Frida Kahlo e Diego Rivera ognuno nei dipinti dell'altro

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Frida Kahlo e Diego Rivera ognuno nei dipinti dell’altro
Saggio in catalogo di Helga Prignitz‐Poda

Frida Kahlo e Diego Rivera erano due artisti profondamente diversi e avevano con l’arte un rapporto
altrettanto discordante. Per illustrare questa diversità metterò qui a confronto le opere in cui si sono
reciprocamente ritratti, restituendoci così la percezione che l’una aveva dell’altro. Entrambi messicani
di nascita, trascorsero insieme venticinque anni: a parte questo, almeno all’inizio non avevano molti
punti in comune. Eppure, nonostante la loro turbolenta relazione e i ripetuti tradimenti reciproci,
nessuno dei due riusciva a concepire una vita senza l’altro.
Il loro stile così diverso corrisponde a due biografie altrettanto contrastanti. Quando conobbe Frida
Kahlo, Rivera aveva quarant’anni ed era già un artista riconosciuto al di fuori del Messico. Era nato a
Guanajuato, una città famosa per le sue miniere d’argento, nel 1886, quando la cultura messicana
aveva ancora un rapporto di forte dipendenza dai modelli europei. L’orientamento delle élite
messicane era ancora di stampo europeo, anche se il paese era politicamente indipendente dall’impero
coloniale spagnolo dal 1810‐1821. L’infanzia di Rivera fu perciò segnata dal periodo prerivoluzionario
del porfiriato. Fin da bambino apparve molto dotato nel disegno, tanto che i genitori gli permisero di
frequentare – per sette anni –l’Accademia d’arte. Nel 1907 (l’anno di nascita di Frida Kahlo), grazie al
suo grande talento, il governatore gli assegnò una borsa di studio per l’Europa che gli permise di
recarsi prima in Spagna, poi in Francia e in Belgio, dove poté perfezionare la sua arte sull’esempio dei
maestri europei. Dal 1907 al 1909 studiò le opere della scuola spagnola: Velázquez, El Greco e Goya.
Tra il 1909 e il 1912 si concentrò invece sull’arte francese, approfondendo la conoscenza di Cézanne e
del pointillisme, Signac e Seurat. Infine, durante gli ultimi due anni della borsa di studio, tra il 1913 e il
1914, si confrontò con il cubismo.
Profondamente influenzato da artisti come Modigliani, Picasso, Gris e Braque, in questi anni Rivera
sembrava assorbire tutto come una spugna, e creò lui stesso alcuni capolavori del cubismo. Alla fine
del soggiorno europeo, trascorse alcuni mesi in giro per l’Italia, dove trasse ispirazione soprattutto dai
dipinti murali del Rinascimento, come dimostrano il suo album di schizzi e i murales che dipingerà in
seguito.
Ma il periodo europeo fu un’esperienza che arricchì l’artista non solo dal punto di vista professionale.
Quando in Messico la sua futura moglie Frida Kahlo aveva appena compiuto due anni, a
Montparnasse Rivera sposò l’artista russa Angelina Beloff, di sette anni maggiore di lui, e si trasferì
con lei in uno studio dove vissero insieme per dieci anni. La coppia ebbe anche un figlio, che però
morì prima di compiere un anno. In quel periodo Diego diventò l’amante di Marevna, un’altra artista
russa, e cominciò a vivere dividendosi tra due donne e due famiglie. Una vita da bohémien la sua,
tanto più che, in seguito al cambio di governo in Messico, il sussidio che percepiva da Veracruz non
arrivò più. Nel 1919 Marevna gli diede un’altra figlia: Marika.
Nel 1921 la situazione politica in Messico dopo gli anni rivoluzionari si era stabilizzata, e Diego tornò
in patria per mettere in pratica tutto quello che aveva imparato in Europa e dare un contributo
all’evoluzione dell’arte nel suo paese. Così lasciò le sue compagne e la figlia di due anni con la
promessa di ritornare un giorno – promessa che non mantenne mai. Dopo una formazione accademica
durata sette anni e un periodo di quattordici anni durante il quale aveva studiato tutte le tendenze
europee, si sentiva pronto a seguire fino in fondo la propria vocazione e dimostrare al mondo la sua
grandezza di artista. Con questo proposito, decise di lasciarsi il passato alle spalle.
Mentre Diego Rivera era all’estero, il Messico viveva un periodo di violenti mutamenti dovuti alla
rivoluzione (1910‐1917), che ebbe una ripercussione sui primi dieci anni di vita della futura pittrice. Il
padre di Frida, un fotografo di origine tedesca che lavorava principalmente per il governo porfiriano,
perse il suo cliente più importante. I mobili in stile classico lasciarono il posto a un arredamento più
modesto; la vita tranquilla che la famiglia aveva condotto fino a quel momento venne oscurata
dall’insicurezza economica. Molti anni dopo, Frida Kahlo ricorderà nel suo diario di aver visto le
vittime degli scontri rivoluzionari dalla sua finestra, e di come la madre si prendesse cura, in casa, di
alcuni feriti. Il sanguinoso conflitto proseguì anche dopo la fine ufficiale della rivoluzione con la
guerra Cristera, scoppiata quando la Chiesa e una parte della popolazione rurale insorsero contro la
legislazione d’impronta fortemente laica imposta dalla nuova Costituzione. Questa guerra, che
coinvolse l’intero paese, provocò ancora una volta migliaia di morti e durò fino agli anni trenta.
Quando Frida Kahlo iniziò ad andare a scuola, la situazione politica era leggermente più stabile. Nel
1917 era stato istituito un governo democratico che promulgò una nuova Costituzione. Fu l’alba di un
risveglio della coscienza nazionale. Il ministro dell’Istruzione Vasconcelos si propose di suscitare nella
popolazione un interesse per il nuovo corso tramite la creazione di grandi dipinti murali, che
avrebbero contribuito a rafforzare la cultura nazionale infondendo nei cittadini l’entusiasmo per la
grande impresa di edificazione dello Stato democratico. A questo scopo chiese il sostegno di tutti gli
artisti messicani contemporanei, i quali aderirono volentieri all’iniziativa. Anche Rivera, appena
tornato dall’Europa, iniziò a tradurre in immagini il programma di Vasconcelos. Il suo primo incarico
fu un dipinto per l’auditorium dell’Escuela Nacional Preparatoria, una scuola d’élite frequentata
proprio in quel periodo dall’allora quattordicenne Frida Kahlo. L’opera, dal titolo La creazione, è
considerata l’inizio del cosiddetto “rinascimento murale messicano” e mostra chiaramente i frutti del
viaggio in Italia di Rivera, che nel 1920 si era recato nei luoghi simbolo del Quattrocento italiano. Le
grandi figure ben elaborate sono colte in una posa classica e la composizione segue i principi di un
classicismo figurativo in cui l’artista si preoccupa di inserire elementi nazionali. Dopo aver assistito
alla realizzazione del murale per la sua scuola, la studentessa Frida Kahlo ne rimase profondamente
colpita.

Nel dicembre dello stesso anno in cui era tornato in Messico, Rivera si sposò di nuovo, stavolta con
una delle donne che avevano posato per il suo murale, l’avvenente Lupe Marin. In seguito, Frida
Kahlo scriverà nel suo diario di quanto già allora ammirasse il genio di Rivera, e ricorderà di aver
detto agli amici di scuola di volere dei figli da lui, un giorno. Annoterà anche che “quando Diego
sposò Lupe in chiesa, per lunghe notti pensai al giorno in cui io mi sarei sposata”.
Mentre lavorava ancora al suo primo murale (La creazione) Rivera ricevette un altro incarico per il
ministero dell’Istruzione e subito dopo per la scuola di agricoltura di Chapingo. Iniziò perciò a
sviluppare un’arte nazionale indipendente, che in brevissimo tempo divenne nota anche oltre i confini
del Messico. Si creò così un movimento di pittori in cui ognuno, nel modo che gli era congeniale,
diede un importante contributo alla nuova pittura murale messicana, discutendo e dipingendo
insieme e condividendo la militanza nel sindacato degli artisti. Come direttore artistico della rivista
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“Mexican Folkways” (1925‐1927), Rivera partecipò attivamente alla diffusione dell’arte popolare
messicana all’interno dei circoli intellettuali del paese.
I murales per il ministero della Pubblica Istruzione lo impegnarono per cinque anni, durante i quali
decorò i tre ordini di arcate disposti intorno a due cortili interni con oltre centocinquanta grandi
dipinti “politici”, articolati in cicli sui temi del lavoro e della festa. Quest’opera è considerata la prima
e più importante espressione concreta dei progetti governativi per la nuova arte, in uno stile realistico
e classico‐rivoluzionario non privo di elementi nazionalistici.
Nel frattempo Rivera era diventato membro del Partito comunista. Nel 1927‐1928 interruppe il lavoro
per qualche mese per partecipare alle celebrazioni del decimo anniversario della Rivoluzione
d’ottobre a Mosca. Ormai era un artista ammirato, tanto che fu nominato direttore dell’Accademia
d’arte nazionale. Dopo questo viaggio, la vita di Diego Rivera cambiò repentinamente. Si separò da
Lupe e si innamorò di Frida Kahlo dopo averla incontrata tramite la fotografa italiana Tina Modotti,
che entrambi già conoscevano per via del suo impegno politico.

Rivera dipinge il primo ritratto di Frida Kahlo nel 1928, poco dopo averla conosciuta e prima ancora
di sposarla: l’immagine rivela tutta l’ammirazione del pittore, che affida alla donna un compito
importante nel risveglio della nazione.
Frida è infatti la figura centrale del murale con cui si apre la grande ballata sulla rivoluzione nel cortile
interno del ministero della Pubblica Istruzione. Con indosso una camicia rossa decorata con la stella a
cinque punte, simbolo del comunismo, Frida distribuisce le armi ai combattenti che le si affollano
intorno. Sul bordo destro dell’immagine riconosciamo anche Tina Modotti che passa una cartucciera a
un soldato. Rivera rappresenta le due donne come attori importanti nel risveglio battagliero del paese
verso un nuovo capitolo della sua vita a cui sono collegate tante speranze. Rivera dà alla sua nuova
amante un aspetto maestoso.
All’epoca Frida Kahlo aveva superato il trauma dell’incidente avuto nel 1925, all’età di diciannove
anni, quando l’autobus su cui viaggiava si scontrò con un tram e un corrimano le trapassò un’anca.
Nel frattempo, comunque, aveva rinunciato al proposito di diventare un medico, optando invece per
la pittura.
Ispirandosi alle tendenze artistiche più recenti, durante la convalescenza aveva dipinto i primi ritratti
degli amici più stretti e anche il suo primo autoritratto, che donò al compagno di scuola Alejandro
Gómez Arias.

“Abbiamo iniziato di nuovo a parlare di Diego, che era tornato dalla Russia e aveva tenuto conferenze
sul teatro e sull’arte di quel paese. Sono andata ad ascoltarlo. In seguito ha iniziato a dipingere alla
Prepa e poi al ministero dell’Istruzione. […] Gli ho fatto vedere i miei quadri e gli sono piaciuti molto,
soprattutto l’autoritratto. Degli altri ha detto […] che dovrei provare a dipingere quello che voglio,
senza lasciarmi influenzare da nessuno.”

All’epoca Diego aveva quarantadue anni, era un uomo famoso, aveva viaggiato, era padre di quattro
figli e aveva tre matrimoni alle spalle. Frida invece era una ragazza di ventidue anni che non aveva
ancora completato la sua formazione. Si sposarono nell’agosto del 1929.
Il matrimonio fu celebrato civilmente, senza alcuna organizzazione particolare. Frida Kahlo – scrisse la
stampa – si presentò vestita semplicemente, e per quanto riguarda lo sposo non indossava neppure il
panciotto, come qualcuno osservò con tono critico. Non vennero invitati familiari o amici: gli sposi
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furono festeggiati in modo alquanto informale tra i panni stesi ad asciugare nella terrazza sul tetto
della casa di Tina Modotti. La tequila scorreva a fiumi e alla fine erano tutti ubriachi fradici; quando
Diego cominciò a scatenarsi, la sposa in lacrime si rifugiò nella casa dei genitori, che aveva lasciato
solo pochi giorni prima per andare con lui.
Qualche tempo dopo, Rivera realizzò una litografia con l’immagine del corpo perfetto della giovane
moglie assonnata, con indosso solo le scarpe e le calze, seduta sul letto e intenta a stiracchiarsi in una
posa sensuale. L’ammirazione suscitata in lui dall’impegno politico di Frida, espressa nel primo
ritratto, lascia il posto all’attrazione per la sensualità della giovane moglie.

Durante il loro primo anno insieme, Frida era solita portare il pranzo al celebre marito nel palazzo del
governo, dove Diego lavorava almeno dieci ore al giorno al grande affresco che, come una sorta di
gigantesco giornale illustrato, narrava la storia del Messico. Nel 1928 uscì in Germania la prima
biografia del celebre pittore, seguita da quella del 1929, pubblicata negli Stati Uniti. Nel 1930, una
volta terminati i murales di Cuernavaca che gli erano stati commissionati dall’ambasciatore
statunitense nel Palazzo Cortés, Rivera si recò per la prima volta con Frida a San Francisco, dove si
teneva una mostra a lui dedicata. Qui dipinse un’Allegoria della California per il Pacific Stock Exchange
e iniziò un altro murale presso l’Institute of Art di Detroit. Alla fine del 1931, il MoMa di New York gli
dedicò un’importante mostra personale, per la quale l’artista realizzò un ciclo di otto affreschi. I suoi
lavori diventarono sempre più grandiosi ed erano talmente richiesti che per soddisfare il mercato dei
collezionisti l’artista produsse anche litografie e oli su tavola di dimensioni più ridotte.
Frida Kahlo lo accompagnò in questo viaggio importante, che le diede la possibilità di recarsi per la
prima volta all’estero. Cominciò a dipingere in maniera più intensa, anche per riempire le ore solitarie
nella camera d’albergo, mentre Diego era al lavoro. Nell’aprile 1931, in California, dipinse il suo primo
ritratto in coppia con Diego per regalarlo, in segno di gratitudine, ad Albert Bender, che aveva
procurato loro il visto d’ingresso negli Stati Uniti. In un disegno preparatorio per questo dipinto lei
appare piccola e delicata accanto al compagno, ma invece di volgersi verso di lui, se ne allontana; la
sua posa, con la mano dietro la schiena, è resa in maniera un po’ maldestra. Pochi mesi dopo, il
quadro aveva un aspetto molto più armonioso. Nel bel dipinto a olio Frieda [sic] Kahlo e Diego Rivera,
1931 i due sono molto più eleganti rispetto allo schizzo: lui sfoggia un completo scuro con una vistosa
cintura e tiene in mano una grande tavolozza completa di pennelli; lei è avvolta nello splendido rebozo
rosso, ha al collo una collana preispanica e degli ornamenti sui capelli. La posa è quella della moglie
amorevole, con la testa inclinata verso il marito, cui dà la mano in un gesto pieno di affetto e di
fiducia. Dal punto di vista stilistico, il quadro ricorda molto i recenti lavori di Rivera: una versione
popolare e squisitamente messicana del doppio ritratto rinascimentale.

Le cose sarebbero cambiate nel giro di poco tempo. Diego non sarebbe rimasto l’unico grande pittore
tra i due, come appare ancora nel dipinto: sei anni più tardi Frida terrà una mostra personale a New
York e solo nove anni dopo anche lei diventerà insegnante di pittura presso l’Accademia di Belle Arti
La Esmeralda – senza peraltro aver mai frequentato un’accademia.
Frida aveva iniziato a dipingere per rifugiarsi nel regno della fantasia durante la malattia. Giunta
negli Stati Uniti, dipingeva per riempire le ore in cui Diego era assente. Mentre lui era intento a
raffigurare grandi avvenimenti storici, lei dava voce ai suoi sentimenti e problemi dipingendo quadri
di piccolo formato che inizialmente, prima della personale newyorkese, si vendevano molto di rado.
La rivoluzione di Frida ebbe luogo dentro se stessa. Lo sforzo costante per superare i grandi dolori che
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la affliggevano, l’abitudine a sentirsi essenzialmente sola trovavano espressione adeguata in dipinti
piccoli e complessi, sempre più vicini al surrealismo o a una forma di “realismo magico”. Negli Stati
Uniti l’artista visitò mostre e musei, elaborando il proprio linguaggio artistico attraverso il confronto
con gli esponenti delle avanguardie.
Nel 1932, un anno dopo il bel doppio ritratto di cui sopra, ne creò un altro. In questo disegno,
ugualmente eseguito negli Stati Uniti, Il sogno o autoritratto in sogno, 1932, Diego è ancora presente ma
esiste solo nella mente di Frida. La sua effigie sorridente aleggia sopra di lei che giace addormentata,
sognante, in attesa, nuda e scoperta sul letto. Il tutto in perfetto stile surrealista: il mondo dei sogni
sovrapposto a quello della realtà. Qui assistiamo anzi a una fuga dalla realtà. Dalla testa di Frida si
dipartono lunghi filamenti di pensieri che mettono radici nel terreno e si elevano al cielo, dove
incontrano Diego, la cui immagine domina il dipinto e in definitiva lei stessa. Alcune parti del corpo,
come la mano e il piede, mettono anch’esse radici rivelando come Frida si sentisse condannata
all’inattività. La figura che precipita da un grattacielo è come il sogno di un suicidio. Un’altra figura è
sospesa in cielo dentro una bara da cui fuoriesce una mano tesa a implorare aiuto.
Nelle sue memorie scrive: “Volevo morire per disperazione. Ho pensato al suicidio nel 1935 e un’altra
volta, un anno fa [1949], ci ho provato di nuovo.”

Nel 1935, dopo il ritorno dagli Stati Uniti, il marito aveva iniziato una relazione con la sorella preferita
di Frida, Cristina, e lei pensò di togliersi la vita. Dal canto suo, Diego immortalò le due sorelle sulle
pareti del grandioso scalone del Palazzo nazionale di Città del Messico mentre si prodigano insieme
per l’istruzione dei bambini e per la diffusione della propaganda rivoluzionaria tra il popolo. Frida
tuttavia è relegata sullo sfondo, nell’atto di posare una mano sulla spalla di un lavoratore in una posa
materna e compassionevole, mentre Cristina con i suoi occhi chiari siede di fronte a lei e affascina lo
spettatore con la sua bellezza raggiante. Per Frida deve essere stato ancora più doloroso uscire
perdente dal confronto diretto con la sorella, doverle cedere il passo e condividere con lei l’attenzione
del marito. Le immagini delle sorelle sono inserite nell’immenso arazzo con le scene della recente
storia del Messico. Pur occupando solo una piccola porzione dello spazio pittorico, le due donne si
distinguono dalla massa, in particolare Cristina, seduta in una posa efficace in primissimo piano sul
margine inferiore del murale adiacente alle scale. L’osservatore ne può ammirare i piedi armoniosi
infilati nei sandali eleganti e sbirciare sotto la sua gonna mentre sale i gradini.

Anche se Frida Kahlo era stata infinitamente felice di tornare in Messico nel 1934 e di poter allestire
per sé un piccolo studio nella casa dove si trasferì con Diego, la relazione del marito con la sorella
gettò un’ombra profonda sul loro rapporto.
Nei dipinti di questo periodo Frida Kahlo tratta spesso tematiche legate alle esperienze fondamentali
dell’essere umano, una materia che compare anche nel lavoro di Diego Rivera. Ma nel suo confronto
con l’amore, la sessualità, la solitudine e il dolore, Frida si raffigura per lo più da sola, come una
persona introversa e incapace di agire. Diego, al contrario, nel suo Uomo al bivio rappresenta un uomo
circondato dalla folla, che tiene le leve del comando, ha in mano il suo destino e può decidere se
plasmare positivamente il mondo per il bene dell’umanità, o intraprendere la via egoistica del
godimento individuale. Le masse e la moderna tecnologia vengono in aiuto ai protagonisti del lavoro
di Rivera, il quale solo raramente ritrae se stesso. Gli individui raffigurati nei suoi murales sono
generalmente parte di un collettivo.

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Questa è una delle grandi differenze tra le opere dei due artisti messicani. I protagonisti dei quadri di
Kahlo sono soli e desiderano ardentemente essere in due. Nella maggior parte dei casi, Frida ritrae se
stessa e raffigura Diego nei suoi pensieri.
Per via delle complicazioni emotive, delle relazioni amorose che anche lei intrecciò nel corso del suo
matrimonio, ma anche a causa delle precarie condizioni di salute, Frida non dipingeva molto. Eppure
le sue opere erano così originali e complesse, così piene di una misteriosa bellezza che quando
qualcuno arrivava in casa loro per osservare Diego al lavoro nel suo studio, rimaneva più affascinato
dai lavori di lei, posti fianco a fianco con quelli del marito. Come André Breton, ad esempio, che
scrisse il primo, appassionante saggio sull’arte di Kahlo e organizzò una mostra delle sue opere a
Parigi. Breton descrive la sua sorpresa nello scoprire, in casa di Diego, i dipinti della moglie e la sua
ammirazione di fronte a un suo quadro in particolare (l’autoritratto per Trotskij):

“[…] sacrificare deliberatamente il modello esterno a quello interno, far precedere decisamente la
rappresentazione alla percezione […] Mi è capitato di dire, nel Messico, che non esisteva nel tempo e
nello spazio pittura che mi sembrasse meglio situata di questa. Aggiungo che non ne esiste di più
squisitamente femminile nel senso che, oltre a essere la più allettante, acconsente volentieri a
diventare di volta in volta la più pura e la più perniciosa. L’arte di Frida Kahlo è un nastro intorno a
una bomba.”

In questo periodo, al culmine della sua attività creatrice, Frida dedica al marito un unico ritratto,
relativamente sobrio, dipinto sulla base di una fotografia di Munkacsy anziché dal vero. Paragonata ai
ritratti di amici e mecenati risalenti alla stessa epoca, l’effigie di Diego appare alquanto disadorna.
Anche se il suo viso è illuminato dalla cordialità e forse anche dalla tenerezza, così come spesso viene
descritto, in ultima analisi manca di quella complessità che caratterizza gli altri ritratti: la rinuncia a
qualsiasi attributo o accessorio lo priva del “tocco” di Frida. È come se la donna guardasse il marito
non più con ammirazione, ma con una distanza critica che la spinge a omettere qualsiasi abbellimento.
Con sguardo distaccato, lo ritrae come un “colletto blu”, con indosso la tuta dell’operaio, alludendo
così al suo implacabile zelo professionale ma anche al suo impegno nel sindacato degli artisti – El
Sindicato de Obreros Técnicos, Pintores, Escultores y Grabadores Revolucionarios de México (1922‐
1938) – e nella LEAR, la Liga de Escritores y Artistas Revolucionarios, i cui membri si consideravano
lavoratori dell’arte.
Il periodo tra il 1934, l’anno dello scandalo Rockefeller, e il 1937, quando Frida realizzò questo ritratto,
fu caratterizzato da dibattiti straordinariamente vivaci all’interno della comunità artistica. Le
discussioni tra Siqueiros e Rivera avvennero alla presenza del pubblico, sul grande palco del Palacio
de Bellas Artes, con una folta partecipazione di giornalisti. Il confronto era incentrato sul carattere
politico del movimento muralista e sulla disponibilità – criticata da Siqueiros – di molti muralisti, tra
cui in particolare Diego Rivera, a collaborare alla realizzazione di progetti per il capitalismo
nordamericano, come quello per il Rockefeller Center. Tanto più che nel 1937, per via della guerra
civile spagnola, gli artisti erano particolarmente politicizzati e motivati a mettere il loro lavoro al
servizio della causa. Così, il ritratto di Rivera va letto anche come una dichiarazione politica da parte
di Frida Kahlo. Una concessione dell’artista che ritrae il compagno come un lavoratore dell’arte
iscritto al partito, che non ci guarda con quel fare personale e diretto che troviamo in tutti gli altri
ritratti di Kahlo, ma dirige da un lato il suo sguardo obiettivo e pare concentrarsi su cose diverse dalla
sua donna.
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Nel 1939 Diego Rivera le restituì il favore con uno sconcertante ritratto, rimasto poco noto. L’opera
risale all’anno del divorzio, dopo che i diversi tradimenti di entrambi avevano provocato una
profonda frattura nel loro rapporto.
I tratti di Frida non hanno alcuna grazia: con una pennellata relativamente grossolana, Diego registra,
esagerandone il realismo, l’asimmetria del suo volto. Considerata l’abilità del pittore nel ritrarre le
signore – quasi usasse Photoshop – che nei suoi quadri appaiono invariabilmente più giovani e
occhieggiano con sguardi da cerbiatte contro rigogliosi sfondi floreali, questo ritratto è quasi un
affronto. Come se non avesse già fornito motivi sufficienti per il divorzio.
Nel periodo in cui Diego fissava sulla tela questa scarna analisi del suo volto, che riflette la
separazione, Frida Kahlo dipingeva magistralmente lo splendido Autoritratto con i capelli tagliati e il
celebre Le due Frida.
Poiché Diego affermava di non poterle essere fedele e pretendeva il diritto di concedersi certe libertà,
il divorzio fu inevitabile. L’anno della loro separazione, Frida si recò da sola a New York in occasione
della sua prima mostra personale alla Julien Levy Gallery. La prefazione al catalogo della mostra era
di André Breton. In seguito, sempre da sola, accompagnò la mostra a Parigi. Il freddo dell’inverno,
acuito dall’atmosfera glaciale dell’inizio del fascismo e della guerra civile, la mise a dura prova. Si
sentiva più sola che mai e fu anche costretta ad andare all’ospedale per via di un’infezione renale.
Malgrado tutte le difficoltà, in quegli anni di profonda tristezza nacquero i suoi capolavori: Le due
Frida del 1939, l’Autoritratto nella vasca da bagno e Ciò che l’acqua mi ha dato del 1938, l’Autoritratto con i
capelli tagliati del 1940, l’Autoritratto con la scimmia e l’Autoritratto con collana di spine del 1940. Partecipò
inoltre a importanti mostre quali l’“Exposición Internacional del Surrealismo” alla Galería de Arte
Moderno di Città del Messico, la Golden Gate International Exhibition di San Francisco e “Twenty
Centuries of Mexican Art” al Museum of Modern Art di New York. Nonostante il crescente successo,
Frida era infelice: ora più che mai sentiva di aver bisogno di Diego. I due si sposeranno di nuovo nel
dicembre 1940 per il semplice motivo che nessuno dei due poteva vivere senza l’altro. Un legame
profondo il loro, alimentato dalla passione comune per l’arte messicana, dal rifiuto di tutto ciò che è
mediocre, dall’attenzione reciproca al lavoro dell’altro.

Dopo il loro secondo matrimonio, Diego immortalò nuovamente Frida in uno dei suoi murales
ritraendola in mezzo a una grande folla al centro del grande Pan American Union, dipinto nel 1940 per
la Golden Gate International Exhibition di San Francisco. L’aver ottenuto un nuovo incarico per gli
Stati Uniti era un trionfo per lui: decise così di rappresentare l’unione artistica delle culture del nord e
del sud dell’America. Il fatto di aver attribuito a Frida un ruolo chiave in questo contesto è
ovviamente significativo. Malgrado ciò, pur apparendo fiera nell’abito rosso e oro di Tehuana, con in
mano la tavolozza e il pennello, Frida è sola davanti a una tela bianca; alle sue spalle, il marito Diego,
accovacciato per terra, tiene per mano una donna molto diversa da Frida piantando insieme a lei un
albero della vita e dell’amore. Si tratta dell’attrice Paulette Goddard, con la quale all’epoca ha
effettivamente una relazione. Al centro di un murale ispirato a temi politico‐culturali, questa scena
piccante non restituisce certo l’immagine di una grande fedeltà all’interno del nuovo matrimonio.
Negli anni successivi le cose non cambieranno: nelle sue opere Diego attribuirà spesso a Frida un
ruolo chiave, addirittura decisivo, nei murales, in cui la vediamo distribuire armi, fare propaganda,
raccogliere firme. Tutto ciò senza che lui sia presente: Frida è sola in mezzo alla folla, fa parte del
collettivo incaricato di svolgere i suoi compiti rivoluzionari.
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Nel 1941, Frida Kahlo assunse la cattedra di Pittura presso l’Accademia delle Arti La Esmeralda, dove
insegnerà per tre anni. Visto il progressivo peggioramento della sua salute, il gruppo dei quattro
allievi più fedeli – detti los Fridos – si riuniva in casa sua per le lezioni. Nell’Autoritratto con scimmie del
1943, Frida si raffigurò nei panni dell’insegnante circondata dagli studenti, ritratti con le sembianze di
scimmiette che cercano la sua vicinanza, mentre lei accoglie benevolmente la loro ammirazione.
Proprio grazie a questo straordinario senso dell’umorismo, a questa sottile ironia, l’artista riusciva a
liberarsi dalle pastoie della vita quotidiana.
La passione, l’amore, il desiderio di vicinanza e di unione sono per Frida Kahlo le forze trainanti
fondamentali, non solo in questo dipinto, ma in tutta la sua arte. Questo è il grande tema dei suoi
quadri: il desiderio di comunione, sia con Diego Rivera, con cui si ritrae intimamente unita, sia con
l’osservatore dei suoi autoritratti, con il quale comunica in molti modi sottili, tramite lo sguardo o con
l’aiuto di simboli e metafore. Kahlo utilizza tutti i possibili simboli della storia dell’arte messicana e
internazionale per dar voce a ciò che le sta a cuore. Un’arte profondamente personale che nel
superamento del dolore individuale fa appello ai sentimenti universali degli esseri umani.
In molti degli autoritratti la vediamo intenta ad analizzarsi con lo sguardo indagatore rivolto allo
specchio, uno sguardo che incanta e allo stesso tempo pietrifica l’osservatore. Che cosa spingeva Frida
a ritrarsi così spesso? Una domanda legittima, che molti si pongono e alla quale non è facile
rispondere. Sessanta dei suoi centoquaranta dipinti sono autoritratti. Una delle molte risposte possibili
potrebbe derivare dal considerare gli autoritratti come un modo per interrogare non solo se stessa, ma
anche l’osservatore. L’artista voleva incantare i destinatari dei suoi quadri in modo tale da spingerli,
quando guardavano la sua effigie, a pensare necessariamente a lei, così da riceverne metaforicamente
sostegno e conforto dalla solitudine. Spesso regalava i suoi quadri accompagnandoli con questa frase:
ti dono questa immagine in modo che non mi dimentichi.
Una delle forze motrici dell’arte di Frida Kahlo è il tentativo di tradurre in immagini ciò che non
poteva esprimere con le parole, aiutata dallo studio dell’emblematica, dei monogrammi e di simili
linguaggi cifrati, come pure dalla conoscenza degli antichi miti e codici messicani. Tuttavia, in ogni
suo quadro non fece altro che dipingere nel modo più sincero la sua stessa vita.

Così, nell’Autoritratto come Tehuana del 1943 Frida appare con l’abito che tradizionalmente si indossava
in chiesa la domenica, un elemento dell’arte popolare messicana che l’artista collega qui alla religione
buddista. Il riferimento è alla storia d’amore delle due divinità indiane Parvati e Shiva, una storia di
desiderio e distruzione, unione e separazione in cui Kahlo vede delle affinità con la propria vita. Qui
l’artista inventa la propria iconografia: le lunghe radici dei fiori che ha tra i capelli alludono alla
durata della sua meditazione, mentre i bianchi fili che s’irradiano dalla cuffia di pizzo simboleggiano
l’energia e la forza ottenute grazie alla meditazione.
Si tratta di uno strano doppio ritratto, molto diverso da quello inserito da Diego Rivera nel murale Pan
American Union in cui i due erano accanto e al tempo stesso si davano le spalle. Qui Frida si dipinge in
perfetta unione con il compagno: l’oggetto dei suoi sogni, il dominatore dei suoi pensieri. Con la sua
combinazione tra il segno sensibile, tangibile e concreto e il significato intellettuale, l’immagine si
rivolge al tempo stesso ai sensi e all’intelletto. Frida spera qui di annullare la dualità degli opposti
attraverso la meditazione e la paziente attesa dell’uomo lontano, fisicamente assente, che è con lei solo
nella sua mente. Spera che Diego sia presente. Spera di ottenere per sé resistenza, solidità, forza,
serenità, saggezza.

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L’anno seguente, Frida Kahlo rappresentò il suo desiderio di unione, o meglio di fusione, con Diego in
modo ancor più significativo, combinando in maniera assolutamente surreale le due metà dei loro
volti a formare un tutto unico. Si tratta di Diego e Frida, un ritratto “simbiotico” dipinto nel 1944 in
occasione del loro quindicesimo anniversario di matrimonio, di cui Frida eseguì due versioni (una per
sé e una per lui). Vi compaiono un sole a guisa di riccio di mare e una faccia di luna dipinta in maniera
naif su uno sfondo rosso sangue, che insieme alla lumaca e alla conchiglia rappresentano i due poli del
principio dualistico. Contro il rosso peccaminoso dello sfondo alcune radici uniscono i vari elementi
eliminando la dualità. Le cornici decorate con conchigliette e piccole lumache sono un tipico prodotto
dell’artigianato messicano, che Frida utilizza qui in maniera molto efficace per potenziare il soggetto
raffigurato.
Henri Barbusse descrisse la situazione di due amanti, incatenati insieme e con i volti uniti in un’unica
fisionomia, illustrando lo sviluppo dei sentimenti reciproci che dall’iniziale pietà si trasforma in
strazio e infine in odio bestiale. In effetti, l’idea di un’unione così lunga e irrevocabile da non poter
neppure essere più desiderata è piuttosto spaventosa. “All’inizio era bello poter sempre guardare nei
suoi occhi dalle lunghe ciglia come attraverso una lente d’ingrandimento e sentire, al minimo
movimento, la sua bocca sulla mia. Ma non per molto – perché poi […] Così abbiamo sperimentato
fino in fondo l’amarezza, il disgusto, il tormento. Io accusavo lei di questi sentimenti, e lei me. Questo
tempo ha logorato il nostro amore […]”
Tra i tanti tipi di maschere della tradizione messicana ci sono le “maschere gemelle”, bifronti, che
erano scolpite nel legno e in molti casi raffiguravano i poli opposti: una parte bianca e l’altra rossa o
nera con le due metà di un volto maschile e di uno femminile unite insieme al centro, proprio come in
Diego e Frida. Questa antica tipologia di maschera venne vietata dai religiosi spagnoli: secondo loro il
dualismo era in sé anticristiano e peccaminoso. In linea di principio, il pensiero dualistico è una
semplificazione della complessità della vita che porta costantemente a giudicare e condannare una
delle due parti. Se vediamo il mondo come una coppia di opposti, raramente siamo portati a pensare
che entrambe le parti possano “aver ragione”. In sostanza, il dualismo impedisce l’elaborazione di
alternative. E spesso la glorificazione di una delle due parti finisce presto. Anche la visione che Frida
aveva del suo rapporto con Diego era fondata sul dualismo. Lei lo chiamava “il mio tutto” e vedeva in
lui il compagno ideale, mentre attribuiva quasi esclusivamente a se stessa gli errori che portarono al
fallimento della relazione. Pensare in termini di puri e semplici opposti quando si è convinti che
esistano solo queste due possibilità ostacola qualsiasi possibile evoluzione, anche se, applicati alla vita
reale, nessuno dei due poli (così spesso simboleggiati dal sole e dalla luna nelle opere di Frida) ha
validità universale ed è sempre possibile intraprendere strade diverse. Ma se alla fine non si arriva ad
alcuna decisione e si persevera nell’infelicità, questo produrrà inevitabilmente confusione, incertezza
ed estremo egocentrismo.

Il murale di Diego Rivera Sogno di una domenica pomeriggio nel parco dell’Alameda e L’amoroso abbraccio
dell’universo di Frida Kahlo rivelano entrambi in quale misura i rapporti di forza fossero cambiati dopo
vent’anni di turbolenta vita matrimoniale. Tra i due, Frida era adesso la pittrice più celebre, come
risulta evidente dalle dimensioni stesse delle figure. Diego, che nei primi doppi ritratti di Kahlo era il
grande maestro e pittore a cui lei, piccola e delicata, si volgeva, ora raffigura se stesso nei panni di un
ragazzino con i calzettoni a righe che dà la mano alla “Calavera Catrina”. Questa figura scheletrica,
simbolo caricaturale del porfiriato, fu creata dal disegnatore Posadas, il quale è a sua volta raffigurato
nel murale mentre tiene l’altra mano della Catrina. Diego Rivera si presenta così come il legittimo
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erede di questo famoso disegnatore del periodo rivoluzionario. Frida Kahlo è una sorta di musa che
sta dietro di lui; Rivera l’ha raffigurata sulla base della celebre foto di Nikolas Muray “col rebozo
magenta”. Tiene in mano il simbolo dello yin e dello yang: evidentemente il pittore sapeva che con
l’aiuto del buddhismo Frida aveva raggiunto la pace e l’equilibrio.
La coppia ha un ruolo centrale nel più ampio contesto dell’immagine, ma è integrata nel grande
affresco della storia messicana.
Un anno dopo Frida Kahlo creò un altro doppio ritratto in cui lei e Diego sono rispettivamente la
madre e il bambino, questa volta inseriti in un contesto universale. Microcosmo e macrocosmo si
fondono in un’unione simbiotica con Frida, Diego e il loro cane Xolotl, che aiuta i morti nel loro
viaggio. L’artista utilizza qui un motivo tratto dall’iconografia cristiana: quello di sant’Anna con la
Vergine e il Bambino, così come venne raffigurato da Leonardo da Vinci, ad esempio, che creò
un’immagine sacra permeata dal sentimento della compassione. Nella raffigurazione della coppia
l’iconografia cristiana è associata con il mito buddista di Kali e Shiva.
Il centro del mondo qui è l’amore, di cui Frida Kahlo, col cuore sanguinante di dolore, è
l’incarnazione. Il bambino mostruoso che tiene in braccio è suo marito, raffigurato come il dio Shiva
con la fiamma vivificante dell’amore in grembo. La dualità fuoco/gelo simboleggia con grande forza
pittorica l’erotismo e l’ascesi. Il dipinto è un poema cosmico sull’amore che sfida il freddo gelido
dell’universo e tuttavia probabilmente non vincerà, perché va alla deriva, solitario, nello spazio.
Questa composizione magica penetra le profondità arcaiche della coscienza e suscita nell’osservatore
un brivido emotivo.

Già da tempo l’amica di Frida, Florence Arquin, le chiedeva di dipingere per lei un quadro simile
all’Autoritratto come Tehuana. Quando finalmente il dipinto fu completato, nel 1949, la gioia dell’amica
si tramutò in puro sgomento: al posto della magnifica cuffia bianca, il volto di Frida è circondato dalla
chioma nera, pervaso da una profonda tristezza e rigato dalle lacrime. Dalla raggiante Tehuana che in
veste di Parvati aspettava il suo Shiva, Kahlo si è trasformata nella tetra Kali, l’altra faccia di Parvati,
la dea della morte e della distruzione, che abita nei luoghi di cremazione e si vendica del dolore
causatole dal desiderio inappagato del suo sposo, Shiva. Come nell’autoritratto precedente la fronte di
Frida è occupata dall’effigie di un Diego dall’espressione amichevole, che ancora una volta
monopolizza tutti i suoi pensieri. Quell’anno, la sua storia d’amore con l’avvenente attrice Maria Felix
spinse di nuovo Frida a pensare al suicidio, rabbuiando a tal punto la sua mente da farle scoprire
un’affinità con Kali.
Pochi anni dopo, Frida Kahlo avrebbe fatto pace anche con Maria Felix. In un ultimo autoritratto con
Diego Rivera il volto di lui (dipinto da una precedente foto di Edward Weston, con il cappello) è
segnato da violenti tratti neri. L’effigie di Diego è sul suo cuore, mentre sulla sua fronte è dipinta
l’immagine di Maria, di cui intravediamo addirittura il finto neo sugli zigomi alti. Frida ha fatto
amicizia con l’ex rivale, ma ha bandito il marito dal suo cuore.

Dopo aver subito l’amputazione della gamba destra nel 1953, Frida dipingeva raramente e con un
ductus approssimativo, segnato dal consumo di droghe e antidolorifici. Per affaticarsi di meno
preferiva lavorare sulla carta: in molte immagini dipinte sulle pagine del suo diario dà libero corso
all’espressione del suo dolore. Quell’anno ebbe luogo la sua prima e unica mostra personale in
Messico, presso la Galería de Arte Contemporáneo di Lola Álvarez Bravo. L’artista venne trasportata
all’inaugurazione sul suo letto.
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Nell’ultimo murale eseguito da Diego Rivera mentre Frida Kahlo era ancora in vita, L’incubo della
guerra e il sogno della pace, il pittore la ritrasse sulla sedia a rotelle, intenta a raccogliere firme per il
movimento pacifista, allora molto popolare tra gli esponenti della sinistra. La sua figura di invalida
non ha nulla di leggiadro, ma è l’incarnazione della fermezza, dello spirito di resistenza, dell’impegno
sociale.
Frida morì nel 1954, a soli quarantasette anni, poche settimane dopo aver partecipato (in sedia a
rotelle) a una manifestazione accanto a Diego Rivera: in Messico fu lutto nazionale. Pochi giorni dopo
lei e Diego avrebbero festeggiato le nozze d’argento. Dopo la sua morte Rivera scrisse: “Il 13 luglio
1954 è stato il giorno più tragico della mia vita: avevo perso per sempre la mia amata Frida. Ho capito
troppo tardi che la parte più bella della mia vita era il mio amore per lei.” Si dice che dopo la
cremazione, Diego abbia mangiato una manciata delle sue ceneri.
L’urna con le ceneri di Frida si trova oggi nella Casa Azul, la casa blu, dove nacque e morì, che oggi
ospita il museo a lei dedicato. Nel primo anniversario della sua morte Diego Rivera le dedicò un
piccolo, toccante foglio commemorativo scrivendo come dedica sulla bellissima litografia: Hoy hace un
año Para la niña de mis ojos, Fisita mía, el 13 de Julio de 1955, Diego.
Nel foglio, il ricordo di Frida è corredato di motivi tratti dalla sua arte: la metamorfosi della testa per
opera del cuore, da cui il sangue zampilla come in un antico codice, e una dedica affettuosa – in cui la
chiama “bambina [stella] dei miei occhi” – che mostra quanto profondamente lo avesse colpito la sua
perdita.
Malgrado ciò, quasi contemporaneamente sposò la sua gallerista, Emma Hurtado. Già dal 1952 sapeva
di avere un carcinoma del pene e intraprese con Emma un viaggio in Unione Sovietica per sottoporsi
alla terapia al cobalto che lì si praticava con successo. Poco dopo il ritorno dall’URSS, lasciò
nuovamente Emma e si innamorò di un’imprenditrice di grande successo: Dolores Olmedo. I due si
conoscevano dal lontano 1930 e Dolores lo venerava già da molto tempo. Diego trascorse l’ultimo
anno di vita nella sua villa di Acapulco. Morì nel 1957, due anni dopo Frida Kahlo, all’età di
settantuno anni, per un attacco cardiaco. Aveva espresso il desiderio che le sue ceneri fossero
mescolate con quelle di Frida Kahlo, invece fu sepolto nella Rotonda degli uomini illustri nel cimitero
monumentale di Città del Messico.
Si è rispettata così la classica ripartizione dei ruoli: lei (o meglio le sue ceneri) sono rimaste in casa
mentre a lui è stato riservato un posto d’onore in un luogo pubblico. Ora però anche la casa di Frida è
diventata un luogo pubblico, frequentata ogni anno da mezzo milione di visitatori e ammiratori che
giungono da tutto il mondo per ammirare le sue opere e renderle omaggio.
E qui l’arte di Frida differisce sostanzialmente da quella di Diego, legata a un dato momento storico e
a un determinato paese. Rivera ha dato ai problemi e alle necessità reali della nazione un volto che si è
impresso nella memoria collettiva. Per questo, finché gli avvenimenti rappresentati hanno coinciso
con la fase di costruzione della nuova società messicana, Diego era il più importante tra i due.
Con le sue visioni permeate dal mito, Frida parla invece il linguaggio dei sentimenti universali
dell’umanità: la compassione, l’empatia – oggi sempre più rara – il desiderio d’amore, il superamento
della solitudine. Per questo Frida Kahlo è sempre attuale, oggi come allora, non solo in Messico ma in
tutto il mondo.
La sua solitudine è più vicina all’umanità di oggi della visione collettiva di Diego.

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