Governo, Cottarelli al Quirinale

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Governo, Cottarelli al Quirinale
Governo, Cottarelli al Quirinale

                                          ROMA – Naufragato il
tentativo di governo di Giuseppe Conte arenatosi sullo scoglio della
nomina di Paolo Savona a ministro delle finanze , ora tocca al
professor Carlo Cottarelli   ex commissario alla spending review del
Governo Letta: l’economista è entrato al Quirinale (a piedi con
trolley a seguito) dove è stato convocato per le 11.30 di oggi dal
presidente della Repubblica    che ha affidato a lui l’incarico di
formare un Governo e Cottarelli, come da prassi, ha accettato “con
riserva”.

“Sono molto onorato, naturalmente ce la metterò tutta” ha detto il
premier incaricato, spiegando che Sergio Mattarella gli ha chiesto di
“portare il paese a nuove elezioni” e presenterà “in tempi molto
stretti la lista dei ministri“. Cottarelli ha indicato due
tempistiche: “in caso di fiducia” il Governo affronterà
“l’approvazione della legge di bilancio per il 2019, per poi andare a
elezioni a inizio 2019“; invece, “in assenza di fiducia il governo si
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dimetterebbe immediatamente, il suo compito sarebbe l’ordinaria
amministrazione” con “elezioni dopo il mese di agosto“. Cottarelli ha
assicurato la “neutralità completa rispetto al dibattito elettorale“,
aggiungendo una promessa: “Mi impegno a non candidarmi e chiederò un
simile impegno a tutti i membri del Governo“.

Poi un passaggio sui temi economici più caldi: “Negli ultimi giorni
sono aumentate le tensioni sui mercati finanziari, lo spread è
aumentato, ma l’economia italiana è in crescita e i conti pubblici
rimangono sotto controllo. Un governo da me guidato assicurerebbe una
gestione prudente dei conti pubblici“. Inoltre, per i rapporti con
l’Europa, Cottarelli dice che “un dialogo con l’Ue in difesa dei
nostri interessi è essenziale, possiamo fare meglio del passato, ma
deve essere costruttivo“, mentre “il nostro ruolo nell’Ue resta
essenziale, come la nostra continua partecipazione all’area euro“.

Lo spread dopo un’apertura al ribasso è tornato a salire e lo scontro
politico e istituzionale resta altissimo dopo che Luigi Di Maio ha
minacciato la messa in stato di accusa del Capo dello Stato, con la
Lega che sull’impeachment non segue M5s che ha evocato la piazza.

Pur parlando d’altro, Mattarella avverte intanto che “la minaccia di
violenza” resta e osserva come l’antidoto non possa che essere il
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rafforzamento della “sensibilità democratica” e la fedeltà “ai
principi che ispirano la nostra convivenza“. Ore difficili che fanno
scendere in campo a sostegno del Colle diversi esponenti della società
civile ma anche del Partito democratico: via tweet Dario Franceschini
invoca la necessità di ritrovare l’unità smarrita e dice “verrà il
tempo del confronto interno, ma ora ogni divisione tra noi sarebbe
imperdonabile“. E Carlo Calenda fa sapere di essere pronto a metterci
la faccia e assicura di volersi candidare alle prossime elezioni.

Il voto infatti torna ad avvicinarsi e anche Alessandro Di Battista,
tra i big pentastellati, mette per iscritto di non voler mollare: ha
la valigia in mano ma non appena si aprirà la campagna elettorale –
assicura – farà ritorno perché si “deve credere e lottare per le
proprie idee“. Che dopo l’intesa sul contratto-programma e la squadra
di governo, i gialloverdi possano siglare un patto anche elettorale è
una domanda che resta senza una risposta netta: “Vedremo“, dice
Salvini che sembra però guardare ora in particolare agli alleati di
centrodestra e soprattutto a Silvio Berlusconi: “Se vota il governo
Cottarelli addio alleanza: la nota di ieri – osserva – era la stessa
di Renzi“. Forza Italia, che ieri con il Cavaliere ha definito
l’impeachment “irresponsabile“, chiosa per bocca del portavoce dei
gruppi parlamentari azzurri Giorgio Mulè “non daremo i voti a un
governo tecnico e nemmeno i Cinque Stelle, quindi un governo che nasce
già minoritario“.

Chi è Carlo Cottarelli

                                           Laureato a Siena e alla
London School of Economics, Cottarelli, pur lavorando a Washington dal
1988 quando entrò al Fondo Monetario Internazionale dopo la Banca
d’Italia e una breve esperienza all’Eni, ha sempre seguito con
attenzione gli affari italiani. All’Fmi infatti era direttore del
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dipartimento affari di bilancio dal 2008 e in questi anni più volte ha
redatto e illustrato il “Fiscal Monitor“, ovvero il rapporto dove si
analizzano i bilanci pubblici delle principali economie.

Nato a Cremona nel 1954, dopo venticinque anni al Fondo Monetario e
sei alla Banca d’Italia, Cottarelli ricoprì l’incarico di commissario
alla spending review per il governo per un anno. Il conto dei tagli
possibili arrivò a 32 miliardi. L’incarico si concluse con un corposo
dossier di risparmi possibili e qualche amarezza che l’aveva portato a
sottolineare più volte gli ostacoli incontrati sulla strada della
revisione della spesa.

Nel novembre del 2014 Cottarelli lascia e torna al Fmi su nomina del
Governo Renzi, come direttore esecutivo nel board. L’amore per il
rigore dei conti però non si è interrotto e dal 30 ottobre 2017 è il
Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani
dell’Università Cattolica di Milano.

Pensioni e lavoro, la ricetta di Carlo Cottarelli – Video da
‘Omnibus’, 12 gennaio 2018

Recentissimi i suoi affondi sulla necessità di ridurre il debito e sul
risanamento che passa per la finanza pubblica. “Dobbiamo ridurre il
debito pubblico altrimenti rimarremo schiavi dei mercati“, aveva
sottolineato anche di recente. Il piano di spending rewiev di
Cottarelli era stato evocato di recente da Andrea Roventini,
inizialmente scelto da Di Maio come ministro dell’Economia per il
governo M5S. Critiche invece le sue posizioni nei confronti del
contratto Lega-M5s. Un programma che aveva detto pochi giorni fa
“comporta un aumento del deficit pubblico particolarmente elevato e le
coperture non sono individuate in maniera chiara“.

(notizia in aggiornamento)
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Consultazioni di Governo. I partiti
al Quirinale, ma manca l’accordo
ROMA – Dopo il nulla di risolto nel vertice di ieri sera, nel
centrodestra regna il caos. Nella prima mattinata di oggi tutti i
leader si sono ritrovati a Palazzo Grazioli da Silvio Berlusconi di
Forza Italia affiancato dal presidente del Parlamento europeo Antonio
Tajani. Partecipano al vertice Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti
della Lega, Giorgia Meloni ed Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia .
Il tentativo è quello di trovare una soluzione alla mancanza di un
Governo nella diciottesima legislatura. E fare il punto in vista
dell’incontro al Colle con il presidente Sergio Mattarella per
l’ultimo giro di consultazioni.

Forza Italia ribadisce senza mezzi termini la sua contrarietà al nuovo
tentativo di Luigi Di Maio di spaccare la coalizione, ribadendo di non
essere disponibile a dare un appoggio esterno a un esecutivo Lega-M5S.
E dice “no” anche all’ipotesi di un governo del presidente. A
ribadirlo stamattina la senatrice di Forza Italia Licia Ronzulli
ospite del programma “Circo Massimo” su Radio Capital: “Come il
centrodestra sta unito nel dire no alla proposta di Di Maio, è unito
nel dire no a un governo del Presidente“.
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Ieri sera Salvini avrebbe
mantenuto la sua posizione contraria ad un “governo del Presidente”
spiegando a Berlusconi che senza un governo politico che dia garanzie
agli italiani sarebbe meglio andare al voto al più presto. Il leader
di Forza Italia avrebbe ribadito al leader della Lega che Forza Italia
non intende rimanere fuori da un eventuale governo politico con i M5S,
avvertendo che non darà mai il via libera ad appoggi esterni.

                                            Nel frattempo con l’arrivo
al Quirinale della delegazione del Movimento 5 Stelle, composta da
Luigi Di Maio e dai capigruppo di Camera e Senato Giulia Grillo e
Danilo Toninelli, ha preso il via il terzo e ultimo ciclo di
consultazioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per
la formazione del nuovo governo, al termine del quale il Capo dello
Stato potrebbe prendere una sua iniziativa, se le forze politiche si
dimostreranno ancora incapaci di dar vita ad una maggioranza
parlamentare in grado di sostenere un esecutivo. Secondo quanto
riportato dall’agenzia di stampa Agi, si è appreso di una telefonata
intercosa stamane fra Di Maio e Salvini prima che il segretario della
Lega prendesse parte al summit della sua coalizione.

Al termine, Luigi Di Maio ha detto: “Se c’è la volontà si può ancora
fare un governo politico. Sono disponibile a scegliere con Salvini un
premier terzo con un contratto di governo che preveda condizioni non
trattabili che sono il reddito di cittadinanza, l’abolizione della
Fornero e una serie di misure anti-corruzione“. Il leader M5s ha
aggiunto: “Non siamo disponibili a votare la fiducia a governi
tecnici. Se c’è buona volontà si può ancora fare un governo politico”
proseguendo: “Se non ci sono condizioni per governo politico,
consapevole dei problemi degli italiani e che non faccia solo quadrare
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i conti, allora per noi si deve tornare al voto nella consapevolezza
che sarà un ballottaggio: ora è chiaro che ci sono due realtà
politiche che competono per governo di questo Paese e gli italiani
sceglieranno” e concluso “Quando dico vogliamo fare un contratto con
la Lega stiamo considerando una forza politica: la novità è che siamo
disposti a trovare un presidente del Consiglio insieme. Se abbiamo
eletto delle cariche istituzionali è bene che continuino a fare le
cariche istituzionali”.

Sul fronte dei possibili candidati premier di un eventuale governo di
“tregua”, in testa alle classifiche figura anche il nome di Carlo
Cottarelli, già commissario alla spending review: “Non mi ha chiamato
nessuno“, risponde a Circo Massimo. Ma non nega che “sarebbe pronto a
prendersi le proprie responsabilità” ritenendo però che “per mettere
al riparo da certi rischi l’economia italiana ci vuole un governo
politico. I mercati finanziari al momento sono tranquilli, c’è molta
liquidità. Non c’è un’emergenza economica in questo momento. Non serve
un esecutivo alla Monti“. E conclude: “Se non c’è qualche choc esterno
non mi aspetto un aumento particolare degli spread anche con le
elezioni a ottobre“.

Alle 11 sono arrivati al Colle , i rappresentanti del centrodestra
e Salvini si è messo in campo personalmente : “Abbiamo offerto al
presidente della Repubblica la mia disponibilità di dare vita a un
governo di centrodestra che cominci a risolvere tutti i problemi del
Paese. Il Colle ci dia modo di trovare la maggioranza“, afferma dopo
l’incontro con il capo dello Stato, confermando una linea comune
decisa nel corso di un vertice di coalizione che si è tenuto nella
prima mattina a Palazzo Grazioli. Subito dopo i colloqui la distanza
fra Lega e M5s è aumentata con una nuova rottura innescata dalle
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rispettive dichiarazioni incrociate. Di Maio ha affermato: “Salvini
non ha i numeri per formare un governo“. Ma il capogruppo leghista
della Camera Giancarlo Giorgetti di rimando replica: “Di Maio non
conta più un c..., il leader incaricato sarà Salvini”.

Il Partito Democratico intanto osserva da spettatore: “Mi pare che
adesso il problema sia di qualcun altro“, ha detto il segretario
reggente Maurizio Martina . Questa mattina al Nazareno per un vertice
allargato sono arrivati oltre a Martina, Ettore Rosato, Graziano
Delrio, Lorenzo Guerini, Andrea Romano, Matteo Orfini e i ministri
Marco Minniti e Carlo Calenda. Atteso Andrea Marcucci. La riunione è
allargata anche alle minoranze, sono presenti infatti Dario
Franceschini, Andrea Orlando, Gianni Cuperlo, Antoci (in
rappresentanza di Michele Emiliano) prima delle partecipazione delle
delegazione Pd alle consultazioni al Quirinale.

Come ben noto i dem al momento sono gli unici intenzionati a sostenere
un eventuale governo tecnico. “Noi pensiamo che a questo punto sia
urgente dare una soluzione alla crisi. Basta traccheggiare, basta con
il gioco dell’oca. Supporteremo l’iniziativa del Presidente della
Repubblica fino in fondo. Bisogna fare tutti un passo avanti, il Paese
viene prima di tutto”, ha dichiarato il segretario reggente del
Pd Maurizio Martina al termine delle consultazioni, facendo appello
alla responsabiltà di tutte le altre forze politiche.

Dal portavoce di Matteo Renzi era arrivata la smentita di contatti con
Luigi Di Maio: “A differenza di quanto riportato ancora oggi da alcuni
quotidiani, Matteo Renzi non ha mai incontrato né si è mai sentito con
Luigi Di Maio. Tra i due non ci sono stati dopo il 4 marzo né
contatti, né trattative, né sms“.

Nel pomeriggio, a partire    dalle 16, intervallate di 20 minuti, le
udienze con Leu, Autonomie   Senato, Gruppi Misti di Senato e Camera.
Quindi alle 17.30 e alle     18 gli incontri con i presidenti della
Camera, Roberto Fico, e      del Senato, Maria Elisabetta Alberti
Casellati.
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Al momento scompare all’orizzonte la prospettiva di un governo “di
tregua” che, nelle intenzioni del Quirinale, sarebbe dovuto durare
fino a dicembre per proteggere l’Italia da alcune tegole,
incominciando dall’aumento dell’Iva al 25 per cento quale conseguenza
dell’impossibilità di approvare in tempo la manovra finanziaria 2019.
Ma alla alla luce delle dichiarazioni rilasciate, dopo i colloqui al
Quirinale, da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, sulla base dei numeri
parlamentari le possibilità di questo tipo di governo sono pressochè
inesistenti.

Negli ambienti del Quirinale la parola è cambiata. Al posto
dell’esecutivo “di tregua” adesso si parla esplicitamente di governo
“elettorale“. cioè necessario esclusivamente ad accompagnare il paese
alle urne, il più in fretta possibile (compatibilmente con le ferie
estive). Negli ultimi giorni qualcuno immaginava che questo compito lo
avrebbe potuto tranquillamente svolgere Paolo Gentiloni, senza bisogno
di mettere in campo altre personalità. Ma negli ultimi giorni pare sia
prevalsa l’esigenza di affrontare il voto-bis con figure più
“indipendenti” del pur equilibrato ed apprezzato Gentiloni,
specialmente se l’attuale presidente del Consiglio dovesse correre per
il Pd quale “candidato premier”.

Non sarebbe in fondo una prima volta. Già nel 1979 il quinto governo
Andreotti fu creato apposta per portare l’Italia alle urne, e così il
sesto gabinetto Fanfani, nel suo caso correva l’anno 1987. Più ci si
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addentra nella ipotetica “Terza Repubblica”, e più ci accorgiamo che
in realtà somiglia sempre di più alla Prima.

(notizia in aggiornamento)

Habituè e new-entry, le facce del
nuovo Parlamento
ROMA – Il nuovo Parlamento uscito dalle urne del 4 marzo è un mix di
veterani e outsider. Nel Transatlantico di Montecitorio             si
incontreranno il leghista nigeriano Toni Iwobi, primo senatore di
colore d’Italia, la testimone di giustizia Piera Aiello che finalmente
potrà riavere pubblicamente indietro la sua identità, ma anche pezzi
grossi del governo uscente, dalla toscana Maria Elena Boschi, eletta a
Bolzano, a Marco Minniti, sconfitto a Pesaro dal pentastellato Cecconi
ma ripescato grazie al proporzionale.

Tra i big recuperati, mezzo governo Gentiloni: Dario Franceschini,
Roberta Pinotti, Valeria Fedeli, Andrea Orlando. Salvati anche tre dei
principali esponenti di Liberi e Uguali: sconfitti all’uninominale
conquistano comunque un seggio Pietro Grasso, Laura Boldrini e Pier
Luigi Bersani.Entrano, invece, dalla porta principale del collegio i
ministri Pier Carlo Padoan, Graziano Delrio, Luca Lotti e Beatrice
Lorenzin.
Al Senato passa Emma Bonino, che a Roma fa incetta di voti, e
torna Umberto Bossi. Ma gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama
ospiteranno anche perfetti sconosciuti o ‘famosi’ per motivi diversi
dalla politica. Due veterinarie si accingono a prendere posto in aula:
la napoletana Doriana Sarli, eletta alla Camera con il M5s; al Senato,
per la Lega, la toscana Rosellina Sbrana. Tra i 28 eletti del
Movimento 5 Stelle nei collegi uninominali siciliani Gaspare
Marinello, dirigente dell’ospedale di Sciacca, e Giorgio Trizzino,
direttore dell’ospedale Civico di Palermo.

Il M5s, che ha già designato come possibile successore della ministra
Fedeli Salvatore Giuliano     preside dell’Iiss Majorana di Brindisi,
una delle scuole più raccontate d’Italia -, porta diversi insegnanti
in Parlamento; molti dalla Calabria tra ritorni, come quello del
senatore Nicola Morra, docente di storia e filosofia a Cosenza
confermato per il secondo mandato, e new entry come Bianca Laura
Granato, una delle più attive nelle battaglie contro la Buona Scuola.
Nutrito pure il drappello di giornalisti. Nel M5s ce l’hanno
fatta Primo Di Nicola, ex direttore de Il Centro, con il 41% in
Abruzzo; Emilio Carelli, ex direttore di SkYTg24; Pino Cabras,
giornalista-blogger, scrittore e fondatore di Pandora Tv, 46% nel
collegio di Carbonia. Nelle liste di Forza Italia eletti Giorgio Mulè,
direttore di Panorama (46%), Andrea Cangini, ex direttore di Qn, che
era capolista nelle Marche. Per il Pd a Milano entra al Senato Tommaso
Cerno, ex direttore de l’Espresso.

Restano fuori, invece, con il M5s, Gianluigi Paragone, ex direttore de
La Padania, e la Iena Dino Giarrusso. Non ce la fanno per il Pd
Francesca Barra, candidata in Basilicata, e neppure la bersaniana
Chiara Geloni. Tra i vip dello sport l’ha spuntata l’ex Ad del Milan
Adriano Galliani, mentre il presidente della Lazio Claudio Lotito
resterà fuori dal Senato, a meno che non segua il consiglio del
sindaco di Benevento Clemente Mastella e faccia ricorso.

Elezioni 2018: tutti gli “eletti”
ripescati grazie ai partiti nel
proporzionale
ROMA – Il conteggio ufficiale dei seggi della Camera assegnati con il
metodo proporzionale ha permesso di assegnare 607 seggi sui 630
disponibili (la maggioranza parlamentare è di 316 voti). La quota più
consistente tra i partiti va ovviamente al Movimento 5 Stelle, primo
in virtù del 32,7 % dei voti ricevuti nelle urne che valgono 133
deputati ed aggiungendoli agli 88 conquistati con il meccanismo
uninominale, il gruppo parlamentare grillino a Montecitorio conquista
221 seggi. Segue la “pattuglia” del Partito Democratico, che in virtù
del 18,7 per cento dei voti raccoglie 86 seggi del proporzionale.

Tra i “ripescati” vi sono anche i ministri uscenti Marco Minniti ,
Valeria Fedeli,    Dario Franceschini, Maurizio Martina,       Roberta
Pinotti ed il presidente del partito Matteo Orfini usciti sconfitti
nelle sfide dei collegi uninominali. Nella coalizione di
centrosinistra anche due seggi per Svp, nessuno invece dalla
ripartizione proporzionale per +Europa, Civica popolare e Insieme. Il
numero totale dei deputati centrosinistra, che ha portato a casa anche
24 collegi uninominali, si ferma a 112 deputati.
Nel centrodestra il 17,4 per cento della Lega vale 73 seggi, alcuni
dei quali anche al Sud: uno in Calabria, uno in Basilicata, due
ciascuno in Campania, Puglia e Sicilia. Forza italia, con il 14% si
aggiudica 59 seggi, mentre 19 seggi vanno a Fratelli d’ Italia
grazie al 4,3 per cento conquistato dagli elettori. Sommandoli ai 109
seggi conquistati nell’uninominale, la coalizione di centrodestra ha
eletto 260 deputati.

Gli ultimi 14 seggi finora assegnati col proporzionale finiscono
invece a Liberi e Uguali , che non ha vittorie nell’uninominale ma
salva in questo modo tra gli altri Laura Boldrini e Pier Luigi
Bersani, usciti entrambi pesantemente sconfitti nelle sfide nei
collegi in cui si erano presentati
A Palazzo Madama dove l’assemblea è composta da 321 membri composta
dai 315 gli eletti e 6 senatori a vita, il numero necessario per
conquistare la maggioranza è di 161. Dopo le elezioni del 4 marzo,
sommando il dato dell’uninominale a quello del proporzionale, il
centrodestra ha conquistato 135 seggi, il M5s 112 e il centrosinistra
57. Guardando per la ripartizione dei seggi (al solo proporzionale)
il Movimento 5 Stelle si conferma primo partito anche al Senato e con
il 32,2 per cento si è aggiudicato 68 seggi, seguito dal Pd con il
19,1 per cento e 43 seggi, la Lega con il 17,6 per cento e 37 seggi,
Forza Italia in virtù del proprio 14,4 per cento i suoi 33 seggi,
Fratelli d’Italia con il 4,3 per cento ottiene 7 seggi, Liberi e
uguali al 3,3 per cento solo 4 seggi. Nessun seggio per +Europa, (2,4
per cento), Noi con l’Italia, (1,2 per cento) e Potere al popolo!, (1
per cento) .

Nessun partito ha raggiunto la maggioranza nei due rami del Parlamento
necessaria per poter governare. E questa circostanza conferma la
necessità di cambiare al più presto questo nuovo sistema elettorale,
assolutamente ed al più presto.
Tra gli altri eletti nei listini “bloccati” dai partiti , anche i
ministri Andrea Orlando e Maurizio Martina – che non erano stati
candidati nell’uninominale – insieme a Lucia Annibali (Pd), Michele
Anzaldi (Pd), Simone Baldelli (Forza Italia), Alfredo
Bazoli (Pd), Teresa Bellanova (Pd), Deborah Bergamini (Forza Italia),
Michaela Biancofiore (Forza Italia), Francesco Boccia (Pd), Alfonso
Bonafede (M5S), Vittoria Brambilla (Forza Italia), Enza Bruno
Bossio (Pd),    Daniela Cardinale (Pd),   Annagrazia Calabria (Forza
Italia), Mara Carfagna (Forza Italia), Guido Crosetto (Fratelli
d’Italia) , Gregorio De Falco (M5S), Paola De Micheli (Pd), Umberto
Del Basso De Caro (Pd), Manlio Di Stefano (M5S), Guglielmo
Epifani (Leu), Stefano Fassina (Leu), Pietro Fassino (Pd), Valeria
Fedeli (Pd), Emanuele Fiano (Pd), Nicola Fratoianni (Leu), Maria
Stella Gelmini (Forza Italia), Giancarlo Giorgetti (Lega), Stefano
Graziano        (Pd),      Piero     Grasso       (LeU),      Giulia
Grillo (M5S), Lorenzo Guerini (Pd), Gennaro Migliore (Pd), Alessia
Morani (Pd), Raffaella Paita (Pd), Gianluigi Paragone (M5S), Gianni
Pittella (Pd), Barbara Pollastrini (Pd), Renata Polverini (Forza
Italia),      Stefania Prestigiacomo (Forza Italia), Fabio
Rampelli (Fratelli d’Italia) , Ettore Rosato (Pd) , Nino Rizzo
Nervo (Pd), Gianfranco Rotondi (Forza Italia),                  Carla
Ruocco (M5S), Barbara Saltamartini (Lega),      Jole Santelli (Forza
Italia), Giulia Sarti (M5S), Vittorio Sgarbi (Forza Italia), Debora
Serracchiani (Pd), Paolo Siani (Pd) , Cosimo Sibilia (Fratelli
d’Italia)      ,   Roberto    Speranza     (Leu),     Nico    Stumpo
(Leu), Valentino Valentini (Forza Italia), Elio Vito (Forza
Italia), Pini,      Cantone,  Borghi,   Giacomoni,     Baroni, Daga,
Angelucci, Campana, Pezzopane, Cirielli, , Bitonci, Zan, Fedriga .
GLI ELETTI IN SICILIA

In Sicilia i 5stelle hanno problemi di abbondanza, mentre gli altri
partiti fanno i conti con un numero di seggi inferiore alle
previsioni. Forza Italia, attestata al 21% è rimasta a secco negli
uninominali, in Sicilia elegge nei listini 6 deputati (uno per ogni
collegio plurinominale) e tre senatori. Tornano a Montecitorio
Francesco Scoma, Stefania Prestigiacomo (eletta in due listini, gli
subentra Nino Germanà a Messina, il collegio in cui Forza Italia ha
incassato la percentuale minore) e Nino Minardo.

Matilde Siracusano

Elette anche due matricole: Matilde Siracusano (ex concorrente di Miss
Italia), Giusi Bartolozzi (magistrato, compagna del vicepresidente
della Regione Sicilia, Gaetano Armao). Al Senato confermato l’ex
presidente Renato Schifani e la parlamentare uscente Gabriella
Giammanco; entra Urania Papatheu.

Totalmente asfaltati i centristi di Udc-Noi per l’Italia, gli alleati
del centrodestra si dividono i pochi posti rimasti. Nella Lega eletti
deputati l’ex forzista ed ex alfaniano Alessandro Pagano       e l’ex
lombardiano Carmelo Lo Monte. Per Fratelli d’Italia elette due donne:
Carolina Varchi e Carmela Bucalo. Al Senato la neo-leghista Giulia
Bongiorno (capolista altrove, ma dovrebbe scattare il seggio in
Sicilia) e il musumeciano Raffaele Stancanelli capolista di Fdi nel
versante orientale della Sicilia.

La rappresentanza siciliana del Pd è ridotta ai minimi storici.
Sconfitti in tutte le sfide uninominali vinte dal M5S, i dem piazzano
quattro deputati. Tre dei quali al posto di Maria Elena Boschi, che
per legge prende il seggio vinto all’uninominale in Alto Adige. I
beneficiari dell’exploit altoatesino della sottosegretaria sono
Carmelo Miceli (segretario del partito a Palermo), l’ex rettore di
Messina, Pietro Navarra (che era stato sconfitto nel suo collegio) e
il segretario regionale Fausto Raciti, rieletto a Montecitorio.
Rientra per il terzo mandato anche Daniela Cardinale (figlia dell’ex
ministro dc e leader di Sicilia Futura, Totò Cardinale), al centro di
polemiche e proteste da parte dei dem nisseni che non la volevano
candidata.

Restano fuori due dei sei capilista “blindati”. Il primo è Fabio
Giambrone, braccio destro di Leoluca Orlando ed incredibilmente anche
Paolo Gentiloni.che se non fosse stato già eletto nel suo collegio a
Roma, il premier non avrebbe avuto – a causa dei pessimi risultati dei
dem in Sicilia – il seggio ritenuto “sicuro” nell’Isola. A farne
veramente le spese è Francesca Raciti (seconda nel listino dopo
Gentiloni), fedelissima di Luca Sammartino, deputato regionale
sconfitto nel suo collegio che si consola con il seggio di senatrice
per Valeria Sudano. L’ex deputata regionale è l’unica dem a entrare a
Palazzo Madama oltre al sottosegretario renziano Davide Faraone.

Liberi e Uguali nonostante la sconfitta deludente      rispetto alle
previsioni e agli obiettivi, ottiene tre seggi anche in Sicilia. Uno
al Senato, con il presidente Pietro Grasso. E due alla Camera:
l’uscente Erasmo Palazzotto e l’ex segretario di Cgil e Pd, Guglielmo
Epifani.

Ma ci sono quei seggi     come “avanzi” della vittoria devestante del
Movimento    5stelle.     Quattro posti disponibili che non hanno
rappresentati grillini    eleggibili, che quindi faranno sicuramente la
felicità di altrettanti   delusi di centrodestra e centrosinistra.
GLI ELETTI IN PUGLIA
Nei due collegi plurinominali della Camera e cioè il collegio 1 che
comprende le circoscrizioni elettorali di Bari città, Bari-Bitonto,
Altamura, Molfetta-Bisceglie ed il collegio 3 che comprende le
circoscrizioni elettorali di Monopoli, Brindisi, Taranto e Martina
Franca il Movimento 5 Stelle ha ottenuto       altri rappresentanti e
cioè Giuseppe Brescia, Angela Masi, Davide Galantino, Diego De
Lorenzis,    Veronica     Giannone,    Leonardo    Donno,   Giuseppe
L’Abbate, Alessandra Ermellino, Giovanni Vianello, Marialuisa
Faro, Giorgio Lovecchio e Francesca Troiano che scatterà al posto di
Giuseppe D’Ambrosio, già eletto col sistema uninominale.

Nel Partito Democratico eletti solo i capilista Marco Lacarra
segretario regionale del PD (Puglia 1) ed il segretario provinciale
di Bari Ubaldo Pagano candidato imposto da Michele Emiliano nel
collegio Puglia 3 a Taranto ! Tra i baresi eletti in quota Pd anche
Francesco Boccia (capolista nel collegio Puglia 2) e Michele Bordo.

Francesco Paolo Sisto

In Forza Italia, eletti 6 deputati. Francesco Paolo Sisto (collegio
Puglia 1), Elvira Savino, l’ex ministro Elio Vito, Mauro
D’Attis, Annaelsa Tartaglione e Vincenza Labriola, deputata uscente
eletta la prima volta col M5s e l’anno scorso passata con il partito
di Berlusconi. mentre rimane a terra Massimo Cassano, terzo in listino
e già sconfitto all’uninominale. Conquistano un posto a Montecitorio
anche i baresi Rossano Sasso (Lega) e Marcello Gemmato (Fratelli
d’Italia), eletti nel collegio Puglia 2. La Lega ottiene un seggio per
Anna Rita Tateo. Non ce l’ha fatta Michele Larfogia, il noto avvocato
penalista barese candidato con Liberi e Uguali che nell’uninominale
aveva ottenuto oltre il 7% dei consensi doppiando la media nazionale
del suo partito !

Annaelsa Tartaglione

Un deputato scattato per Fratelli d’italia (Marcello Gemmato) ed uno
, Rossella Muroni, pluricandidata per LeU in vari collegi del Paese,
ma eletta solo in Puglia.

Al Senato eletti altri 6 nel plurinominale per il Movimento 5 Stelle
Alfonso Ciampolillo, Gisella Naturale, Vincenzo Garruti, Daniela Donno
e Cataldo Mininno, dentro al posto di Barbara Lezzi già eletta
all’uninominale, Maurizio Buccarella (uno degli espulsi da Di Maio)

Eletti per Forza Italia al Senato nel collegio Puglia 1 che comprende
le circoscrizioni elettorali di Bari Città, Bari-Bitonto, Molfetta,
Altamura, Andria, Manfredonia, Foggia, San Severo , eletto Dario
Damiani che scatta al posto di Licia Ronzulli eletta all’uninominale
in Lombardia, Luigi Vitali, coordinatore regionale di FI, e nel
collegio Puglia 2    che comprende le circoscrizioni elettorali di
Monopoli, Brindisi, Lecce, Francavilla Fontana, Nardò, Casarano,
Taranto, Martina Franca, eletto l’uscente Michele Boccardi . Per il
Pd, nel collegio Puglia 1, eletta la capolista Assuntela
Messina e Dario Stefano, mentre resta a casa Dario Ginefra.

Eletto anche Roberto Marti per la Lega. Nessun eletto invece al Senato
per Fratelli d’Italia, con Filippo Melchiorre e l’ex sindaco di Lecce,
Paolo Perrone, rimasti entrambi fuori dall’aula di Palazzo Madama.
GLI ELETTI IN CAMPANIA
Le sorpresa non si esauriscono solo con il voto uninominale. Infatti
anche con il sistema proporzionale, legato a percentuali di voti
ottenute dai listini dei partiti il Movimento Cinque Stelle in
Campania ha fatto man bassa di seggi sia al Senato (9) che alla Camera
(18). Eletti in parlamento anche alcuni candidati sconfitti nel
maggioritario. E’ stato eletto infatti Piero De Luca, il figlio del
governatore della Campania, giunto terzo nel collegio elettorale di
Salerno e “salvato” grazie al listino in cui era inserito nel collegio
plurinominale Campania 2-02. Esattamente come De Luca jr. è stato
eletto anche anche Federico Conte, figlio dell’ex ministro ai tempi
dell’onda lunga socialista Carmelo Conte e genero di Alfonso Andria,
uscito invece sconfitto dallo scontro nel maggioritario ma ripescato
grazie al 3,52% ottenuto dal listino di Liberi e Uguali nel collegio
plurinominale Campania 2-03.

Paolo Siani

Approda in parlamento anche Paolo Siani, fratello del compianto
Giancarlo giornalista de Il Mattino ucciso dalla camorra, capolista
del listino Napoli 2 e sconfitto nel collegio uninominale
dell’Arenella. Resta fuori al momento dal Senato la senatrice
uscente Angelica Saggese, seconda nel listino Pd di Campania 3 alle
spalle di Gianni Pittella (eletto grazie al listino) che nella sua
Basilicata ha perso il confronto con Salvatore Caiata (41,7%),
presidente della squadra di calcio del Potenza ed espulso dal M5s dopo
aver scoperto l’indagine per riciclaggio a suo danno, notizia resa
nota per primi in Italia dal nostro quotidiano !

Chi spera in un seggio al Senato è Valeria Valente (Campania 02)
seconda alle spalle dell’eletto segretario Pd, Matteo Renzi. Come la
Valente anche Claudio Lotito spera in un ripescaggio. E’ secondo nel
listino al Senato di Forza Italia in Campania 1 alle spalle di lady
Mastella (Sandra Lonardo) eletta anche per Forza Italia in ben due
collegi, insieme col capolista Cesaro in Campania 3.

Claudio Lotito

Probabilmente verrà ripescato il giornalista salernitano Gigi
Casciello terzo nel listino di Forza Italia alla Camera in Campania 3
alle spalle degli eletti Vincenzo Fasano (passato dal Senato alla
Camera) e Marzia Ferraioli che nel sistema maggioritario ha
conquistato il seggio di Agropoli impedendo al Movimento 5 Stelle di
fare il “pieno” nei 33 collegi campani 32 dei quali sono stati
conquistati dai grillini.

Il presidente della Lazio Calcio Claudio Lotito che si era presentato
con Forza Italia nella lista del plurinominale al collegio Campania1,
non ce l’ha fatta ad essere eletto al Senato . E forse anche questo è
un bene per la politica italiana. Anche Nunzia De Girolamo non è
stata eletta alla Camera. In famiglia è bastato un “nominato” rieletto
grazie al listino del PD in Puglia, e cioè suo marito Francesco
Boccia. Due “riciclati” evidentemente erano troppi !

Fratelli d’Italia in Campania si aggiudica un seggio in Senato
assegnato ad Antonio Iannone,e x vice presidente della Provincia di
Salerno, considerato il “pupillo” di Edmondo Cirielli eletto alla
Camera nel listino di Fratelli d’Italia in Campania 3 .

Ance Taranto, plaude alle risorse
destinate dal Ministro Franceschini
alla città vecchia

Dario Franceschini

ROMA – Accelera il piano di riqualificazione della città vecchia e
questa velocizzazione, dovuta agli impegni assunti dal Ministro
Dario Franceschini

Con un comunicato l’ ANCE Taranto plaude con soddisfazione alle
risorse aggiuntive predisposte dal MIBACT per 90 milioni di euro e
deliberate dal CIPE sono l’impegno plastico con cui sostenere non solo
le azioni indispensabili di premessa (messa in sicurezza, servizi,
infrastrutture, viabilità, sorveglianza), ma anche per innescare un
nuovo processo di rilancio degli investimenti privati.

Paolo Campagna, presidente di ANCE Taranto, saluta con soddisfazione
“il riconoscimento di un’ulteriore dote finanziaria per il progetto di
rilancio che riguarda il patrimonio della Città Vecchia di Taranto e
dichiara la disponibilità delle imprese a compiere la loro parte“.

Paolo Campagna

Proprio nella direzione di quanto auspicato nelle osservazioni
prodotte come ANCE e come tavolo di Taranto Opera Prima “rispetto al
Piano predisposto in favore dell’isola – dice Campagna – con questa
importante dotazione di risorse si può oggi ragionevolmente immaginare
quella cantierizzazione degli interventi prioritari che sono la base
per la rinascita di quella porzione così importante di città“.

Dei 90 milioni a disposizione per la Città Vecchia di Taranto “circa
40 serviranno per le azioni prioritarie previste di
infrastrutturazione e messa in sicurezza, altri 50 – spiega Paolo
Campagna – potranno fungere da moltiplicatore degli effetti da
raggiungere in questa fase che ci auguriamo decisiva e risolutiva“.

Si apre dunque uno scenario decisivo nel quale attivare le energie e
competenze che servono per procedere con lo stesso passo nella
progettazione ed attuazione delle azioni. “Come ANCE confermiamo
l’impegno ad essere soggetti attivi nel sostenere ed accompagnare
l’intero processo di rigenerazione della Città Vecchia“.
Sarà Parma la Capitale italiana
della Cultura 2020
di Federica Gagliardi

La città di Parma è stata nominata Capitale italiana della cultura
2020.La città dal nobile passato, dei Farnese e dei Borbone, piccola
capitale con Maria Luigia d’Asburgo, di Correggio e Parmigianino,
Bodoni e Toscanini, del maestro Giuseppe Verdi, dei Bertolucci, sede
di una delle più antiche università al mondo e oggi del grande
Centro Csac (studi archivio comunicazione) ha dunque tagliato il
traguardo per prima. Un successo che si aggiunge a quello di Città
creativa della Gastronomia Unesco ottenuto nel 2015.

La comunicazione è arrivata alla presenza del Ministro dei beni
culturali e turismo Dario Franceschini, da parte del presidente
Stefano Baia Curioni, al termine di una cerimonia pubblica presso la
sede del Mibact a Roma. Il ministro annunciando il vincitore, busta
già in mano, prima ha scherzato un po’. ”Mi spiace per i sindaci
venuti qui, che hanno candidato le loro città a Capitale italiana
della cultura 2020: violando tutte le regole, ho deciso di nominare
Ferrara, la mia città!’‘. Risate per tutti seguite dalla suspense per
conoscere il vncitore.    “Già entrare nella shortlist è motivo di
vanto, è come entrare nelle nomination agli Oscar – ha osservato il
ministro dei Beni Culturali – i film poi si scrivono “ha ottenuto la
nomination agli Oscar”. Quindi bene e grazie a tutte le città. Ha
vinto Parma”.   Il ministro Franceschini, nello spiegare la scelta
unanime della giuria, ha esaltato la capacità di Parma di aver saputo
fare rete e creare delle importanti sinergie tra pubblico e privato ai
fini dell’offerta culturale. Il territorio infatti ha saputo fare
“sistema” ed è sceso in campo investendo cinque milioni di euro tra
fondi privati e pubblici . L’Enel, inoltre, garantirà un progetto di
turismo sostenibile.
“La competizione diventa ogni anno più forte, con città che presentano
progetti straordinari. È una scelta difficile – ha sottolineato il
ministro     Franceschini –        ma la commissione ha deciso
all’unanimità. Parma è sicuramente e ha tante ragioni legate all’arte,
alla musica, al cibo. La nomina rappresenta un traino sui grandi
mercati internazionali: il turismo è cresciuto prima a Mantova, poi a
Pistoia“.

Nella presentazione della candidatura l’Amministrazione comunale di
Parma , rappresentata dall’assessore Michele Guerra, ed il comitato
scientifico di cui hanno fatto parte, tra gli altri, Bernardo
Bertolucci, Franco Maria Ricci (che ha disegnato il logo) e lo
scienziato Giacomo Rizzolatti     hanno puntato sui sette distretti
socio-culturali, dislocati in diverse aree della città, che diventano
spazi    di    creatività,      riflessione,      rigenerazione     e
innovazione. Trentadue progetti intorno al claim “La cultura batte
tempo” e basati su quattro baluardi per allargare la produzione
culturale: cantieri, produzioni, rassegne ed esposizioni.
Parma ci aveva già provato nel 2016 ma il titolo in quell’occasione
era stato aggiudicato alla città di Mantova. Il primo cittadino
Pizzarotti ha ricordato le altre finaliste, Piacenza e Reggio Emilia
in particolare, a cui Parma è legata dall’associazione Destinazione
Turistica Emilia e con cui “vogliamo continuare a lavorare insieme“.
Le altre nove candidate erano: Agrigento, Bitonto, Casale Monferrato,
Macerata, Merano, Nuoro, Piacenza, Reggio Emilia e Treviso.

Chiamati a raccolti tutti gli “attori”: il conservatorio Boito che
porterà musica e arte nelle periferie, il Festival Verdi del Teatro
Regio che curerà anche una stagione speciale dedicata al Novecento
assieme a Fondazione Toscanini e Teatro Due, la rinnovata Galleria
Nazionale del complesso monumentale della Pilotta, il Festival della
creatività contemporanea Parma 360 e ancora Fondazione Magnani Rocca,
Museo Guatelli e il Labirinto della Masone. Con delle aspettative
altrettanto ambiziose: far crescere i turisti dagli attuali 700mila
l’anno, ad 1 milione nel 2020.

 Alla città è andato un milione di euro di contributo dal Ministero ed
arriverà un ritorno di immagine a 360 gradi. Poco dopo la
proclamazione nella sala Spadolini del ministero a Roma , il sindaco
di Parma Federico Pizzarotti ha dichiarato : “Sono più emozionato
oggi del giorno delle elezioni. Raramente ho poche parole, stavolta mi
avete lasciato senza. Ora abbiamo una grande possibilità. Dopo gli
anni della speculazione, dei grandi debiti, questa vittoria è un
bellissimo messaggio alla città. Quando Parma resta unita non la batte
nessuno. Ringrazio tutti di cuore. Il tempo di toccare il cielo con un
dito e poi subito a lavoro, subito immersi in questa grande
avventura“.
Ecco tutti i candidati del Pd nei
collegi di tutt' Italia
di Giovanna Rei

ROMA – Ecco le liste ufficiali che verranno depositate questa mattina,
con i candidati del Partito Democratico. “Combatteremo. Il Pd deve
vincere qualunque sia stata la decisione presa, anche se non nel modo
giusto”. E’ alle 4 di notte di ieri che anche il “vero” leader della
minoranza Andrea Orlando, sfidante Renzi alle ultime “primarie”,
lasciando il Nazareno, ha confermato il malumore ma per ora ha
preferito chiudere la polemica sulle liste, rese note ufficialmente
all’alba.

candidati-PD-2018

Le parlamentari “dem” emiliane dopo la presentazione delle liste,
hanno scritto a Renzi lamentando il non rispetto delle quote rosa, con
il ministro Claudio De Vincenti recuperato in extremis nel collegio di
Sassuolo rifiutato da Gianni Cuperlo che ha dichiarato: “Spero che ci
sarà un candidato che di quei luoghi si sentirà parte. Molto più di
me” .

Molti candidati provengono dalla società civile, e correranno in
diversi collegi. L’imprenditore Riccardo Illy , ad esempio, sarà in un
collegio senatoriale a Trieste, Paolo Siani, il fratello del
giornalista Giancarlo, ucciso dalla Camorra, sarà candidato a Napoli.
E mentre Lucia Annibali sarà in lizza a Parma (più diverse
circoscrizioni), Francesca Barra scenderà in pista a Matera. Poi ci
sono Flavio Corradini a Macerata, e l’avvocatessa Lisa Noja, impegnata
sul fronte sociale, a Milano.

 Quanto ai “fedelissimi”,     il ministro dei Beni Culturali, Dario
Franceschini, è capolista in Emilia Romagna 01 (Forlì-Cesena-Rimini)
ed è candidato nel collegio uninominale di Ferrara per la Camera. Il
ministro della Giustizia Andrea Orlando è capolista nel listino Emilia
Romagna 04 (Parma-Piacenza Reggio) mentre Matteo Orfini, presidente
del Pd, è capolista nel collegio Lazio 1-02 (Roma Ovest) ed è
candidato nel collegio uninominale alla Camera di Roma zona Torre
Angela. Maria Elena Boschi è candidata nel collegio uninominale di
Bolzano e “sarà capolista anche a Taormina, dove ha organizzato il G7
donne”,

Luca Lotti ha avuto il ‘suo’ collegio di Empoli, sempre alla Camera e
Valeria Fedeli che sarà a Pisa per il Senato. Anche Graziano
Delrio correrà in casa alla Camera, Reggio Emilia, nel listino, mentre
Marianna Madia affronterà una sfida nel collegio Camera Roma2 e poi
spazio nei listini in Calabria e nelle Marche. Anche il ministro Pier
Carlo Padoan ha un collegio a Siena, e un listino a Torino, dove è
capolista, mentre nell’uninominale di Massa è stato scelto l’ex
magistrato e sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, che corre
anche come capolista nel listino Toscana 04 (Arezzo, Siena, Grosseto).
Ieri Renzi ha ringraziato Marco Minniti, responsabile del Viminale,
impegnato a gestire la complessa macchina delle operazioni elettorali,
che ha accettato la candidatura nel collegio di Pesaro, e sarà
candidato anche in due liste plurinominali.

                                           Matteo Renzi rimanda le
critiche ai mittenti: “Abbiamo messo in campo la squadra più forte.
Abbiamo idee vincenti e convincenti. Abbiamo restituito al Paese la
possibilità di provarci, uscendo da una crisi devastante”, sostenendo
il suo pensiero diffuso sui socialnetwork o in tv. Renzi, si sforza di
fare il realista, prendendo effettivamente in prestito un pezzetto del
modo di fare del premier Paolo Gentiloni. La corsa per “il premier che
verrà” a questo punto è più aperta che mai, anche, se parlando in
termini realistici, la strategia su cui contano Pd e Forza Italia è
sempre quella delle larghe intese. La grande verità inconfessabile
della campagna elettorale.

Il segretario dem ha ringraziato anche il premier Paolo Gentiloni (che
correrà nel collegio uninominale Camera 1 del Lazio, e sarà capolista
nelle Marche 01 Ascoli-Macerata e in Sicilia 2-02) e i ministri. Un
ringraziamento anche a Cesare Damiano, per aver accettato collegio di
Terni, da sempre complicato per la sinistra. E poi c’è Teresa
Bellanova che sfiderà Massimo D’Alema nel collegio pugliese: “Speriamo
di poter dire dopo il 4 marzo che quello è il collegio di Bellanova e
non più di D’Alema”, ha affermato il segretario.
Renzi vuole candidare il premier
Gentiloni in Puglia simbolo anti-
D’Alema

Matteo Renzi

ROMA – Matteo Renzi l’altra sera parlando ai militanti di un circolo
storico di Firenze ha esortato amici e compagni ad impegnarsi per
evitare che “il trofeo del primo partito te lo giochi con loro e
questa non è la coppa Italia, ma il campionato vero, perché sarà il
partito che ha maggior numero di voti ad ottenere l’incarico per
formare un governo” aggiungendo “Io sono convinto che il Pd non può
che tornare a crescere e che i Cinquestelle caleranno. Perché nei
collegi avranno forza di traino i nostri candidati, che sono migliori.
Quindi il Pd può arrivare al 27 e i grillini al 25 per cento“.

E’ questo il motivo che spinge il segretario nazionale del Pd a
riporre grande attenzione alla compilazione liste elettorali,
pressochè certo che saranno proprio le sfide dei collegi elettorali a
trainare il voto proporzionale. Il segretario      in queste ore   ha
ricevuto partendo dall’alto, semaforo verde dal       presidente del
consiglio Paolo Gentiloni disposto a candidarsi nel collegio di Roma.
“Faccio quello che decide il partito“, è il pensiero               di
Paolo Gentiloni, con il quale Renzi ha parlato pure della sua
possibile candidatura come capolista del listino proporzionale in
Piemonte, che è cosa pressochè decisa.
il premier Paolo Gentiloni

Ma Renzi sta pensando anche a spendere la popolarità del premier in
un’altra ottica   candidandolo a capolista anche in Puglia per un
motivo ben preciso. Il nome Gentiloni come capolista del Pd si
affaccerebbe nella scheda elettorale insieme a quello di Massimo
D’Alema, capolista di Liberi & Uguali , oltre che in corsa in uno dei
collegi regionali. Una mossa che saprebbe tanto di battaglia diretta
e frontale , dall’ alto valore politico e simbolico, per portare il
Partito Democratico      in quella regione ai massimi livelli.,
scavalcando i desideri, le ambizioni     e “giochetti” speculari di
Michele Emiliano.

Renzi ritiene parlando con i suoi più stretti collaboratori che, oltre
ai candidati, sarà il profilo moderato del Pd, e le sue “cento
proposte” di programma che verranno sfornate dal duo Nannicini-Da
Empoli , entrambi con seggio “blindato” a pesare almeno tre punti in
più nelle urne elettorali, unitamente ai voti che dovrebbero arrivare
dalle liste collegate che si stimano non dovrebbero superare a loro
volta il 3%.

                                          La Direzione del Partito
Democratico convocata per mercoledì quindi dovrà innanzitutto votare
le regole per le candidature e stabilire delle deroghe da assegnare a
chi è in parlamento già da oltre quindici anni, che verranno
riconosciute    al premier Paolo Gentiloni ed ai ministri, Dario
Franceschini, Marco Minniti, Roberta Pinotti . Maria Giulia Boschi al
momento   resiste per ora nel collegio di Firenze alla Camera, il
collegio gemello di quello scelto da Renzi per il Senato. Molte
saranno le donne candidate per rientrare nel 40% di parità di genere.
Tra le new entry c’è pure Rita Borioni, attuale membro del cda Rai.,
in “quota” Orfini.

il Ministro Marco Minniti

Minniti non si candiderà in un collegio, perché non considerebbe
opportuno per il ministro dell’Interno ingaggiare scontri diretti nei
collegi. E quindi sarà eletto in una regione, l’ipotesi più probabile
è la Campania      territorio “simbolo” della lotta al crimine
organizzato. Complessivamente le deroghe concesse dalla Direzione
dovrebbero essere in tutto una decina: a Piero Fassino (ex
segretario), Beppe Fioroni, Roberto Giachetti, Luigi Manconi, Ermete
Realacci, ed alla Sereni . Viceversa saranno in molti nomi di
“rilievo” del Pd che non le chiederanno, come Bindi, Finocchiaro,
Sposetti e Tonini, che non si ricandidano.

La nuova legge elettorale approvata
alla Camera. Il voto finale al
Senato
ROMA – L’aula di Montecitorio ha dato semaforo verde, con il voto a
scrutinio segreto, con 375 sì, 215 no al Rosatellum bis, che ora passa
all’esame del Senato. La legge elettorale è stata sostenuta da Partito
democratico, Forza Italia, Lega e Alternativa popolare. Oppositori,
Mdp, Sinistra Italiana- Possibile e M5S.

L’aula del Parlamento subito dopo il via libera al Rosatellum si è
trasformata. Da tesa e silenziosa si divide a metà: esultanza fra
banchi del Partito Democratico e rabbia e palese delusione fra quelli
della sinistra e del Movimento 5 Stelle. I Dem si sono alzati in piedi
battendo le mani esultando, applaudendo a lungo, il capogruppo Ettore
Rosato che a questa riforma elettorale ha dato il suo nome restato in
piedi vicino al suo scranno sorridente come non mai. Nessun commento e
sguardi bassi tra i 5 Stelle, alcuni dei quali restano sono rimasti
seduti al proprio posto, come un pugile sconfitto per ko sul ring.
mentre l’aula comincia a svuotarsi. .

Sulla base delle dichiarazioni di voto finali fatte dai gruppi
parlamentari, il Rosatellum bis, poteva contare su una maggioranza di
450 voti, ma sono venuti a mancare 75 voti, ottenendo 375 sì, che vuol
dire che tenendo conto delle assenze giustificate, dello scrutinio
segreto , che ci sono stati dei “franchi tiratori” provenienti dai
`dissidenti´ interni. Il raggruppamento del `no´ alla legge
elettorale, sempre sulla carta, poteva contare su 164 voti. ma. i voti
contrari sono stati 215, e quindi gli oppositori della riforma
elettorale hanno `guadagnato´ 50 voti ufficialmente non previsti e non
conteggiati prima del voto.

L’ipotesi del voto ‘ al Senato . La Camera aveva approvato ieri i
primi due articoli sui quali il governo aveva posto la fiducia; la
maggioranza parlamentare che sostiene il governo ha votato sì, mentre
Lega Nord e Forza Italia si sono astenuti. La legge passerà poi
all’esame del Senato, dove il Governo per non correre rischi
riproporrò la fiducia . Infatti a Palazzo Madama           esiste la
possibilità di dover votare alcuni emendamenti a scrutinio segreto
(come ad esempio quelli che riguardano le minoranze linguistiche,
sulle quali si era infranto a giugno il sistema elettorale “Tedesco”)
e l’idea è quella di votare velocemente senza correre rischi,
iniziando l’esame già a partire dal prossimo 24 ottobre, cioè prima
dell’arrivo della manovra finanziaria.

Le critiche dell’ex capo dello Stato Napolitano.     A premere perché
invece la legge cambi è stato il presidente della Repubblica emerito,
e senatore a vita, Giorgio Napolitano secondo il quale la fiducia sul
voto per la riforma del sistema elettorale ha rappresentato “uno
strappo”. Ma il Parlamento questa volta non lo ha ascoltato.

Cosa accade nel Partito Democratico. Allarme rosso sulle
liste “blindate”

Matteo Renzi aveva ripetutamente manifestato indifferenza il
Rosatellum bis dichiarando “La legge elettorale? Non ci vado pazzo…“,
con l’atteggiamento di chi vuol manifestare all’elettorato che i suoi
pensieri sono ben altri e cioè più vicini ai veri problemi del popolo
italiano. Ma la “grande soddisfazione” a voto concluso fatta circolare
dal segretario del Pd manifesta il compiacimento di chi ha voluto e
alla fine ottenuto il voto positivo della maggioranza alla Camera dei
deputati. Matteo Renzi ha quindi vinto la prima “partita” e quasi
certamente con il sostegno consapevole e manifesto di Silvio
Berlusconi, Matteo Salvini ed Angelino Alfano, si appresta a vincere
anche la seconda: quella del voto fonale nell’aula di palazzo Madama.
Dopodichè il Rosatellum bis diventerà legge dello Stato e verrà
controfimata dal Presidente della Repubblica. Questa è la quinta
riforma elettorale in 25 anni, cioè una legge ogni cinque anni.

Matteo Renzi sa molto bene che al di là della consistenza della
dissidenza non trascurabile nascosta nel voto segreto, manifestata da
75 peones, notabili e leader di corrente del Pd, che parlano tra di
loro, quasi come un ossessione, in realtà nei corridoi del Parlamento
si parla di una sola cosa: la composizione delle future liste
elettorali e nell’indicare i candidati nei collegi. Renzi farà
l’assopigliatutto o invece seguirà un comportamento “proporzionale”,
assegnando ai vari gruppi interni le loro quote, comprese quelle di
minoranza?

Sembra a prima vista una questione tutta interna alle varie correnti
ed anime del Pd. Un quesito che altro non è che l’ansia personalissima
di tutti quei parlamentari destinati fatalmente a non ritornare sui
banchi del Parlamento.    Ma è proprio nella selezione dei prossimi
candidati al Parlamento che si gioca una quota non indifferente della
efficacia della nuova riforma elettorale: la rappresentatività del
futuro Parlamento. Gli onorevoli che verranno candidati, ma sopratutto
quelli eletti, saranno un’immagine dei propri elettori o finiranno
per rappresentare uno specchio perfetto dei leader e delle loro
“brame” nei ripettivi territori elettorali ? Se, come è probabile, la
selezione (ma anche la scrematura) verrà fatta soltanto sulla base
degli umori e delle preferenze dei capi, il prossimo Parlamento
rischia di presentare delle poco augurali caratteristiche di
uniformità e di conformismo.

Per ora ci sono soltanto i presupposti ma non è detto che vada a
finire così. Le responsabilità maggiori, anche se non “esclusive”,
vanno al Pd che è ancora oggi il partito di maggioranza relativa.
Anche perché è l’unico partito nel quale esiste una vita democratica.
Nei partiti della Prima Repubblica, che tanti errori fecero
nell’approvvigionamento delle “risorse”, i congressi venivano
celebrati per identificare i leader, ma anche per stabilire le quote
per le minoranze in percentuale ai loro voti, negli organismi
dirigenti e delle rappresentanze parlamentari.

Da ieri sera l’allarme rosso è scattato dietro le quinte del Pd. Chi
nel Transatlantico della Camera parlava di “pulizia etnica”, trovava
il dissenso manifesti di Lorenzo Guerini, cioè di colui che per conto
di Matteo Renzi, tratterà e deciderà la formazione delle liste, che
ha detto “E’ del tutto evidente che il segretario selezionerà
personalità esterne, non inquadrabili in quote e ci mancherebbe altro.
Per il resto sarà seguito un criterio equilibrato“. Il ministro Dario
Franceschini, uno dei capo corrente del Pd che più teme l’
“operazione-assopigliattutto” di Renzi, confidava in questi giorni
agli amici: “Temo che il risultato siciliano non sarà brillante e
questo mi auguro indurrà Matteo ad essere più ragionevole“. Anche un
altro che teme l’imprevedibilità di Renzi, e cioè lo sfidante alle
primarie Andrea Orlando, manifesta un altro pensiero: “Siamo in una
fase diversa, anche Matteo ne sta prendendo atto“.
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