Ad Memoriam degli ex-allievi dell'Orfanotrofio Umberto I che non sono più
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Ad Memoriam degli ex-allievi dell’Orfanotrofio Umberto I che non sono più Continua ferace e indefessa la missione di Vincenzo Sica e Michele Sirico, votata ritrovare e riconnettere tessere e personaggi di quanti furono ospiti dell’ Istituto, il famigerato e temuto “Serraglio”e sabato 18 luglio, nella chiesa di Sant’Anna in San Lorenzo, alle ore 19, si terrà la sacra celebrazione in suffragio Di OLGA CHIEFFI “È importante che la morte ci trovi vivi”; è questo un folgorante aforisma del grande umorista e scrittore Marcello Marchesi. In verità si potrebbe e forse si dovrebbe essere ancora più netti: è essenziale, e non solo importante, che la morte ci trovi vivi. Questo non è affatto scontato. È il primo grande insegnamento che è possibile trarre dalle parole citate: spesso la morte ci trova già morti, ovvero abbattuti, incattiviti, sfiduciati, ripiegati su se stessi, pieni di rancore e rabbia, vittime della più opprimente delle delusioni. Da questo punto di vista, come ricorda acutamente Heidegger, la morte, umanamente intesa, non si risolve mai nel semplice finire, nel puro perire; essa attiene piuttosto a quella particolare modalità del vivere umano all’interno della quale, spesso si incontrano anche, in metropolitana, nei posti di lavoro e talvolta persino nelle nostre case, i molto più tetri e grigi “vivi morenti”. Il mantenere il ricordo, la storia, la funzione sociale, dell’Orfanotrofio Umberto I, vivi è la missione di Vincenzo Sica e Michele Sirico, votata ritrovare e riconnettere tessere e personaggi di quanti furono ospiti di quell’istituzione, il famigerato e temuto “Serraglio”, attraverso mezzi modernissimi, il social Facebook, sul quale hanno fondato nel 2012 un gruppo molto
seguito “Il Serraglio” Orfanotrofio Umberto I Canalone, i cui iscritti tutti “serragliuoli” come amano orgogliosamente definirsi e parenti di quanti hanno condiviso quella esperienza, pubblicano immagini, nomi ricordi, relativi a quella istituzione nata nel 1813, quale deposito di mendicità, negli ambienti conventuali di S. Nicola della Palma e S. Lorenzo, poi trasformatasi in orfanatrofio con scuola musicale nei primi mesi del 1819, alla quale negli anni si aggiunsero le scuole di calzoleria, meccanica, tipografia, ceramica, falegnameria, scomparsa nel 1977. Sabato 18 luglio, nella chiesa di Sant’Anna in San Lorenzo, luogo d’elezione frequentato da tutti gli orfani per le celebrazioni, alle ore 19, si terrà la messa annuale, celebrata da Don Ovidiu Giurgi che sostituisce Don Giuseppe Greco, purtroppo indisponibile per problemi di salute, con commento musicale affidato ai sassofoni di Gaetano Sica e Vincenzo Lamberti, in ricordo dei numerosi ex-allievi che formatisi tra le mura di quella istituzione, si sono addormentati. Una istituzione legata ai nomi di Gioacchino Murat, come un po’ tutti i collegi della nostra città e provincia e del Sindaco Alfonso Menna, che fece rinascere negli anni ’50 la gloriosa scuola, rendendola umana e vivibile, restituendole quel forte legame con la città, attraverso l’eccelsa qualità della sua banda musicale e maggiormente con la tipografia, che stampava tutti i tipi di manifesti e libri, sino agli inviti di nozze. Il gruppo de’ Il Serraglio, ha inteso, quindi, riannodare quelle fila, prima tra chi ha vissuto e, ancora oggi, ringrazia quell’istituzione, dura, severa, a volte inumana, ma che ha preparato alla vita schiere di uomini, attraverso lo studio, il sacrificio, la fame, per ricordare, in un momento spirituale, tutti coloro i quali appartennero a quella istituzione, che li ha resi tutti fratelli, avendo vissuto anni duri e momenti di sconforto. Régis Debray scrive ne Le moment fraternité : «La fratellanza è opposta alla consanguineità, è rimedio alla fratria. Per me, si ha fratellanza infrangendo la cerchia della famiglia, la prigione delle comunità naturali, dandosi una famiglia elettiva,
adottiva, una famiglia transnaturata, se non denaturata». Tale fratellanza si estende a ogni dimensione temporale: associa morti e vivi. Per Debray, «poiché i popoli, come gli individui, sono fatti di morti e di vivi, impossibile rispettare i vivi se non come fratelli minori dei morti». Fissare nella ceramica l’anima di Carmine Carrera Questo lo scopo e l’intento del Maestro Virginio Quarta, che ha realizzato un pannello commemorativo in onore del ceramista scomparso Carmine Carrera, inaugurato ieri sera a Vietri sul Mare Di Giulia Iannone A Virginio Quarta artista che, incedendo sovente sui solchi di un semplice realismo, evoca sussulti di un sentire vibrante oltre i confini del determinismo fisico ed umano, latore di quella facoltà di penetrare e di carpire il reale che, nell’opera, si coniuga con un messaggio, ora epico, ora drammatico, emozionale, è stato commissionato il pannello ceramico alla memoria del Maestro vasaio Carmine Carrera, che è stato scoperto a Vietri sul Mare. Di cosa tratta il pannello commemorativo, omaggio a Carmine Carrera, che scopriremo questa sera? “Si tratta di un pannello decorativo in memoria di Carmine Carrera, che è stato un talento naturale dei tornianti vietresi”. Chi è Carmine Carrera? Lei come lo conosce o cosa ha sentito,
percepito dell’opera di questo artista di Vietri? “Personalmente, non l’ho conosciuto. Carmine è morto nel 2002, però il maestro Salvatore Autuori, mio amico, me ne ha tanto parlato, in quanto ha potuto conoscerlo e frequentarlo a lungo. Così ho sentito la voglia ed il desiderio di fare questa commemorazione e dedicare a Carmine Carrera questo pannello, per evitare che il suo nome, come capita spesso, vada a finire, come si suol dire, nel dimenticatoio, cosa che già stava capitando. Per cui, questa presenza sui muri di Vietri, proprio nel centro cuore pulsante delle botteghe di ceramica, potrà almeno interessare qualcuno, l’uomo qualunque, il passante, il turista, incuriosire, attirare e rendere così vivo e presente il ricordo e l’animo di questa figura artistica del nostro territorio e, quindi, ravvivare la memoria intorno a questo grande talento della ceramica e della terracotta. Lui era un vasaio e lavorava durante la giornata alle solite stoviglie, per far vivere la famiglia, poi la sera, finito il suo lavoro di routine, si chiudeva e creava questi vasi che sono di una forma, per l’epoca ardita e modernissima. Di questo lavoro è stata fatta una mostra a cura di Vito Pinto e sono stati esposti, in quell’occasione, dei pezzi spettacolari”. Una pennellata bellissima. Quali sono i temi e gli elementi ed il percorso interiore che lei ha seguito per concretizzare l’omaggio? “Il pannello innanzitutto è formato da piastrelle 30×30 ed è alto 1metro ed ottanta ed è largo 2 metri e dieci. È diviso in due parti: una dipinta direttamente sulla terra cotta e l’altra dipinta sullo smalto. La parte in terracotta propone una descrizione storica ed artigianale della ceramica di qualche anno fa, la parte moderna, invece, smaltata in bianco, riproduce il ritratto di Carmine Carrera mentre sta tirando uno dei suoi vasi. Poi, sono presenti delle iscrizioni. Il pannello non solo è dedicato a Carmine Carrera, ma anche alla città di Vietri. Sono oramai più di 30 anni che lavoro qui
ed ho sempre avuto un ottimo rapporto con la città ed il territorio, quindi non si poteva non fare una dedica alla Città.”. Nel mio immaginario, il maestro Quarta è il pittore della Yasmina Balena, quindi, sento che lei è dotato di grande fantasia e capacità di reinterpretare la realtà. Alla luce di ciò, come è il Carmine Carrera interpretato da Quarta? “La fantasia e la personalità sono necessarie, altrimenti si sarebbe solo pittori e non artisti. Il mio lavoro è basato sulle descrizioni del maestro Autuori e quindi è una conoscenza indiretta. Però quest’ultimo era talmente amico ed estimatore di Carrera, da potermi dare una idea molto concreta e importante di questo artista, gentile, riservato ed assolutamente geniale”. Sulla locandina di presentazione campeggia il titolo “ Le Vite e la Ceramica”. Perché credo che l’arte si impasti con la vita, un concetto valido per Carrera, sicuramente anche per lei, come l’arte si è mescolata alla sua vita? “Sono due elementi della vita che si sono fusi implacabilmente. Da sempre, fin da bambino, è stato manifesto e visibile che sarei stato un essere votato all’arte. La mia famiglia ha subito compreso la mia inclinazione ed ha fatto di tutto per assecondarmi, mandandomi, a costo di grandi sacrifici, a frequentare il Liceo artistico di Napoli, luogo in cui ho potuto seguire l’insegnamento di tanti maestri napoletani ed internazionali. La mia vita è stata sempre improntata e basata sulla pittura e sull’arte in genere. Parlerei di una fusione naturale”. In conclusione, c’è qualcosa che vorrebbe aggiungere? “Desidero fare una dedica ed una menzione speciale alla Ceramica di Vincenzo Pinto, alla loro disponibilità ed alla loro amicizia, che ha permesso la realizzazione di questo pannello. Un altro ringraziamento speciale va ovviamente al
Maestro Salvatore Autuori che ha rappresentato la spinta emozionale e motivazionale per ideare e realizzare e concretizzare questa opera”. Il Quintetto del Martucci in Tour Inizierà dalla Villa Comunale di Vietri sul Mare questa sera, alle 21, la serie di concerti che saluterà in scena Gaetano Falzarano, Tommaso Troisi, Olena Vesna, Francesca Senatore e Francesca Taviani Di OLGA CHIEFFI Un mini-tour in Campania vedrà protagonista il Quintetto del Martucci, che così ri-prende la sua attività concertistica dopo l’oscuro periodo, durante il quale ci si è dovuti affidare al web per provare. Una formazione speciale, in cui i Docenti della nostra massima istituzione musicale, si ritroveranno a suonare con allievi per un ritorno alla libertà. La formazione, che schiera Gaetano Falzarano al clarinetto, Tommaso Troisi e Olena Vesna al violino Francesca Senatore alla viola e Francesca Taviani al cello, sarà ospite oggi, alle ore 21, di Luigi Avallone, direttore artistico di Vietri in scena, che anima la Villa comunale, per poi esibirsi il giorno successivo a Vallo Della Lucania nell’ambito della rassegna “Armonia sotto le stelle”, rinnovando il loro dialogo musicale anche ad Airola, il 18. Se oggi la musica di Antonio Salieri, grazie alla costante riscoperta ed interesse musicologico verso la sua musica, gode finalmente di una fama che gli è ampiamente meritata, quasi nulla è conosciuto degli
altri membri della stessa famiglia. Girolamo Salieri, figlio di Francesco Antonio, studente di Tartini e fratello del sopracitato maestro di cappella a Vienna, fu uno dei moltissimi clarinettisti e virtuosi che l’Italia può annoverare sul finire del Settecento ed inizi Ottocento. Di questo autore su cui lo stesso Gaetano Falzarano sta realizzando una ricerca musicologia, verrà proposto l’Adagio con Variazioni sopra un tema dall’opera di Gioachino Rossini “Edoardo e Cristina”. “Uno degli artisti più amabili che esistano”: così ebbe ad esprimersi Louis Spohr nei confronti di Franz Danzi, con cui ebbe un lungo sodalizio artistico. Un giudizio, questo, che ben esprime uno dei tratti caratteristici della musica di questo compositore, nato in Germania, ma di origini italiane. Nel Concerto Piece n° 2 in G Minor, riconosceremo questo binomio, che mostra una scrittura di impronta classica, debitrice dello stile assimilato negli anni di Mannheim, scorrevole nella condotta delle parti, in cui la tipica brillantezza melodica, si piega talvolta, in inflessioni preromantiche nell’uso insistito del cromatismo nelle voci interne o nell’impiego di soluzioni armoniche ricercate, un omaggio ad un binomio che unì anche Wolfgang Amadeus Mozart e Lorenzo Da Ponte, nel Don Giovanni dal cui duetto “Là ci darem la mano” è tratto il tema per le virtuosistiche variazioni. L’ opera mozartiana si è fin da subito ritagliata un posto a sé stante nella vasta produzione da camera per archi e fiati, per via della sua originalità e del ruolo preminente che occupa nel repertorio clarinettistico. Il clarinetto riveste un ruolo squisitamente protagonistico, che ne mette in risalto le notevoli possibilità timbriche e dinamiche, la morbidezza e la plasticità nelle frasi legate, l’agilità e la spontaneità negli incalzanti fraseggi e nei conseguenti passaggi virtuosistici. Il finale della serata sarà dedicata interamente all’esecuzione del clarinet quintet K.581 “Stadler”. Si tratta, come si può arguire da queste poche note, di una composizione adatta a un gruppo di virtuosi, in grado di restituire la ricchezza espressiva e le debite
sfumature stilistiche, che necessitano di un perfetto equilibrio e di un notevolissimo affiatamento. Non dobbiamo poi dimenticare quanto simbolicamente questa composizione abbia a che fare con la dimensione massonica di Mozart e dello stesso Stadler, il dedicatario della misteriosa pagina, attraverso l’utilizzo di uno strumento quale il clarinetto bassetto, ricerca, intenzione, cesello, purtroppo esigue, per una esecuzione d’intenzione moderna con una scelta di filigrana sonora ancorata a una visione debitamente intimistica, ma senza le ombre necessarie che hanno relegato il quintetto in una sonorità immanentistica, in particolare nel Larghetto in Re. Le note musicali segnate sul pentagramma non suscitano emozione di per sè: l’emozione nasce dal suono. I maestri hanno il dovere di lanciare e far conoscere i talenti. Ad aprire il concerto sarà l’undicenne oboista Salvatore Ruggiero di Airola. Suono speciale e pluripremiato, in concorsi internazionali grazie ai suoi insegnanti, Salvatore Fucci e Francesco Di Rosa dell’Accademia di Santa Cecilia, con un omaggio ad Ennio Morricone, per il quale ha scelto l’intenso solo di Mission. Poker di Re alla Reggia di Caserta Presentato ieri mattina il cartellone di “Un’Estate da re”, giunta alla sua V edizione, allestito da Antonio Marzullo: Sir Antonio Pappano, Daniel Oren , Vittorio Grigolo e Placido Domingo, con l’eterna regina Lina Sastri e l’étoile Giuseppe Picone. Sei appuntamenti stellari con cinque concerti e un balletto, per animare la nostra piccola Versailles, tra la grande Piazza San Carlo e l’Aperia
Di OLGA CHIEFFI Il lustro è il primo piccolo traguardo che conferma la bontà del progetto e “Un’Estate da Re”, festeggerà dal 30 luglio al 13 settembre con sei prestigiosi appuntamenti la sua quinta edizione. Antonio Marzullo ha scelto i suoi re e la sua corte in quest’anno speciale, per un’estate che dovrà traghettarci all’autunno con l’apertura dei teatri. Una soluzione deve essere trovata anche per i massimi di Salerno e Napoli, se ne discuteva con Daniel Oren, splendido protagonista all’Arena del Mare del capoluogo salernitano, poichè la musica si fa in sala. Il governatore Vincenzo De Luca lo sa e si evince dalle sue dichiarazioni “In questo anno così difficile abbiamo deciso di puntare ancora di più sul turismo culturale, che è stato particolarmente colpito dalla pandemia. È un segnale forte che intendiamo dare perché è dalla cultura e che può e deve continuare il nostro cammino di sviluppo e di ripresa su tutti i fronti”. Qualche teatro ha già trovato il modo, come la Fenice di Venezia, si suona in platea, alcune sedute sono anche in palcoscenico, trasformato in una grande nave, con cui riprendere un viaggio interrotto, ormai, da troppo tempo o il Rossini Opera Festival, con l’Orchestra anche lì fuori buca, cantanti in palcoscenico e pubblico nei palchi. Il cartellone presentato ieri mattina a Palazzo Santa Lucia, prevede sei appuntamenti che, sebbene riservati a una platea ridotta dalle misure anticovid 19, saranno accessibili a tutti con le riprese di Rai Cultura e fruibili in diretta su Radio3. “Un’ Estate da Re” vede anche quest’anno un’intensa collaborazione tra il Teatro di San Carlo di Napoli e il Teatro Verdi di Salerno, con la partecipazione dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Si inizia il 30 luglio con “Omaggio a Beethoven” di Sir Antonio Pappano che dirige l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, nella sua interpretazione della Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 e della Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93. In occasione del concerto inaugurale, Enel, storico Socio Fondatore dell’ Accademia Nazionale di Santa Cecilia, sarà al fianco
dell’Orchestra, illuminando la Reggia con i colori della bandiera italiana, un modo per valorizzare uno dei monumenti più belli al mondo e per rendere omaggio al nostro Paese e alla ripresa attraverso la cultura e la musica. Si continua il 3 agosto con Daniel Oren che dirigerà la “sua” Filarmonica Salernitana Giuseppe Verdi in “Summertime”, una serata che sarà incorniciata dalle più amate melodie del melodramma create da Puccini, Verdi, Bizet e affidate due stelle del gotha musicale quali, il tenore Vittorio Grigolo, il “pavarottino” e il soprano Sonya Yoncheva. Il 13 agosto sarà il carisma di una delle regine del teatro napoletano, Lina Sastri, a conquistare il pubblico con un recital dedicato al suo Maestro, Eduardo. Storie, canzoni, brani teatrali accompagnati dall’Orchestra Filarmonica Salernitana con la direzione del Maestro Antonio Sinagra, per comporre un incredibile canzoniere dove le suggestioni, le intonazioni, le evocazioni di un vernacolo, che è più una lingua che un dialetto, si trasforma in un canto ora dolente, ora euforico, capace di esprimere l’eterno incanto dei sensi, di questa fascinosa e misteriosa Partenope. Un viaggio nell’anima che si rinnoverà evocativamente, sull’onda dell’emozione, delle parole e della musica. Grande attesa per l’evento clou di questa edizione, il “Gala di Plácido Domingo” che si terrà nella piazza Carlo di Borbone, con la facciata della Reggia a fare da sfondo: il 22 agosto torna in Italia dopo anni uno dei più amati e celebri cantanti d’opera con arie e duetti da Opera e Zarzuela di Verdi, Giordano, Giménez, Moreno-Torroba, Serrano, Sorozábal, con al suo fianco l’interessante voce del soprano Saioa Hernàndez e Jordi Bernàcer alla guida dell’Orchestra Filarmonica Salernitana. A settembre protagonista di “Un’ Estate da Re ” sarà il Massimo napoletano con due appuntamenti di grandissimo livello che chiuderanno questa edizione: il 12 settembre “Arie d’Opera” con il soprano Carmen Giannattasio, il tenore Saimir Pirgu e l’Orchestra del Teatro di San Carlo diretta da Maurizio Agostini e il 13 “Le quattro stagioni di Vivaldi” con il Balletto del Teatro di San Carlo, étoile Giuseppe Picone, che
impersonerà il Vento, avvolgente, mutevole, gelido, “tempestuoso”come il periodo appena superato. I Vitelloni: doppio omaggio a Federico Fellini e Alberto Sordi Terzo appuntamento, questa sera, al teatro delle Arti, alle ore 20, con la rassegna cinematografica che donata dal Premio Charlot Di OLGA CHIEFFI Ma chi sono “I Vitelloni”? E’ il primo termine inventato da Federico Fellini, prima del più celebre “paparazzo”, essenza della “Dolce Vita”. Questa sera e domani, infatti, il terzo appuntamento con la mini rassegna cinematografica organizzata nell’ambito della XXXII edizione del Premio Charlot e dedicata al regista italiano Federico Fellini, al cinema teatro Delle Arti di Salerno, alle ore 20, prevede la proiezione de’ “I Vitelloni”, datato 1953. E’ questo un doppio omaggio, poichè tra i “Vitelloni”, Alberto è interpretato da Alberto Sordi, del quale come per Federico ricorre il centenario della nascita. Il film come tutte i capolavori di Federico Fellini, nasce dal sogno e dall’ intimo divertimento di “farli”, con amici quali Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, e l’ “amico Magico” Nino Rota per le musiche. infatti non portano la parola fine nei titoli di coda. Vitellone è un termine inventato o accettato dal regista per designare il giovane perdigiorno, già abbastanza stagionato, che ha qualcuno che lo mantiene. Io direi lo “sfessato”. Nessuno di loro sa bene che cosa vorrebbe fare: i piccoli lavori, le piccole occupazioni che la
cittadina di provincia potrebbe offrire alla loro scarsa preparazione, vengono sistematicamente disdegnati. Ed eccoli i Vitelloni, Moraldo (Franco Interlenghi) è il più inquieto e sensibile del gruppo, Riccardo (Riccardo Fellini) è un fanciullone con una bella voce da cantante, Leopoldo (Leopoldo Trieste) è un sognatore che insegue una irraggiungibile gloria letteraria, Alberto (Alberto Sordi) ama la burla, non manca di piccole vigliaccherie ed è attaccato alla madre, infine c’è Fausto (Franco Fabrizi) che si considera il più affascinante del gruppo, è il latin lover non privo di infantilismi. I cinque trascorrono gran parte della giornata al caffè , giuocano al biliardo, non sanno che organizzare scherzi e beffe, parlare di donne, sognare viaggi e avventure. Poi, a notte avanzata, dopo aver fatto a spinte e saltato i colonnini della piazzetta, non riescono a far altro che tornare a casa, un po’ divertiti, un po’ immalinconiti come tutte le sere. Tutto è destinato a cambiare quando l’asprezza della vita si paleserà loro sotto forma di una famiglia allargata stanca di portarseli appresso, tra alti e bassi i cinque verranno catapultati nella vita vera, con tutto quel che ne consegue nel bene e nel male. L’unico che parte davvero è però Moraldo, l’alter ego di Federico Fellini: se ne va una mattina alla stazione, senza di niente, col cuore pieno di speranze e di rimpianti. Tra le sequenze indimenticabili quella del veglione di Carnevale, le maschere, l’ubriacatura, i tentativi di approccio sentimentale, la conclusione squallida con un grandissimo Alberto Sordi piagnucolante, che ha per un momento la lucidità dei suoi fallimenti. “Il segreto dei segreti” di
scena al Ghirelli di Monica De Santis E’ stato presentato ieri mattina a Palazzo di Città il programma di appuntamenti del Teatro Ghirelli, che con lo spettacolo “Il segreto dei segreti” nell’ambito del progetto “Spettattori”, allieteranno il pubblico a partire dal prossimo 16 luglio ed in replica fino all’8 agosto. Lo spettacolo scritto da Michele Paolillo ed Andrea Carraro che ne firma anche la regia vedrà come protagonisti quattro attori che in scena saranno rigorosamente distanziati tra di loro, e sono Claudio Lardo, Pompeus Macer / Antaios, Cinzia Ugatti, Sacerdotessa / Arunthia / Arinth, Amelia Imparato, Camilla / Larthi Ultnach / Athel, Mattia Cianci, Abas / Arruns / Gran Sacerdote / Strymor / Velthur. Distanziamento obbligatorio anche per il pubblico così come prevedono le nuove disposizioni anti Covid. Dunque per ogni replica i posti disponibili saranno solo 30 ed è obbligatoria la prenotazione. Per informazioni si può contattare il numero 3499438958. Lo spettacolo ruota intorno alla storia di Pompeo Macro, bibliotecario dell’Imperatore Augusto, che nel 28 a.C., intraprende un viaggio nelle terre degli antichi etruschi, per scoprire alcuni segreti sulle vere origini di Roma. Sarà una formidabile e misteriosa avventura nel tempo, nell’arco di un millennio, testimoniata prima dalle voci dei Troiani sbarcati con Enea nel Lazio, poi da quelle degli indigeni massacrati, infine da quelle del popolo etrusco, che, dopo un lungo periodo di prosperità,verrà sconfitto e assorbito dalla potenza di Roma. Pompeo Macro apprenderà dagli Etruschi la loro particolare concezione del tempo e della scrittura. Ma, soprattutto, acquisirà precise conoscenze da riferire al poeta Virgilio per la stesura dell’Eneide,poema commissionato dall’Imperatore Augusto per celebrare il mito di Roma.
Premio Charlot: Al cinema Delle Arti si proiettano I Vitelloni di Fellini Terzo appuntamento domani 16 luglio alle ore 20, con la mini rassegna cinematografica organizzata nell’ambito della XXXII edizione del Premio Charlot e dedicata al grande regista italiano Federico Fellini. La serata si terrà al cinema teatro Delle Arti di Salerno. Domani sera alle ore 20 ed in replica venerdì 17 sempre alle ore 20, si terrà la proiezione de I Vitelloni, film diretto Fellini ed uscito nelle sale nel 1953. La pellicola ottenne nello stesso anno il Leone d’argento al Festival di Venezia ed ancora nel 1954 ai nastri d’argento vinse come miglior regia, miglior produzione e miglior attore non protagonista (Alberto Sordi). Nel 1958 ottenne la candidatura agli Oscar per la sceneggiatura che fu scritta dallo stesso Fellini con Ennio Flaiano e Tullio Pinelli. Il film fu proiettato per la prima volta in forma privata presso Porta San Paolo a Roma alla presenza di giornalisti, produttori e critici che accolsero la pellicola con freddezza. Ma Fellini si riscatto poco dopo. Infatti I Vitelloni, fu il suo primo film distribuito anche all’estero e divenne nel giro di poco tempo campione d’incassi in Argentina, ed ottenne molti consensi in Francia e Gran Bretagna. Negli Stati Uniti fu proiettato nel 1956. La trama del film era stata scritta per essere collocata inizialmente a Pescara, ma Fellini decise poi di cambiare location e di ambientare il film a Rimini. Le riprese si tennero tra Roma, Firenze, Viterbo ed Ostia. Nell’ultima scena del film la battuta di Moraldo che saluta Guido dal treno è doppiata da Federico Fellini stesso per rimarcare l’elemento autobiografico della sua partenza dalla
città natale. Tra i protagonisti de I Vitelloni ricordiamo Alberto Sordi, Franco Fabrizi, Riccardo Fellini, Paola Borboni, Leonora Ruffo, Carlo Romano, Giovanna Galli, Leopoldo Trieste, Guido Martufi, Silvio Bagolini, Franco Interlenghi, Jean Brochard, Claude Farell, Enrico Viarisio. Il film è incentrato sulle vicende di un gruppo di cinque giovani: l’intellettuale Leopoldo (Leopoldo Trieste), il donnaiolo Fausto (Franco Fabrizi), il maturo Moraldo (Franco Interlenghi), l’infantile Alberto (Alberto Sordi) e l’inguaribile giocatore Riccardo (Riccardo Fellini). I cinque sono giovani uomini tra i 20 ed i 30 anni, vivono nella piccola cittadina di Rimini tra la bella vita dell’Italia ricostruita, luci notturne, donne, vacanze, automobili. I cinque sono tutti single, disoccupati e mantenuti. Ma tutto è destinato a cambiare quando l’asprezza della vita si paleserà loro sotto forma di una famiglia allargata stanca di portarseli appresso, tra alti e bassi i cinque verranno catapultati nella vita vera, con tutto quel che ne consegue nel bene e nel male. Per assistere alla proiezione gratuita del film è obbligatoria la prenotazione telefonando ai numeri 089221807 oppure 3274934684. Blas Roca Rey di scena a Salerno con l’omaggio a van Gogh “Lettere a Theo” di Monica De Santis Blas Roca Rey è sicuramente tra gli attori teatrali più amati
e apprezzati. Noto anche per le sue numerose partecipazioni a fiction e film di grande successo. Vanta nel suo curriculum una nomination agli Oscar per la sua partecipazione al cortometraggio “Exit” di Pino Quartullo e Stefano Reali che fu candidato come miglior corto. Peruviano di origine, figlio di uno scultore, è padre di quattro figli, due dei quali impegnati nella musica… “Rocco, il mio secondo figlio fa il musicista, studia musica da quando aveva 6 anni. Francisco che è il terzo, ha 16 anni e frequenta ancora il Liceo compone rap. Paolo, invece che è il mio primo figlio, ha 29 anni ed ha deciso di voler seguire le mie orme. Fa l’attore, anche se inizialmente ho certo di fargli cambiare idea. Non perché ci fosse qualcosa di sbagliato nel fare l’attore, ma semplicemente perché è una carriera difficile, dove le delusioni sono tante, molte di più delle gioie. E poi c’è la piccolina Anna, che ha 3 anni ed ha stravolto la mia vita, sono innamorato di lei. Un po’ come tutti i padri con le figlie”. Che padre è? “Non sono un mammo, questo è certo. Anzi quando qualcuno mi definisce così mi arrabbio. Sono un padre che cerca di essere presente, partecipe delle loro esperienze di vita. Ho quattro figli, nati da tre diverse madri. La cosa che adoro di più è riuscire a tenerli tutti e quattro con me. Non è una cosa semplice, però ci riesco spesso ed è bello, anche se hanno età e madri diverse, è bello vedere che vanno d’accordo e che hanno piacere a stare del tempo non me”. Ma come ha vissuto questo tempo sospeso? “Come tutti, preoccupato, rassegnato, attonito. Per un attore che vive e racconta emozioni questo stato di cose, questo clima che vivevamo mi ha colpito molto, dandomi sensazioni ed emozioni contrastanti. Comunque ho anche cercato di prendere le cose buone che questa situazione per quanto terrificante, ci stava donando. Ad esempio ho potuto godermi mia figlia.
Visto il mestiere che faccio, che poi è lo stesso di mia moglie Monica Rogledi, non sto molto a casa. Mi sono divertito a giocare con lei. Giocavamo talmente tanto che la sera ero distrutto. Quali impegni di lavoro ha dovuto annullare o rinviare a causa di questo Covid-19? “Due lavori. Il primo è uno spettacolo teatrale “La Schiava di Picasso”, del quale sono il regista e che vede come protagoniste mia moglie Monica e Rossana Casale. Dovevamo debuttare l’8 marzo, ma siamo riusciti a fare solo la prova generale. Poi invece avevo programmate 5 repliche dell’Odissea, spettacolo riscritto in parte anche da me. Ed anche queste sono saltate. Ora aspettiamo e vediamo come procede la situazione e riusciamo a rimettere in scena entrambi i lavori. Poi avevo anche in programma due concerti – spettacolo con un gruppo musicale di Roma. Io dovevo fare la voce narrante e loro avrebbero eseguito brani di musica cilena”. Ha nuovi progetti, nuove idee che potremmo vedere prossimamente in teatro? “Difficile parlare di progetti nuovi. Adesso lo scopo di tutti è quello di cercar di recuperare le date che sono state annullate durante questi mesi. Diciamo che l’inizio della prossima stagione teatrale vedrà girare in tutt’Italia, ovviamente se le condizioni lo permettono, quegli spettacoli che non si sono potuti mettere in scena da marzo ad oggi. Io, comunque, due progetti teatrali nuovi li ho. Però non ne parlo per scaramanzia, posso solo dire che in uno dei due progetti è coinvolto il regista catanese Giovanni Anfuso. Sono due progetti che se tutto va bene vorrei proporre per la prossima estate. Ma per ora è presto, ne riparliamo tra qualche mese”. Che cosa rappresenta per lei il teatro? “La mia casa. Quando sto in teatro è come quando sto a casa,
in pantofole. E’ una cosa meravigliosa, fare teatro è ogni volta un’esperienza unica. Sono molto legato al teatro, sono legato al contatto con il pubblico. E’ un rapporto che non si può spiegare. Quando si è in scena senti la presenza del pubblico, senti il calore, percepisci le loro emozioni e capisci anche se ciò che stai proponendo piace oppure no. Tutte cose che con la televisione o con il cinema arrivano dopo, quando il prodotto viene messo in onda. Invece in teatro tutto è immediato, tutto è più veloce e sincero”. Tra i tanti spettacoli fatti uno che non rifarebbe mai più? “Uno c’è. Ma non perché era brutto lo spettacolo. Non lo rifarei perché la mia compagna di scena era terribile. E’ stata una tortura quella tournèe, ovviamente non faccio nomi per correttezza, ma se potessi tornare indietro non accetterei più quella scrittura”. Invece il suo rapporto con il cinema? “Mi ritengo una persona molto fortunata. Ho lavorato con registi incredibili come Muccino, Maselli, Longoni, solo per citarne alcuni. Mi piace il cinema, un po’ meno del teatro, però mi piace. Poi ho tanti bei ricordi. Con Muccino ad esempio siamo grandi amici. Con lui ho fatto una serie di cortometraggi. Era proprio agli inizi della sua carriera. E poi mi ha voluto in due dei suoi film ‘Ecco fatto’ e ‘Ricordati di me’. Abbiamo legato subito. Prima ci incontravamo spesso, adesso un po’ meno, a causa degli impegni, la famiglia, ma l’amicizia resta”. Ha un sogno nel cassetto? “Sì, ne ho due. Uno serio ed uno bizzarro” Ci racconta quello serio? “Mi piacerebbe fare un Checov o uno Shakespeare magari un bel Re Lear”
E quello bizzarro? “Mi piacerebbe tanto interpretare il ruolo di uno che corre con la pistola in mano. Lo so è una cosa bizzarra, ma ho sempre sognato un giorno di fare la parte di uno che corre con la pistola. Che poi non è neanche una cosa difficile da fare. Potrei essere il cattivo che corre per sfuggire a qualcuno, o anche il buono che insegue il cattivo. Per me è indifferente, se mi offrono un ruolo dove devo correre con una pistola accetto subito”. Intanto cosa farà? “In queste settimane, stiamo cercando di riorganizzarci. Farò qualche data del mio spettacolo, che è uno struggente omaggio a Vincent Van Gogh “Le Lettere a Theo”, con il quale sarò anche a Salerno, il prossimo 15 settembre al Teatro Augusteo, insieme con il Maestro Luciano Tristaino ai flauti”. Daniel Oren e il concerto del Destino E’ stato un nuovo debutto quello che ha salutato il direttore artistico del nostro massimo ritornare alle scene dopo il lockdown, all’arena del mare di Salerno. Un concerto funestato dal vento ma, durante il quale, si è andati tutti oltre la musica. Primo omaggio a Ennio Morricone in assoluto tributato da un’orchestra. Di OLGA CHIEFFI Emozione palpabile da parte di tutti, pubblico, orchestrali, direttivo del teatro Verdi per questo concerto simbolo, che ha
segnato la ri-partenza della musica “seria” per dirla con Wiesengrund Adorno, dall’Arena del Mare di Salerno, da dove si è intrapreso un nuovo viaggio, con la passione di sempre. Il vento ha, purtroppo, funestato la serata, mettendo fuori uso i microfoni panoramici, creando turbini di spartiti che hanno inondato la platea, ma non vogliamo ostinarci in prospettive esclusivamente musicali, poichè domenica si è andati tutti oltre la musica. Il concerto “eroico” lo abbiamo fatto noi, con Daniel Oren che ha attaccato “Il canto degli Italiani”, del quale difronte all’avversità, alla Morte, alla sofferenza, si è tornati a far nostra l’essenza. Poi, quei tre mi di ottoni e fagotti ripetuti due volte, della sinfonia de’ “La forza del destino” di Giuseppe Verdi, col suo tema mugghiante, che porta ad ascoltare il silenzio tra le note, dipingendo immediatamente una atmosfera carica di pathos, per sottolineare il respiro di quel fato incombente che riflette la realtà circostante e annuncia la catarsi, ha aperto a sorpresa il concerto. La ripetizione è stato il motivo conduttore della serata, due incipit ardui da interpretare, come quello della sinfonia della Forza del Destino e, a seguire, quello della Quinta Sinfonia di Ludwig Van Beethoven, ai quali noi non vogliamo attribuire questo o quel significato, questo o quell’effetto. E’ l’interprete, ma anche l’ascoltatore che è un interprete a suo modo, che deve decidere quale dei tanti significati possibili sia il più giusto, il migliore, il più bello. Le ripetizioni della V sono state all’Arena, come il roteare di una fionda, da cui si è staccato il fulmineo sasso, il mulinare di una girandola di fuoco, un passo innanzi verso un punto d’arrivo atteso, clamoroso e luminoso. In Beethoven l’orchestra si ingrossa progressivamente, da pochi a tanti strumenti, la scelta di un progressivo scatenarsi dell’energia, mediante una ripetizione con significato progressivo, ha comportato una scelta che è la discriminante dello stile di Oren, quella di muovere maggiormente il tempo quando si è a piena formazione. Difatti, mai i passaggi con pochi strumenti (legni in particolare, ma anche archi, quando rimangono soli come all’inizio
dell’Andante, sono apparsi così teneramente carichi di presagi, o di desideri di riflessione, nel bel mezzo dello scatenamento dell’azione. La dinamicità vitalistica , leggera, poi degli ultimi due movimenti ha schizzato per Oren, un’immagine solare di Beethoven, un Michelangelo pulito dai fumi di candela e dalle muffe, in cui il nostro direttore ha riscoperto il nerbo delle muscolature, il nervosismo dei contrasti di colore. Applausi scroscianti per una rilucente gemma della letteratura sinfonica, per poi attaccare la prima e la quinta delle danze ungheresi di Johannes Brahms , in cui Daniel Oren ha posto in luce, in un contesto di straordinaria morbidezza e naturalezza espressiva, le invenzioni ritmiche e timbriche di un linguaggio musicale tanto sofisticato e organicamente organizzato, quanto carico di tensione emozionale. Dopo il saluto del Maestro al suo pubblico, che ha rincontrato dopo quattro mesi di distanza, in cui ha confessato di essergli venuto a mancare il “pane”, che è quello studio faticoso, anche disperato, per la “scadenza”, la “data”, l’esibizione, il confronto con la platea, la tensione, l’applauso, l’Ouverture-Fantasia in Si Minore Romeo e Giulietta di Per Ilic Cajkovskij è stata sostituita da un Tribute to Ennio Morricone. Arrangiamenti discutibili, per una vera e propria “cavalcata” tra le melodie più intense del genio italiano, passando per le “lungaggini” di “Nuovo Cinema Paradiso” e “C’era una volta in America”, dello struggente Gabriel’ oboe di Mission, conclusa con gli ululati dei coyote de’ “Il buono, il brutto, il cattivo”, bissato, al seguito di una entusiasta standing ovation. Grazie a questa sferzata di energia la sfida continua e il 9 settembre ci ritroveremo tutti in teatro.
Felice D’Amico, il “violinista pazzo” da Salerno alla corte di Al Bano di Erika Noschese La sua vita è legata, indubbiamente, alla musica. Figlio d’Arte, Felice d’Amico ha iniziato da bambino ad approcciarsi al magico mondo della musica, dapprima con il pianoforte e poi con il violino, lo strumento che lo accompagna dall’età di 14 anni. Vive a Vietri sul Mare ma ha portato la sua musica in giro per il mondo, da Montecarlo ai Caraibi, passando per la Lapponia. Presto, è stato ribattezzato il musicista pazzo perchè, ammette Felice, «non riesco ad essere serio, intrattendo i miei ospiti con la simpatia» ma, aggiunge, «con tempo ho imparato a distinguere le persone, non tutti amano scherzare». Come facilmente prevedibile, l’emergenza Coronavirus ha portato con sé una serie di problematiche ma qualche nota positiva c’è: da 115 giorni suona, ogni sera, in diretta facebook e questo gli ha permesso di aumentare la sua popolarità. Felice, come nasce la tua passione per la musica, a quanti anni inizi a suonare? «Io vengo da una famiglia di musicisti. Mia sorella insegnava pianoforte in conservatorio, mia mamma era pianista e noi fratelli suoniamo. Sono nato con la musica e tra la musica, possiamo dire. Ho iniziato a suonare ufficialmente a suonare a casa il pianoforte all’età di 11 anni; successivamente, ho conosciuto un bravo violinista di Cava de’ Tirreni che mi ha chiesto di cambiare strumento ed ho accettato, iniziando a suonare il violino all’età di 13 anni. Poi, mi sono iscritto al conservatorio San Pietro a Majella di Napoli all’età di 14 anni: facevo il magistrale a Cava de’ Tirreni, uscivo da scuola e correvo a prendere la sita per Napoli per poi trasferirmi al conservatorio di Salerno. Poi, ho lasciato gli studi di musica classica per iniziare quella di musica leggera e sono felice di aver fatto quella scelta». Tu oggi sei conosciuto come il “violinista pazzo”. Cosa significa?
«Me lo hanno attribuito gli altri perché durante una mia esibizione puoi aspettarti di tutto, che mi sieda sulle gambe di qualcuno, che poggi il violino sulla testa di qualche persona, che faccia qualche smorfia. Ma è il mio carattere, sono gioviale e non a caso mi chiamo Felice, io non riesco ad essere serio per molto tempo. Ho fatto un matrimonio a Montecarlo di due americani, erano tutti in smoking ma ad un certo punto mi sono accorto di poter “osare” e ci siamo divertiti tanto tutti, gli americani erano impazziti; non riesco ad avere un atteggiamento serioso per tutta la durata dell’evento, soprattutto se mi accorgo che le persone vogliono divertirsi e quando me ne accorgo non perdo occasione di fare smorfie, sedermi sulle gambe, fare il simpatico ma, ovviamente, sto molto attento alle persone con cui giocare: non tutti, magari, vogliono farlo e l’esperienza mi ha insegnato con chi poter giocare e chi no». Da Vietri sul Mare hai portato la tua musica in tutto il mondo, sei stato anche ai Caraibi… «Sì, ho suonato a Mosca e San Pietroburgo per conto di Al Bano Carrisi e ho suonato anche in Lapponia durante un congresso. Ogni anno suono ai Caraibi, Montecarlo, Francia, Germania, Monaco. Diciamo che ho fatto un po’ di gavetta». Quanto l’emergenza Coronavirus ha colpito te e il tuo settore? «Al momento è stato determinante perché durante la mia quarantena ho iniziato a fare delle dirette sui social e questo ha fatto crescere in maniera esponenziale la mia pagina con oltre 32mila follower tanto che Facebook mi ritiene un personaggio pubblico, attribuendomi in automatico il bollino blu. Ora, mi stanno scrivendo aziende che vogliono pubblicità e diciamo che mi sto intraprendendo la strada dell’influencer anche se in piccolo perché ho iniziato da poco ma se procede così la cosa non è detto che io un domani non possa fare davvero l’influencer. Ho davvero tante persone che mi seguono». Dunque, un aspetto positivo c’è… «Assolutamente sì, mi ha fatto crescere e conoscere da tante persone. Sono 115 giorni che, ogni sera, mi collego in diretta per suonare e ci sono persone che, esattamente da 115 giorni, attendono le mie dirette. Questo mi fa stare bene perché mi fa capire che sono amato e per un’artista è un aspetto fondamentale». Come è stato riprendere il contatto con le
persone, ricominciare a suonare tra la gente? «Io ho avuto la mazzata perché moltissimi eventi sono stati rinviati all’anno prossimo, ne ho recuperato solo qualcuno ma la maggior parte è tutto rinviato. La batosta, anche a livello economico, c’è stata ma è stato bellissimo ricominciare: una rimpatriata con sé stessi, con la musica, con chi, dopo avermi seguito sui social, ha voluto incontrarmi personalmente e posso ammettere, con orgoglio, che le mie serate sono tutte sold out e tantissime sono le persone che hanno voluto salutarmi di persona». Quali sono i tuoi progetti futuri? «Sto lavorando ad un progetto molto importante: ho scritto, per un amico di Al Bano, una canzone italo-cinese, credo sia il primo caso al mondo. E’ un pezzo molto forte, ascoltato anche da Al Bano e a lui è piaciuto. Non siamo ancora pronti perché le frontiere sono ancora chiuse e questo ragazzo cinese non può venire in Italia: senza la sua voce non possiamo andare avanti con la canzone ma fatto questo lo lanceremo in Cina e in Italia ed è un progetto a cui tengo particolarmente, soprattutto perché potrebbe essere lanciato sul mercato cinese e per me sarebbe motivo di orgoglio. Poi, Al Bano mi ha chiesto di rifare i suoi pezzi al violino: cinque sono già pronti, mi mancano altri sei ma ci vuole tempo ed attenzione». I viaggi all’estero sono ancora bloccati. Sai già quando ricomincerai? «Mi sono perso New York e Toronto ma spero che il prossimo anno mi riconfermino. Mi hanno “scoperto” durante una fiera a Colonia e me ne hanno proposto altre due, proprio a New York e Toronto ma sono saltate per il Covid. Si spera di poter recuperare il prossimo anno».
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