Diritti al cuore Mix Fest - Musica e diritti in festa - Diatomea.net

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Diritti al cuore Mix Fest –
Musica e diritti in festa.
Il 28 settembre dalle ore 19 l’associazione Diritti al cuore,
con sede in Via Federico Borromeo 75, organizza una serata
all’insegna dell’arte, della musica, del volontariato e dei
diritti umani.

L’associazione, che da anni si occupa di libera informazione,
cooperazione internazionale e diritti umani, presenterà le sue
attività previste per la stagione 2019-2020.

La festa sarà ricca di ospiti ed eventi: si aprirà con il
vernissage della mostra fotografica Humanity First di Siliana
Arena, a seguire un aperitivo a buffet (contributo 10 euro).
Verrà poi proiettato il video Empatia, di Serena Arena. Segue
l’esibizione de Le Danze di Piazza Vittorio che dalle 20
presenteranno il nuovo corso di balfolk con danze e musiche ad
ingresso libero. Alle 21.30 si terrà il grande concerto di
chiusura dei Black Echoes, con la loro musica blues.
Ma vediamo nello specifico i protagonisti di questo festival.

Humanity First è un progetto fotografico che nasce nel 2019
realizzato da Siliana Arena e sviluppato nell’arco di 3 mesi,
coinvolgendo circa 25 persone. il progetto vuole essere un
ammonimento ad ogni ideale di supremazia di una categoria
umana sull’altra. Una pacifica protesta in opposizione alla
dilagante disumanità di cui siamo testimoni, ma di cui
possiamo non essere complici. Consiste in una serie di
ritratti di persone di età, etnie e storie diverse, ad occhi
chiusi, accarezzati da una mano che potrebbe rappresentare
quella di chiunque. Humanity First è un elogio alla gentilezza
umana e un invito a non dimenticarsene.

Empatia, il video di Serena Arena. Il video “Empatia” è un
elogio all’umanità. Alla sensibilità. A quel sentire che, in
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fondo, ci lega tutti quanti. È un invito a fare un passo verso
l’altro, a correre il “rischio” di poter comprendere la
prospettiva di un diverso punto di vista, ad abbattere quelle
sovrastrutture e convinzioni che ci riempiono di pregiudizi.
Senza empatia, tendiamo a chiudere la nostra realtà in un
cerchio sempre più piccolo. Tendiamo a cercare etichette per
le persone al di fuori del nostro piccolo cerchio: “l’altro”,
“il problema” o persino “il nemico”, identificano chi si trova
al di fuori.
Queste etichette che tendiamo a creare ci impediscono di
andare avanti e di crescere. Ci allontanano dalla
consapevolezza che l’esperienza umana è un’esperienza
condivisa.

Le danze di Piazza Vittorio collaborano con noi di Diritti al
cuore da 2 anni e in occasione del festival presenteranno il
corso in partenza di danze popolari che organizzano presso la
nostra sede e che, grazie alla loro donazione, ci permette
ogni mese di finanziare l’acquisto del carburante per il
nostro camper impiegato per le visite mediche del progetto
Salute migrante.
Ma chi sono? Dal 2011 hanno l’idea di usare i suoni e le danze
popolari per divertirsi e star bene insieme, ma anche per
avere un canale di comunicazione in più nella bellezza caotica
rappresentata da Piazza Vittorio, a Roma. Prima come gruppetto
di amici, poi come associazione, hanno cominciato ad
incontrarsi ed a suonare e ballare in piazza, poi si sono
ritrovati coinvolti nelle attività di tanti gruppi ed
associazioni, poi in giro per il mondo a cercare feste e
tradizioni, poi presso la scuola Di Donato a organizzare
laboratori di danze, strumenti, canti popolari.

I Black Echoes, gruppo di musicisti da diversi anni sul palco
dei più noti locali romani, chiudono il Diritti al cuore Mix
Fest. Alle 21.30 si esibiranno con il loro repertorio che
offre una miscela raffinata di blues, soul, southern rock e
ballads. La loro forza è sicuramente nella costante ricerca di
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un sound pregiato ed elegante, cosa che gli ha permesso di
inaugurare il festival del Rosso Conero, nelle Marche,
partecipare al Summer Festival della provincia di Viterbo,
essere selezionati per un evento internazionale con il comune
di Roma.

Durante la serata infine lanceremo poi la campagna di raccolta
fondi sulla piattaforma ulule per la realizzazione di un
reportage          in       Senegal         (vedi        qua:
https://it.ulule.com/foto-video-reportage-diritti-al-cuore-del
-senegal/). Per tutta la serata poi sarà attivo un piccolo
punto ristoro e vi sarà un mercatino di libri usati e di
artigianato senegalese.
Per info e adesioni 3289297160
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Tutte le foto di questo articolo © Diritti al Cuore onlus.
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…   tuuuu                    pallida                Luna
perchéééé…
… tuuuu pallida Luna perchéééé…
Così recitava una canzone citata in una striscia di Lupo
Alberto, che lui, essendo lupo, canticchiava. E la luna
rispose: “Hai idea di quanto tempo è che sono sveglia la
notte”?

Sulla Luna si può fare un intero trattato favolistico,
filosofico, culturale, religioso, agronomico, militare e
magico.

Luna.
Base lunare Alfa. Il primo avamposto umano di colonizzazione
del nostro satellite in una produzione BBC degli anni
sessanta-settanta. Dove le pulzelle dai capelli viola
gestivano, pilotavano e combattevano contro gli UFO dalla
forma a semicono rovesciato. Roteanti e minacciosi.
Georges Méliès ne fece un primo soggetto cinematografico
tratto dal fantasioso romanzo di Jules Verne.
Ludovico Ariosto…Dante Alighieri…Munchausen…Keplero…
Ma le analogie a dir poco strabilianti furono quelle di Dalla
Terra alla Luna (1865) di Jules Verne, che, assieme al seguito
Intorno alla Luna (1870), narra di un viaggio all’interno di
un proiettile lanciato dalla Florida e che, dopo una
rivoluzione attorno alla Luna, ritorna sul nostro pianeta
ammarando nell’Oceano Pacifico, e che presenta diverse
coincidenze con il programma Apollo.

Procedo per associazione di idee…

Apollo … è una divinità della religione greca e romana. Come
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molti altri Dèi greci, Apollo ha numerosi epiteti, atti a
riflettere i diversi ruoli, poteri ed aspetti della
personalità del Dio stesso. Il titolo di gran lunga
maggiormente attributo ad Apollo (e spesso condiviso dalla
sorella Artemide) era quello di Febo, letteralmente
“splendente” o “lucente”, riferito sia alla sua bellezza sia
al suo legame con il sole (o con la luna nel caso di
Artemide). Quest’appellativo venne mutuato ed utilizzato anche
dai Romani. Questi nacque in una notte di plenilunio, che fu,
da allora, il giorno del mese a lui consacrato, nel momento in
cui nacque il dio. Come la domenica per gli anglosassoni
chiamata Sunday, Sonntag.
Dunque Apollo e Artemide sono legati non strettamente ma per
intercessione della Madre Terra. Gea. O, per i greci, Gaia. La
“a” e la “i” vengono fuse e lette “e”.

Il nostro pianeta, dunque si interpone spesso tra Luna e Sole,
ma per uno strano e periodico gioco di luci ed ombre, le
eclissi variano per tipo, durata e colori. La mediazione tra
questi corpi celesti trova posto nella creazione di un
equilibrio che ha condizionato popoli e culture, creando miti
e leggende, regole agronomiche e credenze.
Il periodo orbitale di questo satellite è di 27,321 661 55
giorni. Più semplicemente ventotto. A questi giorni viene
attribuito un calcolo matematico legato a molte regole
terrestri. Il ciclo mestruale, l’umore lunatico, lo svinamento
legato al travaso del vino dopo la spremitura, le maree.
A volte capita di vedere la Luna che, nel momento in cui
sorge, possiede un colore rossastro.
Mi ha incuriosito il nome della sottile polvere che ricopre il
satellite: la Regolite. Che è uno strato di materiale sciolto
e di granulometria eterogenea che ricopre la maggior parte del
suolo lunare. Estremamente abrasiva, associata un po’ alla
polvere di pietra pomice.

Dalla prima missione Apollo, le mire sul satellite sono state
soprattutto militari. Tanto che esisteva un progetto di
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installare testate nucleari.

Il contraltare tecnologico e antagonista alla più eclatante e
mediatica impresa della NASA fu il programma sovietico. Poco o
niente si sa di tutto questo fino alla caduta del Muro e di
conseguenza alcuni programmi spaziali non strettamente legati
alla corsa agli armamenti furono divulgati. Tra questi il
principale Lunochod 1, portato sulla Luna dalla sonda Luna 17,
fu il primo rover controllato a distanza ad atterrare su un
altro mondo. Dopo un primo tentativo fallito, terminato con la
distruzione del vettore e del suo carico il 19 febbraio 1969,
Luna 17 fu lanciata il 10 novembre 1970 e, dopo aver raggiunto
un’orbita di parcheggio, fu acceso l’ultimo stadio del vettore
che pose la sonda sulla rotta per la Luna.
Aleksandr Leonovic Kemurdžian. Uno sconosciuto per molti. Anzi
per il mondo. Ingegnere di origini armene, fu il principale
fautore del programma lunare sovietico. Nel pieno della corsa
allo spazio, USA e URSS si sfidavano continuamente cercando il
primato: primo satellite, primo essere vivente, primo uomo
nello spazio, prima donna nello spazio, prima ‘passeggiata’
spaziale; fino al “colpo” di grazia per il programma sovietico
con lo sbarco degli astronauti americani sulla Luna e che
sostanzialmente chiuse la corsa russa al nostro satellite ma
non del tutto. La navicella atterrò con successo sulla Luna
nel Mare Imbrium il 17 novembre: il lander era costituito da
due diverse rampe dalle quali il rover poteva scendere sulla
superficie. La macchina effettuò i primi passi sul nostro
satellite. Rimase attivo per 322 giorni terrestri, percorrendo
circa 10,5 km e trasmettendo oltre 20.000 immagini durante il
suo periodo di attività. Smise di funzionare il 14 settembre
1971.

Nel 1969 il programma russo Lunochod per l’esplorazione della
superficie lunare, la raccolta di immagini e lo studio di
altri parametri ambientali della Luna fu messo in ombra dai
successi dell’Apollo 11 ma solo per un guasto tecnico che lo
fece arrivare sul nostro satellite solo dopo l’allunaggio
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americano.

Ma oltre a tutto questo che racchiude tanto, mi sovviene anche
di dare uno sguardo ai dischi che ho in casa. E attraverso la
musica riesco a trovare tanti titoli di album o canzoni che
citano il satellite.

Pink Floyd – Dark side of the moon.

Il moto di rotazione della Luna è il movimento che compie
intorno all’asse lunare nello stesso senso della rotazione
terrestre, da Ovest verso Est, con una velocità angolare di
13° al giorno. La durata è quindi uguale a quella del moto di
rivoluzione pari a 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11,6 secondi.
Poiché il periodo di rotazione della Luna è esattamente uguale
al suo periodo orbitale, dalla superficie della Terra è
visibile sempre la stessa faccia del satellite.

Type O Negative – Wolf Moon.

Il lupo mannaro, detto anche licantropo (dal greco lycos
«lupo» e ànthropos «uomo»), è un uomo che nelle notti di luna
piena si trasforma in un orrifico lupo. La licantropia
potrebbe essere solo uno stato di allucinazione che porta un
uomo a credersi lupo. Parliamo allora di licantropia clinica.
Si chiama comunemente licantropia clinica quella rara sindrome
psichiatrica che induce chi ne è affetto a credere di potersi
trasformare in un animale.

Police – Walkin on a moon.

Il primo astronauta a camminare sulla superficie lunare fu lo
statunitense Neil Armstrong, comandante dell’Apollo 11.
L’ultimo fu Eugene Cernan.
Nella biografia di Neil Armstrong, si leggono le seguenti
parole:
«Per coloro che ancora credono che l’allunaggio non sia mai
avvenuto, l’esame dei risultati di cinque decenni di
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esperimenti LRRR dovrebbero dare la prova di quanto veramente
deludente sia il loro rigetto della realtà dell’allunaggio»

Moonlight Serenade – Glenn Miller Orchestra
Blue Moon – Billie Holiday
Fly me to the moon – Frank Sinatra
Mesecina – Goran Bregovic
Signora Luna – Vinicio Capossela
Caparezza – Vengo dalla luna
Tom Waits – Grapefruit moon
Rolling Stones – Child of the moon

Dopo aver citato i titoli relativi alla Luna presenti in casa,
vorrei dare attenzione ai legami fisiologici e psicologici
attribuiti al Satellite. La prima che mi sovviene è la
dicitura di chi è contrassegnato caratterialmente da
cambiamenti frequenti di umore, volubilità, un’irascibilità.
Lunatico.

Non è un caso se l’epilessia è stata chiamata anche mal di
luna e se ci portiamo appresso espressioni caratteriali come
“lunatica”. Ma la Luna anche stavolta non c’entra niente; sono
sempre fenomeni antropici. Se non esistono dati a favore di
queste credenze è possibile smentirle facilmente. Un mito duro
a morire è quello sul collegamento tra fasi lunari e cicli
mestruali. Uno degli argomenti più frequenti nelle donne che
ci credono è “quanto sono in ritardo o in anticipo rispetto al
previsto”, il che è un tutto dire: la credenza non si discute,
è il corpo che sbaglia. Ad oggi non esiste un dato statistico
che confermi il collegamento tra fasi lunari e fertilità.
Verificate voi stessi con una ricerca avanzata.

Luna, barbiere e barbarie. C’è ancora chi sostiene (persino
certi dermatologi) che la Luna abbia una qualche influenza
sulla crescita della nostra peluria, per via di non meglio
precisate influenze magnetiche. La Luna condizionerebbe anche
ondate di crimini.
Questo scritto, fatto anche documentandomi su interessi
personali, rileggendolo mi sembra un po’ come la superficie
della Luna, corrugato…bucato…oscuro da una sola parte,
luminoso dall’altra…..ma sono le prime idee che mi hanno messo
in relazione col Satellite.

Un ultimo aneddoto, da motociclista romantico ed incallito:
tempo fa, nelle mie peregrinazioni notturne, spesso giocavo
con la Luna. Marciando di notte a luci spente quando Selene
era piena, per vedere come la luce riflessa dal bianco
satellite potesse illuminarmi la strada. A volte l’ho trovata
riflessa nelle campagne intorno casa mia, nelle pozze che
hanno allagato i campi nei temporali estivi. Oppure nei viaggi
ellenici in notturna, per prendere il traghetto. O ancora, la
Luna del nord sospesa sul mar Baltico con la luce del Sole che
mai tramonta completamente. O che entra dalle pieghe della
tenda in Abruzzo, nel silenzio accompagnato dai grilli di fine
Agosto. E ancora quella Luna che tramontò la sera del
terremoto di Amatrice, dopo la scossa. O quella che
malinconicamente osservavo da una finestra munita di sbarre.
Con una mano che cercava di prenderla …

[R]

La luna e i sogni.
La luna fa sognare, ispira artisti, scienziati e filosofi e
stimola l’immaginario collettivo da sempre. C’è qualcosa di
arcano, di ineffabile in quella sua luce diafana che a
malapena riesce a sconfiggere il buio della notte e non c’è da
meravigliarsi se ha sempre suscitato curiosità e meraviglia
offrendo uno spunto inesauribile ai miti tramandati sulla sua
origine in ogni angolo del mondo.

In uno di questi angoli, nella Terra di Arnhem, nell’Australia
nordorientale, durante il Tempo dei Sogni* gli antenati
sognavano, e dai loro sogni nasceva tutto quello che popola la
terra. In questo tempo di portenti, ogni creazione aveva in sé
il potere di trasformarsi poi in qualsiasi altra cosa e così
una mimosa poteva cambiarsi in una ninfea d’acqua, l’emu
poteva diventare un airone e un deserto poteva prendere la
forma di un uomo o di una donna. E tutto era prodotto dai
sogni.

Man mano che il mondo prendeva la sua forma, gli antenati si
fusero con la terra, col cielo, con le nuvole e nelle creature
infondendo in ciascuna creazione il seme della sua magia e del
suo potere sacro così che il sogno che l’aveva creata potesse
rimanervi custodito per tutta l’eternità.

Un giorno lontanissimo, due sorelle arrivarono a un fiume che
non conoscevano e, prese dalla curiosità, si tuffarono dentro
e nuotarono fino a raggiungere un’isoletta. Arrivate su una
roccia della riva, si guardarono intorno e scoprirono di
trovarsi in un bellissimo angolo erboso, ricco di alberi e in
prossimità di un billabong** dove l’acqua tranquilla, appena
increspata dalla brezza, rifletteva tutto lo splendore della
giornata di sole e le conferiva riflessi di madreperla.

“Che bello qui!”, disse la prima sorella, “Magari potremmo
fermarci   qui per sempre”. “E come potremmo sopravvivere?”
domandò la seconda sorella, più pratica e meno sognatrice.

“Ma guardati intorno: l’acqua è dolce e pulita, ci sono
bacche, frutti e piante dalle radici gustose, nei ciuffi
d’erba si nascondono iguani e conigli e poi nel billabong ci
saranno ranocchi e pesci a volontà. E poi qui nessuno ci
verrebbe a dire che cosa fare ogni cinque minuti. Dài, su,
restiamo!”

Come finì di parlare, un improvviso guizzo nell’acqua fece
voltare le due ragazze: la schiena di un grosso pesce si
intravedeva chiaramente appena sotto la superficie, ma dopo
qualche istante scivolò via inabissandosi e lasciando solo
cerchi di ondine che si susseguivano allargandosi sempre più
fino a sparire sfiorando la riva opposta.

Veloci, le ragazze prepararono una lancia appuntita con un
ramo di eucalipto e con grande destrezza riuscirono a fiondare
il pesce e a tirarlo in secco. Era grosso, ben pasciuto, con
le scaglie di un colore che dal bianco del ventre diventavano
sempre più argentee verso la pinna dorsale. La luce del tardo
pomeriggio giocava su quella superficie ancora bagnata che ora
pareva formata di schegge di opale.

Le sorelle si misero allora di buona lena ad allestire un
fuoco di erba secca e di fuscelli aromatici per potervi
arrostire la loro preda. Sarebbe stato un banchetto con tutto
quel ben di dio. Ma non appena si voltarono per prendere il
pesce e metterlo sulle braci ardenti, si accorsero che questo
si era mosso e ora si trovava non solo a una buona distanza da
loro ma si era già arrampicato oltre i primi rami di un grosso
albero. Le sorelle cercarono di raggiungerlo, prima
sbracciandosi e poi cercando di arrampicarsi anche loro, ma
riiuscirono solo a graffiarsi e a sbucciarsi mani e ginocchia
sulla corteccia ruvida.

Il pesce intanto continuava a salire, e mentre saliva si
gonfiava diventando sempre più rotondo, sempre più argenteo.
Non pareva neppure che toccasse più la superficie dell’albero
da tanto che si muoveva come se stesse galleggiando, finché
raggiunse la cima dell’albero che si perdeva nel cielo ormai
nero come l’inchiostro. Ma il pesce non si fermò lì: continuò
a salire, fluttuando lentamente verso le stelle che
cominciavano ad ammiccare; la sua forma era ormai diventata
perfettamente circolare e radiava una luminosità tutta sua,
soffice e fredda.

Per ore le sorelle continuarono a guardarlo mentre la sua
forma si muoveva lentamente attraverso la volta del cielo fino
a sparire dietro l’orizzonte lontano ai primi bagliori
dell’alba. La notte successiva non vedevano l’ora di scoprire
se il pesce sarebbe tornato e, proprio quando il sole stava
quasi per nascondersi dietro la collina lasciandosi dietro
bagliori di fuoco, ecco che a oriente il pesce riapparve e
cominciò a salire di nuovo verso il cielo. Ma non era rotondo
come la notte prima: parte di lui sembrava più appiattita da
un lato.

Notte dopo notte le sorelle scrutavano il cielo aspettando che
il pesce si facesse vedere e ogni notte notavano che la sua
forma diventava nel frattempo sempre più sottile, sempre più
arcuata, quasi come l’estremità di un’unghia, fino a che alla
fine sparì del tutto. E per alcune notti fu buio completo,
eccetto per l’ammiccare delle stelle, ma poi, con loro somma
sorpresa, ecco che il pesce apparve di nuovo, dapprima appena
una fettina di luce e poi, nei giorni successivi, sempre più
rotondo come la prima volta. E così si ripete da allora: il
pesce-luna da quella volta compie il suo viaggio ogni notte, e
ogni mese lascia il cielo vuoto di sé per qualche giorno.

Anche cinquant’anni fa, come nel Tempo dei Sogni, l’impresa
dell’Apollo 11 si è evoluta da un sogno, il sogno di
scienziati, uomini e donne, che non hanno rinunciato a credere
che si potevano superare i confini terrestri per farci
entrare, coi tre astronauti, in una dimensione finora mitica,
irreale, regno della fantasia e delle leggende. Chissà se in
futuro altre imprese, altri eventi in cui il coraggio di
credere farà compiere miracoli, risveglieranno la coscienza
collettiva restituendole gli strumenti per creare, tutti
insieme, un mondo migliore.
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will be as one.

(“Imagine”, John Lennon)

*Il Tempo dei Sogni (Dreamtime) nella tradizione degli
Aborigeni australiani è il tempo prima del tempo, la fonte di
tutto il creato e dei suoi simboli

**’billabong’ è un termine aborigeno per indicare una pozza
d’acqua o un’ansa isolata di un corso d’acqua avventizio
formato dalle piogge stagionali e destinato a seccarsi pian
piano

Foto copertina: Pittura rupestre della leggenda della luna –
Australia

MOON MAIDEN!
Cosa ci fa un musicista come Duke Ellington nel mezzo di uno
studio televisivo arredato di moduli lunari ed immagini di
razzi spaziali?
È il 20 luglio del 1969 e Neil Armstrong e Buzz Aldrin entrano
nella storia mettendo piede sul suolo lunare. L’evento è
elettrizzante e tiene il pubblico incollato alla TV,
consapevole di assistere a qualcosa di unico nella storia.
L’emittente televisiva ABC (American Broadcasting Network)
quella sera fa uno speciale sulla missione Apollo 11 e, tra
gli ospiti in studio, viene invitato Duke Ellington al quale
viene commissionato un lavoro musicale per l’occasione.
Accompagnato da Paul Kondziela al contrabbasso e Rufus Jones
alla batteria (all’epoca nelle fila della sua orchestra) e
dalla chitarra di Al Chernet, troviamo un Ellington
nell’insolita veste di narratore e cantante. Il brano che
presenta è Moon Maiden, dal testo molto raffinato e sottile.

Andando a spulciare nell’immensa
produzione ellingtoniana, si può individuare almeno una decina
di titoli aventi
come tema la luna o lo spazio. È evidente, dunque, che, come
ogni sognatore e
come tanti artisti, Ellington abbia trovato nell’immagine e
nella simbologia
lunare una fonte di ispirazione.

Torniamo così indietro di 27 anni, con un brano sognante e
d’atmosfera dal titolo Moon Mist, composto nel 1942 non da
Duke Ellington, ma dal figlio Mercer Ellington per l’orchestra
del padre. A proposito di questo brano, l’autore disse: “[mio
padre] non ci mise una nota, ma cancellò ciò che non era di
buon gusto. Moon Mist fu un brano che scrisse quasi per
esclusione!” È interessante notare che prima di giungere a
questo titolo, il brano fu inizialmente intitolato Mist on the
Moon (foschia sulla luna) e successivamente Moon Mist con il
sottotitolo Atmosphere.
Come accaduto con suo figlio Mercer, Duke Ellington si avvalse
spesso della collaborazione dei musicisti del suo entourage
come il portoricano Juan Tizol (famoso per essere l’autore di
Caravan), il quale compose per l’orchestra del Duca un brano
dalle tinte latine come Moon Over Cuba, o il clarinettista
Jimmy Hamilton che compose la meno nota, ma altrettanto
sognante Moonstone.

Rimaniamo in questa epoca, ma cambiamo atmosfera e ritmo.
Questa volta siamo nel 1958, anno in cui Duke Ellington
pubblica, sotto la casa discografica Columbia, un album
alquanto insolito, sia per la formazione, sia per la musica.
Non si tratta infatti della consueta orchestra, ma di una
formazione ridotta che vede, oltre alla ritmica piano-
batteria-contrabbasso, tre dei solisti dell’orchestra più
avvezzi con il linguaggio jazzistico più moderno, quello di
matrice bebop: Paul Gonsalves al sax tenore, Jimmy Hamilton al
clarinetto e Clark Terry al flicorno, i quali vengono sorretti
da un coro di tre tromboni. Tale formazione, chiamata per
l’occasione Duke Ellington’s Spacemen, darà luogo all’album
The Cosmic Scene, sulle cui note di copertina si legge “sul
perché questi nove [musicisti] debbano essere chiamati
“Spacemen”, gli storici del jazz avranno da inventarsi le loro
proprie ragioni. Duke ha utilizzato questa parola appena il
primo satellite americano è andato in orbita e, forse, con
l’idea di offrire il jazz sui viaggi verso la luna, si sta
semplicemente esercitando sulle dimensioni della band che
potrà entrare in un veicolo spaziale. Escluso lui, ovviamente.
Duke Ellington, a meno che le sue abitudine cambieranno, andrà
sulla luna in treno!”.     Il produttore discografico Irving
Townsend, che scrisse queste parole, fa riferimento alla fobia
di Ellington per gli aerei, con cui, suo malgrado, dovette
convivere viste le numerose tournées intercontinentali.

Ed ora torniamo da dove eravamo partiti, ovvero allo sbarco
dell’uomo sulla luna. Come accennato già all’inizio, ad
Ellington fu commissionato un brano per celebrare l’impresa.
Deve aver avuto particolarmente a cuore questo compito, visto
che lo troviamo non solo come compositore e pianista, ma anche
come narratore-cantante (se così si può dire) ed autore del
testo. Testo che, ad un’attenta analisi, si scopre essere
molto più intrigante e sottile di quanto ci si aspetterebbe.
Innanzi tutto il titolo Moon Maiden. Il termine maiden può
avere due accezioni: come sostantivo significa fanciulla,
mentre come aggettivo indica qualcosa di inaugurale (ad es. la
frase This is my maiden speech significa Questo è il mio primo
discorso/discorso inaugurale). Quindi potremmo tradurre Moon
Maiden sia come candida luna che, prendendoci qualche libertà
interpretativa, come vergine luna. Dato che l’ispirazione del
poemetto è il primo sbarco dell’Uomo sulla Luna, entrambe le
accezioni hanno senso! Se dal titolo questa doppia chiave di
lettura può sembrare un po’ forzata, analizzando tutto il
poemetto, ci accorgiamo che il parallelismo tra la conquista
della luna ed il corteggiamento di una ragazza è la chiave di
lettura. Vale la pena dunque andare avanti nel tentativo di
tradurre questo testo tanto breve quanto denso. Leggiamo i
primi due versi cercando di rendere poeticamente accettabile
la traduzione in italiano:

Moon Maiden, way out there in the blue
Moon Maiden, got to get with you

Potremmo tradurli con:

Candida Luna, là fuori nel blu
Vergine Luna, devo entrare nella tua orbita

I
successivi versi recitano:

I’ve made my approach and then revolved
But my big problem is still unresolved.

Che potremmo tradurre come:

Mi sono fatto avanti e ti ho girato un po’ attorno
Ma il mio grande problema è rimasto irrisolto

Moon Maiden, listen here, my dear.
Your vibrations are coming in loud and clear
Cause I’m just a fly-by-night guy

Vergine Luna, ascoltami, mia cara.
Le tue vibrazioni arrivano forte e chiaro
Poiché sono solo un farfallone notturno.

Fly-by-night infatti
è un’espressione popolare che sta per “inaffidabile” ma qui è
anche
perfetta nel senso letterale del volo e della notte! È così
che farfallone è frivolo e civettuolo, ma
allo stesso tempo vola.

I versi
finali recitano:

But for you I might be quite the right “do right” guy
Moon Maiden, Moon Maiden, Lady de Luna

Qui the right “do
right” guy sta per ragazzo
giusto al momento giusto che è un’allusione alla “prima volta”
giusta, quella da ricordare!

Ricapitolando, potremmo tradurre in italiano questo poemetto
così, nel tentativo di rendere il più possibile il linguaggio
poetico:

Candida Luna, là fuori nel blu
Vergine Luna, devo entrare nella tua orbita.
Mi sono fatto avanti e ti ho girato un po’ attorno
Ma il mio grande problema è rimasto irrisolto
Vergine Luna, ascoltami, mia cara.
Le tue vibrazioni arrivano forte e chiaro
Poiché sono solo un farfallone notturno.
Ma per te potrei essere proprio il ragazzo giusto al momento
giusto
Candida Luna, Vergine Luna, Lady de Luna

Ma è ora di riascoltare questa
deliziosa miniatura, ma questa volta nella versione in studio
di registrazione
che differisce sensibilmente da quella nello studio
televisivo, innanzitutto
perché qui è Ellington solo che suona senza altri musicisti ad
accompagnarlo.
Questa volta, però, non è alla tastiera del pianoforte che
accompagna la sua
narrazione, ma a quella di una celesta, che conferisce al
poema un’atmosfera
molto più eterea.
Ed ora non rimane che alzare gli occhi al cielo e farci
cullare dalla voce
calda e suadente di Ellington.

La     lavastoviglie,                                    le
musicassette e la Luna.
Era successo tutto un anno prima: l’ultima sorella di mamma
che era ancora convenientemente signorina era stata sedotta da
un signore più grande di lei e avevano deciso rapidamente di
sposarsi. Lo zio lavorava nell’ambito editoriale, e dovettero
andare a vivere a Genova.

Nel 1969 era nato un cuginetto, e la famiglia M. si organizzò
per andare a conoscerlo, imbarcammo la Fiat 1100 stracarica di
bagagli sul traghetto -Canguro Rosso si chiamava se non
ricordo male – e andammo a Genova.

Il cuginetto tuttavia era poco più di un neonato, e a noi
parve semplicemente inutile; in più Genova è una città con le
strade in salita, e il pallone Super Tele numero 5 che gli zii
ci avevano fatto trovare scomparve velocemente a velocità
supersonica non appena provammo a fare due tiri sul
marciapiede.

Papà si adattò rapidamente alla piccola casa della zia, scoprì
che la poltrona in cucina, accostata alla lavastoviglie, gli
consentiva la solita e irrinunciabile pennica postprandiale, e
restò entusiasta del pulsare ritmico e ipnotico che
l’elettrodomestico produceva – concilia il sonno – asseriva
convintamente.

La zia allattava, la mamma la aiutava, lo zio lavorava, papà
andava in giro e noi ci rompevamo terribilmente le scatole, il
quartiere non offriva nessuna attrattiva.

Un giorno papà – stremato dalle nostre richieste – ci portò a
fare un giro nei quartieri dell’angiporto, ricchi di mercanzie
di ogni genere, comprese sigarette di contrabbando e
musicassette duplicate illegalmente: io volevo una cassetta di
Lucio Battisti, e papà ne contrattò l’acquisto con un falsario
napoletano, per la mirabolante cifra di mille lire.

Tornammo a casa ma restai deluso: la musica che si sprigionava
dal radioregistratore Philips dello zio non era quella di
Battisti, ma di un cantantucolo che bramiva melodie amorose
insopportabili: mio padre ridacchiando mi propose di tenerla -
tanto l’abbiamo pagata – ma io misi su un muso grigio che lo
costrinse a tornare nei carruggi, trovare lo spacciatore di
cassette false, costringerlo a provare la nuova cassetta e
finalmente tornarcene con quella giusta (acqua azzurra acqua
chiara e balla Linda divennero dei tormentoni in quella casa
di via Annibale Passaggi).

Assistevamo tutti insieme ai telegiornali – allora
sovieticamente a canale unico e in un sobrio bianco e nero – e
scoprii che dopo qualche sera la Rai avrebbe trasmesso da Cape
Canaveral (o era Cape Kennedy?) la diretta dell’allunaggio
degli astronauti della missione Apollo 11. Ero già esperto -
tramite la lettura di Topolino – sulle precedenti missioni che
avevano portato astronauti in orbita, e non volevo perdermela
per niente al mondo. Mi feci promettere da papà – l’allunaggio
sarebbe avvenuto di notte per noi italiani – che mi avrebbe
svegliato per farmi assistere all’evento davanti al tubo
catodico.

Andai a dormire presto, ma mio padre non venne a svegliarmi:
invece il baluginino delle immagini sullo schermo e la voce
concitata di Tito Stagno e di Ruggero Orlando mi trascinarono
magneticamente nell’altra stanza.

Papà e lo zio non dissero una parola, e neanche io, tornai a
letto dopo poco con negli occhi quella figurina ballonzolante
che muoveva piccoli passi incerti sul satellite: ero sicuro
che dopo pochi mesi la Luna sarebbe stata colonizzata, avremmo
incontrato lunatici e marziani, e invece no: peggio per loro,
non sanno quello che si sono persi qui in Italia.

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Foto copertina: © Antonio Musotto.

OLTRE IL CIELO. Racconti
straordinari con esploratori
della Luna e dello Spazio.
                   L’esplorazione è nel DNA degli esseri umani

                                             Giovanni Caprara

Viaggio nella Luna (Le Voyage dans la lune), Georges Méliès,
1902

Sua eccellenza il Politecnico di Milano ospita, di tanto in
tanto, eventi culturali aperti al pubblico e precisamente
interviste a personaggi della cultura, condotte con affabile
disponibilità dal Magnifico Rettore o docenti dei vari
dipartimenti.

Ebbene, ho già visto in azione un paio di questi personaggi:
Beppe Severgnini, giornalista sempre sorridente nonostante le
avversità della politica, e Marco Malvaldi, arguto scrittore
di romanzi gialli.

L’incontro con l’autore di cui vi riferisco, è con Giovanni
Caprara, editorialista scientifico del Corriere della Sera a
colloquio con    Giuseppe Sala docente del Dipartimento di
Scienze e Tecnologie Aerospaziali.

                     Caprara ha recentemente pubblicato un
                     libro dal titolo Oltre il cielo. Racconti
                     straordinari con esploratori della luna e
                     dello spazio, edito da Hoepli. Nove
                     capitoli fra i quali “Grandi padri”,
                     “Guerrieri dell’orbita”, “Uomini e donne
                     del cosmo russo”, “Dall’Italia alle
                     stelle”     (ci siamo anche noi, che
                     credevate ?), “Il nostro futuro”. Niente
                     di meglio per ripercorrere le vicende dei
                     viaggi   nello   spazio,    culminati
                     nell’ambiziosa missione luna.

Un semplice quiz per i lettori di Diatomea:

Come si chiama l’area prescelta dalla NASA per l’allunaggio?
A) La prateria del silenzio
B) Il mare della tranquillità
C) L’oasi della pace.

Avete risposto correttamente ? Non ricordate? Bene, un buon
motivo per leggere il libro.

20 luglio 1969, 20:17:40 UTC. Vi dice qualcosa questa data ?
Gli italiani muniti di televisore in bianco e nero, in tutto
due soli canali da farsi bastare, rimasero incollati allo
schermo per vivere, comodamente da casa, un momento
straordinario della storia dell’umanità: la missione Apollo
11, lo sbarco dell’uomo sulla luna, con il quale gli Stati
Uniti vincono la competizione tecnologica e scientifica con
l’Unione sovietica. Motivo del sorpasso: superiorità
finanziaria e gestionale degli Stati Uniti.
Lancio Apollo 11
Nel pieno fulgore di una guerra fredda alla ricerca di
opportunità anche in campo aerospaziale, la cosiddetta
“conquista dello spazio” era considerata un’arma strategica
di primaria importanza per entrambi i blocchi.

Chi di noi al tempo era già grandicello ricorderà la
telecronaca in diretta condotta da Tito Stagno, con il
commento di Andrea Barbato, e il famoso battibecco con Ruggero
Orlando in collegamento da Houston, riguardo al tempo esatto
dell’allunaggio.

Sala di controllo missione Apollo 11

Un momento di orgoglio nazionale: Rocco Petrone, figlio di
immigrati italiani, direttore dei lanci del programma Apollo,
premette il pulsante proiettando l’umanità nella storia delle
missioni lunari.

Dal curriculum dell’autore che ho riportato integralmente, ci
rendiamo conto di avere di fronte     un esperto del settore
spaziale e testimone autorevole di imprese che hanno fatto
sognare una generazione di donne e uomini, giovani e meno
giovani, che vedevano nell’esplorazione spaziale           un
incentivo per    un’evoluzione in positivo dell’umanità, un
superamento del limite, l’emblema dell’irraggiungibile,
un’avventura portatrice di scoperte benefiche in vari campi.
Come conseguenza la crescita delle nostre aspettative di
benessere diffuso nella società: malattie, guerre, povertà,
avrebbero ceduto il posto alla prosperità e alla pace sociale.
Una spinta universalista che alimentò l’immaginario popolare,
dalla fantascienza alla realtà.

Giovanni Caprara

 5 luglio 1989. Caprara incontra gli astronauti          della
missione Apollo 11: Neil Armstrong, Edwin       Aldrin e Mike
Collins. Una corposa intervista che      si svolge nel Salone
dell’aeronautica e dello     spazio di Parigi-Le Bourget, per
celebrare i      vent’anni della “notte della luna”. L’autore
 soddisfa alcune nostre curiosità ponendo molte     domande ai
leggendari astronauti, fra cui quella     vagamente insidiosa,
rivolta a Neil Armstrong sul ruolo colonizzatore delle
missioni lunari:

È giusto che gli Stati Uniti colonizzino la luna?

 È un tipo di domanda molto ipotetica. Io sono sicuro che se
avessimo continuato il programma di esplorazione che avevamo
avviato, oggi disporremmo già di una base abitata e potremmo
sfruttare le risorse naturali del nostro satellite estraendo
per esempio ossigeno dalle rocce. Non ho dubbi comunque.
Queste cose si faranno nel prossimo futuro.

 Il nostro satellite sarà   una pietraia del tutto inospitale,
ma dai sassi    qualcosa    si   può    spremere   per   il   bene
dell’umanità.

Dalla prefazione dell’autore al suo libro Oltre il cielo:

“Ogni esplorazione, in particolare quella dello spazio è
frutto di temerarietà, determinazione ma e soprattutto
un’avventura dell’intelletto, della cultura proiettata verso
nuovi confini.”

[…]Il libro è una storia dello spazio raccontata dalla voce
dei personaggi che l’hanno realizzata. Ed è stato meraviglioso
ascoltare la passione, l’entusiasmo, la visione che animava le
loro parole, spesso intrise da una sorprendente umiltà.
Testimonianze preziose, che ci portano nel futuro volando
dalla fantascienza alla realta.”

 Questo il sogno planetario di un Occidente che si era
lasciato alle spalle, ormai da un ventennio, una guerra
mondiale da dimenticare, senza contare un conflitto rovinoso
in corso nel Sud-est asiatico; la voglia di un futuro
salvifico fatto di vicende straordinarie è umanamente
comprensibile. Ricordiamo che in Italia l’Autunno caldo delle
mobilitazioni operaie era alle porte.

Un sogno di breve durata nel nostro Paese: il 12 dicembre
1969 la strage di Piazza Fontana darà l’avvio alla strategia
della tensione.

Giovanni Caprara è editorialista scientifico del Corriere
della Sera e ha seguito le imprese spaziali nei centri delle
varie nazioni. È autore di numerose pubblicazioni sulla storia
della scienza e dell’esplorazione spaziale tradotte in Europa
e negli Stati Uniti, tra cui: Il libro dei voli spaziali
(Vallardi); Era spaziale (Mondadori); Alla scoperta del
sistema solare (con Margherita Hack, Mondadori); Abitare lo
spazio (Mondadori); L’avventura della scienza (Rizzoli);
L’Italia sullo Shuttle (Mondadori); Breve storia delle grandi
scoperte scientifiche (Bompiani); Storia italiana dello spazio
(Bompiani); The Complete Encyclopedia of Space Satellites
(FireFly); Rosso Marte (Utet). Co-autore di Space Exploration
and Humanity – A historical encyclopedia (ABC-CLIO). È
curatore della sezione Spazio del Museo Nazionale della
Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano e tiene
lezioni sulla storia dell’esplorazione spaziale al Politecnico
di Milano. Nel 2000 ha ricevuto il premio ConScientia come
giornalista scientifico dell’anno, premio assegnato
congiuntamente dalle università milanesi; nel 2010 l’European
Science Writers Award della Euroscience Foundation; nel 2016
il Premio per la comunicazione scientifica della Società
Italiana di Fisica (SIF). Dal 2011 è presidente dell’UGIS,
Unione Giornalisti Italiani Scientifici. In riconoscimento
della sua attività di divulgatore, l’International
Astronomical Union ha battezzato in suo onore un asteroide in
orbita tra Marte e Giove.
© Francesco Cocco

Care amiche e cari amici

come molt@ di voi sanno due anni fa abbiamo realizzato con il
Network Italiano Salute Globale una mostra fotografica con il
materiale raccolto in Burkina Faso da Francesco Cocco,
fotografo dell’Agenzia Contrasto, che per noi ha visitato
centri antiviolenza e ambulatori medici sostenuti dalla
cooperazione sanitaria italiana.

Un emozionante racconto in bianco e nero che ha girato un po’
l’Italia, dopo l’inaugurazione a Roma, la mostra è stata
esposta a Conversano di Bari, Brescia e Napoli.

Siete tutt@ invitati al Finissage che conclude questa
iniziativa per brindare insieme a noi e nel corso della serata
sarà anche possibile, con un contributo libero, acquistare le
immagini della mostra.

Vi aspettiamo!

Barbara

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divulgativo, tutte    le   altre   sono   soggette   a   copyright
©Francesco Cocco

ALLA SCOPERTA DEL SENEGAL
ATTRAVERSO LE IMMAGINI –
DIRITTI ALL’OBIETTIVO
Sabato 25 maggio alle ore 19, presso la sede di via dei Latini
12 a San Lorenzo, Diritti al cuore onlus presenta il libro
fotografico “Diritti all’obiettivo – Viaggio fotografico alla
scoperta delle periferie, dei paesaggi e dei volti del
Senegal”. Saranno presenti i fotografi che hanno donato le
foto e gli ideatori del volume.

IL PROGRAMMA
Durante la serata saranno proiettate delle immagini e si terrà
un reading, inoltre sarà possibile acquistare il libro a un
prezzo ridotto rispetto a quello di copertina. I fondi
raccolti saranno utilizzati per i nostri progetti in Senegal.
Sarà offerto un buffet. L’ingresso è libero.
IL LIBRO
“Questo libro non è un romanzo, ma un racconto di immagini,
realizzate con le macchine fotografiche di un gruppo di
volontari in viaggio con l’Associazione Diritti al Cuore
Onlus. Un racconto senza protagonismi, ricco di emozioni,
ricordi, sensazioni, affetti. Sono immagini di donne, bambini
e uomini che ogni giorno vivono in un contesto difficile, di
certo diverso dal nostro. Sono immagini catturate da chi a
quel mondo vuole andare incontro. Hanno immortalato anche
paesaggi e contesti che raccontano molto altro: Dakar, la
periferia, Camberene, Pikine, i villaggi, la discarica. Ma
hanno catturato con l’obiettivo soprattutto i volti, che
racchiudono mille storie. E sogni. E, in fondo, sono quei
paesaggi, quei volti e quegli occhi che hanno catturato tutti
loro”.

Parte la 26esima edizione del
Corso di preparazione al
volontariato internazionale
di Diritti al cuore onlus!
Quando abbiamo iniziato a progettare un giornale di quartiere
che divenisse uno spazio di condivisione, riflessione,
denuncia, per trattare temi inerenti i diritti umani, la
libera informazione, la non violenza, la non discriminazione
eravamo un gruppetto di amici che mai avrebbe immaginato che
da quel giornale saremmo arrivati lontano, fin sotto a un
baobab senegalese.

Era il lontano 1998 e cominciò così il nostro impegno sociale
totalmente volontario. Poca esperienza e tanto entusiasmo,
fede nell’essere umano e nella possibilità di cambiare “il
mondo”.

Poco dopo due anni siamo finiti in Senegal tramite i contatti
di alcuni ragazzi che frequentavano la nostra sede per il
corso di italiano per stranieri. Ci hanno detto, “sfidandoci”,
di fare qualcosa lì dove i diritti umani erano davvero
calpestati e, soprattutto, neanche conosciuti. Dopo i primi
tempi di ricognizione per capire cosa noi, totalmente
autofinanziati, laici, apartitici, diciamo anche squattrinati,
potevamo e sapevano fare, abbiamo trovato la risposta: mettere
insieme gente, in questo caso studenti senegalesi, e far
partire un cambiamento dal basso.
Man mano in Italia persone amiche e del quartiere ci
esprimevano la volontà di darci una mano, pur non sapendo
assolutamente come fare, se non partecipando ad eventi e
raccolte fondi.

Così ci venne un’ idea, devo dire per l’epoca, 16 anni fa,
abbastanza innovativa: organizzare un Corso di preparazione al
volontariato internazionale, per farci conoscere, per spiegare
il tipo di attività che svolgevamo, per diffondere tematiche a
noi care e, non come ultimo obiettivo, per dare contesto a chi
veniva in Senegal per sviluppare la campagne di cooperazione.
Fu un successo sin dalla Prima edizione, con almeno 20
iscritti, un numero enorme per una piccola associazione che
all’epoca contava sì e no 7 membri!

Dopo 16 presentiamo la nuova Edizione del corso, in questi
anni ne abbiamo fatte anche due edizioni, arrivando a
coinvolgere centinaia di persone. Non tutti sono rimasti in
Associazione, ma tutti hanno lasciato un contributo, una
impronta, delle idee.
Lunedì 25 febbraio parte l’edizione 2019, la 26esima alle ore
20.30 presso la nostra sede di Via Federico Borromeo 75: un
corso composto da 5 incontri monotematici, un corso che non
obbliga poi a far parte attiva dell’associazione, ma che è
comunque un momento di conoscenza e di formazione personale.
Inoltre, dopo una panoramica teorica e generale del tema, si
vede nel concreto quali siano le azioni messe in campo per
affrontare la problematica.
Calendario temi:
25 febbraio:       Infanzia e Sostegno a distanza; 4
marzo: Condizione femminile e discriminazione di genere; 11
marzo: Situazione ambientale e salute; 18 marzo: Migrazioni e
flussi in Italia; 25 marzo: Cooperazione internazionale: come
si organizza un progetto. Chiuderà il corso una mezza giornata
di lavoro pratico/organizzativo.

Il corso è aperto a tutti, dai 18 anni in su. Non servono
particolari competenze, studi o professioni. Sono di sicuro
benvenuti medici e infermieri visti i tanti progetti che sia a
Roma sia in Senegal abbiamo in essere, ma tutti sono davvero
benvenuti viste le innumerevoli attività che svolgiamo.
Posso chiudere con l’invito a partecipare a questo corso,
anche per capire cosa spinge ogni volontario a fare quello che
fa. Certo, la motivazione è prettamente personale, ma è bello
anche scoprire cosa spinge noi stessi a donare e a donarsi.
Per quanto mi riguarda vi lascio con una frase che mi ha
sempre risuonato nel cuore e fatto muovere nel mondo: “Se
metti in moto azioni che continuano negli altri hai fra le
mani parte del filo dell’eternità“.

Per  info   e  iscrizioni:   www.dirittialcuore.it           –
info@dirittialcuore.it – cell. 3289297160

Diritti al cuore Onlus è un’associazione indipendente,
antifascista, antirazzista e autofinanziata che lavora per
l’affermazione dei Diritti Umani, organizzando e promuovendo
una serie di attività in Italia e in Senegal. I progetti sono
volti a migliorare le condizioni igienico sanitarie, sociali
ed economiche nei Paesi in via di sviluppo e in Italia sono
volti soprattutto alla formazione e informazione su tematiche
quali la non violenza, la non discriminazione, i diritti
umani, le migrazioni, la libera informazione e la
cooperazione.

Incontro   sull’architettura
italiana in Eritrea presso
l’Ordine degli Architetti di
Roma.
Con il contributo di Diatomea come Associazione Culturale.

Svolgimento dell’incontro: 19/02/2019
Erogazione: Frontale CFP: 4 per gli Architetti iscritti
all’Ordine
Sede: Casa dell Architettura Piazza Manfredo Fanti 47 Roma
Quota Iscrizione: gratuito

Coordinatore scientifico Arch. Flavio Mangione, Dott. Roberto
Reali
Tutor Arch. Nives Barranca

Il Convegno ha l’obiettivo di presentare lo stato dell’arte
della conoscenza storica del patrimonio architettonico
dell’Eritrea, ponendo l’accento sui nuovi metodi di recupero e
tutela dei manufatti, sulla conoscenza del territorio e sulle
possibili strategie di valorizzazione professionale
dell’architettura. Un’occasione per focalizzare l’attenzione
sull’opportunità di valorizzare e conservare un patrimonio
unico al mondo e soprattutto per diffondere informazioni,
notizie, opportunità di conoscenza di questa realtà. La
recente scelta della città di Asmara come Patrimonio Mondiale
dell’UNESCO e un’ulteriore riconoscimento della capacita di
pianificazione urbanistica innovativa e di architettura
italiana modernista, opportunità di crescita e di sviluppo
professionale.
OAR_Locandina incontro_L’architettura italiana in Eritrea
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