I don't wanna smile è il grido di Dilemma e di una generazione

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I don't wanna smile è il grido di Dilemma e di una generazione
I don’t wanna smile è il
grido di Dilemma e di una
generazione
Giovanissima artista bresciana di talento, Dilemma (Gaia
Parzani) esordisce con un singolo in inglese, I don’t wanna
smile, scritto da lei stessa insieme al Maestro Giancarlo
Prandelli, che ha    composto   la   musica   e   curato   tutto
l’arrangiamento.
Un brano molto attuale, che esprime un disagio tipico
dell’adolescenza, oggi portato all’estremo dalle restrizioni
dovute alla pandemia, momento difficile per i giovani che si
sono visti privati di tante risorse fondamentali dal punto di
vista psicologico, emotivo, sociale.
I don't wanna smile è il grido di Dilemma e di una generazione
I don’t wanna smile è una critica verso la società odierna,
fatta di sorrisi finti e forzati, di apparenza e socialità
virtuale. Un messaggio sottolineato dallo stesso video,
https://youtu.be/50UtbzP0gmE, per la regia di Federico Folli e
il contributo artistico del Maestro Giancarlo Prandelli.

Cosa ha ispirato I don’t wanna smile?
Diversi pensieri e situazioni in cui mi ritrovavo a fingere un
I don't wanna smile è il grido di Dilemma e di una generazione
sorriso quando non avevo voglia di “essere felice” e volevo
stare sola in camera mia in silenzio. Ormai è da un anno che
siamo costretti a rimanere in casa, di conseguenza
l’entusiasmo e la voglia di sorridere è meno presente. Il mio
messaggio, però, non è espressione di un disagio, ma di un
semplice stato d’animo che dovrebbe essere normale alla nostra
età.
Il video rispecchia il concetto che volevo rappresentate,
suono più strumenti e canto, uso tutti i mezzi che ho a
disposizione per trasmettere il mio messaggio. È ambientato in
montagna, ricorda il “distacco” dalla realtà sociale a cui
tutti sono ormai abituati, quella virtuale; ma sottolinea
anche il desiderio di tornare ad attribuire il giusto peso
alle esperienze vissute nella vita reale.

Quali artisti musicali ascolti più volentieri?
Noemi in primis: ho iniziato ad ascoltare le sue canzoni alle
elementari. Mi sono innamorata delle sonorità, della sua voce
e dei testi. Tutt’oggi la ascolto e la seguo come quando avevo
9 anni. Crescendo ho poi scoperto la musica americana, Miley
Cyrus ad esempio. Ad oggi mi ispiro a quelli più indie rock,
pop come : MIKA, Billie Eilish, Melanie Martinez, Cavetown,
Camila Cabello, Harry Styles… e tanti altri. Sono più
concentrata sulla musica internazionale, ma di italiano mi
piace molto Achille Lauro.

Da dove prendi ispirazione?
Prendo ispirazione da qualsiasi cosa. Può essere una frase
sentita in un film, una situazione che ho vissuto o che mi
hanno raccontato. Un’idea, una metafora…qualsiasi cosa che mi
riporti ad un concetto che sento di voler esprimere a mio
modo.

Progetti nel immediato futuro?
Il mio primo progetto è fare musica, ho la fortuna di essere
supportata da una squadra che crede in me, il Maestro
Prandelli ( GNE Records), con cui sto lavorando per la
realizzazione di altri brani… Spero che questo percorso
I don't wanna smile è il grido di Dilemma e di una generazione
diventi una professione in futuro, chissà…

Ph. Elisabeth Lens

Instagram:https://www.instagram.com/_therealdilemma_/

Youtube:https://www.youtube.com/c/GNERECORDS/videos

Spotify:https://open.spotify.com/artist/3NAOjaWCuiRfqMaxoayMrq
?si=-mfByykIRUWXIdFj6J277g
I don't wanna smile è il grido di Dilemma e di una generazione
Il brano autobiografico di
Adriano Cassara: Nel Mondo
degli Eroi
Dopo l’anteprima esclusiva sul prestigioso sito del MEI
(Meeting delle Etichette Indipendenti) arriva su YouTube il
video di Nel Mondo degli Eroi (https://youtu.be/SodhO7ZHf28),
singolo d’esordio di Adriano Cassara, frutto della
collaborazione tra GNERECORDS, MUSICAVIVA EDIZIONI ed EVENTI e
MANAGEMENT. Un brano fortemente voluto dall’artista, che
racconta la sua emozionante storia di paternità a soli 19
anni: le responsabilità, il sacrificio e le difficoltà che
questa scelta ha comportato, rendendo Adriano un eroe moderno,
senza super poteri, ma armato solo della volontà di donarsi al
proprio bambino.

Come nasce Nel Mondo degli Eroi?
Ho sempre voluto dedicare una canzone a mio figlio, che mi ha
cambiato la vita per sempre. Questo brano nasce da questa
volontà e dal fatto che, essendo diventato padre a soli 19
anni e non capendo ancora l’importanza e il vero significato
della parola papà, ho sentito la necessità di raccontare e
condividere   questa   mia   esperienza   con   chi   come   me   ha
I don't wanna smile è il grido di Dilemma e di una generazione
affrontato la paternità in giovanissima età… Ad oggi posso
dire che è stata molto bella e positiva, ma non è stato facile
e penso che questo traspare sia dal brano che dal video. Il
video nasce da un’idea del mio management, la Eventi e
Management; assieme alla mia etichetta discografica, la GNE
Records, abbiamo voluto dare l’idea di una riflessione a voce
alta. Con la neve e le avversità meteorologiche che si vedono
in tutto il video abbiamo voluto rappresentare quello che ho
dovuto affrontare fino ad oggi affinché potessi essere un
padre presente, ma con la consapevolezza che tutto quello che
ho fatto lo rifarei senza nessun ripensamento o pentimento.

Ti va di parlarci un po’ del rapporto con tuo figlio?
Con mio figlio ho un rapporto bellissimo e intenso; per me
quasi più come un amico, visto che stiamo crescendo assieme,
passiamo molto tempo in compagnia l’uno dell’altro tutte le
volte che possiamo. Visti i miei orari e impegni di lavoro, il
tempo che passiamo insieme è sempre fatto di tante attività,
ma soprattutto usiamo questo tempo per conoscerci sempre di
più. Diego mi ha insegnato a capire il valore e il senso della
vita e per questo lo ringrazierò sempre. Tra l’altro, lui è il
mio primo fan, ama sentirmi cantare, conosce tutte le mie
canzoni e sono felicissimo quando gliele sento canticchiare;
mi sostiene e mi dà forza e coraggio per non mollare mai, per
continuare a credere in quello che faccio. Lui è il mio alter-
ego, la mia forza e la mia musa ispiratrice.

A quali generi musicali e a quali artisti ti senti più vicino?
Mi piace molto il pop leggero, ma amo anche provare a fare
cose nuove e sperimentare nuovi generi, assieme al mio gruppo
di lavoro. Uno dei miei artisti preferiti è Eros Ramazzotti,
ma ovviamente amo il cantautorato italiano, tipo Lucio
Battisti e Fabrizio De André.

Che progetti hai per il futuro?
Per il futuro siamo lavorando al mio primo album, che sarà con
tutti i miei inediti e magari con qualche sorpresina.
I don't wanna smile è il grido di Dilemma e di una generazione
ph. Alan Blaze

https://www.adrianocassara.com/

Andrea   Annecchini:  siamo
tutti    come  Gerbere   in
Dicembre
Gerbere in Dicembre, il terzo singolo estratto dall’album Apri
gli occhi è fuori dall’8 febbraio 2021, edito da GNE RECORDS
di Giancarlo Prandelli. Il singolo di lancio “Anime a metà”,
I don't wanna smile è il grido di Dilemma e di una generazione
dopo le nomination per la finalissima di Sanremo Music Awards
2019 ne aveva conquistato il podio come miglior brano
dell’anno.

Gerbere in dicembre è stato scritto da Andrea stesso, insieme
al produttore Giancarlo Prandelli, parla di solitudine,
depressione ed emarginazione utilizzando una metafora molto
forte: siamo tutti gerbere in dicembre, in attesa della
rinascita, della primavera.

Il videoclip riprende con essenzialità, con una comunicazione
diretta ed immediata, questa tematica: tutto ciò che si vede
sono due personalità narranti, che sembrano fluttuare in un
ambiente asettico, davanti a una lampadina che simboleggia il
risveglio dallo stato di torpore dell’anima, mentre la valigia
è simbolo del carico di cui bisogna liberarsi per dar voce
piena     alla      propria      essenza     e     natura
(https://youtu.be/09EGNWCQGZY )

Abbiamo chiesto all’artista qualche dettaglio in più.

Come nasce l’idea di Gerbere in Dicembre?

Gerbere in Dicembre, cantata insieme al mio produttore, autore
e compositore, il maestro Giancarlo Prandelli, è un
riferimento chiaro a come i rapporti malati e le persone
negative ci abbattano, alimentando depressione e ansia. Al
contempo sottolinea anche il fatto che questi stadi emotivi
sono generati da noi stessi a volte, poiché siamo noi a
aprirci troppo agli altri, quando bisogna invece “allontanarsi
da chi è diverso da noi”, come recita il brano, lanciando il
consiglio di affrontare i rapporti con parsimonia e
riflessione, perché dandoci subito rischiamo di diventare
facile preda di chi trova più facile prendere che donare.

Queste persone, di cui spesso sono stato vittima anch’io, devo
dire, sono state da scuola per me, mi hanno aiutato a forgiare
la mia forma mentis. Vorrei quindi semplicemente mettere in
guardia su quanto sia importante tutelare se stessi, evitando
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di donarsi troppo subito.

Da dove trai la tua ispirazione per scrivere musica?

Più viaggio, conosco persone, vivo nuove esperienze, anche
paradossali, e più trovo ispirazione. Secondo me, per essere
un buon cantautore, viaggiare e sperimentare molto sono
fattori estremamente importanti. Infatti questo periodo di
fermo imposto dalla pandemia non è stato, al contrario di come
si potrebbe pensare, costruttivo per la creatività. Bisogna
vivere per scrivere e suonare, non c’è altra via.

Hai collaborato e scritto con diversi artisti. Con chi altri
ti piacerebbe collaborare?

Sono numerosi gli artisti per cui provo tanta ammirazione e
adoro la collaborazione in generale perché credo che la musica
espressa insieme abbia una marcia in più, un’energia magica.
Ma se dovessi scegliere sarebbe bellissimo poter condividere i
miei lavori e testi con artisti del calibro di Elisa, Brunori
SaS, Ex-Otago, Coez e Levante, giusto per citarne alcuni.

Come è stato lavorare con artisti giovani come Richi Sweet? E
con il tuo produttore Giancarlo Prandelli?

Lavorare con realtà giovani in generale è sempre un elemento
di crescita, abbiamo tanto da imparare da loro, i giovani sono
il futuro e anche nella musica il loro sentire di innovazione
è una grande spinta per noi, una guida per osare.

In Giancarlo Prandelli ho trovato un grande insegnante: mi ha
spinto a credere di più alle mie capacità, a non temere il
giudizio. Ha reso le mie idee più moderne e soprattutto mi ha
aiutato a sperimentare di più.

Progetti in cantiere?

Sicuramente nei prossimi mesi mi dedicherò alla costruzione di
un nuovo album. Prima però partirò per il Sud America con
questo album, appena ci sarà possibile spostarsi, infatti sto
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ricantando i brani in lingua spagnola: viaggiare è sempre
stato un desiderio che finalmente potrò realizzare.

La vittoria dei Sanremo Music Awards mi vedrà partecipare,
spero presto, alla via musicale della seta, 25 date in varie
capitali europee e asiatiche; durante la manifestazione dei
SMW, proporrò la mia musica per arrivare a Pechino e non vedo
l’ora che questo accada.
Spotify
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Andrea Annecchini
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L’omaggio alla Natura                                      di
Fabio D’Amato: Power
E’ fuori dal 15 Dicembre Power il nuovo singolo di Fabio
D’Amato , dal 18 anche il videoclip, di grande impatto
emotivo,         in        anteprima          Sky        Tg24
https://tg24.sky.it/spettacolo/musica/2020/12/15/power-fabio-d
amato-video , è disponibile sul canale YouTube del
compositore(https://youtu.be/69-52HgOCVs).

Girato in Indonesia del talentuoso regista Doni Rawan, come un
film racconta il viaggio di un uomo (Agus Triawan) alla
ricerca di un contatto con l’essenza della Natura, vista nella
sua massima espressione di forza ed energia, di potere che si
esprime sia nel bene sia nel “male”, abbiamo chiesto a Fabio
come è nata l’idea di questo progetto particolare.
Cosa o chi ha ispirato la composizione di Power?

Power è un brano arrivato così, naturalmente : stavo guardando
un documentario, mi sono affacciato dalla finestra di casa mia
e percepivo di fronte a me l’immensità della natura, la sua
forza la sua bellezza, il suo potere su noi esseri umani, così
mi sono messo di fronte al mio fidato piano e sono uscite le
prime note.

Nel video è presente l’attore Agus Triawan che cerca di
rappresentare l’essere umano di fronte al potere della Natura,
l’uomo che interagisce con la Natura, ma che in fondo non può
nulla contro di essa quando si ribella oppure o mostra la sua
potenza. La forza della natura non è domabile, la si
percepisce ogni volta, ma non è controllabile, a volte sembra
ammonire l’uomo ricordandogli la propria forza Power, ma anche
che il mondo andrebbe trattato meglio evitando così
catastrofi.
Con Doni Rawan, regista indonesiano, è stato davvero un grosso
piacere collaborare: è stato bravissimo a cogliere tutti i
messaggi e le sfumature del brano per riversare completamente
a sync le immagini sulle note.

Cosa rappresenta la Natura per te?

La natura rappresenta per me davvero tanto, è in fondo il
mondo nel quale viviamo anche se spesso la nostra vita è
segnata dalla tecnologia, pc , smartphone,…

La Natura è sempre lì, è sempre iì pronta ad accoglierci,
basterebbe solo ricordarsene.

Gli animali e tutti gli esseri viventi vanno rispettati, io
nel mio piccolo cerco di fare il possibile, sono 7 anni ad
esempio che sono vegetariano per cercare di fare qualcosa di
concreto per tutte le creature del pianeta, se ami non li
mangi.

Ti sei definito un “trascrittore di emozioni in note”. La
musica quindi per te è un linguaggio?

La musica è assolutamente linguaggio universale: il bello
della musica è che non ha età, non ha necessariamente una sua
lingua, non ha sesso, non crea discriminazioni, semplicemente
esiste per farci compagnia, per farci innamorare, per farci
emozionare e ricordare… perché la musica ha quel potere, come
un profumo, appena senti le note di un brano a te caro ti vedi
proiettato direttamente a quel ricordo, bello o brutto non
importa, quel ricordo appare subito come un film e ti riporta
alle stesse emozioni vissute.

Progetti futuri?

Sto pensando all’uscita del mio terzo album che andrà un po’ a
raccogliere i tanti singoli usciti, e sicuramente uscirò con
altri brani perché ho sempre voglia di comunicare.

Continueranno anche le collaborazioni con altri artisti in
vari campi, perché credo che la collaborazione possa apportare
sempre un valore aggiunto alla creatività. Continuerò a
scrivere canzoni, perché mi piace raccontare attraverso anche
l’uso delle parole e testi. Ci sono sempre gli spot che amo
musicare insieme a video o cortometraggi. Sono ovviamente
sempre aperto a progetti nuovi.

Links

Facebook: https://www.facebook.com/fabiodamatomusic/
Instagram: https://www.instagram.com/fabiodamatomusic/

You                                                      Tube:
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Spotify:
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Toni Veltri e la sua Verona:
magica, in note e immagini
“Verona” il nuovo singolo di Toni Veltri, è fuori dal 11
Dicembre e in radio dal 14 Dicembre. Il video, girato in
un’insolita Verona deserta, dalle abili mani di Carlo Neviani
e dalla troupe di Davide Franzoni (noto Regista nazionale
della Image mix 35), dopo l’anteprima esclusiva del 16
dicembre           sul          sito          del          MEI
(http://meiweb.it/2020/12/16/in-anteprima-esclusiva-sul-meiweb
-il-nuovo-video-di-toni-veltri-dal-titolo-verona/)           è
finalmente fuori, nel canale YouTube dell’artista
https://youtu.be/8Rggs209XyU

L’artista italo-belga, vanta importanti collaborazioni
Gianluca Grignani, Michele Zarrillo, Umberto Tozzi, Toto
Cutugno, Antonello Venditti e riconoscimenti prestigiosi
conseguiti nel corso della sua carriera artistica, tra cui
ricordiamo il premio per miglior brano inedito al concorso
Emozioni Live 2020, tenutosi presso il Teatro Del Casinò di
Sanremo in onore di Lucio Battisti e       in onda sulle reti
Mediaset (Rete4, Tgcom24, La5) e Sky (Tv Moda).
Come è nata la tua passione per la musica?

È nata insieme a me. Son cresciuto con tanta musica è mi son
sempre emozionato grazie alla musica, fin da bambino. Lucio
Battisti è stata la mia massima fonte di ispirazione, è grazie
alla sua musica che ho capito cosa avrei voluto fare da
grande: l’artista.
Qual è stata l’esperienza musicale più significativa per te,
fra quelle vissute finora?

Son state tutte importanti. Mi hanno insegnato tutto quello
che oggi so, non posso dimenticare tutte le mie collaborazioni
e aperture di artisti famosi, particolarmente con Gianluca
Grignani, cantare in duetto con lui è stato davvero
emozionante.

Com’è nata “Verona”?

“Verona” rientra nel filone Indie/Pop con sperimentazione
vocale tra la Trap, l’RNB e il POP. E’ stato arrangiato dal
Maestro Giancarlo Prandelli con la collaborazione di Massimo
Galfano, io stesso ho voluto prendere parte attivamente a
tutte le fasi di produzione, arricchendo il percorso creativo
con le mie sensazioni ed emozioni.

L’idea è nata proprio nella città di Verona, dove ero in giro
con un amico tra gente che ballava, artisti che cantavano,
famiglie che passeggiavano per le vie: una notte magica.
Eppure, in pochi minuti,       mi ha assalito una sorta di
malinconia, di malessere un sentimento che mi è rimasto dentro
per un po’.

Verona è nata da quell’esperienza, è un dialogo con la città
da cui traspare tutto il tormento di questo momento difficile,
di una società senza certezze.

Abbiamo voluto poi tradurre in immagini il sentimento di
quella notte… la nostalgia, la mancanza, da qui è nato il
video: un omaggio a una città fantastica, Verona di notte è
uno spettacolo. Il video è stato girato di notte in una città
deserta, nel freddo di fine ottobre, dal bravissimo Carlo
Neviani e dalla troupe di Davide Franzoni (Regista di fama
nazionale della Image mix 35). Le immagini esaltano tanti
dettagli magici: dall’Arena e piazza delle Erbe, fino alla
famosa collina dalla quale si scorge l’Adige, i castelli e le
mura.
Che progetti hai per il futuro?

In questo momento stiamo lavorando al nuovo Album e
progettando concerti è forse una tournée, Covid permettendo
ovviamente. Insomma, abbiamo tanti progetti che ci impegnano,
ma non voglio anticipare troppo.

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Sito: https://www.toniveltri.com/
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Richi Sweet e il suo album
d’esordio: Resurrezione
“Dedicata a me” è il singolo di lancio di “Resurrezione”,
l’album di esordio di Richi Sweet, un brano che gli è valsa la
partecipazione a Sanremo Giovani 2020 con un tema molto
attuale: l’alcolismo e la sua ingannevole capacità di far
sentire i giovani parte di un gruppo.

Numerosi sono i contenuti autobiografici che costruiscono il
percorso narrativo dell’album, uno story telling che diviene
una sorta di favola moderna, in cui si inseriscono nella loro
varietà esperienze e sentimenti vissuti da Richi nel corso
della sua giovane vita, a partire dall’adozione – è nato in
Brasile ed è stato adottato da una famiglia italiana di Modena
– al bullismo e le violenze subite, dai primi incontri con la
musica ai successi; traumi e paure che sono diventati punti di
forza e d’ispirazione per mettersi dalla parte di chi è
percepito come “debole”, “diverso”. Conosciamo meglio questo
giovanissimo artista, che già dimostra di aver tanto da dire.
Parlaci un po’ di “Dedicata a me” e del suo video

“Dedicata a me” parla di alcolismo, un male subdolo che si
maschera da aggregatore, per farti sentire accettato e parte
di un gruppo. Parla anche della determinazione di uscirne con
le proprie forze, è un grido di protesta, oltre che una
serenata “dedicata a me” stesso, appunto.
Il video (https://youtu.be/x9czYG9o9yQ) mi rispecchia molto:
lo abbiamo girato a Sirmione (BS) ed il regista, Federico
Folli, alterna diverse scene in cui mi si vede “discutere” con
il mio alter ego. Devo dire che questo duplice ruolo mi è
venuto spontaneo, perché, come dico sempre, “Non ho nemici,
l’unico che ho, sono proprio io.”

E dell’album cosa puoi dirci, perché il titolo “Resurrezione”?

“Resurrezione” perché metaforicamente e spiritualmente
parlando, sono morto e risorto un sacco di volte in questi
miei 25 anni di vita. I miei sentimenti ed esperienze
nell’album trovano piena espressione, soprattutto in brani
autobiografici come “Non è questione di colore” o “Dedicata a
me”, ma anche l’amore ricorre nei testi dell’album ed esplode
ne “La bella e la bestia”, “Ciao” e “Tulipano”. “Balotelli e
Raffaella Fico”, “Kurt Cobain”, “Elisa” e “Forse non hai
capito” sono invece i brani che esaltano stili di vita estremi
che rendono meno monotona la vita quotidiana, o tematiche di
carattere più sociale, i social e soprattutto il razzismo e
la difficoltà di inserimento.

Nei tuoi brani parli di temi attuali, razzismo, bullismo, come
mai ti stanno tanto a cuore?
So cosa vuol dire essere giudicati o bullizzati, già dalle
scuole elementari ero considerato “diverso”, ero sempre
isolato in un angolo, quando i miei genitori chiedevano
spiegazioni l’insegnante rispondeva “vostro figlio è diverso”.
Addirittura alle scuole medie volevo cambiare colore di pelle,
come se fosse un difetto.

Per questo motivo mi sta a cuore particolarmente il tema: sono
dalla parte di chi è considerato un “debole” o un “perdente”,
capisco cosa voglia dire essere emarginati, quanto questo può
segnare una persona, ho subito bullismo fisico e Cyber
Bullismo, ovviamente ci sono alcune scene che preferisco non
raccontare.

Scrivi testo e musica da solo?
Solitamente scrivo i testi da solo,   ma per la realizzazione di
questo mio primo album sono           stato aiutato dal mio
discografico, Giancarlo Prandelli     (GNE Records di Brescia).
Nei brani, “Tulipano” e “Forse non     hai capito”, per esempio,
prevale la sua scrittura.

Stai già lavorando al prossimo progetto?

Questa situazione Covid mi ha bloccato da una parte, ma
dall’altra mi ha ispirato tanti brani che sentirete in futuro,
perché vengo ispirato di continuo da quello che vivo
quotidianamente. Inoltre scrivo tanto, scrivo ogni giorno,
quindi di materiale per il futuro ce n’è moltissimo.
Ph. Mario Ugozzoli

INSTAGRAM: https://www.instagram.com/richisweetofficial/
RESURREZIONE: https://backl.ink/143280768
Dedicata a me: https://youtu.be/x9czYG9o9yQ

Silver : Power of Love, un
appello all’impegno per un
mondo migliore
Dopo il successo del singolo “Let me fall in love”, che ha
sfiorato il milione di views su YouTube, arriva “Power of
love” con un videoclip originale, ricco di positività e di
speranza. Un brano scritto da qualche anno, in collaborazione
con Giancarlo Prandelli (GNE Records), ma straordinariamente
attuale, con un testo denso di significato, che vuol essereun
appello all’impegno di tutti, per un mondo migliore da
costruire liberando il potere che è dentro ognuno di noi: il
potere dell’amore, arma vincente ed universale. Dopo il quarto
posto ad X Factor nell’edizione vinta da Marco Mengoni, con
cui era in squadra, l’artista bergamasco ha portato avanti il
suo progetto con determinazione e costanza, coltivando la
passione per la musica in molteplici ambiti, dalla conduzione
di programmi televisivi come VeeJay, all’attività di
giornalista musicale, dalla partecipazione a programmi TV
fino. Al suo attivo album (SILVER) e numerosi singoli e live
con grandi nomi del panorama musicale italiano (Morgan,
Francesco Facchinetti, Alberto Fortis, Eugenio Finardi, Angela
Brambati, Cormac de Barra, Vladimir Luxuria, Mal, Andy Fluon,
Mirko Casadei e tanti altri).

Abbiamo chiesto a Silver di raccontarci qualcosa in più del
suo progetto e dei programmi   futuri.

Parlaci un po’ di questo nuovo singolo, “Power of love” …

“Power of love”, dopo la ballad romantica in inglese “Let me
fall in love”, segna un ritorno ai temi sociali,
all’attualità. Il brano, nonostante sia stato scritto qualche
anno fa, è davvero molto attuale,      avrei potuto scriverlo
proprio in questo momento storico: un fiume di parole che
culminano nello slogan ‘Power of Love’, un “grido universale”
che occorrerebbe porre al centro di tutto.
Il brano era stato selezionato per Sanremo Giovani, tra i 66
finalisti, mi sono esibito live davanti a Baglioni negli Studi
Rai di Roma, ma immediatamente dopo è arrivata una
comunicazione della Rai secondo la quale il brano risultava
edito, quindi “irregolare”. Nonostante non si sia mai chiarito
l’accaduto, la mia esclusione è risultata definitiva.

E poi l’uscita è stata ancora rimandata, dalla primavera
all’autunno per la pandemia…
Eh sì, questo singolo sembra avere un percorso travagliato!
Abbiamo rimandato all’autunno l’uscita, ma è stata anche una
occasione per ideare una iniziativa di successo: in giugno,
abbiamo creato uno spot per i social, con immagini selezionate
dai miei precedenti videoclip e associato ad un messaggio di
speranza, una esortazione a premere “Play” e ripartire tutti
insieme, dai sentimenti e dagli affetti veri. Numerosi fans,
ma anche amici e colleghi, hanno partecipato con entusiasmo
inviando i propri video realizzati con il cellulare, che
riprendono l’evento per loro più significativo         dopo il
lockdown: il primo momento in cui si è tornati ad abbracciare
qualcuno o qualcosa che era mancato. Il risultato è stato
molto emozionante, i video sono stati inseriti dentro una
cornice, una mia ideale passeggiata per il centro di Bologna
(regia di Riccardo Sarti in collaborazione con Carlo Montanari
per la direzione artistica e post produzione e con Gianluca
Battilani per la color (https://youtu.be/Oq3x2HOkB9A).
Il tuo nuovo singolo contiene un messaggio attuale, quali sono
i tuoi timori e le tue speranze in questo difficile momento?
Oggi, ma già da tempo prima della pandemia, sembra che l’unica
cosa importante sia il proprio “IO”, i termini di solidarietà
e condivisione sembrano perdere sempre più significato.

Credo molto nella forza dell’amore, quell’amore che avvolge
tutto e tutti e che è indispensabile per non perdersi nel caos
che sta travolgendo l’umanità. La mia speranza è questa, che
l’amore vinca su odio, rabbia, individualismo e ci permetta di
ricostruire un mondo migliore. Sta ad ognuno di noi impegnarsi
per farlo, come dico in “Power of love”: “c’è bisogno di te!”,
c’è bisogno di ognuno di noi, nessuno può sollevarsi da questa
responsabilità che ci tocca in prima persona…

Cosa temo di più? In questo momento, particolarmente, la
questione del distanziamento forzato tra le persone, che passa
attraverso l’impossibilità del contatto, di abbracciarsi,
soprattutto per quanto riguarda i più giovani: la difficoltà
di svolgere attività condivise, di supportarsi reciprocamente,
di scambiarsi      perfino una penna, una merendina. Un
distanziamento che va ben oltre quello “fisico”, che potrebbe
creare abitudine, condizionamento, rappresentando un rischio
enorme per il futuro, poiché potenzialmente si potrebbero
apportare gravi danni allo sviluppo personale e
comportamentale di bambini e ragazzi.

I tuoi prossimi progetti musicali?
Stiamo pianificando l’uscita di un nuovo singolo; ho scritto
molto in questo periodo, sia in italiano che in inglese, e
sto continuando a scrivere. Cerco di tenermi attivo ed in
contatto con i fans, organizzando qualche diretta live, come
già fatto nei mesi di quarantena insieme ad altri artisti e
amici (Antonio Maggio, Alberto Fortis, Andy Bluvertigo, Gianna
Tani, Nick Casciaro).

E’ assolutamente necessario trasmettere messaggi positivi e di
speranza, in attesa del ritorno alla normalità, a una libertà
che sia di nuovo parte integrante della nostra vita.

Foto Chiara Sardelli

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Cento docce fatte male –
perché non è mai troppo
tardi!
di Claudia Marchini – “Fermo lì, nel fango, con il sole
spietato di agosto che sembrava voler sciogliere come cera
ogni cosa, soprattutto la sua pelle, con la polizia che
avanzava verso di lui e la gente di fronte a spingere, urlare,
esaltarsi in una folle danza distorta dalla calura, si chiese
quando tutto fosse iniziato”.

Inizia così Cento docce fatte male, il nuovo romanzo di Laura
Manfredi edito da Morellini, con i due protagonisti di questa
divertente e al contempo commovente storia in piedi sotto al
palco del più grande raduno di musica Heavy Metal del mondo,
imbrattati di fango e in fuga dalla polizia che li cerca.

Niente di particolarmente strano, direte voi. Senonché i due
protagonisti – Pietro Boccamara e Mario Incantalupi – sono due
vecchietti quasi novantenni scappati due giorni prima dalla
casa di riposo in Provincia di Pavia di cui sono ospiti. Uno,
il Boccamara, è un uomo rancoroso, sempre arrabbiato con tutto
e tutti, muto selettivo, un contadino che non è mai uscito
dalla valle del Pavese in cui è nato e vissuto. Attende la
fine dei suoi giorni in un tran tran sempre uguale,
nascondendo un segreto e un dolore troppo grandi per essere
espressi a parole. E perciò, non parla.

L’altro, l’Incantalupi, è tutto l’opposto: scrittore di gran
fama, giramondo, omosessuale pieno di vita e allegria. E’
diventato cieco da poco e quindi decide di farsi rinchiudere
in una casa di riposo, convinto di non poter ormai godere più
della vita come faceva un tempo. Ma un articolo di giornale
che parla del raduno metal di Wacken risveglia la voglia
dell’Incantalupi di fare nuove esperienze, e cerca quindi di
convincere il riluttante Boccamara a scappare con lui:
“Secondo lei, è meglio farsi una doccia di merda, fatta male,
in questi lugubri cessi azzurrini, con il loro getto timido e
tiepido, tutti i santi giorni, con una saponetta di merda,
oppure è meglio lerciarsi come maiali per una settimana e poi
chiudersi in una benedetta spa o che so io e farsi grattar via
lo sporco a suon di massaggi con oli profumati e lozioni
miracolose? Ecco, si chieda questo. Se per lei la risposta
resta: “Meglio cento docce fatte male che una giornata in una
spa dopo qualche giorno di sporcizia”, rimanga pure sulla sua
poltrona. Di certo non la porterò via di peso, stia sicuro”.

In fuga verso la Germania, i due saranno affiancati da un
professore di Prato che sta scappando dalla moglie fedifraga e
da due adolescenti hikikomori – quei giovani che decidono di
chiudersi in camera loro e non avere più contatti con il mondo
esterno – anch’essi alle prese con paure e drammi tipici della
loro generazione. Per non parlare degli altrettanto deliziosi
personaggi di contorno, dalla direttrice della casa di cura
all’infermiera Celestina, dal commissario Bonaccia alla
pittoresca signora Ciufoli.

Va letto con cura, Cento docce fatte male, perché pieno di
spunti di riflessione sull’animo umano e sulla nostra società:
chi si rinchiude nel mutismo e chi invece fa la farfalla di
fiore in fiore in fondo forse nascondono lo stesso senso di
inadeguatezza e lo stesso senso di colpa per aver abbandonato
chi si amava; è forte il pregiudizio che circonda la terza
età, come se ad un certo punto bisognasse rinunciare a vivere
appieno; e anche quello che dopo una certa età si debba
rinunciare all’amore; fino alla consapevolezza che non è mai
troppo tardi per prendersi una rivincita sul destino o
sull’età.

Perché vale sempre la pena di vivere.

Un romanzo accattivante, ispirato ad una storia vera, che
tocca tutte le corde del nostro animo e che vi consigliamo
assolutamente per le vostre letture estive! E per immergersi
fino in fondo nel mood della storia, potete ascoltare la
playlist metallara (ma non troppo) creata appositamente su
Spotify                                    dall’editore:
https://open.spotify.com/playlist/0f3SqQFAedpHaj7UEMe5JQ
L’arte che non è più arte,
cos’è?
di Silvia Ferrari Lilienau – La storia è nota: alla recente
fiera di arte contemporanea Art Basel di Miami, Maurizio
Cattelan espone una banana (il titolo è Comedian) attaccandola
con nastro adesivo alla parete dello stand; poco dopo
l’artista americano David Datuna la stacca e la mangia mentre
viene ripreso da numerosi cellulari del pubblico presente.
Datuna viene allontanato, Cattelan non si offende, della
banana – si garantisce – esistono altri due originali. In ogni
caso, il valore della banana di Cattelan è di 120.000 dollari.

Ora, da più parti si sono ricordati i precedenti che
legittimano una simile operazione, dalla Merde d’Artiste di
Piero Manzoni del 1961, alla copertina del disco dei Velvet
Underground del 1967 disegnata da Andy Warhol, allo stesso
Cattelan, quando nel 1999 fissò alla parete, sempre con nastro
adesivo, il gallerista Massimo De Carlo: soprattutto per
l’autocitazione in tono minore, va da sé che l’idea nasca
stanca, e però solleva scalpore intorno.

Proviamo qui a soffermarci brevemente non sugli oggetti
artistici contemporanei in sé, anche perché tutta la storia
dell’arte del Novecento si offre come bacino di possibili
citazioni e giustificazioni culturali di ogni nuova operazione
eventuale. Consideriamo piuttosto il sistema in cui gli
oggetti sono ora inseriti, la rete con i suoi nodi, i nessi.

Certo ha avuto un peso l’interruzione del rapporto tra artista
e committente, interruzione configuratasi con forza all’inizio
del secolo scorso, ma già avviatasi in seno al Romanticismo:
finché c’è stato, il committente – aristocrazia, chiesa,
borghesia ricca e ambiziosa – si è fatto garante delle scelte,
e questo ha deresponsabilizzato l’artista nella scelta dei
soggetti. Bastava che l’artista si concentrasse sulla qualità
della sua cifra stilistica. Vero è che a volte potevano
verificarsi incidenti e incomprensioni, basti pensare a come
Caravaggio si concedesse libertà interpretative che
conducevano anche al rifiuto di suoi dipinti. Ma più spesso
prevaleva una lettura ortodossa, e allora il coefficiente
artistico corrispondeva al virtuosismo dell’artista.

Anche in assenza di un committente, ancora nella prima metà
del Novecento riferirsi a generi riconoscibili – ritratti,
nature morte, paesaggi – seguitava a legittimare il disimpegno
ideativo e consentiva di concentrarsi sulla propria
originalità compositiva.

Ancora. Se già Marcel Duchamp si era assunto l’onere di sue
idee trasgressive, l’eredità dadaista eterogenea del secondo
Novecento vedeva però l’esistenza non tanto di singoli artisti
autogestiti, ma di gruppi accomunati da una poetica. Dal Pop
al Nouveau Réalisme, dalla Optical Art al Minimalismo, dallo
Happening alla Body Art, l’esperienza artistica era supportata
dall’appartenenza a un collettivo.

Se poi l’arte condivisa era teorizzata da un critico di
spessore – il caso di Pierre Restany e il Nouveau Réalisme
negli anni Sessanta -, l’attività artistica procedeva forte
della decodificazione offerta da addetti ai lavori di cultura
articolata. In fondo, anche il fenomeno italiano degli anni
Ottanta che fu la Transavanguardia si ancorava alle parole
sapienti di Achille Bonito Oliva, senza le quali i
protagonisti avrebbero forse vacillato nel confronto con le
coeve correnti neoespressioniste tedesche e americane.

Il guaio – posto che guaio sia – si è profilato all’orizzonte
quando gli artisti si sono presentati sulla scena soli, ognuno
per sé. Quando hanno incominciato a esprimere propri punti di
vista.

Immaginare di avere punti di vista è possibile, di fatto
accade, ma non necessariamente ogni punto di vista ha forza
comunicativa; inoltre, la società attuale è connotata dalla
relazione rapida e diramata, gli artisti soli non hanno
possibilità di sopravvivenza. I galleristi colti, che fino a
qualche decennio fa stringevano sodalizi con artisti e critici
(su tutti Arturo Schwarz, scrittore, fra l’altro, e
sofisticato conoscitore di Dadaismo e Surrealismo), hanno più
spesso lasciato il posto a galleristi potenti e a grandi case
d’asta (illuminanti le pagine dedicate da Sarah Thornton a
questi contesti una decina d’anni fa, nel libro Seven Days in
the Art World).

A chi si legano allora gli artisti, per operare in spazi di
visibilità? Ai curatori.

Il critico si poneva come tramite fra l’operato degli artisti
e il pubblico. Capitava che il suo linguaggio specialistico
fosse intellegibile al solo pubblico preparato, e certo,
promuovendo alcuni artisti, il critico finiva per renderli
riconoscibili anche al mercato dell’arte. Ciò non toglie che
il suo ruolo intendesse essere anzitutto esegetico.

Il curatore non nasce come interprete potenziale, semmai come
organizzatore di mostre ispirate a sue idee, suoi
interrogativi o immagini del mondo, a cui ricondurre opere di
artisti che quelle idee possano confermare, illustrandole.

Le danze in tal senso furono aperte da Harald Szeemann con
l’ormai storica mostra del 1969 alla Kunsthalle di Berna When
attitudes become forms. Suo erede può oggi essere considerato
un altro curatore svizzero, tra i più influenti al mondo, Hans
Ulrich Obrist. Della categoria fanno parte anche Massimiliano
Gioni, curatore della Biennale di Venezia del 2013 intitolata
Il palazzo enciclopedico, e Milovan Farronato, curatore del
Padiglione Italia dedicato al tema del labirinto, all’ultima
Biennale veneziana.

Se i critici si collocavano tra gli artisti e il pubblico, i
curatori sembrano collocarsi sopra gli artisti e sopra il
pubblico: non si fanno tramite di possibili interpretazioni,
ma sollecitatori di riflessioni attraverso l’arte. E sono
conoscitori del mercato: sono loro a interloquire con i
collezionisti.

Non a caso Milovan Farronato è assurto agli onori della
cronaca internazionale dopo la nomina a direttore del Fiorucci
Art Trust, a Londra, mentre Massimiliano Gioni aveva mosso i
primi passi alla Fondazione Trussardi di Milano, cioè nel
mondo del mecenatismo milanese legato alla moda.

A meno che non abbia raggiunto chiara fama, l’artista ora
rischia di rimanere compresso tra il personaggio del curatore
e la volontà speculativa del collezionista facoltoso, al quale
ultimo è anzi affidato il destino dell’artista. A fare la fama
dell’artista non è propriamente la scrittura del curatore, ma
la somma di denaro con cui un suo lavoro è stato battuto
all’asta. Dunque l’arte gratificata dal grande collezionismo è
quella riconosciuta come capitale. Se ne deriva che i nomi di
punta dell’arte contemporanea siano per lo più scelti dai
grandi collezionisti.

Ma che fine ha fatto il pubblico, in tutto ciò?

Il pubblico è quello che si vede nel video della performance
messa in atto da David Datuna nello stand della Galerie
Perrotin alla fiera d’arte di Miami: decine e decine di
cellulari a riprendere la scena. I video saranno stati
pubblicati nei social network, amplificando a dismisura la
fama di Cattelan, omaggiando di pubblicità gratuita la Galerie
Perrotin e puntando i riflettori su un artista poco noto fino
a quel momento. Il pubblico è il nuovo agente promotore di
un’arte che non necessariamente capisce o ama, ma di cui si
sente compartecipe attraverso la “condivisione” che è
imperativo categorico di ogni “social”. Se prima occorreva
capire i testi dei critici, pur spesso spocchiosi e persino
indecifrabili, ora basta “postare” video e immagini,
dimostrando di essere stati fisicamente presenti all’
“evento”.

Nel caso della banana di Miami, il contributo artistico di
Cattelan è pressoché inesistente, rispetto all’operazione
commerciale e all’attenzione mediatica ottenuta.

Qui è come se i sarti truffaldini de I vestiti nuovi
dell’imperatore di Andersen non avessero neppure bisogno di
mentire, come se anzi dichiarassero subito di voler ingannare
tutti, e l’opera d’arte fosse proprio l’inganno dichiarato.
Talmente dichiarato, da capovolgere i termini del discorso.

Ecco, si ha l’impressione che nell’arte più recente i termini
del discorso siano capovolti. Difficile dire se debbano e
possano essere ripristinati parametri di più rigorosa e
fondata consapevolezza storico-artistica. O meglio, la logica
questo vorrebbe, ma non necessariamente essa corrisponde ai
bisogni prevalenti. Di certo però, se questo sarà il procedere
artistico a venire, gli strumenti analitici da mettere in
campo afferiranno sempre più spesso agli studi di economia e
di sociologia, e sempre meno alla storia dell’arte stricto
sensu.

de Pisis: piccole riflessioni
dopo la mostra al Museo del
Novecento
di Silvia Ferrari Lilienau – Intanto: che sollievo visitare
una mostra che sia tale, non un’esperienza immersiva in cui i
dipinti siano manipolati per coinvolgere i sensi e la fantasia
degli spettatori. Che sollievo che la mostra di Filippo de
Pisis al Museo del Novecento non sia un piccolo Luna Park, ma
la mostra di una novantina di opere in un crescendo
cronologico, con pannelli esplicativi a introduzione delle
sale.
Che poi una mostra così allestita non sia facile è pegno
inevitabile da pagarsi all’arte, visto che sarebbe sensato –
contro l’insensatezza di ogni banalizzazione – accettare che
l’arte non sia facile. Che sia comunque lecito accostarvisi è
fuor di dubbio, come pure che sia doveroso provare a renderla
accostabile. Ma, appunto, lo spostamento dovrebbe essere del
cultore verso l’arte, per tramite di studiosi tenuti a offrire
strumenti interpretativi, e non, invece, dell’arte verso il
cultore,    perché    in   tal   caso   si   rischia    una
spettacolarizzazione quasi mai rispettosa della natura
dell’opera.

Certo rifuggono da ogni forma di spettacolarizzazione i
dipinti di Filippo de Pisis. Tutti, nessuno escluso, dalle
prime nature morte che testimoniano l’incontro a Ferrara con
de Chirico e Savinio, ai paesaggi e alle figurette agili degli
anni parigini, e poi oltre, nei soggetti che tornano uguali,
ma sempre più segnati da un pennello rapido e leggero, in cui
sosta infine anche il suo arretrare alla vita.
A parte le prove che sono esplicito omaggio allo spaesamento
metafisico, se si pensa alla pittura di de Pisis la si rivede
costruita con segni brevi e vibranti, che toccano la tela in
velocità. Carattere questo da più parti considerato troppo
lieve, benché le parole di Elio Vittorini – citato in catalogo
nel saggio di Pier Giovanni Castagnoli – bastino a garantirne
il pondus: nel 1933, ne “L’Italia Letteraria” Vittorini
scriveva infatti di come i detrattori di de Pisis non si
rendessero conto dei “novemila metri di profondità ch’egli
raggiunge senza nemmeno indossare lo scafandro”.

A ben vedere, si ha l’impressione che dipingere fosse, per de
Pisis, come scrivere, là dove la scrittura era stata la sua
vocazione prima e precoce, nonché una prassi mai interrotta.
Rimangono di lui lettere, articoli, scritti di storia
dell’arte, prose, poesie, diari. Non aveva ancora venti anni
quando conobbe de Chirico e Savinio, e però a casa di Corrado
Govoni, che aveva scritto per lui la prefazione a I Canti de
la Croara, pubblicati già nel 1915.

Solo che nella sua pittura, la polpa materica un po’ sfatta si
carica di un silenzio invece difficile a tradursi in parola
scritta.

Come ne La lepre del 1932, con l’animale morto allungato sul
tavolo, la pelliccia stropicciata dai picchiettamenti del
pennello e la piccola chiazza di sangue accanto al muso, quasi
colore sgocciolato, quasi una dimenticanza.

Il silenzio che si fa tattile, alla fine, dentro alle nature
morte dipinte nella casa di cura dove avrebbe concluso i suoi
giorni. In Cielo a Villa Fiorita, del 1952, l’esterno diventa
un piccolo quadro in un interno, un quadro nel quadro in cui
de Pisis sembra ricordarsi di se stesso quando componeva
nature morte su uno sfondo di mare e cielo, a dire – allora –
lo spazio senza margini anche del suo pensiero.
de Pisis

Milano, Museo del Novecento, 4 ottobre 2019-1 marzo 2020

a cura di Pier Giovanni Castagnoli con Danka Giacon

Catalogo a cura di Pier Giovanni Castagnoli, Milano, Electa,
2019
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