Il volo degli uccelli - Foresti Danilo Lavoro interdisciplinare Biologia, Fisica e Chimica

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Il volo degli uccelli - Foresti Danilo Lavoro interdisciplinare Biologia, Fisica e Chimica
Foresti Danilo

Il volo degli uccelli
   Lavoro interdisciplinare
  Biologia, Fisica e Chimica

      Liceo Cantonale di Locarno
             2006 – 2007

Docenti: C. Beretta – Steiner, C. Ferrari
Il volo degli uccelli - Foresti Danilo Lavoro interdisciplinare Biologia, Fisica e Chimica
Il volo degli uccelli

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Il volo degli uccelli

Indice
 Indice................................................................................................................................................3
 Prefazione.........................................................................................................................................5
 1.) Introduzione................................................................................................................................7
 2.) Come si comporta un fluido?......................................................................................................9
    2.1) Che cos’è un fluido? .............................................................................................................9
    2.2) Il teorema di Bernoulli .........................................................................................................9
    2.3) L’equazione di continuità ...................................................................................................12
    2.4) Comportamento di un fluido in una strettoia .....................................................................12
    2.5) Forze agenti su un’ala: portanza, resistenza, forza peso e spinta .....................................14
       2.5.1) Resistenza di attrito: ....................................................................................................14
       2.5.2) Resistenza di scia (o forma):........................................................................................14
       2.5.3) Resistenza indotta: .......................................................................................................15
    2.6) Angolo d’attacco.................................................................................................................18
 3.) Il volo........................................................................................................................................21
    3.1) Premesse .............................................................................................................................21
    3.2) I vari tipi di volo .................................................................................................................22
       3.2.1) Il volo planato ..............................................................................................................23
       3.2.2) Il volo a vela ................................................................................................................23
       3.2.3) Il volo battente .............................................................................................................25
       3.2.4) Il volo ronzato..............................................................................................................25
 4.) Uno sguardo al passato .............................................................................................................27
    4.1) Introduzione........................................................................................................................27
    4.2) I volatori primitivi...............................................................................................................28
       4.2.1) Meganeura Monyi Brögn.............................................................................................28
       4.2.2) Gli pterosauri ...............................................................................................................29
       4.2.3) Archaeopteryx..............................................................................................................32
 5.) L’evoluzione del volo negli uccelli ..........................................................................................33
    5.1) Dai dinosauri agli archaeorniti..........................................................................................33
    5.2) Dagli archeorniti ai giorni nostri .......................................................................................35
    5.3) Approfondimento: Dalle squame alle piume ......................................................................36
 6.) Penne e piume...........................................................................................................................39
    6.1) Le penne: struttura e suddivisione......................................................................................39
    6.2) Le piume .............................................................................................................................42
 7.) Nati per volare: i rapaci ............................................................................................................43
 Ringraziamenti ...............................................................................................................................45
 Bibliografia ....................................................................................................................................47

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Prefazione
Con questo lavoro di maturità intendo presentare al lettore il volo degli uccelli in tutte le sue parti.
Partendo dalle leggi fisiche che governano i fenomeni di aerodinamica, vedremo più in dettaglio
cosa esattamente permette agli aerei come agli uccelli di librarsi in volo, pur essendo più pesanti
dell’aria. Saranno presi in considerazione vari tipi di volo animale e i principali adattamenti
evolutivi sviluppati nel tempo dagli uccelli, affinché il lettore possa farsi un’immagine completa a
riguardo.

Spero che l’argomento possa risvegliare nel lettore la stessa curiosità che mi ha portato alla scelta di
questo lavoro di maturità.

Buona lettura.

                                                                                                      5
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1.) Introduzione
Volare. Fin dai tempi più antichi l’uomo ha rincorso questo suo sogno, affascinato dai volteggi
degli uccelli nel cielo. Ne sono testimonianza gli innumerevoli studi di Leonardo da Vinci, dei
fratelli Wright e Otto Lilienthal, solo per citarne alcuni tra i più noti. Le prime esperienze aeree si
ebbero a bordo di palloni aerostatici ad aria calda, si passò poi agli alianti e ai deltaplani per poi
finire con l’aereo a reazione, il più veloce mezzo mai inventato.

Malgrado tutte queste innovazioni tecnologiche l’uomo non ha mai smesso di sognare, e ancora
oggi si ritrova a guardare malinconicamente le aquile che volano tra le più alte creste e le rondini
che volano lontano nel cielo.

  “poi con un battito d'ali si levò in volo e, tremando per chi lo seguiva, come un uccello
             che per la prima volta porta in alto fuori del nido i suoi piccoli,
                     l'esorta a imitarlo, l'addestra a quell'arte rischiosa,
              spiegando le sue ali e volgendosi a guardare quelle del figlio…”
                                                   Ovidio, Metamorfosi, Libro Ottavo (Mito di Dedalo e Icaro)

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2.) Come si comporta un fluido?
2.1) Che cos’è un fluido?

Prima di studiare il comportamento di un fluido diamone la definizione e alcune sue proprietà
elementari.
Un fluido è una sostanza che gode di caratteristiche fisiche proprie che ci permette di distinguerlo
da quelle che definiamo solide. Ogni fluido prende la forma del recipiente in cui è contenuto; ciò è
dovuto al fatto che non può sopportare una forza tangenziale (di taglio) sulla sua superficie, di
conseguenza essi non dispongono di forma propria, ma possono modificarla fino a raggiungere la
migliore “sistemazione”. A livello molecolare si può vedere benissimo come i fluidi siano diversi
dai solidi, in quanto la disposizione atomica di quest’ultimi è regolata da un rigido e ordinato
reticolo cristallino; né nell’acqua allo stato liquido né in nessun altro fluido è riscontrabile una
struttura simile. In ogni sostanza definita come fluido infatti, gli atomi (o le molecole, a dipendenza
del caso) non seguono un ordine e si dispongono in modo casuale. Qualitativamente nella categoria
dei fluidi rientrano i liquidi e i gas.
Il metodo più utilizzato per distinguere i fluidi è il calcolo della densità (ρ), il quale corrisponde a
dividere la massa m di una quantità di fluido per il volume V occupato dallo stesso:

                                                        m
                                                 ρ=
                                                        V

Altra proprietà dei fluidi è la pressione (p), una misura della forza per unità di superficie:

                                                        F
                                                 p=
                                                        A

dove F è l’intensità della forza perpendicolare esercitata e A l’area soggetta a questa forza.

2.2) Il teorema di Bernoulli

L’equazione di Bernoulli mette in relazione l’energia cinetica di un fluido via la sua velocità,
l’altezza al quale si trova e la pressione; e fu enunciata dal matematico Daniel Bernoulli (Groninga,
1700 – Basilea, 1782). L’equazione è una riformulazione di uno studio di Eulero, e si applica a
fluidi in regime laminare (e quindi non turbolento) non comprimibili, cioè con ρ costante. Malgrado
questo teorema sia stato concepito per fluidi non comprimibili come l’acqua, esso è applicabile
qualitativamente anche all’aria.

Visto che l’energia si conserva e non viene né creata né distrutta, partiremo dalla premessa che la
variazione di energia cinetica corrisponda alla somma dei lavori compiuti sul sistema. Definiamo le
seguenti forme di energia: energia cinetica ed energia potenziale.

                                                        1 2
                                              E cin =     mv
                                                        2

                                               E pot = mgy

                                                                                                      9
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dove m è la massa, g è l’intensità del campo gravitazionale (g = 9.81 N/kg), v è la velocità e y
equivale all’altezza rispetto ad uno zero fissato.

Il teorema dell’energia cinetica afferma che

                                                     ΔE cin = W

dove nei casi considerati sotto il lavoro compiuto sul sistema corrisponde al lavoro fatto dalle forze
di pressione aggiunto a quello fatto dalla forza di gravità, se il sistema varia in altezza:

                                          ΔE cin = W fpeso + W fpressione

dove Wfpeso equivalente al lavoro compiuto dalla forza peso e Wfpressione al lavoro compiuto da quelle
di pressione.

Visto che siamo in una situazione in cui il fluido non fluisce spontaneamente (ricordiamo che
compiamo un lavoro sul sistema), possiamo associare al lavoro svolto dalla forza di gravità
un’energia potenziale nel modo seguente

                                                 W fpeso = −ΔE pot

Possiamo quindi riscrivere la variazione di energia cinetica come:

                                         ΔE cin = −ΔE pot + W fpressione

da cui

                                          W fpressione = ΔE cin + ΔE pot

Ogni differenza di energia si riferisce alla differenza tra la situazione finale (2) e quella iniziale (1),
possiamo quindi riscrivere l’equazione

                                             ⎛1      1     ⎞
                              W fpressione = ⎜ mv22 − mv12 ⎟ + ( mgy2 − mgy1 )
                                             ⎝2      2     ⎠

                                                 1 2 1 2
                                W fpressione =     mv2 − mv1 + mgy2 − mgy1
                                                 2      2

Costruiamo ora il teorema di Bernoulli, considerando a tal proposito la figura 1.

                                                                                                        10
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                                          Immagine 1: Il tubo di Bernoulli

Il lavoro della forza di pressione può essere a sua volta scomposto utilizzando la definizione di
pressione:

                                                Fpressione = pS

                        W fpressione = F Δx = Fs Δxs − Fd Δxd = ps Ss Δxs − pd Sd Δxd

dove le lettere “d” e “s” pedici si riferiscono a elementi provenienti da destra rispettivamente da
sinistra, Δx lo spostamento compiuto dal fluido e S la superficie su cui viene effettuata la forza. Ora

                                                   S Δx = V

dove V è il volume di fluido spostato, da cui

                                  W fpressione = psV − pdV = ( ps − pd ) V

Riassumendo

                              1 2 1 2
                                mv2 − mv1 + mgy2 − mgy1 = ( ps − pd ) V
                              2      2

Dividiamo ora tutta l’eguaglianza per il volume V del fluido, così da ottenere l’equazione di
Bernoulli. Al primo membro la massa del fluido fratto il suo volume ci dà la sua densità, al secondo
membro il volume si semplifica con quello già presente:

                              1 2 1 2
                                mv2 − mv1 + mgy2 − mgy1 ( p − p ) V
                              2      2                 = s     d

                                         V                   V

                                                                                                     11
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                                  ⎛1     1                ⎞
                                m ⎜ v22 − v12 + gy2 + gy1 ⎟
                                  ⎝ 2    2                ⎠= p −p
                                                            ( s d)
                                           V

                                 ⎛1        1                    ⎞
                               ρ ⎜ v 22 − v12 + gy 2 − gy1 ⎟ = ( p s − p d )
                                 ⎝2        2                    ⎠

Osserviamo quindi che per ogni punto del fluido vale

                                1 2 1 2
                                  ρv 2 − ρv1 + ρgy 2 − ρgy1 = p s − p d
                                2       2

                               1 2                   1
                                 ρv 2 + ρgy 2 + p d = ρv12 + ρgy1 + p s
                               2                     2

                                       1 2
                                         ρ v + ρ gy + p = costante
                                       2

2.3) L’equazione di continuità

L’equazione di continuità non è altro che la legge della conservazione della massa applicata ai
fluidi. Anch’essa, come il teorema di Bernoulli, se applicata al volume, considera il moto di un
fluido incomprimibile in regime laminare. Il fluido non può essere evidentemente né creato, né
distrutto, di conseguenza la quantità di fluido che passa nel tubo sarà la stessa in tutte le sue parti.
Per i fluidi incomprimibili abbiamo la seguente relazione:

                                          ΔV = A1v1 Δt = A2 v 2 Δt

                                                A1v1 = A2 v 2

Quindi lungo il tubo di flusso troviamo una costante

                                                  R = Av

Dove R corrisponde alla portata volumica (in m3/s), A all’area di sezione e v alla velocità con cui
scorre il fluido.

2.4) Comportamento di un fluido in una strettoia

Le verifiche appena eseguite ci permettono di descrivere in modo decisamente più preciso e
accurato il moto di un fluido in situazioni a noi nuove; a tal proposito prendiamo in esame il caso
della strettoia.
Come abbiamo appena visto nell’equazione di continuità una variazione dell’area di sezione ha
delle ripercussioni sulla velocità del fluido: ciò è abbastanza intuitivo e anche facile da verificare;
basta prendere l’annaffiatore del giardino e schiacciarne l’estremità: l’acqua che ne fuoriesce non è

                                                                                                     12
Il volo degli uccelli

più un largo e pesante rivolo che cade ai nostri piedi, ma un getto molto più veloce che zampilla
lontano. Ciò è una conseguenza della conservazione della massa: visto che l’acqua è incomprimibile
se dimezzo la sezione del tubo in cui scorre la velocità è costretta al raddoppio per ristabilire
l’equilibrio della costante. In una strettoia qualsiasi avviene esattamente la stessa cosa, a sezione
minore corrisponde velocità maggiore. Questo è molto importante, perché ci permette di affermare
che un fluido più veloce di un altro avrà pressione minore.

A dimostrazione di ciò, prendiamo la situazione v2 > v1 e inseriamo queste velocità nell’equazione
di Bernoulli: otteniamo

                                1 2                   1
                                  ρv 2 + ρgy 2 + p d = ρv12 + ρgy1 + p s
                                2                     2

Per semplicità esaminiamo una strettoia posta in orizzontale, quindi con y1 = y2 = 0. Otteniamo

                                       1 2           1
                                         ρv 2 + p d = ρv12 + p s
                                       2             2

Siccome la densità ρ del fluido è costante, l’unico altro parametro che potrebbe compensare lo
squilibrio dato dalle diverse velocità è la pressione p. Da questa uguaglianza possiamo trarre la
conclusione generale che più la velocità di un fluido è alta, più la sua pressione dovrà essere
minore. A sostegno di questa tesi ci sono anche gli esperimenti portati avanti da Giovanni Battista
Venturi (Reggio Emilia, 1746 – Reggio Emilia, 1822).

                                          Immagine 2: Effetto Venturi

Nella figura 2 possiamo ben vedere come la velocità del fluido sia strettamente correlata con la sua
velocità. Nel caso specifico preso in considerazione risulta ovvio che la superficie S1 = S2, ne
consegue che le velocità v1 e v2 sono uguali. Per quanto già dimostrato, nei punti 1 e 3 avremo la
stessa pressione in grado di sollevare il fluido alla stessa altezza h, ma come la velocità è costretta a
subire un aumento nel punto 2 è evidente che la pressione scema, situando così h2 a un nuovo
livello, più basso degli altri 2.
Queste relazioni sulla dinamica dei fluidi stanno alla base degli studi di aerodinamica, in quanto sia
la morfologia di un’ala di un volatile, sia la sezione di quella di un aeroplano (peraltro non molto
differenti tra loro), hanno un disegno ben preciso.

                                                                                                      13
Il volo degli uccelli

2.5) Forze agenti su un’ala: portanza, resistenza, forza peso e spinta

Fin dai tempi più remoti l’uomo ha cercato di inseguire un grande sogno: quello di librarsi in aria e
volteggiare come un uccello. Basti pensare agli innumerevoli (e a volte anche drammatici) tentativi
falliti nei secoli proprio per soddisfare questo suo desiderio. Il primo prototipo di macchina
motorizzata realmente in grado di volare (anche se per pochi secondi) si librò nell’aria grazie ai
fratelli Wright il 17 dicembre 1903: consisteva in un biplano di carta e legno con alla guida un
uomo che tendeva corde e pulegge per gestire la planata. Oggigiorno le cose stanno un po’
diversamente, e molte persone non ricordano nemmeno il nome dei pionieri che, grazie al loro
lavoro, ci permettono di godere dei vantaggi dell’aereo, il mezzo di trasporto civile più rapido e
strabiliante che l’uomo abbia mai inventato.
L’immagine di un falco e quella di un aereo da turismo in volo ci appaiono ovviamente diverse,
suggerendoci che nessun nesso li accomuni. Orbene, i metodi con cui i due riescono a restare in aria
non sono poi così differenti tra loro: infatti, il principio che ne sta alla base è lo stesso. Ogni ala, sia
essa animale o progettata dall’uomo, ha una struttura ben definita: deve avere una sagoma che
costringa l’aria a scorrere più velocemente sulla superficie superiore rispetto a quella inferiore.
Questa differenza di velocità crea una differenza di pressione positiva diretta verso l’alto,
generatrice della forza atta a sostenere il corpo in aria; questa forza è appunto detta portanza.
L’altra forza principale che agisce su un’ala è la resistenza dell’aria, che può essere suddivisa in
resistenza di profilo e resistenza indotta. La prima può essere ulteriormente scomposta in resistenza
di attrito e resistenza di scia (o forma).

2.5.1) Resistenza di attrito:

La resistenza di attrito è dovuta alla frizione delle molecole d’aria con la superficie alare. Queste
frizioni portano alla formazione di uno strato limite in cui la velocità dell’aria varia da 0 (sulla
superficie) a v. Dipende chiaramente dalla rugosità e dalla forma della superficie sulla quale scorre,
e rappresenta la maggior parte della resistenza dovuta alla viscosità.

2.5.2) Resistenza di scia (o forma):

La resistenza di scia deriva dalle turbolenze che nascono sulla superficie superiore dell’ala quando
lo scorrimento del fluido non è più di tipo laminare.
Nel caso ideale di un fluido non viscoso la somma dell’energia potenziale e dell’energia cinetica
resta costante, vale a dire che nelle linee di flusso a contatto con la superficie queste due forme di
energia sono continuamente trasformate a seconda del profilo alare che sono costrette a seguire,
senza dispersioni in attrito. Ciò consente alle molecole d’aria di viaggiare anche contro variazioni di
pressione notevoli, modificando la loro velocità ma mantenendo una linea di flusso “pulita” che
segue interamente il contorno del corpo.
Con l’inserimento del fattore viscosità le faccende si complicano, in quanto parte dell’energia
cinetica dev’essere impiegata per vincere la forza di attrito nello strato limite adiacente al dorso
dell’ala. Così facendo non è più possibile effettuare una totale riconversione dell’energia cinetica in
energia potenziale. Inoltre, le molecole d’aria che dissipano gran parte della loro energia cinetica in
attrito si trovano ad affrontare dei forti aumenti di pressione che impediscono loro di proseguire,
facendole ripiegare e creando così una scia turbolenta. Quando si è confrontati con situazioni di
questo genere la portanza scema drasticamente e ci si viene a trovare in una situazione di stallo.
Questo tipo di resistenza dipende dalla pressione che le linee di flusso adiacenti all’ala sono
costrette a sopportare.
Descritto a parole può risultare di problematica comprensione, consideriamo quindi a tal proposito
le figure 3a e 3b:

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Il volo degli uccelli

                                   Immagine 3a: Linee di flusso in regime laminare

Abbiamo detto che le molecole di un fluido ideale seguono perfettamente il profilo dell’ala, entro
alcuni limiti ciò avviene anche con i fluidi come l’aria e l’acqua come nella figura 3a.

                                  Immagine 3b: Linee di flusso in regime turbolento

Quando invece le differenze di pressione alle quali le particelle sono sottoposte sono troppo elevate
ciò non è più possibile, portandoci alla situazione riprodotta nell’immagine 3b. Si notano bene i
vortici che si vengono a creare sul dorso dell’ala, pieghe di linee di flusso a contatto con altre più
forti. Tutto questo non avviene nei fluidi ideali, perché le turbolenze sono una conseguenza diretta
dell’attrito superficiale.

2.5.3) Resistenza indotta:

Oltre alle resistenze dovute alla viscosità appena prese in esame, l’ala deve sottostare a un’altra
forza generata dalla sua azione sul fluido, più precisamente dalla portanza.
Abbiamo visto che la portanza è una forza che scaturisce da una differenza di pressione tra il dorso
e il ventre dell’ala, di conseguenza l’aria cercherà di compensare questo scompenso spostandosi
dalla zona ad alta pressione a quelle di bassa pressione, cioè dall’intradosso all’estradosso. Questo è
possibile solo agli estremi dell’ala, dove l’aria riesce a sgattaiolare dal ventre al dorso dell’ala.
Vengono così a crearsi dei vortici marginali di intensità proporzionale alla differenza di pressione.
Nella figura 4 è rappresentato uno studio condotto dalla NASA a riguardo, nel quale delle colonne
di fumo colorato emesse da terra vengono turbate dall’arrivo di un piccolo aereo da agricoltura. Il
velivolo in planata aumenta al massimo la superficie di lavoro dell’ala alzando il muso, questa
manovra va a generare una forte differenza di pressione tra l’intradosso e l’estradosso accrescendo
così l’effetto di portanza. Questa forza è direzionata verso il retro dalla posizione dell’aereo,
andando a diminuire la velocità e permettendo l’atterraggio. In questa situazione la grande pressione
sul ventre dell’ala crea dei vortici marginali molto ampi, dai quali (grazie all’aiuto del colorante) si
deduce facilmente come si formino.

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Il volo degli uccelli

                                              Immagine 4: Vortici alari

Riassumendo, quella comunemente chiamata resistenza dell’aria è il risultato di una somma delle
altre tre forze, raggruppate sotto un nome generico per comodità.

                                 R tot = R attr + R scia + R ind = R prof + R ind

dove Rtot, Rscia, Rind e Rprof sono rispettivamente resistenza totale, di scia, indotta e di profilo.

Finora abbiamo definito le forze agenti su un’ala quali la portanza e la resistenza a parole, vediamo
adesso come siano rappresentabili graficamente.

                                               Immagine 5: Forze alari

                                                                                                        16
Il volo degli uccelli

Con l’ausilio della grafica si possono esprimere alcune considerazioni molto interessanti circa la
direzione, l’intensità e l’origine delle forze in gioco. Prima di tutto occorre però chiarire una cosa: il
vento relativo in ogni immagine rappresenta il movimento dell’aria rispetto all’ala, quindi non c’è
differenza tra un’ala in movimento in un fluido fermo e viceversa, da non confondersi con i venti
che conosciamo noi (che tra l’altro con il moto in regime lineare hanno ben poco a che fare).
Il vettore chiamato “Spinta” indica la direzione in cui la propulsione fa avanzare l’oggetto, dunque
il lavoro dei motori nel caso di un aeromobile. Il vettore rappresentante la resistenza ha la stessa
direzione del vento relativo e ciò risulta piuttosto intuitivo, considerato il fatto che deriva
soprattutto dall’attrito nello strato limite; quel che è meno ovvio è la direzione del vettore portanza,
che è normale a tutte le linee di flusso. Questa direzione è causata dalla fonte stessa della portanza,
vale a dire il gradiente di pressione generante la forza che è perpendicolare alle linee di flusso. La
risultante è la somma vettoriale delle componenti “portanza” e “resistenza”, ed è la forza totale
esercitata dall’aria. Essa contrasta la forza peso, come si può ben vedere nella figura 6 nel caso della
discesa stazionaria di un velivolo.

                                         Immagine 6: Discesa stazionaria

                                                                                                       17
Il volo degli uccelli

Dalla seconda legge di Newton 1 abbiamo che:
                                                  JJJG JJG     G
                                                  Fris + Fp = ma

                                                        G              G G
Visto che siamo in presenza di una planata stazionaria, v è costante e a = 0 ; si può quindi
riscrivere la formula come
                                                   JJJG JJG G
                                                   Fris + Fp = 0

                                                     JJJG     JJG
                                                     Fris = − Fp

Questa uguaglianza ci conferma la nostra tesi, vale a dire che in un oggetto a motori spenti (da
notare che la freccia “Spinta” nel precedente disegno è assente) in movimento rettilineo uniforme
l’accelerazione è nulla e una forza è l’esatto opposto dell’altra. L’assenza di vettori nella stessa
direzione del moto potrebbe trarre in inganno su cosa muova l’aeroplano, ma è bene ricordare che
in regime di moto rettilineo uniforme qualsiasi velocità v iniziale del corpo viene mantenuta.

2.6) Angolo d’attacco

Abbiamo visto che ogni ala è in grado di generare un effetto di portanza quando percorre un fluido,
alla base di ciò ci sono due cause: una l’abbiamo già chiarita, ed è il particolare profilo che ha,
l’altra è il particolare angolo con cui essa fende il fluido in cui si muove. Tutti noi l’abbiamo
sicuramente già sperimentato almeno una volta: chi non ha mai messo la mano fuori dal finestrino
dell’auto mentre è si muove a velocità sostenuta? Se la teniamo parallela alla strada l’aria non ha
nessun effetto su di essa, ma come la incliniamo leggermente verso l’alto ci accorgiamo subito che
una forza la sostiene. Aumentando ancor maggiormente l’inclinazione non siamo quasi neanche più
in grado di controllarla, e la mano schizza verso l’alto (finché il braccio lo permette, ovviamente).
Le varie inclinazioni che le diamo non sono altro che le variazioni dell’angolo d’attacco con cui la
superficie aerodinamica fende l’aria.
Con questo termine si identifica un angolo immaginario formato dalle linee di flusso in arrivo e la
corda di profilo. Quest’ultima è una retta che congiunge due punti strategici dell’ala, più
esattamente il punto morto (o punto di attacco) e il punto di uscita.

                                              Immagine 7: Angolo d’attacco

1
 Seconda legge di Newton: “Rispetto ad un referenziale inerziale, la variazione istantanea (rispetto al tempo) della
quantità di moto di un punto materiale è uguale alla risultante delle forze esterne agenti su di esso” (C.Ferrari,
“Fisica”, II anno liceo scientifico, 2005-06).

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Il volo degli uccelli

Il punto d’attacco corrisponde ad A; è la prima parte dell’ala che viene a contatto con l’aria e
l’unica in cui la velocità del fluido è ipoteticamente uguale a 0, non a caso è chiamato punto morto.
Per esseri precisi siamo costretti a definirlo ipoteticamente, visto che in realtà esso non esiste: è il
classico dilemma dell’uovo in cima alla montagna. Analogamente, come si cerca di raggiungere
questo punto limite si è continuamente sbalzati da una parte e dall’altra di esso. Infatti è laddove
avviene la separazione delle linee di flusso, determinando cosa passerà sul dorso e cosa sotto al
ventre dell’ala.
Il punto B è il punto d’uscita, laddove l’aria si stacca dalla superficie alare per ricongiungersi con
l’altra sua “metà” che ha percorso la via sull’altro lato. Richiamo a proposito la figura 3a, in cui si
vede molto bene come le linee di flusso si separino in A per poi ricongiungersi in B.

                                                                                                     19
Il volo degli uccelli

                        20
Il volo degli uccelli

3.) Il volo

3.1) Premesse

In questo capitolo vedremo in dettaglio le leggi che governano il volo, così come l’angolo d’attacco
sia basilare per questo processo.
Abbiamo già constatato che in qualsiasi tipo di volo ci sono alla base le due forze aeree in gioco,
vale a dire la portanza e la resistenza. Tramite vari esperimenti si è potuto constatare che queste due
entità sono definibili matematicamente tramite le seguenti leggi empiriche:

                                                              v∞2
                                            Fport = C p S ρ
                                                               2

                                                              v∞2
                                            Fres = Cr S ρ
                                                               2

dove Fport e Fres sono rispettivamente forza di portanza e forza di resistenza. S è la superficie
portante dell’ala, sulla quale viene eseguito il lavoro dalla pressione. Se inserissimo un’ala in un
sistema di coordinate 0xyz S sarebbe rappresentabile come la sua proiezione sul piano 0xy. Il
simbolo “ρ”sta a indicare la densità del fluido, nel nostro caso l’aria, e v∞2 il quadrato della velocità
relativa di quest’ultima rispetto all’ala lontano da essa, cioè al di fuori dello strato limite.
Infine i parametri Cp e Cr sono delle costanti che variano a dipendenza dell’angolo d’attacco e della
forma più o meno aerodinamica del corpo in volo.
Esaminando le due formule ci rendiamo conto che, salvo i coefficienti Cp e Cr, sono perfettamente
uguali; questo ci suggerisce che sono direttamente proporzionali tra loro: infatti la resistenza
dell’aria è il prezzo da pagare per generare portanza. Inoltre, risulta evidente come la velocità
relativa del fluido sia la variabile dinamica che maggiormente influenza le due relazioni.
Il fatto che le formule siano composte da solo quattro parametri (i già citati velocità, superficie,
densità e coefficienti) non significa che siano altrettanto semplicistiche, in quanto tengono in
considerazione anche la temperatura e l’altitudine per la densità ρ dell’aria, le dimensioni e la
posizione dell’ala nello spazio per S, così come l’angolo d’attacco e l’aerodinamicità per le costanti
Cr e Cp.

Per fare un esempio prendiamo in considerazione il diagramma polare che segue, ci mostra molto
bene come l’angolo d’attacco sia importante per creare le condizioni ideali per le quali un volo
effettivamente esista.

                                                                                                      21
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                                    Immagine 8: Variazioni di Cp e Cr rispetto ad α

Sull’asse delle ascisse sono rappresentati i valori del coefficiente di resistenza, sull’asse delle
ordinate quelli di portanza. Prima di qualsiasi analisi occorre notare che la stessa lunghezza
sull’asse 0y equivale a un decimo su quello 0x, l’immagine riproduce quindi la situazione in scale
sfalsate per comodità di lettura. Se le proporzioni fossero state rispettate saremmo in presenza di
una curva che passa da valori sotto lo zero ad altri molto elevati in uno spazio sull’asse x
ristrettissimo, dimostrandoci che il profilo alare è la forma che meglio si addice alla produzione
della massima portanza con il minimo possibile di resistenza.
Da tempo l’uomo si è reso conto che la natura nel suo agire tende sempre più alla perfezione, si è
quindi posto il quesito se non fosse il caso di imitarla. Sir George Cayley alla fine del XVIII secolo
nel suo Note-Book annotava che la miglior forma per uno scafo era la stessa della sezione
orizzontale di una trota, prima di lui anche Leonardo da Vinci aveva già formulato una tesi a
riguardo nei suoi trattati di idrodinamica. Nel caso dell’aerodinamica vale lo stesso concetto, con le
ali dei velivoli costruite dall’uomo imitanti la morfologia degli arti animali. Che dire della forma
base? Una semplicissima gobba dorsale che, allungando il percorso delle particelle d’aria, crea una
differenza di pressione sufficiente a sostenere il corpo in volo, sia esso di legno o in carne ed ossa,
artificiale o opera della natura. L’unica differenza tecnica sostanziale che intercorre tra una
macchina e l’animale è la forza originante la propulsione che fa avanzare, accelerare o rallentare il
corpo in volo (la spinta nell’immagine 5): come tutti ben sappiamo gli uccelli devono sbattere le ali
per muoversi, mentre un aeromobile ad ala fissa lo fa con l’utilizzo di potenti motori. Non si è
ancora arrivati a sviluppare le competenze tecniche necessarie, ma esistono già alcuni prototipi di
macchine ad ala mobile che riescono a dare scarsissimi risultati, questo dimostra la complessità dei
movimenti da compiere per svolgere questa azione.

3.2) I vari tipi di volo

Quando si parla del volo degli uccelli è di consueta abitudine pensare al simpatico battito d’ali del
passerotto dei nostri giardini o simili, ma così facendo è facile perdere di vista tutte le altre modalità

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Il volo degli uccelli

con le quali gli animali (e non solo gli uccelli) possono stare in aria. A dipendenza delle dimensioni,
delle abitudini, della necessità di compiere grandi spostamenti o meno i voli risultano molto
diversificati tra loro, distinguibili in volo planato, volo a vela (comprendente le due sottocategorie
dei veleggiatori statici o dinamici), volo battente e infine il volo ronzato.

3.2.1) Il volo planato

Il volo planato, detto anche volo librato, come dice il nome non implica un utilizzo attivo delle ali.
Questo tipo di volo fu il primo a svilupparsi negli animali, non esigendo particolari strutture per
essere attuato. Ancora oggi troviamo una miriade di specie che si lanciano da punti sopraelevati
planando verso altri posti più in basso. Esistono serpenti in grado di planare da un ramo all’altro
estendendo le loro costole aumentandone così la superficie portante, lo stesso sono in grado di fare
alcuni scoiattoli con delle estensioni di pelle lungo i fianchi e la rana volante con delle zampe
palmate, i draghi volanti e gli exocetidi, particolare specie di pesci in grado di balzare fuori
dall’acqua e “volare” per ben 180 metri!

Scoiattolo siberiano volante (Finlandia)                     Exocetidi                   Rana volante

                  Serpente arboricolo (Chrysopelea ornata)                Draco volans

Il volo planato non richiede alcuna spesa di energia, sfrutta soltanto la forza di gravità e/o la
velocità acquistata precedentemente per vincere la forza di resistenza dell’aria. Le strutture portanti
sono tra le più diversificate, come si può ben constatare nelle immagini appena riprodotte.

3.2.2) Il volo a vela

Così come il volo planato, quello veleggiato pretende uno sforzo minimo. Questo tipo di volo
sfrutta le correnti d’aria ascendenti e i venti e permette di coprire grandi distanze con un dispendio
energetico irrisorio.

     •     I veleggiatori statici: Con questo nome si riuniscono gli uccelli che sfruttano il volo a vela
           per muoversi sulle terre emerse. A questa categoria appartengono i grandi rapaci dell’ordine

                                                                                                        23
Il volo degli uccelli

    dei Falconiformi quali aquile, falchi, avvoltoi, poiane, condor e avvoltoi. Hanno ali piuttosto
    larghe e corte, con una grande curvatura che ne aumenta la portanza e una superficie
    portante fessurata che permette una maggior manovrabilità nelle variazioni delle correnti
    d’aria. Sono animali che amano veleggiare pigramente trasportati dal vento, per prendere
    quota compiono dei giri circolari all’interno delle correnti ascensionali di aria calda
    proveniente da terra.

                                   Immagine 14: Il volo veleggiato statico

    Non è raro incappare in un rapace in volo in montagna, infatti è proprio nelle catene
    montuose che si hanno le maggiori correnti ascensionali, aria calda proveniente dal piano e
    dalle vallate sottostanti.

•   I veleggiatori dinamici: A differenza dei precedenti, i veleggiatori dinamici sfruttano le
    diverse velocità dei venti a quote differenti sul mare. A causa degli attriti tra l’acqua e l’aria,
    sulla superficie del mare vi è la formazione di uno strato limite con velocità minori a bassa
    quota che crescono piuttosto regolarmente man mano che ci si alza verso i livelli superiori
    fino a circa 15 metri sopra il livello del mare. Scendono fino in prossimità della superficie
    dell’acqua veleggiando sostenuti dal vento, una volta che la raggiungono si volgono
    controvento aumentando vertiginosamente la velocità relativa dell’aria; così facendo
    usufruiscono di una forza portante che aumenta di pari passo con l’ascesa verso l’alto nello
    strato limite, riportandoli in alto.

                                       Immagine 15: Il volo veleggiato dinamico

                                                                                                    24
Il volo degli uccelli

       Questi uccelli riescono a restare in volo per molte ore senza fare pause, coprendo così le
       grandi distanze migratorie marine. La classe regina di questo complesso tipo di volo è
       sicuramente quella degli albatri, i quali raggiungono i 3.7 metri di apertura alare, la quale va
       a compensare la ristrettezza e la bassa curvatura (basti pensare che il rapporto lunghezza-
       larghezza delle ali di questi animali può arrivare a 18:1!). Queste ali sono adatte a creare un
       effetto di portanza ad alte velocità non essendo fessurate come quelle dei rapaci, andando
       però a scapito della manovrabilità a quelle più basse.

3.2.3) Il volo battente

Altrimenti detto volo remigante, esso è la forma più diffusa tra gli uccelli volatori dei nostri giorni.
Implica un grande dispendio di energia tramite l’uso dei muscoli pettorali, infatti è nei volatori
battenti che si ha un maggior sviluppo dei muscoli e dello sterno. Questa pratica implica una grande
ampiezza di movimenti delle ali al livello della “mano” e della spalla, in quanto le due parti devono
svolgere compiti tanto differenziati quanto coordinati tra loro. Grazie all’uso della fotografia rapida
e delle riprese ad elevate quantità di fotogrammi per secondo si è riusciti a decifrarne tutte le fasi,
svelandone i segreti più reconditi. L’immagine che segue ci mostra qualitativamente le tappe
principali di tali movimenti.

                                         Immagine 16: Il volo battente

Come si può ben vedere l’avambraccio compie un semplice movimento ascendente e discendente,
mentre la parte più esterna dell’ala è un continuo distendersi e ritrarsi. Quando viene dato il colpo
verso il basso l’ala è alla sua massima estensione per aumentare il più possibile la propria superficie
e quindi la portanza. Questo movimento comincia da sopra le spalle dell’animale e si conclude ben
al di sotto del ventre, a dipendenza della specie le punte possono arrivare quasi a toccarsi. Al
vigoroso battito d’ali diretto in basso segue un rapido ritorno alla situazione iniziale, effettuato
tramite il ripiegamento della parte più esterna. Tale azione riduce la quantità di aria da spostare per
rialzare l’ala, limitandola al solo avambraccio: d’altronde, senza questo movimento si ritroverebbe a
spostare la stessa quantità in un movimento tanto quanto nell’altro, non potendo minimamente
alzarsi da terra.

3.2.4) Il volo ronzato

Da ultimo abbiamo il volo ronzato che una sola famiglia di animali è in grado di sostenere, ossia i
colibrì. Il nome di questo particolare tipo di volo deriva dal suono che lo accompagna, infatti i
colibrì producono un distinto ronzio molto simile a quello di un insetto. Questi uccelli volano
mantenendo un’inclinazione in avanti che varia dai 30 ai 45 gradi, e sono in grado di compiere
evoluzioni che nessun altro essere vivente su questa terra è in grado di fare, come restare sospesi in
aria in un punto fermo e persino retrocedere. Queste incredibili capacità sono date dalle morfologia
dell’ala: infatti è completamente rigida in corrispondenza del polso, ma viene mossa in qualsiasi
direzione al livello della spalla. Ciò permette di rovesciare l’ala nel movimento ascendente al punto

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Il volo degli uccelli

da creare una forza portante quasi altrettanto grande quanto quella generata nel verso opposto.
Nell’immagine 17 è riprodotto un esemplare di Selasphorus platycercus nel momento in cui rialza
l’ala, ben mostrando come il dorso e il ventre di quest’ultima siano invertiti.

                                     Immagine 17: Selasphorus platycercus

L’assenza di un moto spontaneo in avanti fa di questo volo il più dispendioso tra tutti, in quanto i
battiti al secondo necessari toccano la punta degli 80 (a titolo di paragone, un’aquila reale non ne
sostiene più di uno). Tutte queste caratteristiche fanno senz’altro i volatori ronzanti i più
sorprendenti del regno animale.

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Il volo degli uccelli

4.) Uno sguardo al passato
4.1) Introduzione

I primi e quasi sempre unici animali ai quali pensiamo nel pronunciare la parola “volo” sono gli
uccelli, ma è bene premettere che ci sono rappresentanti volanti per ogni classe di vertebrati. Ne
abbiamo già incontrati alcuni nel capitolo 3.2.1, infatti il volo non è d’esclusiva per i simpatici
amici pennuti, tutt’altro. I primi alla conquista dell’aria furono gli insetti, i quali spiccarono il volo
già prima del Carbonifero (345-280 milioni di anni fa). Una delle testimonianze più sorprendenti
giunta fino ai giorni nostri a riguardo è sicuramente la Meganeura Monyi, una libellula con
un’apertura alare ben superiore ai 60 centimetri!
Gli unici animali a godere delle ali come mezzo di locomozione primario sono gli insetti, gli uccelli
e un particolare ordine dei mammiferi, quello dei pipistrelli. Molti fattori suggeriscono che il volo
attivo si sia evoluto in tempi e regni differenti, principalmente nei rettili e appunto nei già citati
insetti. A conferma di ciò abbiamo gli studi condotti sulle analogie esistenti sugli arti e sulla loro
funzione.
Per fare un esempio basta prendere in considerazione il caso dell’ala: malgrado il fatto che sia negli
insetti sia negli uccelli l’ala adempia la stessa funzione, non è possibile trovare nessun carattere
condiviso tra i due.

                                            Immagine 18: Analogia

Nell’ala di uccello si vedono molto bene le strutture in comune con i mammiferi, quali la presenza
di ossature simili (nei vari casi ritroviamo sempre omero, radio, ulna, carpo e metacarpo), cose che
non hanno niente a che fare con le elitre degli invertebrati, sprovviste di ossa, vascolarizzazione e
strutture in generale oltre alle nervature. Si può quindi affermare che le due classi dei Mammiferi e
degli Uccelli discendano dagli stessi antenati comuni, vale a dire i Rettili.
A questo punto dobbiamo fare qualche passo indietro nel tempo, almeno fino all’era Mesozoica, che
va da 225 a 65 milioni di anni fa. Questo enorme lasso di tempo viene suddiviso nei più conosciuti
periodi del Triassico, Giurassico e Cretaceo, ricordati soprattutto per i loro incontrastati dominatori:
i dinosauri.

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Il volo degli uccelli

Il Triassico fu teatro della comparsa sulla Terra dei primissimi mammiferi, anche se si sa poco o
nulla su di loro, e dei primordi dei dinosauri, che non superavano i 3-4 metri di lunghezza. Nel
Giurassico si ebbero i primi vertebrati volanti: erano dei rettili appartenenti all’ordine estinto degli
Pterosauri, letteralmente lucertola (sauro) alata (ptero). Comprendevano rettili di dimensioni
variabili, con dei massimi di apertura alare di 12 metri per alcune specie del Cretaceo. Quest’ultimo
periodo invece diede alla vita il primo essere vivente quasi definibile “uccello”: si trattava di
Archaeopteryx, l’animale oggetto di animate discussioni di molti studiosi in dubbio se considerarlo
o meno l’anello mancante nella catena evolutiva degli uccelli.

4.2) I volatori primitivi

4.2.1) Meganeura Monyi Brögn

Etimologia: grande (mega) neurottero (neura) di Brogniart (Brögn)

Nome scientifico che indica una particolare specie di antica libellula, visse nel Carbonifero più di
300 milioni di anni fa. Fu scoperta in una cava di carbone a Commentry in Francia, nel 1880.
Cinque anni più tardi il paleontologo francese Charles Brogniart ne descrisse e denominò il fossile.
Di ragguardevoli dimensioni (pare siano stati rinvenuti fossili con aperture alari di 80 centimetri), si
cibava prevalentemente di prede da lei catturate quali piccoli anfibi e altri insetti. I fossili di questo
sorprendente animale sono la testimonianza di un certo peso più antica giunta fino a noi degli
antichi volatori, in quanto le dimensioni e l’ambiente ne hanno permesso una splendida
fossilizzazione. È dato per scontato che oltre della Meganeura ci fossero una miriade di altri
animaletti in grado di volare liberamente (apidi, mosche e moscerini di ogni tipo), ma non possono
certamente reggere il confronto con un insetto di così sorprendenti proporzioni, visto che di
misterioso avevano ben poco. Infatti è universalmente riconosciuto che non siano stati molto
differenti dagli odierni insetti di piccola taglia.

        Immagine 19: Fossile di Meganeura Monyi                     Immagine 20: Ricostruzione di Meganeura Monyi

Non si è ancora riusciti a risolvere il mistero che aleggia sul come sia stato possibile per un animale
così rudimentale raggiungere agevolmente i 70 centimetri di apertura alare. Gli insetti non
dispongono né di un apparato respiratorio né di uno circolatorio in grado di servire efficacemente il
corpo in tutte le sue parti, pare tuttavia che l’atmosfera del Carbonifero fosse molto più ricca di
ossigeno di quanto non lo sia quella attuale. Questa differenza sostanziale potrebbe essere alla base
della sopravvivenza della Meganeura così come la causa della sua estinzione, avendo preferito
ridurre le proprie dimensioni piuttosto che sviluppare il suo rudimentale sistema di

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Il volo degli uccelli

approvvigionamento d’aria. Ovviamente si tratta solo di una supposizione, in ogni caso più che
plausibile.

4.2.2) Gli pterosauri

Etimologia: lucertole (sauri) alate (ptero)

Fecero la loro comparsa sulla Terra all’incirca 200 milioni di anni fa, nel Triassico, parallelamente
ai dinosauri acquatici (gli ittiosauri, antenati dei pesci). Ebbero una diffusione globale, eccezion
fatta per l’Antartide, e seguivano una dieta strettamente carnivora. Inizialmente non superavano i
50-60 centimetri di lunghezza coda compresa, ma nel Cretaceo Superiore arrivarono a misurare 12
metri di apertura alare per un peso di soli 50 kg, grazie a particolari adattamenti evolutivi (si tratta
di Quetzalcoatlus, il più grande volatore mai vissuto sulla Terra). Questa particolare categoria di
vertebrati volanti comprendeva due sottordini: Rhamphorhyncoidea e Pterodactyloidea,
distinguibili grazie alla presenza o meno di una lunga coda.
Gli pterosauri, oggi completamente estinti, facevano parte del superordine dei saurischi, uno dei tre
gruppi formanti la sottoclasse degli arcosauri assieme ai celurosauri e agli ornitischi 2 . I
paleontologi fecero questa suddivisione sulla base della forma del bacino; vale a dire che i saurischi
portavano dei caratteri più simili a quelli degli odierni coccodrilli, mentre l’ossatura degli ornitischi
assomigliava molto di più a quella dei moderni uccelli. Paradossalmente, gli uccelli non derivano da
questo ordine, sono bensì discendenti dei saurischi. Fino ad oggi si è riusciti a catalogare circa una
sessantina di specie differenti di pterosauri, rinvenuti sopratutto in sedimenti di origine marina;
questa discreta quantità di informazioni ha permesso agli studiosi di formulare alcune interessanti
ipotesi sulla loro forma.
Si sa quasi per certo che non avevano alcun tipo di piuma, ma piuttosto un rado piumino di pelo, il
che va a rafforzare la tesi che fossero degli animali omeotermi, a sangue caldo. Alcuni di loro
avevano un cranio molto allungato, ciò potrebbe derivare dal fatto che la capacità di volare presume
un grande utilizzo delle aree motorie del cervello e del cervelletto come negli odierni uccelli,
oppure semplicemente essere una misura aerodinamica o di controbilanciamento del peso delle
lunghe mascelle per non affaticare troppo i muscoli del collo durante il volo. È stato comunque
confermato che negli pterodattili più evoluti queste protuberanze e creste craniali erano fortemente
vascolarizzate, il che va a suggerire che svolgessero una funzione termoregolatrice come in altri
dinosauri di terra (ad esempio le placche ossee di Stegosaurus), oltre ad essere un richiamo per
l’accoppiamento. Un’altra caratteristica aerea condivisa con gli odierni uccelli riguarda la
costituzione delle ossa: questi animali primitivi disponevano già di ossa pneumatiche atte a
alleggerire drasticamente la struttura; questo spiega anche come degli animali anche giganteschi
arrivassero a pesare abbastanza poco da poter permettere loro di volare.

2
  Da notare che a dipendenza delle fonti prese in considerazione la classificazione degli pterosauri risulta differente.
Nell’immagine 28 formano infatti un gruppo a sé stante, anche se nella maggior parte dei casi vengono comunque
classificati come un sottordine dei saurischi, malgrado il diverso percorso evolutivo.

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Il volo degli uccelli

  Immagine 21: Ricostruzione di Pteranodon (65 milioni di anni fa)       Immagine 22: Fossile di Rhamphorhynchus

Le ali erano qualcosa a sé stante, essendo profondamente diverse da quelle che conosciamo noi:
qualitativamente le possiamo immaginare come quelle dei pipistrelli, la superficie che sosteneva il
corpo in volo era una sottile membrana di pelle simile al loro patagio, ma il suo sostegno era
rappresentato da un allungamento sproporzionato del quarto dito (nei pipistrelli questo ruolo è
ricoperto dal secondo dito, anche se tutti e cinque hanno delle lunghe falangi, mentre che negli
uccelli non resta che una traccia del secondo). Da notare che negli pterosauri il mignolo è assente,
quindi il gravoso compito di sostenere tutto quel peso è affidato in gran parte a due dita di
lunghezza pari a circa la metà dell’intera apertura alare stessa (non dimentichiamoci che le ali sono
due, quindi uno per arto!)! Non si è ancora riusciti a capire cosa abbia spinto ad un così grande
allungamento un solo dito lasciando gli altri tre normali, inoltre non si è a conoscenza del modo in
cui questa membrana cutanea si attaccasse posteriorment: forse era situata direttamente sulle zampe
posteriori, forse sui fianchi; della membrana alare, peraltro già molto fragile di natura, non ci è
pervenuta quasi nessuna traccia, lasciando una misteriosa ombra sulla sua reale forma.
Le caratteristiche alari e scheletriche degli pterosauri ci indicano che in genere non erano animali di
costituzione particolarmente robusta, malgrado ciò i più grandi riuscivano a compiere lunghissime
trasvolate per raggiungere i luoghi di accoppiamento. L’origine marina dei sedimenti conservanti i
fossili degli esemplari più grandi fanno pensare a un animale dedito alla pesca, ma ci sono
controverse opinioni sul fatto che quasi nessuno di loro sia stato rinvenuto nell’entroterra; c’è infatti
chi sostiene che gli pterosauri avrebbero potuto benissimo vivere all’interno del continente
cibandosi di ben altro che di solo pesce, e il solo fatto che nessun resto sia stato ritrovato non vuol
certo dire che non ce ne siano mai stati.
Il dibattito è ancora acceso, e ognuna delle due parti schiera a propria difesa argomenti più che
validi e disparati. Per citare qualche esempio: la possibilità di usufruire di tre dita della mano per
muoversi agilmente a terra e arrampicarsi sugli alberi avrebbe potuto permettere loro di colonizzare
vaste aree lontane dall’oceano. Dall’altro lato le grandi dimensioni, la loro goffaggine e le fragili
strutture scheletriche sarebbero state ragioni più che valide per restare in prossimità delle coste, a un
passo dalla salvezza aerea da eventuali predatori terrestri. Inoltre la dentatura di alcuni di loro è
decisamente specifica alla cattura di prede in acqua, come si può ben constatare nelle immagini
seguenti:

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Il volo degli uccelli

       Immagine 23: Dettaglio fossile di Rhamphorhynchus              Immagine 24: Teschio di Dorygnathus (Giurassico Inferiore)

Si vede evidentemente come i denti siano rivolti in avanti; sicuramente non si tratta di strutture
adatte a trinciare la carne (ricordiamo che nessun rettile ha mai beneficiato della capacità di
masticare il cibo), ma piuttosto alla trafittura in volo di prede piccole e/o sguscianti quali, appunto, i
pesci. Per quanto riguarda le abitudini degli pterosauri di dimensioni più piccole le possibilità di
ulteriori approfondimenti si aprono a ventaglio di pari passo al numero di specie esistite, ci
limiteremo quindi a dire che questo gruppo molto diversificato di rettili volanti ha in serbo molti più
segreti di quanto non si possa immaginare.

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Il volo degli uccelli

4.2.3) Archaeopteryx

Etimologia: antica (archaeo) ala (pteryx, da ptero)

Vissuto nel Giurassico (180-130 milioni di anni fa), Archaeopteryx è seme di discordia e oggetto di
studi approfonditi dal primo momento che l’uomo ne venne a conoscenza nel 1855, anno in cui se
ne riportò alla luce il primo fossile a Solnhofen, in Baviera. Questa zona ha un sottosuolo calcareo
di roccia sedimentaria a grana finissima risalente appunto al periodo del Giurassico, la sua
particolarità sta nel fatto che la sua speciale costituzione è riuscita a conservare anche delle parti
organiche quali le piume senza degradarle, consegnandoci dei resti decisamente più dettagliati
riguardo l’aspetto esteriore di questo sorprendente animale. Attualmente sono noti dieci fossili di
questo volatile, tutti peraltro provenienti da questa area: nove di essi sono per la maggior parte
completi o quasi, mentre uno di loro è composto dai resti delle sole piume. Tra questi dieci
esemplari gli archeologi sono riusciti a distinguere due specie di Archaeopteryx: Archaeopteryx
lithographica (per i sedimenti in cui è stato ritrovato) e Archaeopteryx bavarica.
La domanda principale che da tempo assilla gli studiosi riguarda la sua classificazione, in quanto
porta caratteri di origine sia aviaria che rettiliana: è già o non è ancora un uccello? È ancora o non è
già più un rettile? Una parziale (seppur insoddisfacente) risposta ce l’ha data la tassonomia che,
piuttosto arbitrariamente 3 , ha deciso di farlo rientrare sotto il genere Aves, ordine dei saurischi,
famiglia degli Archeopterygidae, viene quindi considerato un uccello.

    Immagine 25: Fossile di Archaeopteryx Lithographica           Immagine 26: Ricostruzione di Archaeopteryx Lithographica

Archaeopteryx aveva pressappoco le dimensioni di un fagiano e disponeva di ossa cave molto
leggere come tutti i saurischi teropodi suoi coevi, oltre ad ali e penne ben formate che si ritiene
quasi sicuramente usasse per voli di caccia, entro i limiti delle sue possibilità. Era già presente
l’attuale forma della zampa posteriore degli uccelli, con tanto di dito opponibile. Tutte queste
caratteristiche aviarie convivevano con le vecchie rettiliane quali, in primis, la mancanza di un
becco corneo per una bocca da iguana munita di denti. Inoltre, malgrado possedesse ali e piume per
il volo, non godeva ancora del vantaggio fornito da uno sterno in grado di sostenere una gran massa

3
 Il fattore determinante di questa scelta fu la presenza di penne e piume più che ben definite, praticamente identiche a
quelle degli odierni uccelli.

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