Ad Memoriam degli ex-allievi dell'Orfanotrofio Umberto I che non sono più

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Ad Memoriam degli ex-allievi
dell’Orfanotrofio Umberto I
che non sono più
 Continua ferace e indefessa la missione di Vincenzo Sica e
Michele Sirico, votata ritrovare e riconnettere tessere e
personaggi di quanti furono ospiti dell’ Istituto, il
famigerato e temuto “Serraglio”e sabato 18 luglio, nella
chiesa di Sant’Anna in San Lorenzo, alle ore 19, si terrà la
sacra celebrazione in suffragio

Di OLGA CHIEFFI

“È importante che la morte ci trovi vivi”; è questo un
folgorante aforisma del grande umorista e scrittore Marcello
Marchesi. In verità si potrebbe e forse si dovrebbe essere
ancora più netti: è essenziale, e non solo importante, che la
morte ci trovi vivi. Questo non è affatto scontato. È il primo
grande insegnamento che è possibile trarre dalle parole
citate: spesso la morte ci trova già morti, ovvero abbattuti,
incattiviti, sfiduciati, ripiegati su se stessi, pieni di
rancore e rabbia, vittime della più opprimente delle
delusioni. Da questo punto di vista, come ricorda acutamente
Heidegger, la morte, umanamente intesa, non si risolve mai nel
semplice finire, nel puro perire; essa attiene piuttosto a
quella particolare modalità del vivere umano all’interno della
quale, spesso si incontrano anche, in metropolitana, nei posti
di lavoro e talvolta persino nelle nostre case, i molto più
tetri e grigi “vivi morenti”. Il mantenere il ricordo, la
storia, la funzione sociale, dell’Orfanotrofio Umberto I, vivi
è la missione di Vincenzo Sica e Michele Sirico, votata
ritrovare e riconnettere tessere e personaggi di quanti furono
ospiti di quell’istituzione,       il famigerato e     temuto
“Serraglio”, attraverso mezzi      modernissimi, il    social
Facebook, sul quale hanno fondato nel 2012 un gruppo molto
seguito “Il Serraglio” Orfanotrofio Umberto I Canalone, i cui
iscritti tutti “serragliuoli” come amano orgogliosamente
definirsi e parenti di quanti hanno condiviso quella
esperienza, pubblicano immagini, nomi ricordi, relativi a
quella istituzione nata nel 1813, quale deposito di mendicità,
negli ambienti conventuali di S. Nicola della Palma e S.
Lorenzo, poi trasformatasi in orfanatrofio con scuola musicale
nei primi mesi del 1819, alla quale negli anni si aggiunsero
le scuole di calzoleria, meccanica, tipografia, ceramica,
falegnameria, scomparsa nel 1977.    Sabato 18 luglio, nella
chiesa di Sant’Anna in San Lorenzo, luogo d’elezione
frequentato da tutti gli orfani per le celebrazioni, alle ore
19, si terrà la messa annuale, celebrata da Don Ovidiu Giurgi
che sostituisce Don Giuseppe Greco, purtroppo indisponibile
per problemi di salute, con commento musicale affidato ai
sassofoni di Gaetano Sica e Vincenzo Lamberti, in ricordo dei
numerosi ex-allievi che formatisi tra le mura di quella
istituzione, si sono addormentati. Una istituzione legata ai
nomi di Gioacchino Murat, come un po’ tutti i collegi della
nostra città e provincia e del Sindaco Alfonso Menna, che fece
rinascere negli anni ’50 la gloriosa scuola, rendendola umana
e vivibile, restituendole quel forte legame con la città,
attraverso l’eccelsa qualità della sua banda musicale e
maggiormente con la tipografia, che stampava tutti i tipi di
manifesti e libri, sino agli inviti di nozze. Il gruppo de’ Il
Serraglio, ha inteso, quindi, riannodare quelle fila, prima
tra   chi   ha   vissuto    e,   ancora    oggi,   ringrazia
quell’istituzione, dura, severa, a volte inumana, ma che ha
preparato alla vita schiere di uomini, attraverso lo studio,
il sacrificio, la fame, per ricordare, in un momento
spirituale, tutti coloro i quali appartennero a quella
istituzione, che li ha resi tutti fratelli, avendo vissuto
anni duri e momenti di sconforto. Régis Debray scrive ne Le
moment fraternité : «La fratellanza è opposta alla
consanguineità, è rimedio alla fratria. Per me, si ha
fratellanza infrangendo la cerchia della famiglia, la prigione
delle comunità naturali, dandosi una famiglia elettiva,
adottiva, una famiglia transnaturata, se non denaturata».
Tale fratellanza s’i estende a ogni dimensione temporale:
associa morti e vivi. Per Debray, «poiché i popoli, come gli
individui, sono fatti di morti e di vivi, impossibile
rispettare i vivi se non come fratelli minori dei morti».

Fissare    nella   ceramica
l’anima di Carmine Carrera
 Questo lo scopo e l’intento del Maestro Virginio Quarta, che
ha realizzato un pannello commemorativo in onore del ceramista
scomparso Carmine Carrera, inaugurato ieri sera a Vietri sul
Mare

Di Giulia Iannone

A Virginio Quarta artista che, incedendo sovente sui solchi di
un semplice realismo, evoca sussulti di un sentire vibrante
oltre i confini del determinismo fisico ed umano, latore di
quella facoltà di penetrare e di carpire il reale che,
nell’opera, si coniuga con un messaggio, ora epico, ora
drammatico, emozionale, è stato commissionato il pannello
ceramico alla memoria del Maestro vasaio Carmine Carrera, che
è stato scoperto a Vietri sul Mare.

Di cosa tratta il pannello commemorativo, omaggio a Carmine
Carrera, che scopriremo questa sera?

“Si tratta di un pannello decorativo in memoria di Carmine
Carrera, che è stato un talento naturale dei tornianti
vietresi”.

Chi è Carmine Carrera? Lei come lo conosce o cosa ha sentito,
percepito dell’opera di questo artista di Vietri?

“Personalmente, non l’ho conosciuto. Carmine è morto nel 2002,
però il maestro Salvatore Autuori, mio amico, me ne ha tanto
parlato, in quanto ha potuto conoscerlo e frequentarlo a
lungo. Così ho sentito la voglia ed il desiderio di fare
questa commemorazione e dedicare a Carmine Carrera questo
pannello, per evitare che il suo nome, come capita spesso,
vada a finire, come si suol dire, nel dimenticatoio, cosa
che già stava capitando. Per cui, questa presenza sui muri di
Vietri, proprio nel centro cuore pulsante delle botteghe di
ceramica, potrà almeno interessare qualcuno, l’uomo qualunque,
il passante, il turista, incuriosire, attirare e rendere così
vivo e presente     il ricordo e l’animo di questa figura
artistica   del nostro territorio e, quindi, ravvivare la
memoria intorno a questo grande talento della ceramica e della
terracotta. Lui era un vasaio e lavorava durante la giornata
alle solite stoviglie, per far vivere la famiglia, poi la
sera, finito il suo lavoro di routine, si chiudeva e creava
questi vasi che sono di una forma, per l’epoca ardita e
modernissima. Di questo lavoro è stata fatta una mostra a cura
di Vito Pinto e sono stati esposti, in quell’occasione, dei
pezzi spettacolari”.

Una pennellata bellissima. Quali sono   i temi e gli elementi
ed il percorso interiore che lei ha seguito per concretizzare
l’omaggio?

 “Il pannello innanzitutto è formato da piastrelle 30×30 ed è
alto 1metro ed ottanta ed è largo 2 metri e dieci. È diviso in
due parti: una dipinta direttamente sulla terra cotta e
l’altra dipinta sullo smalto. La parte in terracotta propone
una descrizione storica ed artigianale della ceramica di
qualche anno fa, la parte moderna, invece, smaltata in bianco,
riproduce il ritratto di Carmine Carrera mentre sta tirando
uno dei suoi vasi. Poi, sono presenti delle iscrizioni. Il
pannello non solo è dedicato a Carmine Carrera, ma anche alla
città di Vietri. Sono oramai più di 30 anni che lavoro qui
ed ho sempre avuto un ottimo rapporto con la città ed il
territorio, quindi non si poteva non fare una dedica alla
Città.”.

Nel mio immaginario, il maestro Quarta è il pittore della
Yasmina Balena, quindi, sento che lei è dotato di grande
fantasia e capacità di reinterpretare la realtà. Alla luce di
ciò, come è il Carmine Carrera interpretato da Quarta?

“La fantasia e la personalità sono necessarie, altrimenti si
sarebbe solo pittori e non artisti. Il mio lavoro è basato
sulle descrizioni del maestro Autuori e quindi è una
conoscenza indiretta. Però quest’ultimo era talmente amico ed
estimatore di Carrera, da potermi dare        una idea molto
concreta e importante di questo artista, gentile, riservato ed
assolutamente geniale”.

Sulla locandina di presentazione campeggia il titolo “ Le Vite
e la Ceramica”. Perché credo che l’arte si impasti con la
vita, un concetto valido per Carrera, sicuramente anche per
lei, come l’arte si è mescolata alla sua vita?

 “Sono   due   elementi   della   vita   che     si   sono   fusi
implacabilmente. Da sempre, fin da bambino, è stato manifesto
e visibile che sarei stato un essere votato all’arte. La mia
famiglia ha subito compreso la mia inclinazione ed ha fatto
di tutto per assecondarmi, mandandomi, a costo di grandi
sacrifici, a frequentare il Liceo artistico di Napoli, luogo
in cui ho potuto seguire l’insegnamento di tanti maestri
napoletani ed internazionali. La mia vita è stata sempre
improntata e basata sulla pittura e sull’arte in genere.
Parlerei di una fusione naturale”.

In conclusione, c’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?

“Desidero fare una dedica ed una menzione speciale alla
Ceramica di Vincenzo Pinto, alla loro disponibilità ed alla
loro amicizia, che ha permesso la realizzazione di questo
pannello. Un altro ringraziamento speciale va ovviamente al
Maestro Salvatore Autuori che ha rappresentato la spinta
emozionale e motivazionale per ideare e realizzare e
concretizzare questa opera”.

Il Quintetto del Martucci in
Tour
Inizierà dalla Villa Comunale di Vietri sul Mare questa sera,
alle 21, la serie di concerti che saluterà in scena Gaetano
Falzarano, Tommaso Troisi, Olena Vesna, Francesca Senatore e
Francesca Taviani

Di OLGA CHIEFFI

Un mini-tour in Campania vedrà protagonista il Quintetto del
Martucci, che così ri-prende la sua attività concertistica
dopo l’oscuro periodo, durante il quale ci si è dovuti
affidare al web per provare. Una formazione speciale, in cui i
Docenti della nostra massima istituzione musicale, si
ritroveranno a suonare con allievi per un ritorno alla
libertà. La formazione, che schiera     Gaetano Falzarano al
clarinetto, Tommaso Troisi e Olena Vesna al violino Francesca
Senatore alla viola e Francesca Taviani al cello, sarà ospite
oggi, alle ore 21, di Luigi Avallone, direttore artistico di
Vietri in scena, che anima la Villa comunale, per poi esibirsi
il giorno successivo a Vallo Della Lucania nell’ambito della
rassegna “Armonia sotto le stelle”, rinnovando il loro dialogo
musicale anche ad Airola, il 18. Se oggi la musica di Antonio
Salieri, grazie alla costante riscoperta ed interesse
musicologico verso la sua musica, gode finalmente di una fama
che gli è ampiamente meritata, quasi nulla è conosciuto degli
altri membri della stessa famiglia. Girolamo Salieri, figlio
di Francesco Antonio, studente di Tartini e fratello del
sopracitato maestro di cappella a Vienna, fu uno dei
moltissimi clarinettisti e virtuosi che l’Italia può
annoverare sul finire del Settecento ed inizi Ottocento. Di
questo autore su cui lo stesso Gaetano Falzarano sta
realizzando una ricerca musicologia, verrà proposto l’Adagio
con Variazioni sopra un tema dall’opera di Gioachino Rossini
“Edoardo e Cristina”.    “Uno degli artisti più amabili che
esistano”: così ebbe ad esprimersi Louis Spohr nei confronti
di Franz Danzi, con cui ebbe un lungo sodalizio artistico. Un
giudizio, questo, che ben esprime uno dei tratti
caratteristici della musica di questo compositore, nato in
Germania, ma di origini italiane. Nel Concerto Piece n° 2 in G
Minor, riconosceremo questo binomio, che mostra una scrittura
di impronta classica, debitrice dello stile assimilato negli
anni di Mannheim, scorrevole nella condotta delle parti, in
cui la tipica brillantezza melodica, si piega talvolta, in
inflessioni preromantiche nell’uso insistito del cromatismo
nelle voci interne o nell’impiego di soluzioni armoniche
ricercate, un omaggio ad un binomio che unì anche Wolfgang
Amadeus Mozart e Lorenzo Da Ponte, nel Don Giovanni dal cui
duetto “Là ci darem la mano” è tratto il tema per le
virtuosistiche variazioni. L’ opera mozartiana si è fin da
subito ritagliata un posto a sé stante nella vasta produzione
da camera per archi e fiati, per via della sua originalità e
del ruolo preminente che occupa nel repertorio
clarinettistico. Il clarinetto riveste un ruolo squisitamente
protagonistico, che ne mette in risalto le notevoli
possibilità timbriche e dinamiche, la morbidezza e la
plasticità nelle frasi legate, l’agilità e la spontaneità
negli incalzanti fraseggi e nei conseguenti passaggi
virtuosistici. Il finale della serata sarà dedicata
interamente all’esecuzione del clarinet quintet K.581
“Stadler”. Si tratta, come si può arguire da queste poche
note, di una composizione adatta a un gruppo di virtuosi, in
grado di restituire la ricchezza espressiva e le debite
sfumature stilistiche, che necessitano di un perfetto
equilibrio e di un notevolissimo affiatamento. Non dobbiamo
poi dimenticare quanto simbolicamente questa composizione
abbia a che fare con la dimensione massonica di Mozart e dello
stesso Stadler, il dedicatario della misteriosa pagina,
attraverso l’utilizzo di uno strumento quale il clarinetto
bassetto, ricerca, intenzione, cesello, purtroppo esigue, per
una esecuzione d’intenzione moderna con una scelta di
filigrana sonora ancorata a una visione debitamente
intimistica, ma senza le ombre necessarie che hanno relegato
il quintetto in una sonorità immanentistica, in particolare
nel Larghetto in Re. Le note musicali segnate sul pentagramma
non suscitano emozione di per sè: l’emozione nasce dal
suono. I maestri hanno il dovere di lanciare e far conoscere i
talenti. Ad aprire il concerto sarà l’undicenne oboista
Salvatore Ruggiero di Airola. Suono speciale e pluripremiato,
in concorsi internazionali grazie ai suoi insegnanti,
Salvatore Fucci e Francesco Di Rosa dell’Accademia di Santa
Cecilia, con un omaggio ad Ennio Morricone, per il quale ha
scelto l’intenso solo di Mission.

Poker di Re alla Reggia di
Caserta
Presentato ieri mattina il cartellone di “Un’Estate da re”,
giunta alla sua V edizione, allestito da Antonio Marzullo: Sir
Antonio Pappano, Daniel Oren , Vittorio Grigolo e Placido
Domingo, con l’eterna regina Lina Sastri e l’étoile Giuseppe
Picone. Sei appuntamenti stellari con cinque concerti e un
balletto, per animare la nostra piccola Versailles, tra la
grande Piazza San Carlo e l’Aperia
Di OLGA CHIEFFI

Il lustro è il primo piccolo traguardo che conferma la bontà
del progetto e “Un’Estate da Re”, festeggerà dal 30 luglio al
13 settembre con sei prestigiosi appuntamenti la sua quinta
edizione. Antonio Marzullo ha scelto i suoi re e la sua corte
in quest’anno speciale, per un’estate che dovrà traghettarci
all’autunno con l’apertura dei teatri. Una soluzione deve
essere trovata anche per i massimi di Salerno e Napoli, se ne
discuteva con Daniel Oren, splendido protagonista all’Arena
del Mare del capoluogo salernitano, poichè la musica si fa in
sala. Il governatore Vincenzo De Luca lo sa e si evince dalle
sue dichiarazioni “In questo anno così difficile abbiamo
deciso di puntare ancora di più sul turismo culturale, che è
stato particolarmente colpito dalla pandemia. È un segnale
forte che intendiamo dare perché è dalla cultura e che può e
deve continuare il nostro cammino di sviluppo e di ripresa su
tutti i fronti”. Qualche teatro ha già trovato il modo, come
la Fenice di Venezia, si suona in platea, alcune sedute sono
anche in palcoscenico, trasformato in una grande nave, con cui
riprendere un viaggio interrotto, ormai, da troppo tempo o il
Rossini Opera Festival, con l’Orchestra anche lì fuori buca,
cantanti in palcoscenico e pubblico nei palchi. Il cartellone
presentato ieri mattina a Palazzo Santa Lucia, prevede sei
appuntamenti che, sebbene riservati a una platea ridotta dalle
misure anticovid 19, saranno accessibili a tutti con le
riprese di Rai Cultura e fruibili in diretta su Radio3. “Un’
Estate da Re” vede anche quest’anno un’intensa collaborazione
tra il Teatro di San Carlo di Napoli e il Teatro Verdi di
Salerno, con la partecipazione dell’Orchestra dell’Accademia
di Santa Cecilia. Si inizia il 30 luglio con “Omaggio a
Beethoven” di Sir Antonio Pappano che dirige l’Orchestra
dell’Accademia Nazionale di Santa        Cecilia, nella sua
interpretazione della Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 e
della Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93. In occasione del
concerto inaugurale, Enel, storico Socio Fondatore dell’
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, sarà al fianco
dell’Orchestra, illuminando la Reggia con i colori della
bandiera italiana, un modo per valorizzare uno dei monumenti
più belli al mondo e per rendere omaggio al nostro Paese e
alla ripresa attraverso la cultura e la musica. Si continua
il 3 agosto con Daniel Oren che dirigerà la “sua” Filarmonica
Salernitana Giuseppe Verdi in “Summertime”, una serata che
sarà incorniciata dalle più amate melodie del melodramma
create da Puccini, Verdi, Bizet e affidate due stelle del
gotha musicale quali, il tenore Vittorio Grigolo, il
“pavarottino” e il soprano Sonya Yoncheva. Il 13 agosto sarà
il carisma di una delle regine del teatro napoletano, Lina
Sastri, a conquistare il pubblico con un recital dedicato al
suo Maestro, Eduardo. Storie, canzoni, brani teatrali
accompagnati dall’Orchestra Filarmonica Salernitana con la
direzione del Maestro Antonio Sinagra, per comporre un
incredibile canzoniere dove le suggestioni, le intonazioni, le
evocazioni di un vernacolo, che è più una lingua che un
dialetto, si trasforma in un canto ora dolente, ora euforico,
capace di esprimere l’eterno incanto dei sensi, di questa
fascinosa e misteriosa Partenope. Un viaggio nell’anima che si
rinnoverà evocativamente, sull’onda dell’emozione, delle
parole e della musica. Grande attesa per l’evento clou di
questa edizione, il “Gala di Plácido Domingo” che si terrà
nella piazza Carlo di Borbone, con la facciata della Reggia a
fare da sfondo: il 22 agosto torna in Italia dopo anni uno dei
più amati e celebri cantanti d’opera con arie e duetti da
Opera e Zarzuela di Verdi, Giordano, Giménez, Moreno-Torroba,
Serrano, Sorozábal, con al suo fianco l’interessante voce del
soprano Saioa Hernàndez e Jordi Bernàcer alla guida
dell’Orchestra Filarmonica Salernitana. A settembre
protagonista di “Un’ Estate da Re ” sarà il Massimo napoletano
con due appuntamenti di grandissimo livello che chiuderanno
questa edizione: il 12 settembre “Arie d’Opera” con il
soprano Carmen Giannattasio, il tenore Saimir Pirgu e
l’Orchestra del Teatro di San Carlo diretta da Maurizio
Agostini e il 13 “Le quattro stagioni di Vivaldi” con il
Balletto del Teatro di San Carlo, étoile Giuseppe Picone, che
impersonerà il Vento, avvolgente, mutevole,           gelido,
“tempestuoso”come il periodo appena superato.

I Vitelloni: doppio omaggio a
Federico Fellini e Alberto
Sordi
Terzo appuntamento, questa sera, al teatro delle Arti, alle
ore 20, con la rassegna cinematografica che donata dal Premio
Charlot

Di OLGA CHIEFFI

Ma chi sono “I Vitelloni”? E’ il primo termine inventato da
Federico Fellini, prima del più celebre “paparazzo”, essenza
della “Dolce Vita”. Questa sera e domani, infatti, il terzo
appuntamento con la mini rassegna cinematografica organizzata
nell’ambito della XXXII edizione del Premio Charlot e dedicata
al regista italiano Federico Fellini, al cinema teatro Delle
Arti di Salerno, alle ore 20, prevede la proiezione de’ “I
Vitelloni”, datato 1953. E’ questo un doppio omaggio, poichè
tra i “Vitelloni”, Alberto è interpretato da Alberto Sordi,
del quale come per Federico ricorre il centenario della
nascita. Il film come tutte i capolavori di Federico Fellini,
nasce dal sogno e dall’ intimo divertimento di “farli”, con
amici quali Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, e l’ “amico Magico”
Nino Rota per le musiche. infatti non portano la parola fine
nei titoli di coda. Vitellone è un termine inventato o
accettato dal regista per designare il giovane perdigiorno,
già abbastanza stagionato, che ha qualcuno che lo mantiene. Io
direi lo “sfessato”. Nessuno di loro sa bene che cosa vorrebbe
fare: i piccoli lavori, le piccole occupazioni che la
cittadina di provincia potrebbe offrire alla loro scarsa
preparazione, vengono sistematicamente disdegnati. Ed eccoli i
Vitelloni, Moraldo (Franco Interlenghi) è il più inquieto e
sensibile del gruppo, Riccardo (Riccardo Fellini) è un
fanciullone con una bella voce da cantante, Leopoldo (Leopoldo
Trieste) è un sognatore che insegue una irraggiungibile gloria
letteraria, Alberto (Alberto Sordi) ama la burla, non manca di
piccole vigliaccherie ed è attaccato alla madre, infine c’è
Fausto (Franco Fabrizi) che si considera il più affascinante
del gruppo, è il latin lover non privo di infantilismi. I
cinque trascorrono gran parte della giornata al caffè ,
giuocano al biliardo, non sanno che organizzare scherzi e
beffe, parlare di donne, sognare viaggi e avventure. Poi, a
notte avanzata, dopo aver fatto a spinte e saltato i colonnini
della piazzetta, non riescono a far altro che tornare a casa,
un po’ divertiti, un po’ immalinconiti come tutte le
sere. Tutto è destinato a cambiare quando l’asprezza della
vita si paleserà loro sotto forma di una famiglia allargata
stanca di portarseli appresso, tra alti e bassi i cinque
verranno catapultati nella vita vera, con tutto quel che ne
consegue nel bene e nel male. L’unico che parte davvero è però
Moraldo, l’alter ego di Federico Fellini: se ne va una mattina
alla stazione, senza di niente, col cuore pieno di speranze e
di rimpianti. Tra le sequenze indimenticabili quella del
veglione di Carnevale, le maschere, l’ubriacatura, i tentativi
di approccio sentimentale, la conclusione squallida con un
grandissimo Alberto Sordi piagnucolante, che ha per un momento
la lucidità dei suoi fallimenti.

“Il segreto dei segreti” di
scena al Ghirelli
di Monica De Santis

E’ stato presentato ieri mattina a Palazzo di Città il
programma di appuntamenti del Teatro Ghirelli, che con lo
spettacolo “Il segreto dei segreti” nell’ambito del progetto
“Spettattori”, allieteranno il pubblico a partire dal prossimo
16 luglio ed in replica fino all’8 agosto. Lo spettacolo
scritto da Michele Paolillo ed Andrea Carraro che ne firma
anche la regia vedrà come protagonisti quattro attori che in
scena saranno rigorosamente distanziati tra di loro, e sono
Claudio Lardo, Pompeus Macer / Antaios, Cinzia Ugatti,
Sacerdotessa / Arunthia / Arinth, Amelia Imparato, Camilla /
Larthi Ultnach / Athel, Mattia Cianci, Abas / Arruns / Gran
Sacerdote / Strymor / Velthur. Distanziamento obbligatorio
anche per il pubblico così come prevedono le nuove
disposizioni anti Covid. Dunque per ogni replica i posti
disponibili saranno solo 30 ed è obbligatoria la prenotazione.
Per informazioni si può contattare il numero 3499438958.

Lo spettacolo ruota intorno alla storia di Pompeo Macro,
bibliotecario dell’Imperatore Augusto, che nel 28 a.C.,
intraprende un viaggio nelle terre degli antichi etruschi, per
scoprire alcuni segreti sulle vere origini di Roma. Sarà una
formidabile e misteriosa avventura nel tempo, nell’arco di un
millennio, testimoniata prima dalle voci dei Troiani sbarcati
con Enea nel Lazio, poi da quelle degli indigeni massacrati,
infine da quelle del popolo etrusco, che, dopo un lungo
periodo di prosperità,verrà sconfitto e assorbito dalla
potenza di Roma.
Pompeo Macro apprenderà dagli Etruschi la loro particolare
concezione del tempo e della scrittura. Ma, soprattutto,
acquisirà precise conoscenze da riferire al poeta Virgilio per
la stesura dell’Eneide,poema commissionato dall’Imperatore
Augusto per celebrare il mito di Roma.
Premio Charlot: Al cinema
Delle Arti si proiettano I
Vitelloni di Fellini
Terzo appuntamento domani 16 luglio alle ore 20, con la mini
rassegna cinematografica organizzata nell’ambito della XXXII
edizione del Premio Charlot e dedicata al grande regista
italiano Federico Fellini. La serata si terrà al cinema teatro
Delle Arti di Salerno. Domani sera alle ore 20 ed in replica
venerdì 17 sempre alle ore 20, si terrà la proiezione de I
Vitelloni, film diretto Fellini ed uscito nelle sale nel 1953.
La pellicola ottenne nello stesso anno il Leone d’argento al
Festival di Venezia ed ancora nel 1954 ai nastri d’argento
vinse come miglior regia, miglior produzione e miglior attore
non protagonista (Alberto Sordi). Nel 1958 ottenne la
candidatura agli Oscar per la sceneggiatura che fu scritta
dallo stesso Fellini con Ennio Flaiano e Tullio Pinelli. Il
film fu proiettato per la prima volta in forma privata presso
Porta San Paolo a Roma alla presenza di giornalisti,
produttori e critici che accolsero la pellicola con freddezza.
Ma Fellini si riscatto poco dopo. Infatti I Vitelloni, fu il
suo primo film distribuito anche all’estero e divenne nel giro
di poco tempo campione d’incassi in Argentina, ed ottenne
molti consensi in Francia e Gran Bretagna. Negli Stati Uniti
fu proiettato nel 1956. La trama del film era stata scritta
per essere collocata inizialmente a Pescara, ma Fellini decise
poi di cambiare location e di ambientare il film a Rimini. Le
riprese si tennero tra Roma, Firenze, Viterbo ed Ostia.
Nell’ultima scena del film la battuta di Moraldo che saluta
Guido dal treno è doppiata da Federico Fellini stesso per
rimarcare l’elemento autobiografico della sua partenza dalla
città natale. Tra i protagonisti de I Vitelloni ricordiamo
Alberto Sordi, Franco Fabrizi, Riccardo Fellini, Paola
Borboni, Leonora Ruffo, Carlo Romano, Giovanna Galli, Leopoldo
Trieste, Guido Martufi, Silvio Bagolini, Franco Interlenghi,
Jean Brochard, Claude Farell, Enrico Viarisio.

Il film è incentrato sulle vicende di un gruppo di cinque
giovani: l’intellettuale Leopoldo (Leopoldo Trieste), il
donnaiolo Fausto (Franco Fabrizi), il maturo Moraldo (Franco
Interlenghi), l’infantile Alberto (Alberto Sordi) e
l’inguaribile giocatore Riccardo (Riccardo Fellini). I cinque
sono giovani uomini tra i 20 ed i 30 anni, vivono nella
piccola cittadina di Rimini tra la bella vita dell’Italia
ricostruita, luci notturne, donne, vacanze, automobili. I
cinque sono tutti single, disoccupati e mantenuti. Ma tutto è
destinato a cambiare quando l’asprezza della vita si paleserà
loro sotto forma di una famiglia allargata stanca di
portarseli appresso, tra alti e bassi i cinque verranno
catapultati nella vita vera, con tutto quel che ne consegue
nel bene e nel male.

Per assistere alla proiezione gratuita del film è obbligatoria
la prenotazione telefonando ai numeri 089221807 oppure
3274934684.

Blas Roca Rey di scena a
Salerno con l’omaggio a van
Gogh “Lettere a Theo”
di Monica De Santis

Blas Roca Rey è sicuramente tra gli attori teatrali più amati
e apprezzati. Noto anche per le sue numerose partecipazioni a
fiction e film di grande successo. Vanta nel suo curriculum
una nomination agli Oscar per la sua partecipazione al
cortometraggio “Exit” di Pino Quartullo e Stefano Reali che fu
candidato come miglior corto. Peruviano di origine, figlio di
uno scultore, è padre di quattro figli, due dei quali
impegnati nella musica… “Rocco, il mio secondo figlio fa il
musicista, studia musica da quando aveva 6 anni. Francisco che
è il terzo, ha 16 anni e frequenta ancora il Liceo compone
rap. Paolo, invece che è il mio primo figlio, ha 29 anni ed ha
deciso di voler seguire le mie orme. Fa l’attore, anche se
inizialmente ho certo di fargli cambiare idea. Non perché ci
fosse qualcosa di sbagliato nel fare l’attore, ma
semplicemente perché è una carriera difficile, dove le
delusioni sono tante, molte di più delle gioie. E poi c’è la
piccolina Anna, che ha 3 anni ed ha stravolto la mia vita,
sono innamorato di lei. Un po’ come tutti i padri con le
figlie”.

Che padre è?

“Non sono un mammo, questo è certo. Anzi quando qualcuno mi
definisce così mi arrabbio. Sono un padre che cerca di essere
presente, partecipe delle loro esperienze di vita. Ho quattro
figli, nati da tre diverse madri. La cosa che adoro di più è
riuscire a tenerli tutti e quattro con me. Non è una cosa
semplice, però ci riesco spesso ed è bello, anche se hanno età
e madri diverse, è bello vedere che vanno d’accordo e che
hanno piacere a stare del tempo non me”.

Ma   come ha vissuto questo tempo sospeso?

“Come tutti, preoccupato, rassegnato, attonito. Per un attore
che vive e racconta emozioni questo stato di cose, questo
clima che vivevamo mi ha colpito molto, dandomi sensazioni ed
emozioni contrastanti. Comunque ho anche cercato di prendere
le cose buone che questa situazione per quanto terrificante,
ci stava donando. Ad esempio ho potuto godermi mia figlia.
Visto il mestiere che faccio, che poi è lo stesso di mia
moglie Monica Rogledi, non sto molto a casa. Mi sono divertito
a giocare con lei. Giocavamo talmente tanto che la sera ero
distrutto.

Quali impegni di lavoro ha dovuto annullare o rinviare a causa
di questo Covid-19?

“Due lavori. Il primo è uno spettacolo teatrale “La Schiava di
Picasso”, del quale sono il regista e che vede come
protagoniste mia moglie Monica e Rossana Casale. Dovevamo
debuttare l’8 marzo, ma siamo riusciti a fare solo la prova
generale. Poi invece avevo programmate 5 repliche
dell’Odissea, spettacolo riscritto in parte anche da me. Ed
anche queste sono saltate. Ora aspettiamo e vediamo come
procede la situazione e riusciamo a rimettere in scena
entrambi i lavori. Poi avevo anche in programma due concerti –
spettacolo con un gruppo musicale di Roma. Io dovevo fare la
voce narrante e loro avrebbero eseguito brani di musica
cilena”.

Ha   nuovi   progetti,   nuove   idee   che   potremmo   vedere
prossimamente in teatro?

“Difficile parlare di progetti nuovi. Adesso lo scopo di tutti
è quello di cercar di recuperare le date che sono state
annullate durante questi mesi. Diciamo che l’inizio della
prossima stagione teatrale vedrà girare in tutt’Italia,
ovviamente se le condizioni lo permettono, quegli spettacoli
che non si sono potuti mettere in scena da marzo ad oggi. Io,
comunque, due progetti teatrali nuovi li ho. Però non ne parlo
per scaramanzia, posso solo dire che in uno dei due progetti è
coinvolto il regista catanese Giovanni Anfuso. Sono due
progetti che se tutto va bene vorrei proporre per la prossima
estate. Ma per ora è presto, ne riparliamo tra qualche mese”.

Che cosa rappresenta per lei il teatro?

“La mia casa. Quando sto in teatro è come quando sto a casa,
in pantofole. E’ una cosa meravigliosa, fare teatro è ogni
volta un’esperienza unica. Sono molto legato al teatro, sono
legato al contatto con il pubblico. E’ un rapporto che non si
può spiegare. Quando si è in scena senti la presenza del
pubblico, senti il calore, percepisci le loro emozioni e
capisci anche se ciò che stai proponendo piace oppure no.
Tutte cose che con la televisione o con il cinema arrivano
dopo, quando il prodotto viene messo in onda. Invece in teatro
tutto è immediato, tutto è più veloce e sincero”.

Tra i tanti spettacoli fatti uno che non rifarebbe mai più?

“Uno c’è. Ma non perché era brutto lo spettacolo. Non lo
rifarei perché la mia compagna di scena era terribile. E’
stata una tortura quella tournèe, ovviamente non faccio nomi
per correttezza, ma se potessi tornare indietro non accetterei
più quella scrittura”.

Invece il suo rapporto con il cinema?

“Mi ritengo una persona molto fortunata. Ho lavorato con
registi incredibili come Muccino, Maselli, Longoni, solo per
citarne alcuni. Mi piace il cinema, un po’ meno del teatro,
però mi piace. Poi ho tanti bei ricordi. Con Muccino ad
esempio siamo grandi amici. Con lui ho fatto una serie di
cortometraggi. Era proprio agli inizi della sua carriera. E
poi mi ha voluto in due dei suoi film ‘Ecco fatto’ e
‘Ricordati di me’. Abbiamo legato subito. Prima ci
incontravamo spesso, adesso un po’ meno, a causa degli
impegni, la famiglia, ma l’amicizia resta”.

Ha un sogno nel cassetto?

“Sì, ne ho due. Uno serio ed uno bizzarro”

Ci racconta quello serio?

“Mi piacerebbe fare un Checov o uno Shakespeare magari un bel
Re Lear”
E quello bizzarro?

“Mi piacerebbe tanto interpretare il ruolo di uno che corre
con la pistola in mano. Lo so è una cosa bizzarra, ma ho
sempre sognato un giorno di fare la parte di uno che corre con
la pistola. Che poi non è neanche una cosa difficile da fare.
Potrei essere il cattivo che corre per sfuggire a qualcuno, o
anche il buono che insegue il cattivo. Per me è indifferente,
se mi offrono un ruolo dove devo correre con una pistola
accetto subito”.

Intanto cosa farà?

“In queste settimane, stiamo cercando di riorganizzarci. Farò
qualche data del mio spettacolo, che è uno struggente omaggio
a Vincent Van Gogh “Le Lettere a Theo”, con il quale sarò
anche a Salerno, il prossimo 15 settembre al Teatro Augusteo,
insieme con il Maestro Luciano Tristaino ai flauti”.

Daniel Oren e il concerto del
Destino
E’ stato un nuovo debutto quello che ha salutato il direttore
artistico del nostro massimo ritornare alle scene dopo il
lockdown, all’arena del mare di Salerno. Un concerto funestato
dal vento ma, durante il quale, si è andati tutti oltre la
musica. Primo omaggio a Ennio Morricone in assoluto tributato
da un’orchestra.

Di OLGA CHIEFFI

Emozione palpabile da parte di tutti, pubblico, orchestrali,
direttivo del teatro Verdi per questo concerto simbolo, che ha
segnato la ri-partenza della musica “seria” per dirla con
Wiesengrund Adorno, dall’Arena del Mare di Salerno, da dove si
è intrapreso un nuovo viaggio, con la passione di sempre. Il
vento ha, purtroppo, funestato la serata, mettendo fuori uso i
microfoni panoramici, creando turbini di spartiti che hanno
inondato la platea, ma non vogliamo ostinarci in prospettive
esclusivamente musicali, poichè domenica si è andati tutti
oltre la musica. Il concerto “eroico” lo abbiamo fatto noi,
con Daniel Oren che ha attaccato “Il canto degli Italiani”,
del quale difronte all’avversità, alla Morte, alla sofferenza,
si è tornati a far nostra l’essenza. Poi, quei tre mi di
ottoni e fagotti ripetuti due volte, della sinfonia de’ “La
forza del destino” di Giuseppe Verdi, col suo tema mugghiante,
che porta ad ascoltare il silenzio tra le note, dipingendo
immediatamente una atmosfera carica di pathos, per
sottolineare il respiro di quel fato incombente che riflette
la realtà circostante e annuncia la catarsi, ha aperto a
sorpresa il concerto. La ripetizione è stato il motivo
conduttore della serata, due incipit ardui da interpretare,
come quello della sinfonia della Forza del Destino e, a
seguire, quello della Quinta Sinfonia di Ludwig Van Beethoven,
ai quali noi non vogliamo attribuire questo o quel
significato, questo o quell’effetto. E’ l’interprete, ma anche
l’ascoltatore che è un interprete a suo modo, che deve
decidere quale dei tanti significati possibili sia il più
giusto, il migliore, il più bello. Le ripetizioni della V sono
state all’Arena, come il roteare di una fionda, da cui si è
staccato il fulmineo sasso, il mulinare di una girandola di
fuoco, un passo innanzi verso un punto d’arrivo atteso,
clamoroso e luminoso. In Beethoven l’orchestra si ingrossa
progressivamente, da pochi a tanti strumenti, la scelta di un
progressivo scatenarsi dell’energia, mediante una ripetizione
con significato progressivo, ha comportato una scelta che è la
discriminante dello stile di Oren, quella di muovere
maggiormente il tempo quando si è a piena formazione. Difatti,
mai i passaggi con pochi strumenti (legni in particolare, ma
anche archi, quando rimangono soli come all’inizio
dell’Andante, sono apparsi così teneramente carichi di
presagi, o di desideri di riflessione, nel bel mezzo dello
scatenamento dell’azione. La dinamicità vitalistica , leggera,
poi degli ultimi due movimenti ha schizzato per Oren,
un’immagine solare di Beethoven, un Michelangelo pulito dai
fumi di candela e dalle muffe, in cui il nostro direttore ha
riscoperto il nerbo delle muscolature, il nervosismo dei
contrasti di colore. Applausi scroscianti per una rilucente
gemma della letteratura sinfonica, per poi attaccare la prima
e la quinta delle danze ungheresi di Johannes Brahms , in cui
Daniel Oren ha posto in luce, in un contesto di straordinaria
morbidezza e naturalezza espressiva, le invenzioni ritmiche e
timbriche di un linguaggio musicale tanto sofisticato e
organicamente organizzato, quanto carico di tensione
emozionale. Dopo il saluto del Maestro al suo pubblico, che ha
rincontrato dopo quattro mesi di distanza, in cui ha
confessato di essergli venuto a mancare il “pane”, che è
quello studio faticoso, anche disperato, per la “scadenza”, la
“data”, l’esibizione, il confronto con la platea, la tensione,
l’applauso, l’Ouverture-Fantasia in Si Minore Romeo e
Giulietta di Per Ilic Cajkovskij è stata sostituita da un
Tribute to Ennio Morricone. Arrangiamenti discutibili, per una
vera e propria “cavalcata” tra le melodie più intense del
genio italiano, passando per le “lungaggini” di “Nuovo Cinema
Paradiso” e “C’era una volta in America”, dello struggente
Gabriel’ oboe di Mission, conclusa con gli ululati dei coyote
de’ “Il buono, il brutto, il cattivo”, bissato, al seguito di
una entusiasta standing ovation. Grazie a questa sferzata di
energia la sfida continua e il 9 settembre ci ritroveremo
tutti in teatro.
Felice       D’Amico,      il
“violinista pazzo” da Salerno
alla corte di Al Bano
di Erika Noschese
 La sua vita è legata, indubbiamente, alla musica. Figlio
d’Arte, Felice d’Amico ha iniziato da bambino ad approcciarsi
al magico mondo della musica, dapprima con il pianoforte e poi
con il violino, lo strumento che lo accompagna dall’età di 14
anni. Vive a Vietri sul Mare ma ha portato la sua musica in
giro per il mondo, da Montecarlo ai Caraibi, passando per la
Lapponia. Presto, è stato ribattezzato il musicista pazzo
perchè, ammette Felice, «non riesco ad essere serio,
intrattendo i miei ospiti con la simpatia» ma, aggiunge, «con
tempo ho imparato a distinguere le persone, non tutti amano
scherzare».
Come facilmente prevedibile, l’emergenza Coronavirus ha
portato con sé una serie di problematiche ma qualche nota
positiva c’è: da 115 giorni suona, ogni sera, in diretta
facebook e questo gli ha permesso di aumentare la sua
popolarità. Felice, come nasce la tua passione per la musica,
a quanti anni inizi a suonare?
«Io vengo da una famiglia di musicisti. Mia sorella insegnava
pianoforte in conservatorio, mia mamma era pianista e noi
fratelli suoniamo. Sono nato con la musica e tra la musica,
possiamo dire. Ho iniziato a suonare ufficialmente a suonare a
casa il pianoforte all’età di 11 anni; successivamente, ho
conosciuto un bravo violinista di Cava de’ Tirreni che mi ha
chiesto di cambiare strumento ed ho accettato, iniziando a
suonare il violino all’età di 13 anni. Poi, mi sono iscritto
al conservatorio San Pietro a Majella di Napoli all’età di 14
anni: facevo il magistrale a Cava de’ Tirreni, uscivo da
scuola e correvo a prendere la sita per Napoli per poi
trasferirmi al conservatorio di Salerno. Poi, ho lasciato gli
studi di musica classica per iniziare quella di musica leggera
e sono felice di aver fatto quella scelta».
Tu oggi sei conosciuto come il “violinista pazzo”. Cosa
significa?
«Me lo hanno attribuito gli altri perché durante una mia
esibizione puoi aspettarti di tutto, che mi sieda sulle gambe
di qualcuno, che poggi il violino sulla testa di qualche
persona, che faccia qualche smorfia. Ma è il mio carattere,
sono gioviale e non a caso mi chiamo Felice, io non riesco ad
essere serio per molto tempo. Ho fatto un matrimonio a
Montecarlo di due americani, erano tutti in smoking ma ad un
certo punto mi sono accorto di poter “osare” e ci siamo
divertiti tanto tutti, gli americani erano impazziti; non
riesco ad avere un atteggiamento serioso per tutta la durata
dell’evento, soprattutto se mi accorgo che le persone vogliono
divertirsi e quando me ne accorgo non perdo occasione di fare
smorfie, sedermi sulle gambe, fare il simpatico ma,
ovviamente, sto molto attento alle persone con cui giocare:
non tutti, magari, vogliono farlo e l’esperienza mi ha
insegnato con chi poter giocare e chi no».
Da Vietri sul Mare hai portato la tua musica in tutto il
mondo, sei stato anche ai Caraibi…
«Sì, ho suonato a Mosca e San Pietroburgo per conto di Al Bano
Carrisi e ho suonato anche in Lapponia durante un congresso.
Ogni anno suono ai Caraibi, Montecarlo, Francia, Germania,
Monaco. Diciamo che ho fatto un po’ di gavetta». Quanto
l’emergenza Coronavirus ha colpito te e il tuo settore?
«Al momento è stato determinante perché durante la mia
quarantena ho iniziato a fare delle dirette sui social e
questo ha fatto crescere in maniera esponenziale la mia pagina
con oltre 32mila follower tanto che Facebook mi ritiene un
personaggio pubblico, attribuendomi in automatico il bollino
blu. Ora, mi stanno scrivendo aziende che vogliono pubblicità
e diciamo che mi sto intraprendendo la strada dell’influencer
anche se in piccolo perché ho iniziato da poco ma se procede
così la cosa non è detto che io un domani non possa fare
davvero l’influencer. Ho davvero tante persone che mi
seguono».
Dunque, un aspetto positivo c’è…
«Assolutamente sì, mi ha fatto crescere e conoscere da tante
persone. Sono 115 giorni che, ogni sera, mi collego in diretta
per suonare e ci sono persone che, esattamente da 115 giorni,
attendono le mie dirette. Questo mi fa stare bene perché mi fa
capire che sono amato e per un’artista è un aspetto
fondamentale». Come è stato riprendere il contatto con le
persone, ricominciare a suonare tra la gente? «Io ho avuto la
mazzata perché moltissimi eventi sono stati rinviati all’anno
prossimo, ne ho recuperato solo qualcuno ma la maggior parte è
tutto rinviato. La batosta, anche a livello economico, c’è
stata ma è stato bellissimo ricominciare: una rimpatriata con
sé stessi, con la musica, con chi, dopo avermi seguito sui
social, ha voluto incontrarmi personalmente e posso ammettere,
con orgoglio, che le mie serate sono tutte sold out e
tantissime sono le persone che hanno voluto salutarmi di
persona».
Quali sono i tuoi progetti futuri?
«Sto lavorando ad un progetto molto importante: ho scritto,
per un amico di Al Bano, una canzone italo-cinese, credo sia
il primo caso al mondo. E’ un pezzo molto forte, ascoltato
anche da Al Bano e a lui è piaciuto. Non siamo ancora pronti
perché le frontiere sono ancora chiuse e questo ragazzo cinese
non può venire in Italia: senza la sua voce non possiamo
andare avanti con la canzone ma fatto questo lo lanceremo in
Cina e in Italia ed è un progetto a cui tengo particolarmente,
soprattutto perché potrebbe essere lanciato sul mercato cinese
e per me sarebbe motivo di orgoglio. Poi, Al Bano mi ha
chiesto di rifare i suoi pezzi al violino: cinque sono già
pronti, mi mancano altri sei ma ci vuole tempo ed attenzione».
I viaggi all’estero sono ancora bloccati. Sai già quando
ricomincerai?
«Mi sono perso New York e Toronto ma spero che il prossimo
anno mi riconfermino. Mi hanno “scoperto” durante una fiera a
Colonia e me ne hanno proposto altre due, proprio a New York e
Toronto ma sono saltate per il Covid. Si spera di poter
recuperare il prossimo anno».
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