Governo, Cottarelli al Quirinale
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Governo, Cottarelli al Quirinale ROMA – Naufragato il tentativo di governo di Giuseppe Conte arenatosi sullo scoglio della nomina di Paolo Savona a ministro delle finanze , ora tocca al professor Carlo Cottarelli ex commissario alla spending review del Governo Letta: l’economista è entrato al Quirinale (a piedi con trolley a seguito) dove è stato convocato per le 11.30 di oggi dal presidente della Repubblica che ha affidato a lui l’incarico di formare un Governo e Cottarelli, come da prassi, ha accettato “con riserva”. “Sono molto onorato, naturalmente ce la metterò tutta” ha detto il premier incaricato, spiegando che Sergio Mattarella gli ha chiesto di “portare il paese a nuove elezioni” e presenterà “in tempi molto stretti la lista dei ministri“. Cottarelli ha indicato due tempistiche: “in caso di fiducia” il Governo affronterà “l’approvazione della legge di bilancio per il 2019, per poi andare a elezioni a inizio 2019“; invece, “in assenza di fiducia il governo si
dimetterebbe immediatamente, il suo compito sarebbe l’ordinaria amministrazione” con “elezioni dopo il mese di agosto“. Cottarelli ha assicurato la “neutralità completa rispetto al dibattito elettorale“, aggiungendo una promessa: “Mi impegno a non candidarmi e chiederò un simile impegno a tutti i membri del Governo“. Poi un passaggio sui temi economici più caldi: “Negli ultimi giorni sono aumentate le tensioni sui mercati finanziari, lo spread è aumentato, ma l’economia italiana è in crescita e i conti pubblici rimangono sotto controllo. Un governo da me guidato assicurerebbe una gestione prudente dei conti pubblici“. Inoltre, per i rapporti con l’Europa, Cottarelli dice che “un dialogo con l’Ue in difesa dei nostri interessi è essenziale, possiamo fare meglio del passato, ma deve essere costruttivo“, mentre “il nostro ruolo nell’Ue resta essenziale, come la nostra continua partecipazione all’area euro“. Lo spread dopo un’apertura al ribasso è tornato a salire e lo scontro politico e istituzionale resta altissimo dopo che Luigi Di Maio ha minacciato la messa in stato di accusa del Capo dello Stato, con la Lega che sull’impeachment non segue M5s che ha evocato la piazza. Pur parlando d’altro, Mattarella avverte intanto che “la minaccia di violenza” resta e osserva come l’antidoto non possa che essere il
rafforzamento della “sensibilità democratica” e la fedeltà “ai principi che ispirano la nostra convivenza“. Ore difficili che fanno scendere in campo a sostegno del Colle diversi esponenti della società civile ma anche del Partito democratico: via tweet Dario Franceschini invoca la necessità di ritrovare l’unità smarrita e dice “verrà il tempo del confronto interno, ma ora ogni divisione tra noi sarebbe imperdonabile“. E Carlo Calenda fa sapere di essere pronto a metterci la faccia e assicura di volersi candidare alle prossime elezioni. Il voto infatti torna ad avvicinarsi e anche Alessandro Di Battista, tra i big pentastellati, mette per iscritto di non voler mollare: ha la valigia in mano ma non appena si aprirà la campagna elettorale – assicura – farà ritorno perché si “deve credere e lottare per le proprie idee“. Che dopo l’intesa sul contratto-programma e la squadra di governo, i gialloverdi possano siglare un patto anche elettorale è una domanda che resta senza una risposta netta: “Vedremo“, dice Salvini che sembra però guardare ora in particolare agli alleati di centrodestra e soprattutto a Silvio Berlusconi: “Se vota il governo Cottarelli addio alleanza: la nota di ieri – osserva – era la stessa di Renzi“. Forza Italia, che ieri con il Cavaliere ha definito l’impeachment “irresponsabile“, chiosa per bocca del portavoce dei gruppi parlamentari azzurri Giorgio Mulè “non daremo i voti a un governo tecnico e nemmeno i Cinque Stelle, quindi un governo che nasce già minoritario“. Chi è Carlo Cottarelli Laureato a Siena e alla London School of Economics, Cottarelli, pur lavorando a Washington dal 1988 quando entrò al Fondo Monetario Internazionale dopo la Banca d’Italia e una breve esperienza all’Eni, ha sempre seguito con attenzione gli affari italiani. All’Fmi infatti era direttore del
dipartimento affari di bilancio dal 2008 e in questi anni più volte ha redatto e illustrato il “Fiscal Monitor“, ovvero il rapporto dove si analizzano i bilanci pubblici delle principali economie. Nato a Cremona nel 1954, dopo venticinque anni al Fondo Monetario e sei alla Banca d’Italia, Cottarelli ricoprì l’incarico di commissario alla spending review per il governo per un anno. Il conto dei tagli possibili arrivò a 32 miliardi. L’incarico si concluse con un corposo dossier di risparmi possibili e qualche amarezza che l’aveva portato a sottolineare più volte gli ostacoli incontrati sulla strada della revisione della spesa. Nel novembre del 2014 Cottarelli lascia e torna al Fmi su nomina del Governo Renzi, come direttore esecutivo nel board. L’amore per il rigore dei conti però non si è interrotto e dal 30 ottobre 2017 è il Direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano. Pensioni e lavoro, la ricetta di Carlo Cottarelli – Video da ‘Omnibus’, 12 gennaio 2018 Recentissimi i suoi affondi sulla necessità di ridurre il debito e sul risanamento che passa per la finanza pubblica. “Dobbiamo ridurre il debito pubblico altrimenti rimarremo schiavi dei mercati“, aveva sottolineato anche di recente. Il piano di spending rewiev di Cottarelli era stato evocato di recente da Andrea Roventini, inizialmente scelto da Di Maio come ministro dell’Economia per il governo M5S. Critiche invece le sue posizioni nei confronti del contratto Lega-M5s. Un programma che aveva detto pochi giorni fa “comporta un aumento del deficit pubblico particolarmente elevato e le coperture non sono individuate in maniera chiara“. (notizia in aggiornamento)
Consultazioni di Governo. I partiti al Quirinale, ma manca l’accordo ROMA – Dopo il nulla di risolto nel vertice di ieri sera, nel centrodestra regna il caos. Nella prima mattinata di oggi tutti i leader si sono ritrovati a Palazzo Grazioli da Silvio Berlusconi di Forza Italia affiancato dal presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Partecipano al vertice Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti della Lega, Giorgia Meloni ed Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia . Il tentativo è quello di trovare una soluzione alla mancanza di un Governo nella diciottesima legislatura. E fare il punto in vista dell’incontro al Colle con il presidente Sergio Mattarella per l’ultimo giro di consultazioni. Forza Italia ribadisce senza mezzi termini la sua contrarietà al nuovo tentativo di Luigi Di Maio di spaccare la coalizione, ribadendo di non essere disponibile a dare un appoggio esterno a un esecutivo Lega-M5S. E dice “no” anche all’ipotesi di un governo del presidente. A ribadirlo stamattina la senatrice di Forza Italia Licia Ronzulli ospite del programma “Circo Massimo” su Radio Capital: “Come il centrodestra sta unito nel dire no alla proposta di Di Maio, è unito nel dire no a un governo del Presidente“.
Ieri sera Salvini avrebbe mantenuto la sua posizione contraria ad un “governo del Presidente” spiegando a Berlusconi che senza un governo politico che dia garanzie agli italiani sarebbe meglio andare al voto al più presto. Il leader di Forza Italia avrebbe ribadito al leader della Lega che Forza Italia non intende rimanere fuori da un eventuale governo politico con i M5S, avvertendo che non darà mai il via libera ad appoggi esterni. Nel frattempo con l’arrivo al Quirinale della delegazione del Movimento 5 Stelle, composta da Luigi Di Maio e dai capigruppo di Camera e Senato Giulia Grillo e Danilo Toninelli, ha preso il via il terzo e ultimo ciclo di consultazioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per la formazione del nuovo governo, al termine del quale il Capo dello Stato potrebbe prendere una sua iniziativa, se le forze politiche si dimostreranno ancora incapaci di dar vita ad una maggioranza parlamentare in grado di sostenere un esecutivo. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Agi, si è appreso di una telefonata intercosa stamane fra Di Maio e Salvini prima che il segretario della Lega prendesse parte al summit della sua coalizione. Al termine, Luigi Di Maio ha detto: “Se c’è la volontà si può ancora fare un governo politico. Sono disponibile a scegliere con Salvini un premier terzo con un contratto di governo che preveda condizioni non trattabili che sono il reddito di cittadinanza, l’abolizione della Fornero e una serie di misure anti-corruzione“. Il leader M5s ha aggiunto: “Non siamo disponibili a votare la fiducia a governi tecnici. Se c’è buona volontà si può ancora fare un governo politico” proseguendo: “Se non ci sono condizioni per governo politico, consapevole dei problemi degli italiani e che non faccia solo quadrare
i conti, allora per noi si deve tornare al voto nella consapevolezza che sarà un ballottaggio: ora è chiaro che ci sono due realtà politiche che competono per governo di questo Paese e gli italiani sceglieranno” e concluso “Quando dico vogliamo fare un contratto con la Lega stiamo considerando una forza politica: la novità è che siamo disposti a trovare un presidente del Consiglio insieme. Se abbiamo eletto delle cariche istituzionali è bene che continuino a fare le cariche istituzionali”. Sul fronte dei possibili candidati premier di un eventuale governo di “tregua”, in testa alle classifiche figura anche il nome di Carlo Cottarelli, già commissario alla spending review: “Non mi ha chiamato nessuno“, risponde a Circo Massimo. Ma non nega che “sarebbe pronto a prendersi le proprie responsabilità” ritenendo però che “per mettere al riparo da certi rischi l’economia italiana ci vuole un governo politico. I mercati finanziari al momento sono tranquilli, c’è molta liquidità. Non c’è un’emergenza economica in questo momento. Non serve un esecutivo alla Monti“. E conclude: “Se non c’è qualche choc esterno non mi aspetto un aumento particolare degli spread anche con le elezioni a ottobre“. Alle 11 sono arrivati al Colle , i rappresentanti del centrodestra e Salvini si è messo in campo personalmente : “Abbiamo offerto al presidente della Repubblica la mia disponibilità di dare vita a un governo di centrodestra che cominci a risolvere tutti i problemi del Paese. Il Colle ci dia modo di trovare la maggioranza“, afferma dopo l’incontro con il capo dello Stato, confermando una linea comune decisa nel corso di un vertice di coalizione che si è tenuto nella prima mattina a Palazzo Grazioli. Subito dopo i colloqui la distanza fra Lega e M5s è aumentata con una nuova rottura innescata dalle
rispettive dichiarazioni incrociate. Di Maio ha affermato: “Salvini non ha i numeri per formare un governo“. Ma il capogruppo leghista della Camera Giancarlo Giorgetti di rimando replica: “Di Maio non conta più un c..., il leader incaricato sarà Salvini”. Il Partito Democratico intanto osserva da spettatore: “Mi pare che adesso il problema sia di qualcun altro“, ha detto il segretario reggente Maurizio Martina . Questa mattina al Nazareno per un vertice allargato sono arrivati oltre a Martina, Ettore Rosato, Graziano Delrio, Lorenzo Guerini, Andrea Romano, Matteo Orfini e i ministri Marco Minniti e Carlo Calenda. Atteso Andrea Marcucci. La riunione è allargata anche alle minoranze, sono presenti infatti Dario Franceschini, Andrea Orlando, Gianni Cuperlo, Antoci (in rappresentanza di Michele Emiliano) prima delle partecipazione delle delegazione Pd alle consultazioni al Quirinale. Come ben noto i dem al momento sono gli unici intenzionati a sostenere un eventuale governo tecnico. “Noi pensiamo che a questo punto sia urgente dare una soluzione alla crisi. Basta traccheggiare, basta con il gioco dell’oca. Supporteremo l’iniziativa del Presidente della Repubblica fino in fondo. Bisogna fare tutti un passo avanti, il Paese viene prima di tutto”, ha dichiarato il segretario reggente del Pd Maurizio Martina al termine delle consultazioni, facendo appello alla responsabiltà di tutte le altre forze politiche. Dal portavoce di Matteo Renzi era arrivata la smentita di contatti con Luigi Di Maio: “A differenza di quanto riportato ancora oggi da alcuni quotidiani, Matteo Renzi non ha mai incontrato né si è mai sentito con Luigi Di Maio. Tra i due non ci sono stati dopo il 4 marzo né contatti, né trattative, né sms“. Nel pomeriggio, a partire dalle 16, intervallate di 20 minuti, le udienze con Leu, Autonomie Senato, Gruppi Misti di Senato e Camera. Quindi alle 17.30 e alle 18 gli incontri con i presidenti della Camera, Roberto Fico, e del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati.
Al momento scompare all’orizzonte la prospettiva di un governo “di tregua” che, nelle intenzioni del Quirinale, sarebbe dovuto durare fino a dicembre per proteggere l’Italia da alcune tegole, incominciando dall’aumento dell’Iva al 25 per cento quale conseguenza dell’impossibilità di approvare in tempo la manovra finanziaria 2019. Ma alla alla luce delle dichiarazioni rilasciate, dopo i colloqui al Quirinale, da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, sulla base dei numeri parlamentari le possibilità di questo tipo di governo sono pressochè inesistenti. Negli ambienti del Quirinale la parola è cambiata. Al posto dell’esecutivo “di tregua” adesso si parla esplicitamente di governo “elettorale“. cioè necessario esclusivamente ad accompagnare il paese alle urne, il più in fretta possibile (compatibilmente con le ferie estive). Negli ultimi giorni qualcuno immaginava che questo compito lo avrebbe potuto tranquillamente svolgere Paolo Gentiloni, senza bisogno di mettere in campo altre personalità. Ma negli ultimi giorni pare sia prevalsa l’esigenza di affrontare il voto-bis con figure più “indipendenti” del pur equilibrato ed apprezzato Gentiloni, specialmente se l’attuale presidente del Consiglio dovesse correre per il Pd quale “candidato premier”. Non sarebbe in fondo una prima volta. Già nel 1979 il quinto governo Andreotti fu creato apposta per portare l’Italia alle urne, e così il sesto gabinetto Fanfani, nel suo caso correva l’anno 1987. Più ci si
addentra nella ipotetica “Terza Repubblica”, e più ci accorgiamo che in realtà somiglia sempre di più alla Prima. (notizia in aggiornamento) Habituè e new-entry, le facce del nuovo Parlamento ROMA – Il nuovo Parlamento uscito dalle urne del 4 marzo è un mix di veterani e outsider. Nel Transatlantico di Montecitorio si incontreranno il leghista nigeriano Toni Iwobi, primo senatore di colore d’Italia, la testimone di giustizia Piera Aiello che finalmente potrà riavere pubblicamente indietro la sua identità, ma anche pezzi grossi del governo uscente, dalla toscana Maria Elena Boschi, eletta a Bolzano, a Marco Minniti, sconfitto a Pesaro dal pentastellato Cecconi ma ripescato grazie al proporzionale. Tra i big recuperati, mezzo governo Gentiloni: Dario Franceschini, Roberta Pinotti, Valeria Fedeli, Andrea Orlando. Salvati anche tre dei principali esponenti di Liberi e Uguali: sconfitti all’uninominale conquistano comunque un seggio Pietro Grasso, Laura Boldrini e Pier Luigi Bersani.Entrano, invece, dalla porta principale del collegio i ministri Pier Carlo Padoan, Graziano Delrio, Luca Lotti e Beatrice Lorenzin.
Al Senato passa Emma Bonino, che a Roma fa incetta di voti, e torna Umberto Bossi. Ma gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama ospiteranno anche perfetti sconosciuti o ‘famosi’ per motivi diversi dalla politica. Due veterinarie si accingono a prendere posto in aula: la napoletana Doriana Sarli, eletta alla Camera con il M5s; al Senato, per la Lega, la toscana Rosellina Sbrana. Tra i 28 eletti del Movimento 5 Stelle nei collegi uninominali siciliani Gaspare Marinello, dirigente dell’ospedale di Sciacca, e Giorgio Trizzino, direttore dell’ospedale Civico di Palermo. Il M5s, che ha già designato come possibile successore della ministra Fedeli Salvatore Giuliano preside dell’Iiss Majorana di Brindisi, una delle scuole più raccontate d’Italia -, porta diversi insegnanti in Parlamento; molti dalla Calabria tra ritorni, come quello del senatore Nicola Morra, docente di storia e filosofia a Cosenza confermato per il secondo mandato, e new entry come Bianca Laura Granato, una delle più attive nelle battaglie contro la Buona Scuola.
Nutrito pure il drappello di giornalisti. Nel M5s ce l’hanno fatta Primo Di Nicola, ex direttore de Il Centro, con il 41% in Abruzzo; Emilio Carelli, ex direttore di SkYTg24; Pino Cabras, giornalista-blogger, scrittore e fondatore di Pandora Tv, 46% nel collegio di Carbonia. Nelle liste di Forza Italia eletti Giorgio Mulè, direttore di Panorama (46%), Andrea Cangini, ex direttore di Qn, che era capolista nelle Marche. Per il Pd a Milano entra al Senato Tommaso Cerno, ex direttore de l’Espresso. Restano fuori, invece, con il M5s, Gianluigi Paragone, ex direttore de La Padania, e la Iena Dino Giarrusso. Non ce la fanno per il Pd Francesca Barra, candidata in Basilicata, e neppure la bersaniana Chiara Geloni. Tra i vip dello sport l’ha spuntata l’ex Ad del Milan Adriano Galliani, mentre il presidente della Lazio Claudio Lotito resterà fuori dal Senato, a meno che non segua il consiglio del sindaco di Benevento Clemente Mastella e faccia ricorso. Elezioni 2018: tutti gli “eletti” ripescati grazie ai partiti nel
proporzionale ROMA – Il conteggio ufficiale dei seggi della Camera assegnati con il metodo proporzionale ha permesso di assegnare 607 seggi sui 630 disponibili (la maggioranza parlamentare è di 316 voti). La quota più consistente tra i partiti va ovviamente al Movimento 5 Stelle, primo in virtù del 32,7 % dei voti ricevuti nelle urne che valgono 133 deputati ed aggiungendoli agli 88 conquistati con il meccanismo uninominale, il gruppo parlamentare grillino a Montecitorio conquista 221 seggi. Segue la “pattuglia” del Partito Democratico, che in virtù del 18,7 per cento dei voti raccoglie 86 seggi del proporzionale. Tra i “ripescati” vi sono anche i ministri uscenti Marco Minniti , Valeria Fedeli, Dario Franceschini, Maurizio Martina, Roberta Pinotti ed il presidente del partito Matteo Orfini usciti sconfitti nelle sfide dei collegi uninominali. Nella coalizione di centrosinistra anche due seggi per Svp, nessuno invece dalla ripartizione proporzionale per +Europa, Civica popolare e Insieme. Il numero totale dei deputati centrosinistra, che ha portato a casa anche 24 collegi uninominali, si ferma a 112 deputati.
Nel centrodestra il 17,4 per cento della Lega vale 73 seggi, alcuni dei quali anche al Sud: uno in Calabria, uno in Basilicata, due ciascuno in Campania, Puglia e Sicilia. Forza italia, con il 14% si aggiudica 59 seggi, mentre 19 seggi vanno a Fratelli d’ Italia grazie al 4,3 per cento conquistato dagli elettori. Sommandoli ai 109 seggi conquistati nell’uninominale, la coalizione di centrodestra ha eletto 260 deputati. Gli ultimi 14 seggi finora assegnati col proporzionale finiscono invece a Liberi e Uguali , che non ha vittorie nell’uninominale ma salva in questo modo tra gli altri Laura Boldrini e Pier Luigi Bersani, usciti entrambi pesantemente sconfitti nelle sfide nei collegi in cui si erano presentati
A Palazzo Madama dove l’assemblea è composta da 321 membri composta dai 315 gli eletti e 6 senatori a vita, il numero necessario per conquistare la maggioranza è di 161. Dopo le elezioni del 4 marzo, sommando il dato dell’uninominale a quello del proporzionale, il centrodestra ha conquistato 135 seggi, il M5s 112 e il centrosinistra 57. Guardando per la ripartizione dei seggi (al solo proporzionale) il Movimento 5 Stelle si conferma primo partito anche al Senato e con il 32,2 per cento si è aggiudicato 68 seggi, seguito dal Pd con il 19,1 per cento e 43 seggi, la Lega con il 17,6 per cento e 37 seggi, Forza Italia in virtù del proprio 14,4 per cento i suoi 33 seggi, Fratelli d’Italia con il 4,3 per cento ottiene 7 seggi, Liberi e uguali al 3,3 per cento solo 4 seggi. Nessun seggio per +Europa, (2,4 per cento), Noi con l’Italia, (1,2 per cento) e Potere al popolo!, (1 per cento) . Nessun partito ha raggiunto la maggioranza nei due rami del Parlamento necessaria per poter governare. E questa circostanza conferma la necessità di cambiare al più presto questo nuovo sistema elettorale, assolutamente ed al più presto.
Tra gli altri eletti nei listini “bloccati” dai partiti , anche i ministri Andrea Orlando e Maurizio Martina – che non erano stati candidati nell’uninominale – insieme a Lucia Annibali (Pd), Michele Anzaldi (Pd), Simone Baldelli (Forza Italia), Alfredo Bazoli (Pd), Teresa Bellanova (Pd), Deborah Bergamini (Forza Italia), Michaela Biancofiore (Forza Italia), Francesco Boccia (Pd), Alfonso Bonafede (M5S), Vittoria Brambilla (Forza Italia), Enza Bruno Bossio (Pd), Daniela Cardinale (Pd), Annagrazia Calabria (Forza Italia), Mara Carfagna (Forza Italia), Guido Crosetto (Fratelli d’Italia) , Gregorio De Falco (M5S), Paola De Micheli (Pd), Umberto Del Basso De Caro (Pd), Manlio Di Stefano (M5S), Guglielmo Epifani (Leu), Stefano Fassina (Leu), Pietro Fassino (Pd), Valeria Fedeli (Pd), Emanuele Fiano (Pd), Nicola Fratoianni (Leu), Maria Stella Gelmini (Forza Italia), Giancarlo Giorgetti (Lega), Stefano Graziano (Pd), Piero Grasso (LeU), Giulia Grillo (M5S), Lorenzo Guerini (Pd), Gennaro Migliore (Pd), Alessia Morani (Pd), Raffaella Paita (Pd), Gianluigi Paragone (M5S), Gianni Pittella (Pd), Barbara Pollastrini (Pd), Renata Polverini (Forza Italia), Stefania Prestigiacomo (Forza Italia), Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) , Ettore Rosato (Pd) , Nino Rizzo Nervo (Pd), Gianfranco Rotondi (Forza Italia), Carla Ruocco (M5S), Barbara Saltamartini (Lega), Jole Santelli (Forza Italia), Giulia Sarti (M5S), Vittorio Sgarbi (Forza Italia), Debora Serracchiani (Pd), Paolo Siani (Pd) , Cosimo Sibilia (Fratelli d’Italia) , Roberto Speranza (Leu), Nico Stumpo (Leu), Valentino Valentini (Forza Italia), Elio Vito (Forza Italia), Pini, Cantone, Borghi, Giacomoni, Baroni, Daga, Angelucci, Campana, Pezzopane, Cirielli, , Bitonci, Zan, Fedriga .
GLI ELETTI IN SICILIA In Sicilia i 5stelle hanno problemi di abbondanza, mentre gli altri partiti fanno i conti con un numero di seggi inferiore alle previsioni. Forza Italia, attestata al 21% è rimasta a secco negli uninominali, in Sicilia elegge nei listini 6 deputati (uno per ogni collegio plurinominale) e tre senatori. Tornano a Montecitorio Francesco Scoma, Stefania Prestigiacomo (eletta in due listini, gli subentra Nino Germanà a Messina, il collegio in cui Forza Italia ha incassato la percentuale minore) e Nino Minardo. Matilde Siracusano Elette anche due matricole: Matilde Siracusano (ex concorrente di Miss Italia), Giusi Bartolozzi (magistrato, compagna del vicepresidente della Regione Sicilia, Gaetano Armao). Al Senato confermato l’ex
presidente Renato Schifani e la parlamentare uscente Gabriella Giammanco; entra Urania Papatheu. Totalmente asfaltati i centristi di Udc-Noi per l’Italia, gli alleati del centrodestra si dividono i pochi posti rimasti. Nella Lega eletti deputati l’ex forzista ed ex alfaniano Alessandro Pagano e l’ex lombardiano Carmelo Lo Monte. Per Fratelli d’Italia elette due donne: Carolina Varchi e Carmela Bucalo. Al Senato la neo-leghista Giulia Bongiorno (capolista altrove, ma dovrebbe scattare il seggio in Sicilia) e il musumeciano Raffaele Stancanelli capolista di Fdi nel versante orientale della Sicilia. La rappresentanza siciliana del Pd è ridotta ai minimi storici. Sconfitti in tutte le sfide uninominali vinte dal M5S, i dem piazzano quattro deputati. Tre dei quali al posto di Maria Elena Boschi, che per legge prende il seggio vinto all’uninominale in Alto Adige. I beneficiari dell’exploit altoatesino della sottosegretaria sono Carmelo Miceli (segretario del partito a Palermo), l’ex rettore di Messina, Pietro Navarra (che era stato sconfitto nel suo collegio) e il segretario regionale Fausto Raciti, rieletto a Montecitorio. Rientra per il terzo mandato anche Daniela Cardinale (figlia dell’ex ministro dc e leader di Sicilia Futura, Totò Cardinale), al centro di polemiche e proteste da parte dei dem nisseni che non la volevano candidata. Restano fuori due dei sei capilista “blindati”. Il primo è Fabio Giambrone, braccio destro di Leoluca Orlando ed incredibilmente anche Paolo Gentiloni.che se non fosse stato già eletto nel suo collegio a Roma, il premier non avrebbe avuto – a causa dei pessimi risultati dei dem in Sicilia – il seggio ritenuto “sicuro” nell’Isola. A farne veramente le spese è Francesca Raciti (seconda nel listino dopo Gentiloni), fedelissima di Luca Sammartino, deputato regionale sconfitto nel suo collegio che si consola con il seggio di senatrice per Valeria Sudano. L’ex deputata regionale è l’unica dem a entrare a Palazzo Madama oltre al sottosegretario renziano Davide Faraone. Liberi e Uguali nonostante la sconfitta deludente rispetto alle previsioni e agli obiettivi, ottiene tre seggi anche in Sicilia. Uno al Senato, con il presidente Pietro Grasso. E due alla Camera: l’uscente Erasmo Palazzotto e l’ex segretario di Cgil e Pd, Guglielmo Epifani. Ma ci sono quei seggi come “avanzi” della vittoria devestante del Movimento 5stelle. Quattro posti disponibili che non hanno rappresentati grillini eleggibili, che quindi faranno sicuramente la felicità di altrettanti delusi di centrodestra e centrosinistra.
GLI ELETTI IN PUGLIA Nei due collegi plurinominali della Camera e cioè il collegio 1 che comprende le circoscrizioni elettorali di Bari città, Bari-Bitonto, Altamura, Molfetta-Bisceglie ed il collegio 3 che comprende le circoscrizioni elettorali di Monopoli, Brindisi, Taranto e Martina Franca il Movimento 5 Stelle ha ottenuto altri rappresentanti e cioè Giuseppe Brescia, Angela Masi, Davide Galantino, Diego De Lorenzis, Veronica Giannone, Leonardo Donno, Giuseppe L’Abbate, Alessandra Ermellino, Giovanni Vianello, Marialuisa Faro, Giorgio Lovecchio e Francesca Troiano che scatterà al posto di Giuseppe D’Ambrosio, già eletto col sistema uninominale. Nel Partito Democratico eletti solo i capilista Marco Lacarra segretario regionale del PD (Puglia 1) ed il segretario provinciale di Bari Ubaldo Pagano candidato imposto da Michele Emiliano nel collegio Puglia 3 a Taranto ! Tra i baresi eletti in quota Pd anche Francesco Boccia (capolista nel collegio Puglia 2) e Michele Bordo. Francesco Paolo Sisto In Forza Italia, eletti 6 deputati. Francesco Paolo Sisto (collegio Puglia 1), Elvira Savino, l’ex ministro Elio Vito, Mauro D’Attis, Annaelsa Tartaglione e Vincenza Labriola, deputata uscente eletta la prima volta col M5s e l’anno scorso passata con il partito di Berlusconi. mentre rimane a terra Massimo Cassano, terzo in listino e già sconfitto all’uninominale. Conquistano un posto a Montecitorio anche i baresi Rossano Sasso (Lega) e Marcello Gemmato (Fratelli d’Italia), eletti nel collegio Puglia 2. La Lega ottiene un seggio per Anna Rita Tateo. Non ce l’ha fatta Michele Larfogia, il noto avvocato
penalista barese candidato con Liberi e Uguali che nell’uninominale aveva ottenuto oltre il 7% dei consensi doppiando la media nazionale del suo partito ! Annaelsa Tartaglione Un deputato scattato per Fratelli d’italia (Marcello Gemmato) ed uno , Rossella Muroni, pluricandidata per LeU in vari collegi del Paese, ma eletta solo in Puglia. Al Senato eletti altri 6 nel plurinominale per il Movimento 5 Stelle Alfonso Ciampolillo, Gisella Naturale, Vincenzo Garruti, Daniela Donno e Cataldo Mininno, dentro al posto di Barbara Lezzi già eletta all’uninominale, Maurizio Buccarella (uno degli espulsi da Di Maio) Eletti per Forza Italia al Senato nel collegio Puglia 1 che comprende le circoscrizioni elettorali di Bari Città, Bari-Bitonto, Molfetta, Altamura, Andria, Manfredonia, Foggia, San Severo , eletto Dario Damiani che scatta al posto di Licia Ronzulli eletta all’uninominale in Lombardia, Luigi Vitali, coordinatore regionale di FI, e nel collegio Puglia 2 che comprende le circoscrizioni elettorali di Monopoli, Brindisi, Lecce, Francavilla Fontana, Nardò, Casarano, Taranto, Martina Franca, eletto l’uscente Michele Boccardi . Per il Pd, nel collegio Puglia 1, eletta la capolista Assuntela Messina e Dario Stefano, mentre resta a casa Dario Ginefra. Eletto anche Roberto Marti per la Lega. Nessun eletto invece al Senato per Fratelli d’Italia, con Filippo Melchiorre e l’ex sindaco di Lecce, Paolo Perrone, rimasti entrambi fuori dall’aula di Palazzo Madama.
GLI ELETTI IN CAMPANIA Le sorpresa non si esauriscono solo con il voto uninominale. Infatti anche con il sistema proporzionale, legato a percentuali di voti ottenute dai listini dei partiti il Movimento Cinque Stelle in Campania ha fatto man bassa di seggi sia al Senato (9) che alla Camera (18). Eletti in parlamento anche alcuni candidati sconfitti nel maggioritario. E’ stato eletto infatti Piero De Luca, il figlio del governatore della Campania, giunto terzo nel collegio elettorale di Salerno e “salvato” grazie al listino in cui era inserito nel collegio plurinominale Campania 2-02. Esattamente come De Luca jr. è stato eletto anche anche Federico Conte, figlio dell’ex ministro ai tempi dell’onda lunga socialista Carmelo Conte e genero di Alfonso Andria, uscito invece sconfitto dallo scontro nel maggioritario ma ripescato grazie al 3,52% ottenuto dal listino di Liberi e Uguali nel collegio plurinominale Campania 2-03. Paolo Siani Approda in parlamento anche Paolo Siani, fratello del compianto
Giancarlo giornalista de Il Mattino ucciso dalla camorra, capolista del listino Napoli 2 e sconfitto nel collegio uninominale dell’Arenella. Resta fuori al momento dal Senato la senatrice uscente Angelica Saggese, seconda nel listino Pd di Campania 3 alle spalle di Gianni Pittella (eletto grazie al listino) che nella sua Basilicata ha perso il confronto con Salvatore Caiata (41,7%), presidente della squadra di calcio del Potenza ed espulso dal M5s dopo aver scoperto l’indagine per riciclaggio a suo danno, notizia resa nota per primi in Italia dal nostro quotidiano ! Chi spera in un seggio al Senato è Valeria Valente (Campania 02) seconda alle spalle dell’eletto segretario Pd, Matteo Renzi. Come la Valente anche Claudio Lotito spera in un ripescaggio. E’ secondo nel listino al Senato di Forza Italia in Campania 1 alle spalle di lady Mastella (Sandra Lonardo) eletta anche per Forza Italia in ben due collegi, insieme col capolista Cesaro in Campania 3. Claudio Lotito Probabilmente verrà ripescato il giornalista salernitano Gigi Casciello terzo nel listino di Forza Italia alla Camera in Campania 3 alle spalle degli eletti Vincenzo Fasano (passato dal Senato alla Camera) e Marzia Ferraioli che nel sistema maggioritario ha conquistato il seggio di Agropoli impedendo al Movimento 5 Stelle di fare il “pieno” nei 33 collegi campani 32 dei quali sono stati conquistati dai grillini. Il presidente della Lazio Calcio Claudio Lotito che si era presentato con Forza Italia nella lista del plurinominale al collegio Campania1, non ce l’ha fatta ad essere eletto al Senato . E forse anche questo è un bene per la politica italiana. Anche Nunzia De Girolamo non è stata eletta alla Camera. In famiglia è bastato un “nominato” rieletto
grazie al listino del PD in Puglia, e cioè suo marito Francesco Boccia. Due “riciclati” evidentemente erano troppi ! Fratelli d’Italia in Campania si aggiudica un seggio in Senato assegnato ad Antonio Iannone,e x vice presidente della Provincia di Salerno, considerato il “pupillo” di Edmondo Cirielli eletto alla Camera nel listino di Fratelli d’Italia in Campania 3 . Ance Taranto, plaude alle risorse destinate dal Ministro Franceschini alla città vecchia Dario Franceschini ROMA – Accelera il piano di riqualificazione della città vecchia e questa velocizzazione, dovuta agli impegni assunti dal Ministro Dario Franceschini Con un comunicato l’ ANCE Taranto plaude con soddisfazione alle risorse aggiuntive predisposte dal MIBACT per 90 milioni di euro e deliberate dal CIPE sono l’impegno plastico con cui sostenere non solo le azioni indispensabili di premessa (messa in sicurezza, servizi, infrastrutture, viabilità, sorveglianza), ma anche per innescare un
nuovo processo di rilancio degli investimenti privati. Paolo Campagna, presidente di ANCE Taranto, saluta con soddisfazione “il riconoscimento di un’ulteriore dote finanziaria per il progetto di rilancio che riguarda il patrimonio della Città Vecchia di Taranto e dichiara la disponibilità delle imprese a compiere la loro parte“. Paolo Campagna Proprio nella direzione di quanto auspicato nelle osservazioni prodotte come ANCE e come tavolo di Taranto Opera Prima “rispetto al Piano predisposto in favore dell’isola – dice Campagna – con questa importante dotazione di risorse si può oggi ragionevolmente immaginare quella cantierizzazione degli interventi prioritari che sono la base per la rinascita di quella porzione così importante di città“. Dei 90 milioni a disposizione per la Città Vecchia di Taranto “circa 40 serviranno per le azioni prioritarie previste di infrastrutturazione e messa in sicurezza, altri 50 – spiega Paolo Campagna – potranno fungere da moltiplicatore degli effetti da raggiungere in questa fase che ci auguriamo decisiva e risolutiva“. Si apre dunque uno scenario decisivo nel quale attivare le energie e competenze che servono per procedere con lo stesso passo nella progettazione ed attuazione delle azioni. “Come ANCE confermiamo l’impegno ad essere soggetti attivi nel sostenere ed accompagnare l’intero processo di rigenerazione della Città Vecchia“.
Sarà Parma la Capitale italiana della Cultura 2020 di Federica Gagliardi La città di Parma è stata nominata Capitale italiana della cultura 2020.La città dal nobile passato, dei Farnese e dei Borbone, piccola capitale con Maria Luigia d’Asburgo, di Correggio e Parmigianino, Bodoni e Toscanini, del maestro Giuseppe Verdi, dei Bertolucci, sede di una delle più antiche università al mondo e oggi del grande Centro Csac (studi archivio comunicazione) ha dunque tagliato il traguardo per prima. Un successo che si aggiunge a quello di Città creativa della Gastronomia Unesco ottenuto nel 2015. La comunicazione è arrivata alla presenza del Ministro dei beni culturali e turismo Dario Franceschini, da parte del presidente Stefano Baia Curioni, al termine di una cerimonia pubblica presso la sede del Mibact a Roma. Il ministro annunciando il vincitore, busta già in mano, prima ha scherzato un po’. ”Mi spiace per i sindaci venuti qui, che hanno candidato le loro città a Capitale italiana della cultura 2020: violando tutte le regole, ho deciso di nominare Ferrara, la mia città!’‘. Risate per tutti seguite dalla suspense per conoscere il vncitore. “Già entrare nella shortlist è motivo di vanto, è come entrare nelle nomination agli Oscar – ha osservato il ministro dei Beni Culturali – i film poi si scrivono “ha ottenuto la nomination agli Oscar”. Quindi bene e grazie a tutte le città. Ha vinto Parma”. Il ministro Franceschini, nello spiegare la scelta unanime della giuria, ha esaltato la capacità di Parma di aver saputo fare rete e creare delle importanti sinergie tra pubblico e privato ai fini dell’offerta culturale. Il territorio infatti ha saputo fare “sistema” ed è sceso in campo investendo cinque milioni di euro tra fondi privati e pubblici . L’Enel, inoltre, garantirà un progetto di turismo sostenibile.
“La competizione diventa ogni anno più forte, con città che presentano progetti straordinari. È una scelta difficile – ha sottolineato il ministro Franceschini – ma la commissione ha deciso all’unanimità. Parma è sicuramente e ha tante ragioni legate all’arte, alla musica, al cibo. La nomina rappresenta un traino sui grandi mercati internazionali: il turismo è cresciuto prima a Mantova, poi a Pistoia“. Nella presentazione della candidatura l’Amministrazione comunale di Parma , rappresentata dall’assessore Michele Guerra, ed il comitato scientifico di cui hanno fatto parte, tra gli altri, Bernardo Bertolucci, Franco Maria Ricci (che ha disegnato il logo) e lo scienziato Giacomo Rizzolatti hanno puntato sui sette distretti socio-culturali, dislocati in diverse aree della città, che diventano spazi di creatività, riflessione, rigenerazione e innovazione. Trentadue progetti intorno al claim “La cultura batte tempo” e basati su quattro baluardi per allargare la produzione culturale: cantieri, produzioni, rassegne ed esposizioni.
Parma ci aveva già provato nel 2016 ma il titolo in quell’occasione era stato aggiudicato alla città di Mantova. Il primo cittadino Pizzarotti ha ricordato le altre finaliste, Piacenza e Reggio Emilia in particolare, a cui Parma è legata dall’associazione Destinazione Turistica Emilia e con cui “vogliamo continuare a lavorare insieme“. Le altre nove candidate erano: Agrigento, Bitonto, Casale Monferrato, Macerata, Merano, Nuoro, Piacenza, Reggio Emilia e Treviso. Chiamati a raccolti tutti gli “attori”: il conservatorio Boito che porterà musica e arte nelle periferie, il Festival Verdi del Teatro Regio che curerà anche una stagione speciale dedicata al Novecento assieme a Fondazione Toscanini e Teatro Due, la rinnovata Galleria Nazionale del complesso monumentale della Pilotta, il Festival della creatività contemporanea Parma 360 e ancora Fondazione Magnani Rocca, Museo Guatelli e il Labirinto della Masone. Con delle aspettative altrettanto ambiziose: far crescere i turisti dagli attuali 700mila l’anno, ad 1 milione nel 2020. Alla città è andato un milione di euro di contributo dal Ministero ed arriverà un ritorno di immagine a 360 gradi. Poco dopo la proclamazione nella sala Spadolini del ministero a Roma , il sindaco di Parma Federico Pizzarotti ha dichiarato : “Sono più emozionato oggi del giorno delle elezioni. Raramente ho poche parole, stavolta mi avete lasciato senza. Ora abbiamo una grande possibilità. Dopo gli anni della speculazione, dei grandi debiti, questa vittoria è un bellissimo messaggio alla città. Quando Parma resta unita non la batte nessuno. Ringrazio tutti di cuore. Il tempo di toccare il cielo con un dito e poi subito a lavoro, subito immersi in questa grande avventura“.
Ecco tutti i candidati del Pd nei collegi di tutt' Italia di Giovanna Rei ROMA – Ecco le liste ufficiali che verranno depositate questa mattina, con i candidati del Partito Democratico. “Combatteremo. Il Pd deve vincere qualunque sia stata la decisione presa, anche se non nel modo giusto”. E’ alle 4 di notte di ieri che anche il “vero” leader della minoranza Andrea Orlando, sfidante Renzi alle ultime “primarie”, lasciando il Nazareno, ha confermato il malumore ma per ora ha preferito chiudere la polemica sulle liste, rese note ufficialmente all’alba. candidati-PD-2018 Le parlamentari “dem” emiliane dopo la presentazione delle liste, hanno scritto a Renzi lamentando il non rispetto delle quote rosa, con il ministro Claudio De Vincenti recuperato in extremis nel collegio di Sassuolo rifiutato da Gianni Cuperlo che ha dichiarato: “Spero che ci sarà un candidato che di quei luoghi si sentirà parte. Molto più di me” . Molti candidati provengono dalla società civile, e correranno in diversi collegi. L’imprenditore Riccardo Illy , ad esempio, sarà in un collegio senatoriale a Trieste, Paolo Siani, il fratello del giornalista Giancarlo, ucciso dalla Camorra, sarà candidato a Napoli. E mentre Lucia Annibali sarà in lizza a Parma (più diverse circoscrizioni), Francesca Barra scenderà in pista a Matera. Poi ci sono Flavio Corradini a Macerata, e l’avvocatessa Lisa Noja, impegnata sul fronte sociale, a Milano. Quanto ai “fedelissimi”, il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, è capolista in Emilia Romagna 01 (Forlì-Cesena-Rimini) ed è candidato nel collegio uninominale di Ferrara per la Camera. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando è capolista nel listino Emilia Romagna 04 (Parma-Piacenza Reggio) mentre Matteo Orfini, presidente del Pd, è capolista nel collegio Lazio 1-02 (Roma Ovest) ed è candidato nel collegio uninominale alla Camera di Roma zona Torre Angela. Maria Elena Boschi è candidata nel collegio uninominale di Bolzano e “sarà capolista anche a Taormina, dove ha organizzato il G7 donne”, Luca Lotti ha avuto il ‘suo’ collegio di Empoli, sempre alla Camera e Valeria Fedeli che sarà a Pisa per il Senato. Anche Graziano
Delrio correrà in casa alla Camera, Reggio Emilia, nel listino, mentre Marianna Madia affronterà una sfida nel collegio Camera Roma2 e poi spazio nei listini in Calabria e nelle Marche. Anche il ministro Pier Carlo Padoan ha un collegio a Siena, e un listino a Torino, dove è capolista, mentre nell’uninominale di Massa è stato scelto l’ex magistrato e sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, che corre anche come capolista nel listino Toscana 04 (Arezzo, Siena, Grosseto). Ieri Renzi ha ringraziato Marco Minniti, responsabile del Viminale, impegnato a gestire la complessa macchina delle operazioni elettorali, che ha accettato la candidatura nel collegio di Pesaro, e sarà candidato anche in due liste plurinominali. Matteo Renzi rimanda le critiche ai mittenti: “Abbiamo messo in campo la squadra più forte. Abbiamo idee vincenti e convincenti. Abbiamo restituito al Paese la possibilità di provarci, uscendo da una crisi devastante”, sostenendo il suo pensiero diffuso sui socialnetwork o in tv. Renzi, si sforza di fare il realista, prendendo effettivamente in prestito un pezzetto del modo di fare del premier Paolo Gentiloni. La corsa per “il premier che verrà” a questo punto è più aperta che mai, anche, se parlando in termini realistici, la strategia su cui contano Pd e Forza Italia è sempre quella delle larghe intese. La grande verità inconfessabile della campagna elettorale. Il segretario dem ha ringraziato anche il premier Paolo Gentiloni (che correrà nel collegio uninominale Camera 1 del Lazio, e sarà capolista nelle Marche 01 Ascoli-Macerata e in Sicilia 2-02) e i ministri. Un ringraziamento anche a Cesare Damiano, per aver accettato collegio di Terni, da sempre complicato per la sinistra. E poi c’è Teresa Bellanova che sfiderà Massimo D’Alema nel collegio pugliese: “Speriamo di poter dire dopo il 4 marzo che quello è il collegio di Bellanova e non più di D’Alema”, ha affermato il segretario.
Renzi vuole candidare il premier Gentiloni in Puglia simbolo anti- D’Alema Matteo Renzi ROMA – Matteo Renzi l’altra sera parlando ai militanti di un circolo storico di Firenze ha esortato amici e compagni ad impegnarsi per evitare che “il trofeo del primo partito te lo giochi con loro e questa non è la coppa Italia, ma il campionato vero, perché sarà il partito che ha maggior numero di voti ad ottenere l’incarico per formare un governo” aggiungendo “Io sono convinto che il Pd non può che tornare a crescere e che i Cinquestelle caleranno. Perché nei collegi avranno forza di traino i nostri candidati, che sono migliori. Quindi il Pd può arrivare al 27 e i grillini al 25 per cento“. E’ questo il motivo che spinge il segretario nazionale del Pd a riporre grande attenzione alla compilazione liste elettorali, pressochè certo che saranno proprio le sfide dei collegi elettorali a trainare il voto proporzionale. Il segretario in queste ore ha ricevuto partendo dall’alto, semaforo verde dal presidente del consiglio Paolo Gentiloni disposto a candidarsi nel collegio di Roma. “Faccio quello che decide il partito“, è il pensiero di Paolo Gentiloni, con il quale Renzi ha parlato pure della sua possibile candidatura come capolista del listino proporzionale in Piemonte, che è cosa pressochè decisa.
il premier Paolo Gentiloni Ma Renzi sta pensando anche a spendere la popolarità del premier in un’altra ottica candidandolo a capolista anche in Puglia per un motivo ben preciso. Il nome Gentiloni come capolista del Pd si affaccerebbe nella scheda elettorale insieme a quello di Massimo D’Alema, capolista di Liberi & Uguali , oltre che in corsa in uno dei collegi regionali. Una mossa che saprebbe tanto di battaglia diretta e frontale , dall’ alto valore politico e simbolico, per portare il Partito Democratico in quella regione ai massimi livelli., scavalcando i desideri, le ambizioni e “giochetti” speculari di Michele Emiliano. Renzi ritiene parlando con i suoi più stretti collaboratori che, oltre ai candidati, sarà il profilo moderato del Pd, e le sue “cento proposte” di programma che verranno sfornate dal duo Nannicini-Da Empoli , entrambi con seggio “blindato” a pesare almeno tre punti in più nelle urne elettorali, unitamente ai voti che dovrebbero arrivare dalle liste collegate che si stimano non dovrebbero superare a loro volta il 3%. La Direzione del Partito Democratico convocata per mercoledì quindi dovrà innanzitutto votare
le regole per le candidature e stabilire delle deroghe da assegnare a chi è in parlamento già da oltre quindici anni, che verranno riconosciute al premier Paolo Gentiloni ed ai ministri, Dario Franceschini, Marco Minniti, Roberta Pinotti . Maria Giulia Boschi al momento resiste per ora nel collegio di Firenze alla Camera, il collegio gemello di quello scelto da Renzi per il Senato. Molte saranno le donne candidate per rientrare nel 40% di parità di genere. Tra le new entry c’è pure Rita Borioni, attuale membro del cda Rai., in “quota” Orfini. il Ministro Marco Minniti Minniti non si candiderà in un collegio, perché non considerebbe opportuno per il ministro dell’Interno ingaggiare scontri diretti nei collegi. E quindi sarà eletto in una regione, l’ipotesi più probabile è la Campania territorio “simbolo” della lotta al crimine organizzato. Complessivamente le deroghe concesse dalla Direzione dovrebbero essere in tutto una decina: a Piero Fassino (ex segretario), Beppe Fioroni, Roberto Giachetti, Luigi Manconi, Ermete Realacci, ed alla Sereni . Viceversa saranno in molti nomi di “rilievo” del Pd che non le chiederanno, come Bindi, Finocchiaro, Sposetti e Tonini, che non si ricandidano. La nuova legge elettorale approvata
alla Camera. Il voto finale al Senato ROMA – L’aula di Montecitorio ha dato semaforo verde, con il voto a scrutinio segreto, con 375 sì, 215 no al Rosatellum bis, che ora passa all’esame del Senato. La legge elettorale è stata sostenuta da Partito democratico, Forza Italia, Lega e Alternativa popolare. Oppositori, Mdp, Sinistra Italiana- Possibile e M5S. L’aula del Parlamento subito dopo il via libera al Rosatellum si è trasformata. Da tesa e silenziosa si divide a metà: esultanza fra banchi del Partito Democratico e rabbia e palese delusione fra quelli della sinistra e del Movimento 5 Stelle. I Dem si sono alzati in piedi battendo le mani esultando, applaudendo a lungo, il capogruppo Ettore Rosato che a questa riforma elettorale ha dato il suo nome restato in piedi vicino al suo scranno sorridente come non mai. Nessun commento e sguardi bassi tra i 5 Stelle, alcuni dei quali restano sono rimasti seduti al proprio posto, come un pugile sconfitto per ko sul ring. mentre l’aula comincia a svuotarsi. . Sulla base delle dichiarazioni di voto finali fatte dai gruppi parlamentari, il Rosatellum bis, poteva contare su una maggioranza di 450 voti, ma sono venuti a mancare 75 voti, ottenendo 375 sì, che vuol dire che tenendo conto delle assenze giustificate, dello scrutinio segreto , che ci sono stati dei “franchi tiratori” provenienti dai `dissidenti´ interni. Il raggruppamento del `no´ alla legge elettorale, sempre sulla carta, poteva contare su 164 voti. ma. i voti contrari sono stati 215, e quindi gli oppositori della riforma elettorale hanno `guadagnato´ 50 voti ufficialmente non previsti e non conteggiati prima del voto. L’ipotesi del voto ‘ al Senato . La Camera aveva approvato ieri i primi due articoli sui quali il governo aveva posto la fiducia; la maggioranza parlamentare che sostiene il governo ha votato sì, mentre Lega Nord e Forza Italia si sono astenuti. La legge passerà poi all’esame del Senato, dove il Governo per non correre rischi riproporrò la fiducia . Infatti a Palazzo Madama esiste la possibilità di dover votare alcuni emendamenti a scrutinio segreto (come ad esempio quelli che riguardano le minoranze linguistiche, sulle quali si era infranto a giugno il sistema elettorale “Tedesco”) e l’idea è quella di votare velocemente senza correre rischi, iniziando l’esame già a partire dal prossimo 24 ottobre, cioè prima dell’arrivo della manovra finanziaria. Le critiche dell’ex capo dello Stato Napolitano. A premere perché
invece la legge cambi è stato il presidente della Repubblica emerito, e senatore a vita, Giorgio Napolitano secondo il quale la fiducia sul voto per la riforma del sistema elettorale ha rappresentato “uno strappo”. Ma il Parlamento questa volta non lo ha ascoltato. Cosa accade nel Partito Democratico. Allarme rosso sulle liste “blindate” Matteo Renzi aveva ripetutamente manifestato indifferenza il Rosatellum bis dichiarando “La legge elettorale? Non ci vado pazzo…“, con l’atteggiamento di chi vuol manifestare all’elettorato che i suoi pensieri sono ben altri e cioè più vicini ai veri problemi del popolo italiano. Ma la “grande soddisfazione” a voto concluso fatta circolare dal segretario del Pd manifesta il compiacimento di chi ha voluto e alla fine ottenuto il voto positivo della maggioranza alla Camera dei deputati. Matteo Renzi ha quindi vinto la prima “partita” e quasi certamente con il sostegno consapevole e manifesto di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini ed Angelino Alfano, si appresta a vincere anche la seconda: quella del voto fonale nell’aula di palazzo Madama. Dopodichè il Rosatellum bis diventerà legge dello Stato e verrà controfimata dal Presidente della Repubblica. Questa è la quinta riforma elettorale in 25 anni, cioè una legge ogni cinque anni. Matteo Renzi sa molto bene che al di là della consistenza della dissidenza non trascurabile nascosta nel voto segreto, manifestata da 75 peones, notabili e leader di corrente del Pd, che parlano tra di
loro, quasi come un ossessione, in realtà nei corridoi del Parlamento si parla di una sola cosa: la composizione delle future liste elettorali e nell’indicare i candidati nei collegi. Renzi farà l’assopigliatutto o invece seguirà un comportamento “proporzionale”, assegnando ai vari gruppi interni le loro quote, comprese quelle di minoranza? Sembra a prima vista una questione tutta interna alle varie correnti ed anime del Pd. Un quesito che altro non è che l’ansia personalissima di tutti quei parlamentari destinati fatalmente a non ritornare sui banchi del Parlamento. Ma è proprio nella selezione dei prossimi candidati al Parlamento che si gioca una quota non indifferente della efficacia della nuova riforma elettorale: la rappresentatività del futuro Parlamento. Gli onorevoli che verranno candidati, ma sopratutto quelli eletti, saranno un’immagine dei propri elettori o finiranno per rappresentare uno specchio perfetto dei leader e delle loro “brame” nei ripettivi territori elettorali ? Se, come è probabile, la selezione (ma anche la scrematura) verrà fatta soltanto sulla base degli umori e delle preferenze dei capi, il prossimo Parlamento rischia di presentare delle poco augurali caratteristiche di uniformità e di conformismo. Per ora ci sono soltanto i presupposti ma non è detto che vada a finire così. Le responsabilità maggiori, anche se non “esclusive”, vanno al Pd che è ancora oggi il partito di maggioranza relativa. Anche perché è l’unico partito nel quale esiste una vita democratica. Nei partiti della Prima Repubblica, che tanti errori fecero nell’approvvigionamento delle “risorse”, i congressi venivano celebrati per identificare i leader, ma anche per stabilire le quote per le minoranze in percentuale ai loro voti, negli organismi dirigenti e delle rappresentanze parlamentari. Da ieri sera l’allarme rosso è scattato dietro le quinte del Pd. Chi nel Transatlantico della Camera parlava di “pulizia etnica”, trovava il dissenso manifesti di Lorenzo Guerini, cioè di colui che per conto di Matteo Renzi, tratterà e deciderà la formazione delle liste, che ha detto “E’ del tutto evidente che il segretario selezionerà personalità esterne, non inquadrabili in quote e ci mancherebbe altro. Per il resto sarà seguito un criterio equilibrato“. Il ministro Dario Franceschini, uno dei capo corrente del Pd che più teme l’ “operazione-assopigliattutto” di Renzi, confidava in questi giorni agli amici: “Temo che il risultato siciliano non sarà brillante e questo mi auguro indurrà Matteo ad essere più ragionevole“. Anche un altro che teme l’imprevedibilità di Renzi, e cioè lo sfidante alle primarie Andrea Orlando, manifesta un altro pensiero: “Siamo in una fase diversa, anche Matteo ne sta prendendo atto“.
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