Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello - VENEZIAMUSICA - IRIS

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Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello - VENEZIAMUSICA - IRIS
VENEZIAMUSICA
                             e dintorni

Gondellieder,
 ossia Goethe
 e le canzoni
  da battello

           FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
                   DI VENEZIA
Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello - VENEZIAMUSICA - IRIS
Solisti della Venice Chamber Orchestra
Sabina Bakholdina violino
Francesco Di Giorgio violoncello
Tommaso Bagnati contrabbasso
Maddalena Lotter flauto
Giorgia Signoretto oboe
Marco Dolfin clarinetto
Marco Bottet fagotto
Ilaria Torresan clavicembalo
Andrea Torresan chitarra classica

il retro di copertina è un’opera originale di Sasha Vinci

sponsor tecnico Artesicura, la prima tutela integrale a 360° nel mondo dell’arte
produttore esecutivo Associazione G&G
abito per Giulia Alberti Nicolao Atelier
trucco e parrucco per Giulia Alberti Monika & Umberto Beauty Salon

per l’Associazione Culturale Italo-Tedesca di Venezia
Nevia Capello, presidente
Paolo Marassi, direttore

per il Venice Centre for Digital and Public Humanities, Dipartimento
di Studi Umanistici, Università Ca’ Foscari Venezia
Franz Fischer, direttore
Elisa Corrò, ricercatrice in digital cultural heritage e coordinamento riprese
Linda Spinazzè, research facilitator

per aA29 Project Room
Gerardo Giurin, fondatore e direttore creativo
Antonio Cecora, cofondatore e amministratore delegato
Lara Gaeta, director aA29 Reggio Emilia
Matilde Sambo, artista e filmmaker
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VENEZIAMUSICA
           e dintorni

             LIRICA E BALLETTO
            STAGIONE -
Gondellieder, ossia Goethe
              Opera inaugurale

 e le canzoni da battello
       Macbeth
              Teatro La
              Teatro La Fenice
                        Fenice

  venerdì 23 novembre 2018 ore 19.00 turno A
      venerdì in
               18diretta su 2020 ore 19.00
                  settembre
 domenica 25 novembre 2018 ore 15.30 turno B

 martedì 27 novembre 2018 ore 19.00 turno D

  giovedì 29 novembre 2018 ore 19.00 turno E

   sabato 1 dicembre 2018 ore 15.30 turno C

                                         FONDAZIONE TEATRO
                                       Fondazione   Teatro LALa
                                                              FENICE
                                                                Fenice
Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello - VENEZIAMUSICA - IRIS
Angelica Kauffmann, Ritratto di Johann Wolfgang von Goethe (1787), Goethe Nationalmuseum, Weimar.
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SOMMARIO

La locandina                                                                        5
Johann Adolph Hasse, il divino Sassone: ovvero reggere agli insulti della Storia    7
di Nevia Capello
Un quadretto di vivacità veneziana
Goethe, Hasse e il riverbero delle barcarole nelle arti del Settecento             11
di Giulia Alberti, Diego Mantoan, Pietro Semenzato
Il copione                                                                         22
Biografie                                                                          35
Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello - VENEZIAMUSICA - IRIS
Balthasar Denner, Ritratto di Johann Adolph Hasse (ca.1740), Staatsoper, Dresda.
Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello - VENEZIAMUSICA - IRIS
Gondellieder, ossia Goethe
     e le canzoni da battello
                   testi di Johann Wolfgang           Goethe
                   dalle pagine del Diario veneziano (1786)
           pubblicate nella «Italienische Reise», prima edizione 1816
tradotte da Nevia Capello in Goethe nel Veneto (Stamperia Valdonega, VR, 1986)

                     musica di Johann     Adolph Hasse
                         dalla raccolta Venetian Ballads
    trascritta da Adamo Scola e pubblicata a Londra da Walsh (1742-1748)
     adattata da Pietro Semenzato per Edition Walhall, Magdeburgo, 2020

                      con la partecipazione straordinaria di
                               Ottavia Piccolo
                                      soprano
                                Giulia Alberti
                           maestro concertatore e direttore
                             Pietro Semenzato
                      idea e adattamento Diego Mantoan
                                 regia Chiara Clini
                             effetti visivi Sasha Vinci
                            traduzioni Nevia Capello
                    assistente di produzione Anna Sanachina

                  Solisti dellaVenice Chamber Orchestra

                     nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
                     con il patrocinio e contributo del Goethe Institut
con il patrocinio del Consolato Generale della Repubblica Federale di Germania Milano
              realizzato da Associazione Culturale Italo-Tedesca di Venezia
                    e Venice Centre for Digital and Public Humanities,
            Dipartimento di Studi Umanistici, Università Ca’ Foscari Venezia
                          production partner aA29 Project Room
Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello - VENEZIAMUSICA - IRIS
Frontespizio del Demetrio di Johann Adolph Hasse (Teatro di San Giovanni Grisostomo, 1732).
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7

Johann Adolph Hasse, il divino Sassone: ovvero
reggere agli insulti della Storia
di Nevia Capello*

Sembra incredibile che una scoperta d’importanza storica vada ascritta a Don Nardino
Mazzardis, il parroco di San Marcuola, il mio parroco, che nell’estate del 1982 mi invitava
a raggiungerlo per presentarmi, con un senso di animata sorpresa, due documenti olografi
rinvenuti nel suo archivio. Si trattava del testamento e del certificato di morte di Johann
Adolph Hasse. Ne seguì la visita della chiesa, elegante fabbrica a pianta centrale costruita
dal Massari, sul cui pavimento erano tracciati i perimetri di due tombe, che a malapena
si scorgevano semicelate dalle file di banchi. Perfettamente affiancate. Nell’area centrale,
recavano incisi i nomi di Johann Adolph Hasse e di Faustina Bordoni. Con una scrittura
minuta e ordinata, il notaio aveva stilato in lingua italiana il testamento dettatogli da Hasse,
impedito da un’incipiente cecità.
          All’iniziale commozione, accentuatasi a un sopralluogo nella cantoria nel vedere
le canne dell’organo (su cui aveva suonato Hasse) adagiate sul pavimento in un angolo,
subentrò l’impellente urgenza di indagare la figura di un compositore che aveva imperato
in Europa nel XVIII secolo, cui la storia ingrata ne aveva, a dir poco, cancellata la memoria.
Ero stimolata inoltre dal testo del documento, dal quale trapelava il carattere generoso
e conciliante del compositore, già emerso allorché Hasse, nell’ultimo anno di soggiorno
presso la corte di Vienna, aveva reagito alle critiche dei sostenitori di Christoph Willibald
Gluck, astro nascente, trasferendosi nella sua amata Venezia – come oso immaginare –
con un «mi no vado a combater», frutto di un atteggiamento assorbito nei lunghi anni di
dimestichezza con la parlata ed il temperamento veneziano. Qui si rivolgeva espressamen-
te alla figlia Maria, invitandola a condividere la sua scelta di lasciare in eredità ai domestici
il loro guardaroba e varie suppellettili, a ricompensa della dedizione loro dimostrata nel
corso di una vita. Il certificato di morte, redatto dal medico, parlava di un’influenza inte-
stinale, che aveva portato Hasse nella tomba il 23 dicembre 1783, due anni dopo la morte
dell’amata Faustina.
          Ulteriori notizie arricchirono questo primo approccio, allorché entrai in contatto
con la signora Tempke, una giornalista che curava un piccolo archivio di Hasse a Berge-
dorf–Hamburg, sua città natale. Le feci pervenire copia dei documenti tradotti in tedesco.
Con il sostegno della Città di Venezia, venne programmata la celebrazione del Giubileo
del «caro Sassone», come i melomani amavano chiamarlo nella sua epoca. La Hasse-Ge-
sellschaft, Bergedorf, presentò nella Chiesa di San Marcuola, gremitissima, in presenza di
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Rosalba Carriera, Ritratto di Faustina Bordoni (ca.1730), Ca’ Rezzonico, Venezia.
JOHANN ADOLPH HASSE, IL DIVINO SASSONE                                                          9

tutte le reti televisive italiane, l’Oratorio di Hasse I pellegrini sul Golgotha per cinque voci
soliste e orchestra. In onore di questa rinascita, nacque a Venezia l’Associazione Johann
Adolph Hasse ad affiancare il lavoro dei partner tedeschi, incrementato dal successo del
Giubileo. Nell’assunzione dei ruoli per favorire la promozione di Hasse e della sua ope-
ra, l’Archivio di Bergedorf s’impegnava nella ricerca filologico–musicale e nella diffusione
dell’opera di Hasse nei teatri europei; Venezia, nel restauro della Chiesa di San Marcuola,
troppo spesso danneggiata dall’imperversare della marea. Con l’aiuto della sovrintendente
Margherita Asso e della Curia patriarcale, la neonata associazione musicale raggiunse il suo
intento, realizzando il consolidamento del tetto della Chiesa, seguito, grazie all’intervento
della sovrintendente Nepi Sciré insieme con gli studenti dell’Accademia di Venezia – da
una rimozione delle incrostazioni accumulatesi sulle parteti interne per il fumo delle can-
dele, depositato nei secoli. Intanto Bergedorf faceva onore al suo impegno, approfondendo
la ricerca dell’opera di Hasse e riuscendo a inserire le sue opere nella locandina dei teatri
dell’opera di Dresda, Lipsia, Praga e Vienna.
         Vorrei chiudere questo excursus presentando al lettore alcune tappe significative della
vita di Hasse, tanto ricca di eventi, per cui mi si perdoni la stringatezza che potrà solo stimo-
lare il vostro interesse. Si deve alla sensibilità dei suoi genitori il precoce esordio in campo
musicale di Hasse, nato il 25 marzo 1699, che a tredici anni aveva già raggiunto una conside-
revole notorietà come tenore tra i cantanti del Teatro d’Opera di Amburgo. Nel 1722 il poeta
della corte di Polonia a Dresda, Johann Ulrich König, suo protettore, lo mise a sovrintendere
agli spettacoli del duca di Braunschweig. A diciotto anni Hasse fece eseguire nella medesi-
ma città, con un discreto successo, la sua prima opera, l’Antigone. Conscio della necessità di
approfondire gli studi di armonia, due anni più tardi iniziava il suo viaggio di noviziato in
Italia. Approdò a Napoli, dove poté forse frequentare le lezioni di Nicola Porpora, alle quali
seguirono più probabilmente gli studi con Alessandro Scarlatti. Su incarico di un ricco ban-
chiere, scrisse la Serenata Marc’Antonio e Cleopatra, il cui successo fu determinante per la sua
carriera che si sviluppò poi a Venezia. Qui conobbe Faustina Bordoni, la «nuova sirena» pu-
pilla di Benedetto Marcello, dotata di una voce eccezionale. Sarà sua moglie e l’interprete di
tutte le sue opere future. A Venezia compose l’Artaserse, cavallo di battaglia del Farinelli e fra
le maggiori opere del Settecento, oltre al Miserere, considerato uno tra i maggiori capolavori
della musica sacra. Ottenne anche la nomina di maestro di Cappella al Conservatorio degli
Incurabili di Venezia. A lui vennero attribuite le tre antologie di Gondoliere o Canzonette
veneziane pubblicate a Londra da John Walsh (1742-1748).
         Invitato nel 1731 con Faustina alla corte di Polonia, fece eseguire a Dresda la Cleo-
fide che gli valse la nomina ufficiale a Kappellmeister di Dresda diventando uno dei compo-
sitori più ammirati e ambiti d’Europa. Le sue opere e composizioni furono rappresentate da
Parigi a Vienna, da Dresda a Napoli, passando per tutte le principali piazze musicali italia-
ne. Federico II di Prussia, avendo ascoltato un’opera di Hasse, ne espresse il plauso con una
generosa ricompensa e lo volle a corte. Purtroppo Hasse ebbe un’amara delusione: nel 1755,
nell’assedio di Dresda da parte dei Prussiani, perdette tutti i suoi manoscritti. Sentendosi
trascurato e privo di protezione, lasciò Dresda e si diresse a Vienna, accettando l’incarico
offertogli da Maria Teresa d’Austria di impartire lezioni di cembalo alla figlia Maria Anto-
10                                                                            NEVIA CAPELLO

nietta. Nel 1773 tornò a Venezia con Faustina, dove aveva sempre mantenuto la sua dimora
nel sestiere di Cannaregio, a San Marcuola, che raggiungeva annualmente in estate quando
il principe elettore si recava in Polonia. Il suo decesso avvenne a Venezia a ottantaquattro
anni. Le sue ultime composizioni furono un Te Deum e un Requiem, che aveva destinato a
sé stesso e affidato a Joseph Schuster. Hasse ha saputo esprimere fino all’ultimo il suo amore
per Venezia, che ha voluto eleggere a sua ultima dimora, guidato dall’idea che il semplice,
il naturale e il patetico fossero più che sufficienti per affascinare l’orecchio e per toccare il
cuore, cercando melodie genuine e spontanee. Charles Burney, che ne apprezzava il talento,
gli riconosceva «scienza, eleganza e semplicità».
         La presenza di Hasse è sempre tra noi e ci onora per la sua grandezza. Noi non ab-
biamo saputo però mantenere il nostro impegno nei suoi confronti. Troverà realizzazione, il
giorno in cui le canne del suo organo avranno riguadagnato la collocazione che loro spetta.

*Presidente ACIT di Venezia, Prüfungszentrum Goethe Institut
11

Un quadretto di vivacità veneziana
Goethe, Hasse e il riverbero delle barcarole nelle
arti del Settecento
di Giulia Alberti, Diego Mantoan, Pietro Semenzato1

IN INCOGNITO FRA CALLI E TEATRI
Il 28 settembre del 1786 alle cinque del pomeriggio, Goethe entrava con il Burchiello dalla
Brenta nella laguna e, nell’intravvedere la sagoma di Venezia, giungeva a un incontro assai
agognato.2 Da tempo aveva atteso di vedere con i propri occhi quella città anfibia, quella
‘Repubblica dei castori’ magnificata dal padre, dopo un viaggio compiuto quarant’anni pri-
ma, da cui gli aveva recato un modellino di gondola.3 Fu proprio la vista dei primi rostri a
risvegliare in Goethe il ricordo di meravigliosi racconti d’infanzia, quasi si fosse destato da
un lungo sogno.4 Tappa importante della sua fuga italiana, Venezia – dove risiedette una
dozzina di giorni – alimentò tutta la sua curiosità fanciullesca e i suoi interessi d’intellettua-
le. Passava i giorni a osservare la delicata natura e la varia umanità della laguna, mentre tra-
scorreva le sere a teatro per assistere a opere e concerti, commedie e tragedie. In nessun’altra
città come a Venezia egli frequentò con tanta assiduità eventi culturali e manifestazioni
pubbliche, scorgendo proprio nel teatro e nel popolo che vi affluiva la rappresentazione del-
lo spirito indipendente e della maturità civica dei Veneziani.5 Nelle annotazioni del diario
epistolare che tenne da Karlsbad a Venezia lodò, infatti, le proteste del pubblico dinnanzi
allo sviluppo innaturale nella trama di una pièce di Carlo Gozzi, forse l’opera spagnolesca
Amore assottiglia il cervello,6 tanto da costringere gli attori a intervenire per sedare gli animi
(5 ottobre). Un’autentica epifania la ebbe, invece, quando al Teatro di San Luca assistette
a Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni (10 ottobre), dove comprese come il popolo e la
scena si fondessero in un tutt’uno durante la recita, divenendo l’uno lo specchio dell’altro ed
entrambi custodi della polis come accadeva con il teatro per gli Ateniesi.7
         Queste osservazioni in Goethe nacquero per un’immersione pressoché totale negli
usi e nei costumi della Venezia tardo settecentesca, per quanto lo consentissero la sua com-
prensione linguistica o la corretta traduzione dei suoi intermediari, poiché aveva scambiato
il privilegio della sua posizione – ministro a Weimar e già elevato alla nobiltà – con quello
dell’anonimato, viaggiando solo e in incognito, come un semplice mercante.8 Nel Diario
l’ammirazione di Goethe per i Veneziani traspare con grande franchezza, nonostante la Se-
renissima mostrasse i segni della stanchezza di un ordine troppo antico, incarnato dal volto
anziano del doge col suo corteo (6 ottobre). Agli occhi del poeta tedesco Venezia assurgeva a
12                                                             UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA

monumento non di un sovrano, bensì di un popolo intero, di un Volk inteso come entità uni-
taria che si riconosce nei suoi modelli politici, sociali e culturali.9 Non che Goethe – ammi-
nistratore sapiente quale si era dimostrato in Germania – non trovasse nulla da disapprovare
nelle abitudini della città lagunare, come dimostrano le sue critiche circa l’asporto dei rifiuti
(1 ottobre) e la scarsa pulizia dopo ogni pioggia (9 ottobre). Il giudizio sulla Roma oscu-
rantista, tuttavia, non fece che accrescere l’alta considerazione per i Veneziani, un’opinione
che non mutò d’una virgola nei trent’anni che separarono il Viaggio in Italia dalla sua pub-
blicazione nel 1816, nonostante la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche avessero
                                                                        ormai cambiato il mon-
                                                                        do.10 Colpisce la sostan-
                                                                        ziale adesione fra le due
                                                                        versioni, a dimostrazione
                                                                        che il Diario veneziano
                                                                        – redatto a caldo giorno
                                                                        per giorno e trasmesso
                                                                        a Charlotte von Stein,
                                                                        destinataria di un amo-
                                                                        re vissuto come pathos –
                                                                        conteneva già le impres-
                                                                        sioni definitive di Goethe
                                                                        su Venezia, una «imma-
                                                                        gine ricca, singolare e
                                                                        unica» (14 ott.).11

                                                                           L’ESPERIENZA SONORA
                                                                           DELLA LAGUNA
                                                                           Dal Diario si evince
                                                                           come Goethe avesse re-
                                                                           cepito un’immagine di
                                                                           Venezia caratterizzata da
                                                                           una rilevante dimensione
                                                                           sonora che comprendeva
                                                                           sia i rumori della città,
                                                                           sia la sua cultura mu-
                                                                           sicale. Per quanto con-
                                                                           cerne la prima, il poeta
                                                                           rimase colpito da oratori,
                                                                           ciarlatani, commedianti,
                                                                           commercianti e predica-
                                                                           tori che si esibivano nella
                                                                           pubblica piazza, perlopiù
Incisione dalle Baruffe chiozzotte (M. Baratti, ripubblicate nel 1915).     incrociati per caso.12 Ri-
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA                                                            13

guardo la seconda, Goethe non lesinò la ricerca di ascolti mirati per scoprire la ricca varietà
di manifestazioni caratteristiche, dal teatro alla musica popolare. A questo proposito è bene
sfatare il mito che lo voleva disinteressato e persino disinformato rispetto alla musica del
suo tempo;13 al contrario, fu ascoltatore erudito e si applicò in prima persona alla trasposi-
zione in musica di opere e poesie proprie, come nel caso del Wilhelm Meisters Lehrjahre.14
Spicca, inoltre, la sua passione per le opere di Mozart, tanto che al teatro di Weimar fece
mettere in scena il Don Giovanni ben sessantotto volte.15 Per non parlare del suo apporto
alla traduzione con L’impresario in angustie, un intermezzo metateatrale di Cimarosa,16 che
volle dedicare alla pittrice Angelica Kauffmann, tenera compagna dei tempi romani.17 Le
annotazioni di Goethe durante la permanenza in laguna vanno lette, pertanto, come l’opi-
nione di una personalità assai pratica di musica – non solo come ascoltatore, ma soprattutto
quale librettista e impresario. La prima tappa fu la visita all’Ospedale dei Mendicanti, per
comprendere la preparazione di base attuata nei ‘conservatori’. Pur stimando le voci delle
giovani allieve, il suo disappunto per il maestro che batteva rumorosamente il tempo con
un rotolo di spartiti contro la grata, pratica assai comune in Francia, rende evidente la co-
noscenza di Goethe in fatto di prassi esecutiva (3 ottobre). La stessa sera si recò al Teatro
di San Moisé per assistere a un’opera non identificata che non gli piacque affatto, consi-
derandola mal eseguita e priva di energia interiore. Sorprendente fu, invece, la scoperta
delle canzoni da battello, a cui si riferisce designandole come i «canti dei barcaioli» o dei
«gondolieri» (6 ottobre).18 Seppur appaia casuale, questo incontro testimonia l’ubiquità e la
peculiarità di tale repertorio – per certi versi si potrebbe affermare che gli stessi Veneziani
ritenessero indispensabile un assaggio di tale genere musicale, fino al punto di organizzare
esperienze apposite per ospiti stranieri. «Per questa sera mi ero procurato i famosi canti dei
gondolieri», sono le parole del poeta, da cui si deduce come abbia volutamente richiesto di
assistere a un concertino di barcarole.19 Il fatto che tale esperienza fosse relegata agli ultimi
giorni della sua permanenza suggerisce l’ipotesi di come egli attribuisse un valore minore
a questo repertorio, per quanto stuzzicasse, comunque, il suo interesse proto-antropologico
o folkloristico. Non è un caso che Goethe segnali nel Diario con viva curiosità sia il conte-
nuto aulico di taluni brani – legati ai versi del Tasso e dell’Ariosto – sia la presunta genesi
complessiva del repertorio dei canti dei pescatori di Pellestrina.20
         Lo stupore di Goethe si riflette nella sua descrizione in chiave estetica in chiave
estetica, dai toni estatici, dei canti dei gondolieri, a dimostrazione del fatto che l’espe-
rienza gli suscitò emozioni assai più forti rispetto di quelle provate di fronte al teatro
musicale, con il quale aveva già confidenza. A ciò non contribuì soltanto l’assoluta man-
canza di termini di paragone musicale, bensì soprattutto l’assenza di filtri intellettuali:
oltre a non conoscere il genere, Goethe non capiva il veneziano e, pertanto, poteva ag-
grapparsi unicamente al contesto fisico-geografico dell’esecuzione oppure alle valutazio-
ni spontanee derivate dall’atmosfera, dallo stato d’animo, tanto da attribuire la commo-
zione alla personale Stimmung. Il poeta si dilunga nel descrivere le sensazioni acustiche
legate alla prassi esecutiva; ricorda come venne fatto camminare fra i cantori, su e giù,
ora avvicinandosi ora distanziandosi, così da avvertire il dischiudersi del senso profondo
di tale canto. In parte è lecito sospettare che la mediazione dei suoi accompagnatori
14                                                           UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA

abbia adulterato l’esperienza, alterandone la percezione, oppure perfino romanzandone
alcuni aspetti. Fa sorridere che un simile atteggiamento esistesse fin dagli albori del
grand tour e che potesse talora trarre in inganno anche un attento osservatore come
Goethe, fino a scatenarne un profondo coinvolgimento. D’altronde Venezia era una città
abituata da secoli a rallegrare i propri ospiti e lo faceva proponendo una vasta, quanto
variegata gamma di esperienze culturali e di svago – basti pensare alla stessa genesi del
teatro musicale ai tempi di Monteverdi, per non parlare della commedia e dei ridotti,
degli intrattenitori di piazza e dei casini.21

                                                                               VENEZIA IN IMMAGINI E
                                                                               CANZONI
                                                                               Può apparire curioso che
                                                                               Goethe non si sia inte-
                                                                               ressato     minimamente
                                                                               alla produzione artistica
                                                                               veneziana coeva, nono-
                                                                               stante essa rispecchiasse
                                                                               appieno i suoi interessi
                                                                               naturalistici e proto-et-
                                                                               nologici.      Influenzato
                                                                               dalle idee classiciste di
                                                                               Winckelmann22, nel suo
                                                                               Diario sdegnò del tutto
                                                                               vedutisti e paesaggisti,
                                                                               che pure presentavano
                                                                               visioni urbane avventu-
                                                                               rose come quelle che egli
                                                                               cercava arrampicandosi
                                                                               sui campanili (30 set-
                                                                               tembre). Per non parlare
                                                                               dell’assenza di commenti
                                                                               circa la pittura di gene-
                                                                               re, come quella di Pietro
                                                                               Longhi o di Francesco
                                                                               Guardi, nonostante si
                                                                               prestasse quale corollario
                                                                               visivo ideale per la descri-
                                                                               zione letteraria che il po-
                                                                               eta fece di Venezia e dei
                                                                               suo abitanti.23 Proprio in
                                                                               Longhi si trovano scene
Gian Battista Tiepolo, Il banchetto di Cleopatra (1745–1747), Palazzo Labia,
Venezia.                                                                       che mostrano usi, costu-
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA                                                             15

mi e intrattenimenti della società lagunare, fra cui figurano diversi riferimenti a momenti
musicali.24 In primis si ricorda Il concertino (1741) alle Gallerie dell’Accademia di Venezia,
nel quale si scorgono tre esecutori che suonano da fogli manoscritti sciolti, come accadeva
per il repertorio delle canzonette veneziane.25 Due violinisti sono in veste da camera, sono
forse i giovani allievi della famiglia benestante, mentre il terzo con occhiali e giacca scura
pare essere il maestro di musica. Nella collezione di Ca’ Rezzonico si scorge un suonatore
nella Polenta (1735-1741), e sono, inoltre, conservati alcuni disegni che raffigurano musicisti
impegnati negli intrattenimenti privati.26 Vi è infine Il concertino (1750-1755) all’Accademia
                                                                       di Brera che presenta, in-
                                                                       vece, due esecutrici, con
                                                                       fogli singoli manoscritti,
                                                                       ritratte in un’occasione
                                                                       familiare.27 Abbondano
                                                                       nelle     rappresentazioni
                                                                       di Longhi i momenti
                                                                       musicali ascrivibili al re-
                                                                       pertorio delle canzoni da
                                                                       battello, così come do-
                                                                       vevano abbondare nella
                                                                       quotidianità veneziana
                                                                       dell’epoca, al punto che
                                                                       perfino      Giambattista
                                                                       Tiepolo trovò il modo di
                                                                       collocare dei musici – an-
                                                                       cora un piccolo comples-
                                                                       so con fogli manoscritti
                                                                       sciolti – sopra la scena
                                                                       del Banchetto di Cleopa-
                                                                       tra negli affreschi per il
                                                                       salone di Palazzo Labia
                                                                       (1745–1747).28 L’episo-
                                                                       dio antico è collocato
                                                                       nell’atmosfera dei ricevi-
                                                                       menti, ovvero dei ‘freschi’
                                                                       veneziani, un momen-
                                                                       to che pure per Tiepolo
                                                                       – nonostante le diverse
                                                                       stratificazioni storiciste
                                                                       tipiche della sua pittura
                                                                       – risultava inscindibile
                                                                       dall’accompagnamento
Pietro Longhi, Il concertino (1741), Gallerie dell’Accademia, Venezia. musicale.29
16                                                            UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA

        Vi sono alcune interessanti coincidenze che legano gli affreschi di Tiepolo a Johann
Adolph Hasse, celebre a Venezia per i suoi successi teatrali dal 1728 in avanti, il quale
proprio negli stessi anni delle decorazioni pittoriche collaborava con Angelo Maria Labia
fornendo alcune operine per il suo teatro di marionette a San Girolamo, fra cui si ricorda
Lo starnuto d’Ercole (1745).30 E sempre nel periodo, fra il 1742 e il 1748, uscivano a nome
del compositore tedesco i tre volumi editi a Londra dal Walsh che andavano sotto il titolo
di Venetian Ballads Compos’d by Sig.r Hasse and all the Celebrated Italian Masters. La raccolta
ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione della canzone da battello, trattandosi del corpus
a stampa più esteso – oltre duecento brani – e l’unico conservato al di fuori di Venezia, dove
invece il repertorio circolava perlopiù in antologie manoscritte.31 La titolarità di Hasse –
del quale la raccolta include un solo brano certo su testo di Metastasio, Grazie agl’inganni
tuoi – fu probabilmente usata come espediente pubblicitario, data la sua notorietà a livello
europeo, ma si possono circostanziare le relazioni con Adamo Scola, il copista che diede alle
stampe i volumi.32 Virtuoso di origini napoletane trapiantato a Londra, dove fu attivo come
clavicembalista dal 1728 al 1748, Scola non ebbe il successo sperato sulle scene della capita-

Frontespizio delle Venetian Ballads di Johann Adolph Hasse (Walsh, Londra 1742)
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA                                                             17

le inglese, motivo per cui ripiegò spesso sull’attività editoriale sfruttando le sue conoscenze
dirette con alcune delle celebrità musicali italiane dell’epoca.33 Nel 1734 si occupò dell’e-
dizione londinese dell’oratorio David e Betsabea di Nicola Porpora34, poi nel 1739 stampò
trenta sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti35, impreziosite da un frontespizio
dell’incisore Jacopo Amiconi, molto vicino a Farinelli.26 Quest’ultimo era stato collega negli
anni londinesi dell’acclamata cantante veneziana Faustina Bordoni, che in seguito sposò
Hasse in un chiacchierato matrimonio segreto a Venezia nel 1730.37 A sua volta Hasse era
giunto a Napoli nel 1722 per perfezionarsi con Alessandro Scarlatti, padre di Domenico,
facendo la conoscenza di Pietro Metastasio per poi avviare la propria carriera con enorme
successo dal 1725 assieme a un Farinelli appena ventenne.38 Non bastasse questa fitta rete
di relazioni incrociate, è notevole come la dedica «a Sua Eccellenza Carlo Sackvill Conte di
Middelsex» nelle Venetian Ballads si sovrapponga a quella di Hasse – dieci anni prima – per
Il Demetrio su testo di Metastasio e con Faustina protagonista al Teatro Grimani di San
Grisostomo, quando l’allora giovane rampollo inglese era presente a Venezia per il Carne-
vale in una tappa del suo grand tour.39 In forza di queste circostanze è lecito supporre che
Scola e Hasse si conoscessero fin dai tempi degli studi a Napoli. Dopo le edizioni di Porpora
e Scarlatti, Scola evidentemente andava cercando un altro repertorio da pubblicare per sbar-
care il lunario, cosicché, forse, domandò al vecchio amico tedesco, ormai divenuto celebre, di
mandargli qualcosa. Difficile sapere se Scola avesse già in mente le canzoni veneziane che
la stessa Faustina amava eseguire; magari furono proprio lei e il marito a suggerire di racco-
gliere quei brani enormemente diffusi in laguna. A ogni modo duecento e più brani finirono
per essere dati alle stampe in una versione ripulita, grazie alla quale si ricava un’immagine
sonora vivissima della Venezia settecentesca.

FRA LIRISMI E TEATRO DI COMMEDIA
A lungo la storia della musica e ancor più le odierne istituzioni musicali hanno obliato la
canzone veneziana, nonostante la diffusione e l’ammirazione cui furono soggette nel Set-
tecento, per non parlare del richiamo esplicito a quel tratto di venezianità riscontrabile in
talune opere ottocentesche – si pensi fra gli altri all’Elisir d’amore di Donizetti, Un ballo
in maschera di Verdi, Les Contes d’Hoffmann di Offenbach. La recente sfortuna di questo
repertorio è dovuta forse all’equivoco circa la sua presunta semplicità e al gusto popolare. Si
trattava piuttosto di un genere leggero – ossia volutamente in contrasto con la tradizione
impegnata del teatro musicale barocco – che all’analisi rivela caratteristiche del tutto ana-
loghe ai Notturni.40 L’utilizzo del veneziano enfatizzava ancor più la distanza dalla lirica e
l’accostamento, invece, ai sentimenti della città e dei suoi abitanti. Il linguaggio utilizzato si
sovrappone perfettamente a quello del teatro di commedia, oppure agli intermezzi musicali,
come quelli di Carlo Goldoni, facendo ricorso a termini popolari. Ci si imbatte, ad esempio,
nella parola ‘mamera’ o ‘mamara’ – ossia bertuccia, dunque intesa come modo di apostrofare
una persona per la sua stoltezza – sia nell’avvio delle Baruffe chiozzotte che nella canzone
Cos’è sta cossa. Sempre Goldoni dimostrò la centralità di questo repertorio per ricreare in
scena l’atmosfera dell’epoca, collocando una canzonetta in apertura (atto I, scena 1) sia nel
Bugiardo sia – alla francese – nella Vedova scaltra.41 Proprio come nel teatro di commedia o
18                                                            UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA

negli intermezzi, il soggetto delle canzoni veneziane risulta realistico e immediato, lezioso
e, talvolta, condito di allusioni erotiche poco velate.42 Colpisce a tal proposito l’opinione di
Saverio Bettinelli che già a fine Settecento lodava «certe facili canzonette veneziane grazio-
sissime, sparse di prosetta e di negligenza».43 Il problema linguistico delle canzoni veneziane
è dato, però, dalla loro struttura strofica che spesso provoca la mancata sovrapposizione fra
sillabazione e linea melodica e che va pertanto adeguata via via per non risultare innaturale.
         In quanto alle tipologie, nelle Venetian Ballads, come in altre antologie, ne ricorrono
varie, quali la serenata galante, il canto popolare, il personaggio di commedia, la poesia mu-
sicata o persino canzoni d’autore celebre. La struttura, invece, rimane pressoché invariata,
a voce sola con basso continuo e rigidamente strofica con la melodia intonata su due parti
secondo la forma binaria AB in tempo andante, laddove nella seconda sezione cala in genere
un’armonia oscura risolta sul finale proprio come nella forma lirica delle arie d’opera italiana
della prima metà dell’Ottocento.44 Tuttavia si possono riscontrare dei riverberi nella lirica
già molto prima, perfino in Mozart, a giudicare dalla serenata strofica Deh, vieni alla finestra
di Don Giovanni, oppure dalla somiglianza melodica con l’aria di Dorabella «È amore un
ladroncello».45 Circa la prassi esecutiva, le canzoni veneziane erano spesso suonate da ter-

Pagina di spartito dalle Venetian Ballads di Johann Adolph Hasse (Walsh, Londra 1742)
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA                                                            19

zetti – melodia, linea del basso e basso realizzato da uno strumento polifonico – a una o due
voci, come testimoniato da Charles Burney46, pertanto il ruolo fondamentale lo giocavano
i cantanti – soprani, sopranisti, contraltini e tenori – fra cui figuravano cantatrici ricono-
sciute come Rosanna Scalfi o la stessa Faustina Bordoni.47 Per favorire la trasversalità del
repertorio la scrittura delle barcarole è tendenzialmente centrale, ma si riscontrano tessiture
assai acute che si adattano probabilmente al falsettone maschile per i sovracuti in uso fino
alle farse rossiniane.48
         La canzone da battello nel Settecento veneziano costituiva dunque un macro-ge-
nere che riassumeva un vasto repertorio di ariette e riempiva atmosfericamente i ‘freschi’ e
il Carnevale, nei palazzi e nelle calli, nelle barche e nelle ville. La pervasività delle canzoni
da battello nel loro secolo di massimo splendore ritrae una Venezia immersa nella musica
leggera e cantabile in ogni suo angolo. Siamo di fronte a un genere «povero ma illustre»,
come ebbe a definirlo il musicologo Giovanni Morelli – un genere squisitamente veneziano
tramandatoci da due grandi artisti tedeschi.
20                                                               UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA

Note

1 Ilsaggio è stato concordato dai tre autori e risulta suddiviso nei seguenti paragrafi: i primi due sono scritti da
Diego Mantoan, il terzo da quest’ultimo (per le parti storico artistiche) assieme a Giulia Alberti (per la parte
musicologica), il quarto infine da Giulia Alberti (per la parte linguistica e teatrale) assieme a Pietro Semenzato
(per la parte compositiva e la prassi esecutiva).
2 Per la Italienische Reise si fa riferimento all’edizione Berlino: Verlag der Contumax, 2016.
3 Per il viaggio del padre del 1740 cfr.: Mönig, K., Venedig als urbanes Kunstwerk. Heidelberg: Winter Verlag,

2012.
4 Cfr. Mayer, M., Goethes Venedig. Berlino, Suhrkamp, 2015.5
5 Puszkar, N., Goethes Volksbegriff und Habermas’ Begriff der Lebenswelt, «German Studies Review», Vol.30/1, p.81.
6 Gutiérrez Carou, J., Il teatro spagnolesco di Carlo Gozzi, Venezia, Lineadacqua 2011, pp.307–322.
7 Puszkar, Goethes Volksbegriff, p.88.
8 Cfr. Gretzschel, M., Babovic, T., Goethe in Weimar. Amburgo, Ellert & Richter, 2005.
9 Mommsen, W., Die politischen Anschauungen Goethes. Stuttgart: Deutsche Verlags-Anstalt, 1948, p.227.
10 Puszkar, Goethes Volksbegriff, p.89.
11 Cfr. Capello, N., Goethe nel Veneto. Verona, Stamperia Valdonega, 1986.
12 Puszkar, Goethes Volksbegriff, p.75.
13 Istel, E.,Goethe and Music, «The Musical Quarterly», Vol.14/2, 1928, p.216.
14 Selbmann, R., Noch einmal und immer wieder, In Goethe und die Musik, Hettche, W., Selbmann, R. (a cura di).

Würzburg, Königshausen & Neumann, 2012, pp.51-65.
15 Hettche, Selbmann, Goethe und die Musik, p.9.
16 Istel, Goethe and Music, pp.225–226.
17 Cfr. Naumann, U., Geträumtes Glück: Angelica Kauffmann und Goethe. Berlino: Suhrkamp, 2012.
18 Istel, Goethe and Music, p.224.
19 «Auf heute Abend hatte ich mir den famosen Gesang der Schiffer bestellt […]» (6 ott.)
20 La tipologia mista delle canzoni riportata da Goethe trova riscontro nella varietà di generi contenuta nelle

antologie settecentesche.
21 Mantoan, D., Prove generali di teatro musicale in Laguna, «Venezia Arti», vol. 22–23, pp.84–88.
22 A tal proposito bisogna considerare che Goethe era stato influenzato dalle posizioni di Winckelmann e attri-

buiva valore all’arte raffigurativa prevalentemente nella misura in cui trattasse argomenti antichi. Questo spiega
quanto poco si interessò alla pittura veneziana coeva, se non quella dei grandi maestri del passato quali Tiziano
e Veronese, del quale apprezzò La famiglia di Dario ai piedi di Alessandro (1565–67) a Palazzo Pisani Moretta (8
ott.). Heusler, A., Goethe und die italienische Kunst. Paderborn: Salzwasser, [1891] 2012, pp.5-6.
23 Bagemihl, R., Pietro Longhi and Venetian Life, «Metropolitan Museum Journal», vol. 23, 1988, pp.233–247.
24 Fra questi si segnala di incerta collocazione Il concertino, forse del 1752, in cui Longhi presenta una canta-

trice accompagnata da un suonatore di mandola in ambito domestico: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Pie-
tro_Longhi_008.jpg
25 Rif. Pietro Longhi, Il concertino, Catalogo 466, 1741, olio su tela, Dono Girolamo Contarini (1838).
26 Si vedano nella collezione di Ca’ Rezzonico i disegni carboncino e gessetto bianco di Pietro Longhi: (1) Il

suonatore di mandolino; Inv. 557; cat. 996; (2) Suonatore di mandola; Inv. 443; cat. 1025; (3) Suonatore di mandola
seduto; studi di teste e di gambe; Inv. 455; cat. 1071
27 Rif. Pietro Longhi, Il concertino, Inv. 2084, 1750-55, olio su tela, acquisto 1911.
28 Fahy, E., Tiepolo’s Meeting of Antony and Cleopatra, «The Burlington Magazine», vol. 113/825, 1971, pp.737–736.
29 Pignatti, T., Tiepolo’s Revival of the Venetian Golden Age, «Bulletin of the American Academy of Arts and

Sciences», vol. 46/6, 1993, pp.31–39.
30 Mellace, R., Johann Adolf Hasse, Palermo, L’Epos 2004, pp.57–58.
31 Morelli, G., Un genere povero ma illustre, in Canzoni da battello, Barcellona, S., Titton, G. (a cura di). Venezia,

Regione Veneto, 1990, p. 5.
32 Sirch, L., Piras, M., Notturno italiano, «Rivista Italiana di Musicologia», Vol. 40/1–2, 2005, p.167.
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA                                                                                     21

33Cfr. Scola,  Adamo in Highfill, P.H., Burnim, K.A., Langhans, E.A., A biographical dictionary of actors, actresses,
musicians, dancers, managers and other stage personnel in London 1660 - 1800, Vol. 13.
34 Mattei, L., Porpora e l’oratorio all’italiana, in Nicola Porpora musicista europeo, Pitarresi, G., Macavino N. (a cura

di), Reggio Calabria, Laruffo 2011, p.161.
35 Kirkpatrick, R., Domenico Scarlatti’s Early Keyboard Works, «The Musical Quarterly», vol. 37/2, 1951, p.145.
36 Clark, J., His Own Worst Enemy, «Early Music», Vol. 13/4, 1985, p.543.
37 Woyke, S.M., Faustina Bordoni, Francoforte, Peter Lang 2010, pp.56-59.
38 Mellace, Hasse, pp. 38-40.
39 Si veda il frontespizio del Demetrio (1732): https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Johann_Adolph_Has-

se_-_Demetrio-titlepage_of_the_libretto-Venice_1732.png
40 Sirch, Piras, Notturno italiano, pp.166-167.
41 Cfr. Goldoni, C., Commedie. Mangini, N., Ortolani, G. (a cura di), Torino, Utet 2013.
42 Barcellona, S., La canzone da battello nel Settecento veneziano, in Canzoni da battello, p. 9.
43 Bettinelli, S., Lettere sopra gli epigrammi (1792), in Illuministi italiani, II. Milano–Napoli, Ricciardi, 1969, p.1226.
44 Sirch, Piras, Notturno italiano, pp.169-171.
45 La si confronti con l’incipit della canzone veneziana Quel occhi me fé guerra.
46 Burney, C., Viaggio musicale in Italia (trad. Fubini, E.). Torino, EDT 1979, p.137.
47 Barcellona, La canzone da battello, p.10.
48 Si rammenti a tal proposito l’aria di Dorvil «Vedrò qual sommo incanto» nella Scala di seta.
22

Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello

Estratti dal Diario veneziano (1786) di Johann Wolfgang Goethe
tradotto da Nevia Capello
Testi delle canzoni veneziane dalle Venetian Ballads (1742-1748) di Johann Adolph Hasse
selezionati da Giulia Alberti e Diego Mantoan
IL COPIONE                                                                                       23

[ SETTEMBRE]                                     serci forse una sola persona che mi conosca
Così stava dunque scritto nel libro del de-        e quella certamente non m’incontrerà.
stino, alla mia pagina, che avrei visto Vene-
zia per la prima volta nel 1786 la sera del        –– ––
28 settembre, alle cinque secondo il nostro
orologio, entrando nelle lagune dalla Bren-        «Me cavo dal seco» (vol.1–n.4)
ta e che, poco dopo, avrei potuto accedere a
questa meravigliosa città insulare, a questa       –– ––
Repubblica di castori, e visitarla. Così Vene-
zia, grazie al cielo, ora non è più per me una     [ SETTEMBRE, GIORNO DI SAN MICHELE,
semplice parola, un nome che tanto e tanto         SERA]
spesso angustiò proprio me, che sono sta-          Tutto ciò che si può dire su Venezia è già sta-
to da sempre un nemico mortale del suono           to detto e stampato, perciò riporto soltanto
vuoto delle parole.                                poche impressioni, così come le ricevo. L’i-
Come la prima gondola si accostò al Bur-           dea fondamentale, che qui nuovamente mi
chiello, mi risovvenne il mio primo giocat-        sollecita, è sempre il popolo. Questa gente
tolo, cui non avevo forse più pensato da oltre     non è riparata su queste isole per capriccio;
vent’anni. Mio padre aveva portato un bel          fu la sorte a rendere la loro posizione così
modellino di gondola da Venezia; gli era           favorevole; il loro proliferare, la loro ricchez-
molto caro e aveva molto significato per me,       za ne furono una conseguenza necessaria.
quando vi potevo giocare. Così i primi rostri      Si pigiarono in uno spazio sempre più ri-
di lamiera, i neri felze delle gondole, tutti      stretto; sotto i loro piedi sabbia e palude di-
salutai come una vecchia conoscenza, e qua-        vennero roccia; le loro case cercarono l’aria,
si rievocassi un’impressione della mia prima       come alberi al chiuso; avari di ogni palmo
giovinezza, a lungo sopita.                        di terreno e fin dall’inizio costretti in spa-
Sono accomodato bene alla «Regina d’In-            zi angusti, lasciarono alle calli un’ampiezza
ghilterra», non lontano da piazza San Mar-         non superiore alla distanza da casa a casa,
co, il maggior vantaggio di questo alloggio.       ed agli uomini un certo passaggio e, per il
La mia finestra guarda su uno stretto canale,      resto, l’acqua subentrò per loro in luogo del-
fra alti edifici, subito sotto di me si trova un   la strada, delle piazze, della fondamenta; in
ponte a un arco solo e di fronte una callet-       breve, il veneziano doveva farsi creatura di
ta animata. Questa è la mia dimora e qui           una nuova specie e così pure Venezia accetta
resterò per un certo tempo, finché non sarà        un confronto soltanto con se stessa.
pronto il mio plico per la Germania e finché       Dopo pranzo, mi lanciai nel labirinto della cit-
non avrò attinto a sazietà dall’immagine di        tà senza una guida, consultando soltanto le re-
questa città.                                      gioni del cielo. Non si può immaginare quanto
Posso godere appieno della solitudine da           tutto sia stretto e affollato, se non lo si vede.
me tanto spesso e nostalgicamente sospira-         Trovai con facilità il Canal Grande e il Pon-
ta, ammesso che essa offra un godimento,            te di Rialto. La vista è bella e spaziosa. Il
poiché in nessun luogo ci si può sentire più       Canale è disseminato d’ imbarcazioni e bru-
soli che in un tale brulichio di folla, dove si    lica di gondole, specialmente oggi che è la
è del tutto sconosciuti; a Venezia potrà es-       festa di San Michele. Le donne, indossati
24                                                                                  IL COPIONE

gli abiti migliori, si recavano in pellegrinag-   xei questi segni boni
gio alla chiesa. Ho incontrato delle creature     d’un vero innamorà.
bellissime.                                       Quando che vù ridé
Ormai stanco, mi posi in una gondola, la-         forte ‘l cuor me ponzé
sciando alle spalle le anguste calli, e navigai   in somma a parlar ciaro
verso la parte settentrionale del Canal Gran-     son molto cusinà.
de, così da godere dell’opposto spettacolo.
Passando attorno all’isola di Santa Chiara,       Più stroleghi m’ha dito
scivolando sulla laguna, rientrando dal Ca-       che un zorno all’improviso
nale della Giudecca fin verso a piazza San        m’ha da beccar un viso
Marco. E a un tratto mi ritrovai anch’io pa-      d’una gran rarità.
drone del Mar Adriatico, così come si sente       Vardé se i ve sa dir
ogni veneziano che si adagia nella propria        quel che ha da intravegnir,
gondola. Ripensai allora al mio buon padre,       la strologia qua vedo
il quale non sapeva far altro che raccontare      per mi che no ha falà.
di queste cose. Non capiterà anche a me, un
giorno? Tutto ciò che mi circonda è degno di      Vedo che attenta forte
nota, una grande e rispettabile opera di forza    me sté a scoltar de gusto
umana assisa, un magnifico monumento non          no credo, che desgusto
già di un singolo sovrano, bensì d’un popolo      vù me faré provar.
intero. E anche se la sua laguna dovesse in-      Speranza assae me dà
terrarsi a poco a poco e vapori nocivi diffon-     quel muso che xe là
dersi sulle paludi, i suoi commerci indebolirsi   no fazzo altre parole
e il suo potere tramontare, l’intero costrutto    so che me volé amar.
della Repubblica e la sua stessa essenza non
parranno mai meno mirabili – neanche per          –– ––
un solo attimo. Venezia soggiace al tempo,
come ogni cosa che abbia vita apparente.          [IL  OTTOBRE]
                                                  Su un terrapieno in riva all’acqua ho notato
–– ––                                             un ometto che raccontava storie in dialet-
«Quel occhi me fé guerra» (vol.3–n.11)            to veneziano a un numero imprecisato di
                                                  ascoltatori. Purtroppo non riesco a capirlo,
Quel occhi me fé guerra                           ma nessuno ride, solo raramente l’udito-
E me ferisce ogn’ora,                             rio, che di solito è costituito da una classe
più cara m’innamora                               molto bassa, sorride. Inoltre l’uomo, a modo
quel vostro bel bocchin.                          suo, non ha nulla di sorprendente o di ridi-
Insomma me piasé,                                 colo, piuttosto qualcosa di molto adeguato
no so se lo credé.                                all’ambiente; nel contempo un’ammirevole
Ch’abbia tutto in sconquasso                      ricchezza espressiva e precisione, che rivela-
Stò gramo coresin.                                no arte e riflessione nei suoi gesti.
Co me de un’occiadina
me fe trar dei sustoni
IL COPIONE                                                                                      25

Ho dunque sentito parlare in pubblico tre         re di avvicinarmi sempre di più a lui. Nella
strani tipi sulla Piazza, che narravano storie    Sala delle Antichità ho visto cose preziose.
a modo loro. Due predicatori. Due avvocati.       Un panneggio di una Minerva, di una Cle-
I commedianti, specialmente il Pantalone.         opatra; dico panneggio, perché il mio pen-
Hanno tutti qualcosa in comune, sia perché        siero respinge subito il restauro delle teste e
appartengono a una Nazione tutta compre-          delle braccia. Un Ganimede, che dovrebbe
sa nel gioco della vita e dell’espressione ver-   essere di Fidia e una famosa Leda, anche se
bale, sia perché si imitano a vicenda.            solo frammenti; il primo restaurato bene,
Essi hanno predilezione per certi gesti, che      il secondo mediocremente, ma di un senti-
voglio tenere a mente e che, in genere, mi        mento elevato e profondo.
esercito a imitare, per narrarvi le storie alla   Non posso dimenticare la Carità; vi ha siste-
loro stregua quando sarò di ritorno.              mato anche la scala a chiocciola più bella del
Quest’oggi, festa di San Francesco, sono          mondo, con un fuso aperto, ampio; i gradini
stato nella sua chiesa alle Vigne. La sono-       di pietra incastonati nel muro e stratificati in
ra voce di un cappuccino era accompagnata         modo che uno sorregga l’altro; non ci si stan-
dal gridare dei venditori fuori della chiesa,     ca di salirla e ridiscenderla; Palladio stesso la
come da un’antifona; io stavo sull’uscio del-     riteneva riuscita, è veramente bellissima.
la chiesa fra i due e l’effetto era abbastanza     Tuttavia, la costruzione era troppo grande,
bizzarro da ascoltare.                            come accade in taluni edifici dei tempi nuo-
                                                  vi. L’artista non aveva soltanto presupposto
–– ––                                             che l’attuale monastero sarebbe stato abbat-
                                                  tuto, bensì che pure le case limitrofe sareb-
«Cara la mia Ninetta» (vol.3–n.22)
                                                  bero state comprate, e lì avranno esaurito i
                                                  soldi e la voglia. Caro il mio destino, che fa-
–– ––
                                                  vorisci e immortali certe sciocchezze, perché
[ IL  OTTOBRE ]                                  non lasciasti che quest’opera si realizzasse?!
Per prima cosa mi affrettai verso la Carità:
                                                  –– ––
trovai nelle opere del Palladio, ch’egli aveva
progettato un edificio nel quale si prefiggeva    «Per mi peno, idolo mio» (vol.2–n.15)
di riprodurre le abitazioni private degli anti-
chi, s’intende dei ceti più elevati.              Per mi peno, idolo mio,
Mi precipitai qui con la massima ansietà,         dentro el petto son serio,
ma ahimè, di compiuto non è che la decima         no ghè caso più per mi.
parte. Ma anche questa è degna del suo ge-
nio divino. Una perfezione nella pianta ge-       Ve dirò la mia rason,
nerale ed una precisione nell’esecuzione del      Vegnì subito al balcon.
lavoro, che finora non avevo mai conosciu-        Madmosel, xé mi zamprì.
to, anche sotto il profilo tecnico, poiché la     Son cortese, son francese,
maggior parte è costruita in mattoni: un’e-       Tanto basto a dir cusì.
sattezza incomparabile.
Oggi ho tracciato dei disegni sulla scorta        –– ––
delle sue opere e desidero con tutto il cuo-
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[IL  OTTOBRE]                                    [IL  OTTOBRE]
Ieri sera opera a San Moisè. Nulla di vera-       Una giornata magnifica da mane a notte!
mente soddisfacente. Al testo poetico, alla       Andai fino a Pellestrina, di fronte a Chiog-
musica, agli attori stessi mancava quella for-    gia, dove sorgono le grandi opere che la Re-
za interiore che sola può elevare al sublime.     pubblica fa erigere contro il mare; esse sono
Non che tutto fosse cattivo; anche le due
                                                  di pietra squadrata e devono propriamente
protagoniste hanno fatto del loro meglio,
non tanto nel recitare bene la parte, quanto      consolidare la lunga lingua di terra che se-
per mostrarsi e per piacere. È pur sempre         para le lagune dal mare: un’impresa alta-
qualcosa. Sono due graziose figure, dalla         mente necessaria ed importante.
bella voce, garbatamente vivaci ed attraen-       Se ora Venezia esiste ed esistono le sue iso-
ti. Fra i ruoli maschili non c’è, al contrario,   le, i suoi canali, che intersecano le paludi e
proprio nessuno che abbia forza interiore,        sono percorsi anche nei periodi di marea,
né voglia di accattivarsi il pubblico. Neppure    questo si deve all’impegno e alla diligenza
una voce decisamente brillante.                   dell’uomo; e questo impegno e diligenza de-
Il balletto, povero d’invenzione, fu nel com-     vono conservarla.
plesso fischiato. Alcuni ballerini bellissimi
                                                  Il mare può penetrare nelle lagune soltan-
però e delle ballerine, le quali si son fatte
pure un dovere di far conoscere al pubblico       to in due punti, presso il Castello, di fronte
ogni bella parte del proprio corpo, furono        all’Arsenale, e all’altra estremità del Lido,
applauditi per bene.                              presso Chioggia. II flusso vi penetra soli-
                                                  tamente due volte al giorno e, due volte al
–– ––                                             giorno, il riflusso ritira l’acqua sempre per
                                                  la stessa via, sempre nella stessa direzione:
«Grazie agl’inganni tuoi» (vol.1–n.3)             riempie i canali, ricopre i luoghi paludosi e
                                                  rifluisce quindi, lasciando le terre più eleva-
Grazie agl’inganni tuoi                           te, se non proprio asciutte, tuttavia visibili,
al fin respiro o Nice.
                                                  e si adagia nei canali. Ben altro sarebbe se
Al fin d’un infelice
ebber gli Dèi pietà.                              l’acqua, a poco a poco, cercasse altri varchi,
Sento dai lacci tuoi                              aggredisse la lingua di terra, scorresse avanti
sento che l’alma è sciolta;                       e indietro a capriccio.
Non sogno questa volta,                           Per evitare questo, i Veneziani devono pro-
non sogno libertà.                                teggere il Lido con ogni possibile mezzo.
                                                  In casi straordinari, come quelli in cui il
Quando lo stral spezzai,                          mare cresce oltremisura, è pur sempre un
Confesso il mio rossore                           bene che questo possa accadere soltanto per
Spezzar m’ intesi il core,                        due vie e che il resto rimanga precluso; esso
Mi parve di morir.
                                                  non può dunque penetrare tanto veloce-
Ma per uscir di guai,
Per non vedersi oppresso,                         mente, né con tanta violenza, e deve inoltre,
Per racquistar se stesso,                         in poche ore, sottomettersi alla legge del ri-
Tutto si può soffrir.                              flusso, mitigando cosi il suo furore.
                                                  Quanto al resto, Venezia non ha nulla da te-
–– ––                                             mere; la lentezza con la quale il mare si ritira
                                                  le garantisce millenni di vita ed i Veneziani,
IL COPIONE                                                                                      27

difendendo accortamente i loro canali, sa-          Finché lo scrivano legge, il tempo si ferma,
pranno mantenere inalterato il loro domi-           mentre l’avvocato, se vuol parlare, ha a di-
nio sulle acque.                                    sposizione un preciso lasso di tempo. Come
                                                    l’avvocato apre bocca…
–– ––
                                                    AVVOCATO …dixeme dove sta scritto! Xe
«No me ciamé incostante» (vol.1–n.7)                un’aberrasion che la ga podesto donar roba
                                                    de cui no gaveva potestà!
–– ––
                                                    L’orologio viene sollevato e subito riposto,
[ OTTOBRE]                                         non appena quegli tace. L’abile avvocato sa
Quest’oggi invece ho visto un altro tipo di         bene come interrompere la noia con i suoi
commedia, che mi ha divertito di più: ho            frizzi, e il pubblico si sbellica sguaiatamente
sentito discutere pubblicamente una cau-            dalle risa alle sue battute.
sa a Palazzo Ducale. Uno degli avvocati,
che parlava, era la perfetta caricatura di un       AVVOCATO …la Dogaressa no si ofenda, se
‘Buffo’: figura bassa e tozza, ma in continuo        ghe digo bricconcela!
gesticolare; profilo spiccatamente marcato,
una voce metallica e di una tale foga, come         Il lettore recita appunto un documento, nel
se quello che diceva gli fosse scaturito dal        quale uno degli inquisiti disponeva libera-
più profondo del cuore. Io la chiamo una            mente dei beni che non gli appartenevano
commedia, perché, molto probabilmente,              di diritto. L’avvocato lo pregò di leggere più
quando ha luogo questo spettacolo pubbli-           lentamente, e come pronunciò le parole…
co, tutto è già stato fissato, e anche i giudici
sanno già quello che diranno.                       SCRIVANO …io regalo, io dispongo!
Uno scrivano secco, in abito nero consunto,
un grosso quaderno in mano, si accingeva a          AVVOCATO …Cossa vustu regalar? Cossa ti
fungere da lettore. Inoltre la sala era stipata     disponi? Diavola d’una povarassa affamà!
di spettatori e uditori. Questa volta si trat-      Ti, che no te appartien nulla a sto mondo!
tava di una lite importantissima, dato che          Ma proprio in sto punto ti vieni a dir, che ti
l’accusa era contro il Doge stesso, o meglio        vol regalar, ti vol disporre… ti, che no ti gà
contro la sua consorte. Colpiva specialmen-         niente!
te la fantasia dei veneziani, il fatto che la do-
garessa fosse costretta a comparire dentro al       Scoppiò una risata senza fine, malgrado l’o-
proprio palazzo di fronte a loro.                   rologio fu subito adagiato. Il lettore conti-
                                                    nuò a borbottare e rivolse all’avvocato uno
SCRIVANO …Parché cosí xe usanza di sta              sguardo provocatorio; ma questi sono tutti
Repubblica Serenissima, che un fideicom-            numeri concordati!
misso no pol dirse proprietario, se ghe xe
parenti in vita, sani e savi, però el pol passar    –– ––
la commission…
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«Se i fulmini del cielo» (vol.3–n.17)             cuni scaricatoi della Piazzetta di S. Marco
                                                  che, come nella grande Piazza, sono stati av-
Se i fulmini del cielo                            vedutamente predisposti per lo scolo dell’ac-
vien zoso a rompicollo,                           qua. Se capita un giorno di maltempo c’è
da vu mai no me molo                              un fango insopportabile. Tutti imprecano,
Bettina in verità.                                tutti maledicono e, salendo e scendendo
Che vegna pur bravazzi                            dai ponti, tutti si insudiciano i mantelli, i
Con spade e con spontoni.                         tabarri; e poiché indossano scarpe e calze
Mai quelli sarà boni                              eleganti, s’inzaccherano tutti, e non si tratta
scazzarme via de qua.                             del solito fango, ma di una mota corrosiva.
                                                  Se poi il tempo si rimette al bello, nessuno
–– ––                                             pensa più alla pulizia. Se chi comanda in
                                                  questa città lo volesse, si potrebbe far tutto;
[ OTTOBRE ]
                                                  vorrei sapere se hanno dei motivi politici per
Se solo tenessero più pulita la loro città, ciò
                                                  lasciare tutto così, o se si lascia tutto correre
che sarebbe tanto necessario quanto facile e
                                                  per un’incomparabile negligenza.
veramente di grande importanza per quanto
ne può conseguire nei secoli a venire. Così       –– ––
ad esempio, è vietato con grave ammenda
di riversare alcunché nei canali e di gettarvi    «Son qua putazze care» (vol.1–n.12)
immondizie. Non si impedisce però ad un
improvviso acquazzone di andare a scova-          Son qua Putazze Care
re tutti i rifiuti accumulati negli angoli e di   s’el scoa camin ve preme,
trascinarli nei canali, anzi, e ciò che è an-     son lesto, comandeme,
cor peggio, di portare le immondizie negli        son qua ve voi servir.
scaricatoi destinati soltanto allo scolo delle    Se ‘l camin sporco avessi,
acque, disperdendole.                             g’ho za la scoa de rusto,
Ho attraversato alcuni quartieri e mi sono        v’obedirò con gusto
recato sulla Piazza; ed essendo appunto do-       e spero de sortir.
menica, ho fatto le mie considerazioni sulla
sporcizia delle vie. Certamente esisterà un       Benché i vostri camini
qualche regolamento di polizia in materia.        no li ho provai gnancora
La gente butta le immondizie negli angoli         lassé che vegna sora
e vedo anche dei grandi battelli andare su        e a mi lasseme far.
e giù, sostare in certi punti, e portare via      Benché la scoa sia frusta
la spazzatura; è gente delle isole circostan-     el manego xé niovo
ti, che la utilizza come concime. Ma è pur        vardelo e si ve giovo
sempre imperdonabile che questa città non         prencipié a comandar.
sia più pulita, dal momento che essa è vera-
mente strutturata per esserlo, così come per      Su ressolvé per tempo
qualsiasi città olandese.                         no fé che perda el gusto
Ho visto perfino otturati e pieni d’acqua al-     che qua l’osé me frusto
                                                  e niente no farò.
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