹³, pp. 215-232: 217-218.]
Analisi pseudoformale Una descrizione che fosse davvero puramente formale non potrebbe usare nemmeno espressioni come “sasso”, “uomo” o “rocce”; si dovrebbe bensì limitare, di principio, a connettere tra loro i colori che si distinguono l’un l’altro attraverso svariate sfumature e che tuttalpiù possono essere messi in relazione con complessi formali quasi ornamentali e quasi tettonici, dovrebbe limitarsi a descriverli quali elementi compositivi completamente privi di senso ed equivoci persino dal punto di vista spaziale.
Analisi pseudoformale Già se noi designiamo l’oscura superficie che sta in alto come un “cielo notturno”, oppure le figure sacre curiosamente differenziate che stanno al centro come “corpi umani”, e a maggior ragione se noi dicessimo che questo corpo sta “davanti” al cielo notturno, mettiamo in riferimento qualcosa che raffigura e qualcosa che è raffigurato, un dato formale spazialmente plurivalente e un preciso contenuto tridimensionale della rappresentazione. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., pp. 216-217.]
Esperienza pratica (oggetti, eventi) Quando io designo quel complesso di colori chiari che sta al centro come un “uomo che si innalza nell’aria, con mani e piedi forati”, io travalico, come abbiamo già detto, i limiti di una mera descrizione formale, ma permango ancora in una regione di rappresentazioni di senso, che allo spettatore sono familiarmente accessibili in base alla sua intuizione ottica, alla sua percezione tattile e dinamica, in breve: in base alla sua immediata esperienza esistenziale. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., p. 217.]
Franz Marc, Der Mandrill (1913, Pinakothek der Moderne, Monaco)
Esperienza pratica (oggetti, eventi) Per quanto possiamo avere a disposizione tutte le rappresentazioni che possono permetterci di scoprire il senso fenomenico, non sempre ci è senz’altro possibile applicarle a una data opera d’arte; in termini banali: non sempre è possibile “riconoscere” ciò che il quadro raffigura. Noi tutti sappiamo che cos’è un mandrillo; ma per “riconoscerlo” in questo quadro dobbiamo essere “atteggiati”, come si usa dire, secondo i principi della raffigurazione espressionistica che qui dominano l’opera d’arte.
Esperienza pratica (oggetti, eventi) L’esperienza ci insegna che questo mandrillo, che oggi ci appare del tutto innocuo, all’epoca del suo acquisto, non veniva affatto riconosciuto (il pubblico cercava di individuarne i baffi per venire a capo in qualche modo dell’intera figura), perché 15 anni or sono il modulo formale espressionistico era ancora troppo nuovo. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., p. 219.]
Mathis Grünewald, Resurrezione, Altare di Issenheim (1512-1516, Musée Unterlinden, Colmar)
Esperienza pratica (oggetti, eventi) Ma come facciamo ad accorgerci che il Cristo “è sospeso a mezz’aria”? Una risposta precipitosa potrebbe essere: “perché egli si trova nello spazio vuoto e non poggia su una superficie”. Questa risposta è perfettamente adeguata (perché anche senza la curva obliqua del movimento del corpo, e anche senza la stoffa che si muove a spirale verso l’alto e che accentua poderosamente la dinamica del processo dell’innalzarsi di tutta la figura, la situazione del Cristo non sarebbe minimamente dubbia); tuttavia occorre rilevare che questa considerazione, la quale è giusta in questo caso, sarebbe del tutto fuorviante in altri casi. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., p. 219.]
Annunciazione e Visitazione / Nascita di Cristo, Evangeliario di Ottone III, BSB Clm 4453 (1000c., Bayerische Staatsbibliothek, Monaco)
Principio correttivo La possibilità di una messa in relazione persino delle più usuali rappresentazioni dell’esperienza con i dati della raffigurazione – e perciò la possibilità di una descrizione veramente adeguata – dipende dalla familiarità con i principi generali della raffigurazione che determinano la configurazione del quadro, cioè da una conoscenza dello stile, la quale […] può essere attinta soltanto attraverso una penetrazione della situazione storica. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., pp. 219-220.]
Principio correttivo Ci accorgiamo così, con qualche meraviglia, che con la proposizione, apparentemente così semplice: “un uomo si innalza dalla tomba” abbiamo già risolto difficili problemi di ordine generale, come quelli del rapporto tra superficie e profondità, tra corpo e spazio, tra staticità e dinamismo – in breve: che abbiamo già considerato l’opera d’arte dal punto di vista di quei “problemi artistici fondamentali”, le cui particolari modalità di soluzione costituiscono lo “stile”. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., pp. 219-220.]
Secondo livello
Soggetto secondario (convenzionale) Lo si apprende riconoscendo che una figura virile con un coltello rappresenta san Bartolomeo, che una figura femminile con una pesca in mano è una personificazione della Verità, che un gruppo di figure sedute a una tavola apparecchiata in un certo ordine e in certi atteggiamenti rappresenta l’Ultima Cena, oppure che due figure rappresentate in atto di lottare in un certo modo rappresentano la Lotta della Virtù e del Vizio. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., pp. 33-34.]
Soggetto secondario (immagini, storie, allegorie) Le immagini che sono veicolo di un’idea non di persone o oggetti individui e concreti (san Bartolomeo, Venere, Mrs Jones o il castello di Windsor), ma di nozioni astratte e generali come la Fede, la Lussuria, la Saggezza ecc. sono chiamate “personificazioni” o “simboli” […]. Così le allegorie, in quanto contrapposte alle storie, possono definirsi combinazioni di personificazioni o simboli. Ci sono naturalmente molte possibilità intermedie. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., p. 34 nota 1.]
Agnolo Bronzino, Andrea Doria come Nettuno, (1540c., Pinacoteca di Brera, Milano)
Joshua Reynolds, Mrs Stanhope come Contemplazione, (XVIII sec., coll. privata)
Conoscenza delle fonti letterarie L’analisi iconografica […] presuppone naturalmente molto di più che la semplice familiarità con gli oggetti e gli eventi che si acquista attraverso l’esperienza pratica: presuppone una familiarità con temi specifici o concetti trasmessi dalle fonti letterarie ed acquisiti sia attraverso letture ad hoc che attraverso la tradizione orale. Il nostro boscimane australiano non sarebbe capace di riconoscere il soggetto di un’Ultima Cena; in lui evocherebbe solo l’idea di un pranzo movimentato. Per comprendere il significato iconografico del quadro dovrebbe familiarizzarsi con il contenuto dei Vangeli.
Conoscenza delle fonti letterarie Di fronte a rappresentazioni di temi diversi da quelli della Bibbia o di scene che escono da quel tanto di storia e mitologia che è conosciuto dalla media “persona colta”, siamo tutti dei boscimani australiani. In casi del genere anche noi dobbiamo cercare di familiarizzarci con quello che gli autori di quelle rappresentazioni hanno letto o conosciuto per altra via. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., pp. 39-40.]
Principio correttivo Come nel caso della scoperta del senso del fenomeno, anche per la scoperta del senso del significato dovrà in qualche modo darsi una istanza superiore davanti al cui foro dovrà giustificarsi la messa in relazione della rappresentazione extra- artistica (in questo caso un contenuto tramandato per via letteraria) con un certo fenomeno contenuto nel quadro. Questa “istanza superiore”, che per la scoperta del senso del fenomeno era la conoscenza dello stile, è, per la scoperta del senso del significato, la teoria dei tipi, ove per “tipo” s’intende una raffigurazione in cui un senso fenomenico determinato si è così saldamente fuso con un determinato senso del significato, da diventare tradizionalmente il veicolo di quest’ultimo. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., p. 222.]
Tipo dell’Ercole con pelle e clava: Ercole Farnese (III sec., Museo Archeologico, Napoli)
Tipo del Cristo crocifisso tra Maria e Giovanni: Crocifissione (fine XII-inizi XIII sec., SS. Trinità di Saccargia, Codrongianos)
Bernardo Strozzi? (già attr. a Francesco Maffei), Salomè o Giuditta? (XVII sec., Pinacoteca Comunale, Faenza)
Principio correttivo La spada nel quadro del Maffei sarebbe appropriata in quanto Giuditta decapitò lei stessa Oloferne, ma il bacile non si accorderebbe con il tema di Giuditta in quanto il testo dice esplicitamente che la testa di Oloferne fu messa in un sacco. Abbiamo cioè due fonti letterarie che possono essere riferite al nostro quadro con eguale diritto e eguale incoerenza. Se dovessimo interpretarlo come un’immagine di Salomè il testo spiegherebbe il bacile, ma non la spada; interpretandolo come una Giuditta spiegherebbe la spada ma non il bacile. Saremmo a un punto morto se dovessimo basarci solo sulle fonti letterarie. Fortunatamente non è così. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., p. 41.]
Principio correttivo Qualche chiarezza ci è fornita invece dal significato della storia dei tipi: essa non conosce nessun caso in cui Salomè si impadronisca della spada eroica di Giuditta, mentre, inversamente, e proprio nell’ambito dell’arte dell’Italia settentrionale, essa mostra un numero relativamente grande di casi in cui (per via di quell’“analogia”, che nell’arte più antica ha svolto un ruolo molto più rilevante che non il lavoro diretto sulle fonti testuali) è avvenuta una trasposizione del “piatto con la testa di Giovanni” nella rappresentazione di Giuditta […]. La storia dei tipi – e soltanto essa – ci autorizza perciò a considerare il dipinto di Maffei come una “Giuditta con la testa di Oloferne”. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., p. 223.]
Principio correttivo Possiamo anche chiederci perché gli artisti si siano sentiti autorizzati a trasferire il motivo del bacile da Salomè a Giuditta e non invece quello della spada da Giuditta a Salomè. Alla domanda si può rispondere ricorrendo di nuovo alla storia dei tipi, dalla quale si possono trarre due ragioni. Una è che la spada era attributo stabile e onorifico di Giuditta, di molti martiri e di certe virtù, come la Giustizia, la Fortezza, ecc.; per questo non poteva essere esteso, senza che risultasse fuor di luogo, a una fanciulla viziosa. L’altra è che nel corso dei secoli XIV e XV il bacile con la testa del Battista era divenuto un’immagine devozionale a sé stante (Andachtsbild), molto popolare nei paesi settentrionali e nell’Italia del Nord […].
Johannisschüssel (1500c., Museum für Kunst und Gewerbe, Amburgo)
Principio correttivo L’esistenza di questa immagine devozionale determinò il costituirsi di una associazione d’idee costante tra la testa d’uomo decapitato e il bacile, e così il motivo del bacile poté sostituirsi a quello del sacco, in una raffigurazione di Giuditta, più facilmente di quanto il motivo della spada non abbia potuto introdursi nella raffigurazione di Salomè. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., pp. 41-42.]
Principio correttivo Questo caso, di cui in sé era abbastanza facile venire a capo (perché rivela in tutta chiarezza il significato di una raffigurazione per “analogia” indipendente dai testi) mostra da un lato come, persino nell’interpretazione di simili scene, le cui fonti storiche non sono tra quelle che “occorre sbloccare” bensì tra quelle che sono ancora vive nella coscienza del tempo, si possa andare incontro, se non si considera la storia dei tipi, a notevoli errori;
Principio correttivo dall’altro mostra però quanto essenziale sia l’elemento “iconografico” anche per la comprensione dei valori puramente estetici. Perché chi concepisce il quadro di Maffei come la rappresentazione di una ragazza dedita ai piaceri con in mano la testa di un santo, dovrà giudicare anche esteticamente in modo diverso da quello secondo cui giudicherà colui che vede nella ragazza un’eroina protetta da Dio con in mano la testa di un sacrilego. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., p. 223.]
Bernardo Strozzi, Salomè (c. 1625-1630) Cristofano Allori (attr.), Giuditta (1610-1615) (Gemäldegalerie, Berlino)
Luciano Garbati Medusa con la testa di Perseo (2020, New York)
Storia della tradizione Nel libro di Heidegger su Kant si trovano alcune interessanti proposizioni sull’essenza dell’interpretazione – proposizioni che concernono soltanto l’esplicazione di testi filosofici, ma che in fondo definiscono il problema di qualsiasi interpretazione. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., p. 225.]
Se un’interpretazione riferisce soltanto ciò che Kant ha espressamente detto, essa non è un’esplicazione, in quanto il compito di quest’ultima resta quello di rendere avvertibile ciò che Kant, al di là della sua espressa formulazione, ha portato alla luce, nella sua fondazione; era proprio questo che Kant non era in grado di dire; così come, in generale, di qualsiasi conoscenza filosofica ciò che conta non è ciò che essa dice nella proposizione che enuncia, bensì ciò che di non detto essa propone attraverso ciò che dice…
Certo, per strappare a ciò che le parole dicono ciò che vogliono dire, qualsiasi interpretazione deve usare necessariamente violenza. […] Ma questa violenza che deve muovere e guidare l’esplicazione sulla base di un’idea esplicitamente intuita, non può essere un fuorviante arbitrio. [Martin Heidegger, Kant e il problema della metafisica (1929), in Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., pp. 225-226.]
Storia della tradizione Si pone così la difficile, fatale domanda: chi, o che cosa porrà un limite a questa violenza? Naturalmente esiste innanzitutto un limite esterno, cioè la situazione puramente empirica: una descrizione di un quadro, o l’interpretazione di un contenuto diventa “falsa” se prende una macchia d’ombra per un frutto, o un alce per un cervo (due casi che sono effettivamente avvenuti). […]
Storia della tradizione Ma oltre questo limite esterno devono esistere limiti all’attività interpretativa che si pongono dall’interno. […] Per quel che riguarda il nostro campo d’indagine vale ciò che segue: la fonte dell’interpretazione (in cui rientra, lo ripetiamo, anche la mera descrizione) è sempre costituita dalla facoltà conoscitiva e dal patrimonio conoscitivo del soggetto che compie l’interpretazione [… ]. Ciò che rispetto a queste fonti conoscitive soggettive rappresenta un correttivo obiettivo – e che appunto così “garantisce” i risultati a cui esse sono pervenute – non è altro da quanto possiamo chiamare la “storia della tradizione”, che nel caso del senso fenomenico ci si è rivelata come la “storia della raffigurazione”, e nel caso del senso del significato come la “storia dei tipi”.
Storia della tradizione Questa storia di ciò che ci è stato tramandato ci indica di fatto il limite fino a cui può giungere il nostro uso della violenza; perché se noi siamo autorizzati, anzi addirittura tenuti a portare in luce, rifacendoci soltanto a noi stessi, ciò che nelle cose non è stato effettivamente detto, la storia di ciò che ci è stato tramandato ci mostra anche ciò che non avrebbe potuto essere detto, perché sia dal punto di vista del tempo sia dal punto di vista del luogo, non sarebbe stato possibile rappresentarlo né raffigurarlo. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., pp. 226-227.]
Terzo livello
Leonardo da Vinci, Ultima cena (1498, Santa Maria delle Grazie, Milano)
Valori simbolici Considerando così le pure forme, i motivi, le immagini, le storie e le allegorie come manifestazioni di principî di fondo, noi veniamo a dare a tutti questi elementi il significato di quelli che Ernst Cassirer ha chiamato valori “simbolici”. Finché ci limitiamo ad affermare che il famoso affresco di Leonardo da Vinci mostra un gruppo di tredici persone intorno a una tavola apparecchiata e che questo gruppo di persone rappresenta l’Ultima Cena, noi consideriamo l’opera d’arte in quanto tale e ne interpretiamo gli aspetti compositivi e iconografici come sue proprietà e qualificazioni.
Valori simbolici Ma quando tentiamo di interpretare l’affresco come un documento della personalità di Leonardo o della civiltà religiosa del pieno Rinascimento italiano, o di un particolare atteggiamento religioso, allora noi consideriamo l’opera d’arte come un sintomo di qualcosa d’altro che si esprime in infiniti altri sintomi, e interpretiamo i suoi aspetti compositivi e iconografici come manifestazioni più dettagliate di questo “qualcosa d’altro”.
Valori simbolici La scoperta e l’interpretazione di questi valori “simbolici” (che spesso sono ignorati dall’artista stesso e possono divergere, magari in misura vistosa, da quello che l’artista consapevolmente si proponeva di esprimere) è l’oggetto di quella che possiamo chiamare “iconologia” in opposizione a “iconografia”. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., pp. 35-36.]
Valori simbolici Alla base delle manifestazioni dell’arte, al di là del loro senso fenomenico e del loro senso di significato, si dispone un contenuto ultimo e essenziale: l’involontaria e inconscia autorivelazione di un atteggiamento di fondo verso il mondo, che è caratteristico, in egual misura, del creatore come individuo, della singola epoca, di un singolo popolo, di una singola comunità culturale;
Valori simbolici e se la grandezza di una creazione artistica dipende in ultima analisi dalla quantità di “energia di quella concezione del mondo” che si è introdotta in quella materia plasmata e da quello che di essa irradia sullo spettatore (in questo senso una natura morta di Cézanne è non soltanto “bella” quanto una Madonna di Raffaello, ma anche altrettanto “ricca di contenuto”), – il compito più alto dell’interpretazione è quello di penetrare nello strato ultimo del “senso essenziale”. [Erwin Panofsky, Sul problema della descrizione e dell’interpretazione del contenuto di opere d’arte figurativa, cit., pp. 227-228.]
Intuizione sintetica L’interpretazione iconologica […] richiede qualcosa di più della familiarità con temi e concetti specifici quali sono trasmessi dalle fonti letterarie. […] Ci occorre una facoltà mentale paragonabile a quella del diagnostico, una facoltà che non possiamo indicare meglio che col termine, sia pure piuttosto screditato, di “intuizione sintetica”, e che può essere più sviluppata in un profano di talento che in un erudito specialista. […] Ogni accostamento intuitivo sarà […] condizionato dalla psicologia e dalla Weltanschauung dell’interprete. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., p. 42.]
Principio correttivo Tuttavia, quanto più soggettiva e irrazionale è questa fonte d’interpretazione […], tanto più necessario sarà l’intervento di quei correttivi e di quei controlli che si sono rivelati indispensabili quando si trattava semplicemente dell’analisi iconografica e della descrizione preiconografica. Se perfino la nostra esperienza pratica e la nostra conoscenza delle fonti letterarie possono fuorviarci, qualora siano applicate senza discriminazione alle opere d’arte, tanto più pericoloso sarà fidarsi della semplice intuizione!
Principio correttivo […] La nostra intuizione sintetica deve essere corretta da uno studio del modo in cui, mutando le condizioni storiche, muta anche la maniera in cui le tendenze generali ed essenziali dello spirito umano sono espresse attraverso temi e concetti specifici. Questo altro non è, poi, che quello che può chiamarsi una storia dei sintomi culturali o genericamente “simboli”, nel significato che Ernst Cassirer ha dato al termine.
Principio correttivo Lo storico dell’arte dovrà definire quel che egli crede essere il significato intrinseco dell’opera, o gruppo di opere, cui dedica la sua attenzione, di contro a quel che egli crede essere il significato intrinseco del maggior numero possibile di altri documenti di cultura storicamente riferiti a quell’opera o gruppo di opere: documenti che illuminino sulle tendenze politiche, poetiche, religiose, filosofiche e sociali della personalità, del periodo, del paese che si studiano.
Principio correttivo Inutile dire che, per converso, lo storico della vita politica, della poesia, della religione, della filosofia e delle situazioni sociali dovrà fare un uso analogo delle opere d’arte. È nella ricerca degli intrinseci significati, o contenuto che le varie discipline umanistiche vengono a incontrarsi su un piano comune anziché fare da ancella l’una all’altra. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., pp. 42-43.]
Può mancare uno dei livelli?
Passaggio dai motivi al contenuto L’iconologia dunque è un metodo d’interpretazione che si fonda sulla sintesi più che sull’analisi. E come la corretta identificazione dei motivi è la condizione preliminare della loro corretta analisi iconografica, così la corretta analisi delle immagini, storie e allegorie è la condizione preliminare per una corretta interpretazione iconologica di esse: a meno che non si tratti di opere d’arte in cui tutto il mondo dei contenuti secondari, o convenzionali, è eliminato e si verifica un passaggio diretto dai motivi al contenuto, come avviene nella pittura europea di paesaggio, di natura morta e di genere, per non parlare dell’arte “non oggettiva”. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., p. 37.]
Paul Cézanne, Ciliegie e pesche (1883-1887, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles)
Barnett Newman, Vir Heroicus Sublimis (1950-1951, The Museum of Modern Art, New York)
Corredo e principio correttivo: circolo vizioso?
Robert Klein ● La forme et l’intelligible (1970) ● Perché distinguere “corredo” e “principio correttivo”? ● Il ricercatore non divide il suo bagaglio culturale in due: ● una parte per formulare l’ipotesi ● una parte per correggerla e verificarla ● Egli mobilita sempre tutto il suo sapere
Circolo vizioso? Correggere l’interpretazione di un singola opera d’arte con una “storia dello stile”, che a sua volta può risultare solo dall’interpretazione delle singole opere d’arte, può sembrare un circolo vizioso. Un circolo è, difatti, tuttavia non un circolo vizioso ma un circolo metodico […]. Che si tratti di fenomeni storici o di fenomeni naturali l’osservazione singola assume il carattere di un “fatto” solo quando può essere messa in relazione con altre analoghe osservazioni, in modo che l’intera serie “abbia un senso”. Questo senso può perciò, di pieno diritto, applicarsi come un controllo a una singola osservazione nuova in uno stesso ordine di fenomeni.
Circolo vizioso? Se tuttavia questa nuova osservazione non può in nessun modo essere interpretata secondo il “senso” della serie e se si è certi che non si tratta di un errore, allora il “senso” della serie dovrà essere riformulato in modo che includa anche la nuova osservazione. Il circulus methodicus si applica naturalmente non solo al rapporto tra interpretazione dei motivi e storia dello stile, ma anche al rapporto tra interpretazione delle immagini, storie e allegorie e storia dei tipi; e ancora al rapporto tra interpretazione dei significati intrinseci e storia dei sintomi culturali in generale. [Erwin Panofsky, Iconografia e iconologia, cit., pp. 39-40 nota 2.]
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