Diritti al cuore Mix Fest - Musica e diritti in festa - Diatomea.net
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Diritti al cuore Mix Fest – Musica e diritti in festa. Il 28 settembre dalle ore 19 l’associazione Diritti al cuore, con sede in Via Federico Borromeo 75, organizza una serata all’insegna dell’arte, della musica, del volontariato e dei diritti umani. L’associazione, che da anni si occupa di libera informazione, cooperazione internazionale e diritti umani, presenterà le sue attività previste per la stagione 2019-2020. La festa sarà ricca di ospiti ed eventi: si aprirà con il vernissage della mostra fotografica Humanity First di Siliana Arena, a seguire un aperitivo a buffet (contributo 10 euro). Verrà poi proiettato il video Empatia, di Serena Arena. Segue l’esibizione de Le Danze di Piazza Vittorio che dalle 20 presenteranno il nuovo corso di balfolk con danze e musiche ad ingresso libero. Alle 21.30 si terrà il grande concerto di chiusura dei Black Echoes, con la loro musica blues. Ma vediamo nello specifico i protagonisti di questo festival. Humanity First è un progetto fotografico che nasce nel 2019 realizzato da Siliana Arena e sviluppato nell’arco di 3 mesi, coinvolgendo circa 25 persone. il progetto vuole essere un ammonimento ad ogni ideale di supremazia di una categoria umana sull’altra. Una pacifica protesta in opposizione alla dilagante disumanità di cui siamo testimoni, ma di cui possiamo non essere complici. Consiste in una serie di ritratti di persone di età, etnie e storie diverse, ad occhi chiusi, accarezzati da una mano che potrebbe rappresentare quella di chiunque. Humanity First è un elogio alla gentilezza umana e un invito a non dimenticarsene. Empatia, il video di Serena Arena. Il video “Empatia” è un elogio all’umanità. Alla sensibilità. A quel sentire che, in
fondo, ci lega tutti quanti. È un invito a fare un passo verso l’altro, a correre il “rischio” di poter comprendere la prospettiva di un diverso punto di vista, ad abbattere quelle sovrastrutture e convinzioni che ci riempiono di pregiudizi. Senza empatia, tendiamo a chiudere la nostra realtà in un cerchio sempre più piccolo. Tendiamo a cercare etichette per le persone al di fuori del nostro piccolo cerchio: “l’altro”, “il problema” o persino “il nemico”, identificano chi si trova al di fuori. Queste etichette che tendiamo a creare ci impediscono di andare avanti e di crescere. Ci allontanano dalla consapevolezza che l’esperienza umana è un’esperienza condivisa. Le danze di Piazza Vittorio collaborano con noi di Diritti al cuore da 2 anni e in occasione del festival presenteranno il corso in partenza di danze popolari che organizzano presso la nostra sede e che, grazie alla loro donazione, ci permette ogni mese di finanziare l’acquisto del carburante per il nostro camper impiegato per le visite mediche del progetto Salute migrante. Ma chi sono? Dal 2011 hanno l’idea di usare i suoni e le danze popolari per divertirsi e star bene insieme, ma anche per avere un canale di comunicazione in più nella bellezza caotica rappresentata da Piazza Vittorio, a Roma. Prima come gruppetto di amici, poi come associazione, hanno cominciato ad incontrarsi ed a suonare e ballare in piazza, poi si sono ritrovati coinvolti nelle attività di tanti gruppi ed associazioni, poi in giro per il mondo a cercare feste e tradizioni, poi presso la scuola Di Donato a organizzare laboratori di danze, strumenti, canti popolari. I Black Echoes, gruppo di musicisti da diversi anni sul palco dei più noti locali romani, chiudono il Diritti al cuore Mix Fest. Alle 21.30 si esibiranno con il loro repertorio che offre una miscela raffinata di blues, soul, southern rock e ballads. La loro forza è sicuramente nella costante ricerca di
un sound pregiato ed elegante, cosa che gli ha permesso di inaugurare il festival del Rosso Conero, nelle Marche, partecipare al Summer Festival della provincia di Viterbo, essere selezionati per un evento internazionale con il comune di Roma. Durante la serata infine lanceremo poi la campagna di raccolta fondi sulla piattaforma ulule per la realizzazione di un reportage in Senegal (vedi qua: https://it.ulule.com/foto-video-reportage-diritti-al-cuore-del -senegal/). Per tutta la serata poi sarà attivo un piccolo punto ristoro e vi sarà un mercatino di libri usati e di artigianato senegalese. Per info e adesioni 3289297160
… tuuuu pallida Luna perchéééé… … tuuuu pallida Luna perchéééé… Così recitava una canzone citata in una striscia di Lupo Alberto, che lui, essendo lupo, canticchiava. E la luna rispose: “Hai idea di quanto tempo è che sono sveglia la notte”? Sulla Luna si può fare un intero trattato favolistico, filosofico, culturale, religioso, agronomico, militare e magico. Luna. Base lunare Alfa. Il primo avamposto umano di colonizzazione del nostro satellite in una produzione BBC degli anni sessanta-settanta. Dove le pulzelle dai capelli viola gestivano, pilotavano e combattevano contro gli UFO dalla forma a semicono rovesciato. Roteanti e minacciosi. Georges Méliès ne fece un primo soggetto cinematografico tratto dal fantasioso romanzo di Jules Verne. Ludovico Ariosto…Dante Alighieri…Munchausen…Keplero… Ma le analogie a dir poco strabilianti furono quelle di Dalla Terra alla Luna (1865) di Jules Verne, che, assieme al seguito Intorno alla Luna (1870), narra di un viaggio all’interno di un proiettile lanciato dalla Florida e che, dopo una rivoluzione attorno alla Luna, ritorna sul nostro pianeta ammarando nell’Oceano Pacifico, e che presenta diverse coincidenze con il programma Apollo. Procedo per associazione di idee… Apollo … è una divinità della religione greca e romana. Come
molti altri Dèi greci, Apollo ha numerosi epiteti, atti a riflettere i diversi ruoli, poteri ed aspetti della personalità del Dio stesso. Il titolo di gran lunga maggiormente attributo ad Apollo (e spesso condiviso dalla sorella Artemide) era quello di Febo, letteralmente “splendente” o “lucente”, riferito sia alla sua bellezza sia al suo legame con il sole (o con la luna nel caso di Artemide). Quest’appellativo venne mutuato ed utilizzato anche dai Romani. Questi nacque in una notte di plenilunio, che fu, da allora, il giorno del mese a lui consacrato, nel momento in cui nacque il dio. Come la domenica per gli anglosassoni chiamata Sunday, Sonntag. Dunque Apollo e Artemide sono legati non strettamente ma per intercessione della Madre Terra. Gea. O, per i greci, Gaia. La “a” e la “i” vengono fuse e lette “e”. Il nostro pianeta, dunque si interpone spesso tra Luna e Sole, ma per uno strano e periodico gioco di luci ed ombre, le eclissi variano per tipo, durata e colori. La mediazione tra questi corpi celesti trova posto nella creazione di un equilibrio che ha condizionato popoli e culture, creando miti e leggende, regole agronomiche e credenze. Il periodo orbitale di questo satellite è di 27,321 661 55 giorni. Più semplicemente ventotto. A questi giorni viene attribuito un calcolo matematico legato a molte regole terrestri. Il ciclo mestruale, l’umore lunatico, lo svinamento legato al travaso del vino dopo la spremitura, le maree. A volte capita di vedere la Luna che, nel momento in cui sorge, possiede un colore rossastro. Mi ha incuriosito il nome della sottile polvere che ricopre il satellite: la Regolite. Che è uno strato di materiale sciolto e di granulometria eterogenea che ricopre la maggior parte del suolo lunare. Estremamente abrasiva, associata un po’ alla polvere di pietra pomice. Dalla prima missione Apollo, le mire sul satellite sono state soprattutto militari. Tanto che esisteva un progetto di
installare testate nucleari. Il contraltare tecnologico e antagonista alla più eclatante e mediatica impresa della NASA fu il programma sovietico. Poco o niente si sa di tutto questo fino alla caduta del Muro e di conseguenza alcuni programmi spaziali non strettamente legati alla corsa agli armamenti furono divulgati. Tra questi il principale Lunochod 1, portato sulla Luna dalla sonda Luna 17, fu il primo rover controllato a distanza ad atterrare su un altro mondo. Dopo un primo tentativo fallito, terminato con la distruzione del vettore e del suo carico il 19 febbraio 1969, Luna 17 fu lanciata il 10 novembre 1970 e, dopo aver raggiunto un’orbita di parcheggio, fu acceso l’ultimo stadio del vettore che pose la sonda sulla rotta per la Luna. Aleksandr Leonovic Kemurdžian. Uno sconosciuto per molti. Anzi per il mondo. Ingegnere di origini armene, fu il principale fautore del programma lunare sovietico. Nel pieno della corsa allo spazio, USA e URSS si sfidavano continuamente cercando il primato: primo satellite, primo essere vivente, primo uomo nello spazio, prima donna nello spazio, prima ‘passeggiata’ spaziale; fino al “colpo” di grazia per il programma sovietico con lo sbarco degli astronauti americani sulla Luna e che sostanzialmente chiuse la corsa russa al nostro satellite ma non del tutto. La navicella atterrò con successo sulla Luna nel Mare Imbrium il 17 novembre: il lander era costituito da due diverse rampe dalle quali il rover poteva scendere sulla superficie. La macchina effettuò i primi passi sul nostro satellite. Rimase attivo per 322 giorni terrestri, percorrendo circa 10,5 km e trasmettendo oltre 20.000 immagini durante il suo periodo di attività. Smise di funzionare il 14 settembre 1971. Nel 1969 il programma russo Lunochod per l’esplorazione della superficie lunare, la raccolta di immagini e lo studio di altri parametri ambientali della Luna fu messo in ombra dai successi dell’Apollo 11 ma solo per un guasto tecnico che lo fece arrivare sul nostro satellite solo dopo l’allunaggio
americano. Ma oltre a tutto questo che racchiude tanto, mi sovviene anche di dare uno sguardo ai dischi che ho in casa. E attraverso la musica riesco a trovare tanti titoli di album o canzoni che citano il satellite. Pink Floyd – Dark side of the moon. Il moto di rotazione della Luna è il movimento che compie intorno all’asse lunare nello stesso senso della rotazione terrestre, da Ovest verso Est, con una velocità angolare di 13° al giorno. La durata è quindi uguale a quella del moto di rivoluzione pari a 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11,6 secondi. Poiché il periodo di rotazione della Luna è esattamente uguale al suo periodo orbitale, dalla superficie della Terra è visibile sempre la stessa faccia del satellite. Type O Negative – Wolf Moon. Il lupo mannaro, detto anche licantropo (dal greco lycos «lupo» e ànthropos «uomo»), è un uomo che nelle notti di luna piena si trasforma in un orrifico lupo. La licantropia potrebbe essere solo uno stato di allucinazione che porta un uomo a credersi lupo. Parliamo allora di licantropia clinica. Si chiama comunemente licantropia clinica quella rara sindrome psichiatrica che induce chi ne è affetto a credere di potersi trasformare in un animale. Police – Walkin on a moon. Il primo astronauta a camminare sulla superficie lunare fu lo statunitense Neil Armstrong, comandante dell’Apollo 11. L’ultimo fu Eugene Cernan. Nella biografia di Neil Armstrong, si leggono le seguenti parole: «Per coloro che ancora credono che l’allunaggio non sia mai avvenuto, l’esame dei risultati di cinque decenni di
esperimenti LRRR dovrebbero dare la prova di quanto veramente deludente sia il loro rigetto della realtà dell’allunaggio» Moonlight Serenade – Glenn Miller Orchestra Blue Moon – Billie Holiday Fly me to the moon – Frank Sinatra Mesecina – Goran Bregovic Signora Luna – Vinicio Capossela Caparezza – Vengo dalla luna Tom Waits – Grapefruit moon Rolling Stones – Child of the moon Dopo aver citato i titoli relativi alla Luna presenti in casa, vorrei dare attenzione ai legami fisiologici e psicologici attribuiti al Satellite. La prima che mi sovviene è la dicitura di chi è contrassegnato caratterialmente da cambiamenti frequenti di umore, volubilità, un’irascibilità. Lunatico. Non è un caso se l’epilessia è stata chiamata anche mal di luna e se ci portiamo appresso espressioni caratteriali come “lunatica”. Ma la Luna anche stavolta non c’entra niente; sono sempre fenomeni antropici. Se non esistono dati a favore di queste credenze è possibile smentirle facilmente. Un mito duro a morire è quello sul collegamento tra fasi lunari e cicli mestruali. Uno degli argomenti più frequenti nelle donne che ci credono è “quanto sono in ritardo o in anticipo rispetto al previsto”, il che è un tutto dire: la credenza non si discute, è il corpo che sbaglia. Ad oggi non esiste un dato statistico che confermi il collegamento tra fasi lunari e fertilità. Verificate voi stessi con una ricerca avanzata. Luna, barbiere e barbarie. C’è ancora chi sostiene (persino certi dermatologi) che la Luna abbia una qualche influenza sulla crescita della nostra peluria, per via di non meglio precisate influenze magnetiche. La Luna condizionerebbe anche ondate di crimini.
Questo scritto, fatto anche documentandomi su interessi personali, rileggendolo mi sembra un po’ come la superficie della Luna, corrugato…bucato…oscuro da una sola parte, luminoso dall’altra…..ma sono le prime idee che mi hanno messo in relazione col Satellite. Un ultimo aneddoto, da motociclista romantico ed incallito: tempo fa, nelle mie peregrinazioni notturne, spesso giocavo con la Luna. Marciando di notte a luci spente quando Selene era piena, per vedere come la luce riflessa dal bianco satellite potesse illuminarmi la strada. A volte l’ho trovata riflessa nelle campagne intorno casa mia, nelle pozze che hanno allagato i campi nei temporali estivi. Oppure nei viaggi ellenici in notturna, per prendere il traghetto. O ancora, la Luna del nord sospesa sul mar Baltico con la luce del Sole che mai tramonta completamente. O che entra dalle pieghe della tenda in Abruzzo, nel silenzio accompagnato dai grilli di fine Agosto. E ancora quella Luna che tramontò la sera del terremoto di Amatrice, dopo la scossa. O quella che malinconicamente osservavo da una finestra munita di sbarre. Con una mano che cercava di prenderla … [R] La luna e i sogni. La luna fa sognare, ispira artisti, scienziati e filosofi e stimola l’immaginario collettivo da sempre. C’è qualcosa di
arcano, di ineffabile in quella sua luce diafana che a malapena riesce a sconfiggere il buio della notte e non c’è da meravigliarsi se ha sempre suscitato curiosità e meraviglia offrendo uno spunto inesauribile ai miti tramandati sulla sua origine in ogni angolo del mondo. In uno di questi angoli, nella Terra di Arnhem, nell’Australia nordorientale, durante il Tempo dei Sogni* gli antenati sognavano, e dai loro sogni nasceva tutto quello che popola la terra. In questo tempo di portenti, ogni creazione aveva in sé il potere di trasformarsi poi in qualsiasi altra cosa e così una mimosa poteva cambiarsi in una ninfea d’acqua, l’emu poteva diventare un airone e un deserto poteva prendere la forma di un uomo o di una donna. E tutto era prodotto dai sogni. Man mano che il mondo prendeva la sua forma, gli antenati si fusero con la terra, col cielo, con le nuvole e nelle creature infondendo in ciascuna creazione il seme della sua magia e del suo potere sacro così che il sogno che l’aveva creata potesse rimanervi custodito per tutta l’eternità. Un giorno lontanissimo, due sorelle arrivarono a un fiume che non conoscevano e, prese dalla curiosità, si tuffarono dentro e nuotarono fino a raggiungere un’isoletta. Arrivate su una roccia della riva, si guardarono intorno e scoprirono di trovarsi in un bellissimo angolo erboso, ricco di alberi e in prossimità di un billabong** dove l’acqua tranquilla, appena increspata dalla brezza, rifletteva tutto lo splendore della giornata di sole e le conferiva riflessi di madreperla. “Che bello qui!”, disse la prima sorella, “Magari potremmo fermarci qui per sempre”. “E come potremmo sopravvivere?” domandò la seconda sorella, più pratica e meno sognatrice. “Ma guardati intorno: l’acqua è dolce e pulita, ci sono bacche, frutti e piante dalle radici gustose, nei ciuffi d’erba si nascondono iguani e conigli e poi nel billabong ci
saranno ranocchi e pesci a volontà. E poi qui nessuno ci verrebbe a dire che cosa fare ogni cinque minuti. Dài, su, restiamo!” Come finì di parlare, un improvviso guizzo nell’acqua fece voltare le due ragazze: la schiena di un grosso pesce si intravedeva chiaramente appena sotto la superficie, ma dopo qualche istante scivolò via inabissandosi e lasciando solo cerchi di ondine che si susseguivano allargandosi sempre più fino a sparire sfiorando la riva opposta. Veloci, le ragazze prepararono una lancia appuntita con un ramo di eucalipto e con grande destrezza riuscirono a fiondare il pesce e a tirarlo in secco. Era grosso, ben pasciuto, con le scaglie di un colore che dal bianco del ventre diventavano sempre più argentee verso la pinna dorsale. La luce del tardo pomeriggio giocava su quella superficie ancora bagnata che ora pareva formata di schegge di opale. Le sorelle si misero allora di buona lena ad allestire un fuoco di erba secca e di fuscelli aromatici per potervi arrostire la loro preda. Sarebbe stato un banchetto con tutto quel ben di dio. Ma non appena si voltarono per prendere il pesce e metterlo sulle braci ardenti, si accorsero che questo si era mosso e ora si trovava non solo a una buona distanza da loro ma si era già arrampicato oltre i primi rami di un grosso albero. Le sorelle cercarono di raggiungerlo, prima sbracciandosi e poi cercando di arrampicarsi anche loro, ma riiuscirono solo a graffiarsi e a sbucciarsi mani e ginocchia sulla corteccia ruvida. Il pesce intanto continuava a salire, e mentre saliva si gonfiava diventando sempre più rotondo, sempre più argenteo. Non pareva neppure che toccasse più la superficie dell’albero da tanto che si muoveva come se stesse galleggiando, finché raggiunse la cima dell’albero che si perdeva nel cielo ormai nero come l’inchiostro. Ma il pesce non si fermò lì: continuò a salire, fluttuando lentamente verso le stelle che
cominciavano ad ammiccare; la sua forma era ormai diventata perfettamente circolare e radiava una luminosità tutta sua, soffice e fredda. Per ore le sorelle continuarono a guardarlo mentre la sua forma si muoveva lentamente attraverso la volta del cielo fino a sparire dietro l’orizzonte lontano ai primi bagliori dell’alba. La notte successiva non vedevano l’ora di scoprire se il pesce sarebbe tornato e, proprio quando il sole stava quasi per nascondersi dietro la collina lasciandosi dietro bagliori di fuoco, ecco che a oriente il pesce riapparve e cominciò a salire di nuovo verso il cielo. Ma non era rotondo come la notte prima: parte di lui sembrava più appiattita da un lato. Notte dopo notte le sorelle scrutavano il cielo aspettando che il pesce si facesse vedere e ogni notte notavano che la sua forma diventava nel frattempo sempre più sottile, sempre più arcuata, quasi come l’estremità di un’unghia, fino a che alla fine sparì del tutto. E per alcune notti fu buio completo, eccetto per l’ammiccare delle stelle, ma poi, con loro somma sorpresa, ecco che il pesce apparve di nuovo, dapprima appena una fettina di luce e poi, nei giorni successivi, sempre più rotondo come la prima volta. E così si ripete da allora: il pesce-luna da quella volta compie il suo viaggio ogni notte, e ogni mese lascia il cielo vuoto di sé per qualche giorno. Anche cinquant’anni fa, come nel Tempo dei Sogni, l’impresa dell’Apollo 11 si è evoluta da un sogno, il sogno di scienziati, uomini e donne, che non hanno rinunciato a credere che si potevano superare i confini terrestri per farci entrare, coi tre astronauti, in una dimensione finora mitica, irreale, regno della fantasia e delle leggende. Chissà se in futuro altre imprese, altri eventi in cui il coraggio di credere farà compiere miracoli, risveglieranno la coscienza collettiva restituendole gli strumenti per creare, tutti insieme, un mondo migliore.
You may say I’m a dreamer But I’m not the only one I hope someday you’ll join us And the world will be as one. (“Imagine”, John Lennon) *Il Tempo dei Sogni (Dreamtime) nella tradizione degli Aborigeni australiani è il tempo prima del tempo, la fonte di tutto il creato e dei suoi simboli **’billabong’ è un termine aborigeno per indicare una pozza d’acqua o un’ansa isolata di un corso d’acqua avventizio formato dalle piogge stagionali e destinato a seccarsi pian piano Foto copertina: Pittura rupestre della leggenda della luna – Australia MOON MAIDEN! Cosa ci fa un musicista come Duke Ellington nel mezzo di uno studio televisivo arredato di moduli lunari ed immagini di razzi spaziali?
È il 20 luglio del 1969 e Neil Armstrong e Buzz Aldrin entrano nella storia mettendo piede sul suolo lunare. L’evento è elettrizzante e tiene il pubblico incollato alla TV, consapevole di assistere a qualcosa di unico nella storia. L’emittente televisiva ABC (American Broadcasting Network) quella sera fa uno speciale sulla missione Apollo 11 e, tra gli ospiti in studio, viene invitato Duke Ellington al quale viene commissionato un lavoro musicale per l’occasione. Accompagnato da Paul Kondziela al contrabbasso e Rufus Jones alla batteria (all’epoca nelle fila della sua orchestra) e dalla chitarra di Al Chernet, troviamo un Ellington nell’insolita veste di narratore e cantante. Il brano che presenta è Moon Maiden, dal testo molto raffinato e sottile. Andando a spulciare nell’immensa produzione ellingtoniana, si può individuare almeno una decina di titoli aventi come tema la luna o lo spazio. È evidente, dunque, che, come ogni sognatore e come tanti artisti, Ellington abbia trovato nell’immagine e nella simbologia lunare una fonte di ispirazione. Torniamo così indietro di 27 anni, con un brano sognante e d’atmosfera dal titolo Moon Mist, composto nel 1942 non da Duke Ellington, ma dal figlio Mercer Ellington per l’orchestra del padre. A proposito di questo brano, l’autore disse: “[mio padre] non ci mise una nota, ma cancellò ciò che non era di buon gusto. Moon Mist fu un brano che scrisse quasi per esclusione!” È interessante notare che prima di giungere a questo titolo, il brano fu inizialmente intitolato Mist on the Moon (foschia sulla luna) e successivamente Moon Mist con il sottotitolo Atmosphere.
Come accaduto con suo figlio Mercer, Duke Ellington si avvalse spesso della collaborazione dei musicisti del suo entourage come il portoricano Juan Tizol (famoso per essere l’autore di Caravan), il quale compose per l’orchestra del Duca un brano dalle tinte latine come Moon Over Cuba, o il clarinettista Jimmy Hamilton che compose la meno nota, ma altrettanto sognante Moonstone. Rimaniamo in questa epoca, ma cambiamo atmosfera e ritmo. Questa volta siamo nel 1958, anno in cui Duke Ellington pubblica, sotto la casa discografica Columbia, un album alquanto insolito, sia per la formazione, sia per la musica. Non si tratta infatti della consueta orchestra, ma di una formazione ridotta che vede, oltre alla ritmica piano- batteria-contrabbasso, tre dei solisti dell’orchestra più avvezzi con il linguaggio jazzistico più moderno, quello di matrice bebop: Paul Gonsalves al sax tenore, Jimmy Hamilton al clarinetto e Clark Terry al flicorno, i quali vengono sorretti da un coro di tre tromboni. Tale formazione, chiamata per l’occasione Duke Ellington’s Spacemen, darà luogo all’album The Cosmic Scene, sulle cui note di copertina si legge “sul perché questi nove [musicisti] debbano essere chiamati “Spacemen”, gli storici del jazz avranno da inventarsi le loro proprie ragioni. Duke ha utilizzato questa parola appena il primo satellite americano è andato in orbita e, forse, con l’idea di offrire il jazz sui viaggi verso la luna, si sta semplicemente esercitando sulle dimensioni della band che potrà entrare in un veicolo spaziale. Escluso lui, ovviamente. Duke Ellington, a meno che le sue abitudine cambieranno, andrà sulla luna in treno!”. Il produttore discografico Irving Townsend, che scrisse queste parole, fa riferimento alla fobia di Ellington per gli aerei, con cui, suo malgrado, dovette convivere viste le numerose tournées intercontinentali. Ed ora torniamo da dove eravamo partiti, ovvero allo sbarco
dell’uomo sulla luna. Come accennato già all’inizio, ad Ellington fu commissionato un brano per celebrare l’impresa. Deve aver avuto particolarmente a cuore questo compito, visto che lo troviamo non solo come compositore e pianista, ma anche come narratore-cantante (se così si può dire) ed autore del testo. Testo che, ad un’attenta analisi, si scopre essere molto più intrigante e sottile di quanto ci si aspetterebbe. Innanzi tutto il titolo Moon Maiden. Il termine maiden può avere due accezioni: come sostantivo significa fanciulla, mentre come aggettivo indica qualcosa di inaugurale (ad es. la frase This is my maiden speech significa Questo è il mio primo discorso/discorso inaugurale). Quindi potremmo tradurre Moon Maiden sia come candida luna che, prendendoci qualche libertà interpretativa, come vergine luna. Dato che l’ispirazione del poemetto è il primo sbarco dell’Uomo sulla Luna, entrambe le accezioni hanno senso! Se dal titolo questa doppia chiave di lettura può sembrare un po’ forzata, analizzando tutto il poemetto, ci accorgiamo che il parallelismo tra la conquista della luna ed il corteggiamento di una ragazza è la chiave di lettura. Vale la pena dunque andare avanti nel tentativo di tradurre questo testo tanto breve quanto denso. Leggiamo i primi due versi cercando di rendere poeticamente accettabile la traduzione in italiano: Moon Maiden, way out there in the blue Moon Maiden, got to get with you Potremmo tradurli con: Candida Luna, là fuori nel blu Vergine Luna, devo entrare nella tua orbita I
successivi versi recitano: I’ve made my approach and then revolved But my big problem is still unresolved. Che potremmo tradurre come: Mi sono fatto avanti e ti ho girato un po’ attorno Ma il mio grande problema è rimasto irrisolto Moon Maiden, listen here, my dear. Your vibrations are coming in loud and clear Cause I’m just a fly-by-night guy Vergine Luna, ascoltami, mia cara. Le tue vibrazioni arrivano forte e chiaro Poiché sono solo un farfallone notturno. Fly-by-night infatti è un’espressione popolare che sta per “inaffidabile” ma qui è anche perfetta nel senso letterale del volo e della notte! È così che farfallone è frivolo e civettuolo, ma allo stesso tempo vola. I versi finali recitano: But for you I might be quite the right “do right” guy
Moon Maiden, Moon Maiden, Lady de Luna Qui the right “do right” guy sta per ragazzo giusto al momento giusto che è un’allusione alla “prima volta” giusta, quella da ricordare! Ricapitolando, potremmo tradurre in italiano questo poemetto così, nel tentativo di rendere il più possibile il linguaggio poetico: Candida Luna, là fuori nel blu Vergine Luna, devo entrare nella tua orbita. Mi sono fatto avanti e ti ho girato un po’ attorno Ma il mio grande problema è rimasto irrisolto Vergine Luna, ascoltami, mia cara. Le tue vibrazioni arrivano forte e chiaro Poiché sono solo un farfallone notturno. Ma per te potrei essere proprio il ragazzo giusto al momento giusto Candida Luna, Vergine Luna, Lady de Luna Ma è ora di riascoltare questa deliziosa miniatura, ma questa volta nella versione in studio di registrazione che differisce sensibilmente da quella nello studio televisivo, innanzitutto perché qui è Ellington solo che suona senza altri musicisti ad accompagnarlo. Questa volta, però, non è alla tastiera del pianoforte che accompagna la sua narrazione, ma a quella di una celesta, che conferisce al poema un’atmosfera
molto più eterea. Ed ora non rimane che alzare gli occhi al cielo e farci cullare dalla voce calda e suadente di Ellington. La lavastoviglie, le musicassette e la Luna. Era successo tutto un anno prima: l’ultima sorella di mamma che era ancora convenientemente signorina era stata sedotta da un signore più grande di lei e avevano deciso rapidamente di sposarsi. Lo zio lavorava nell’ambito editoriale, e dovettero andare a vivere a Genova. Nel 1969 era nato un cuginetto, e la famiglia M. si organizzò per andare a conoscerlo, imbarcammo la Fiat 1100 stracarica di bagagli sul traghetto -Canguro Rosso si chiamava se non ricordo male – e andammo a Genova. Il cuginetto tuttavia era poco più di un neonato, e a noi parve semplicemente inutile; in più Genova è una città con le strade in salita, e il pallone Super Tele numero 5 che gli zii ci avevano fatto trovare scomparve velocemente a velocità supersonica non appena provammo a fare due tiri sul marciapiede. Papà si adattò rapidamente alla piccola casa della zia, scoprì
che la poltrona in cucina, accostata alla lavastoviglie, gli consentiva la solita e irrinunciabile pennica postprandiale, e restò entusiasta del pulsare ritmico e ipnotico che l’elettrodomestico produceva – concilia il sonno – asseriva convintamente. La zia allattava, la mamma la aiutava, lo zio lavorava, papà andava in giro e noi ci rompevamo terribilmente le scatole, il quartiere non offriva nessuna attrattiva. Un giorno papà – stremato dalle nostre richieste – ci portò a fare un giro nei quartieri dell’angiporto, ricchi di mercanzie di ogni genere, comprese sigarette di contrabbando e musicassette duplicate illegalmente: io volevo una cassetta di Lucio Battisti, e papà ne contrattò l’acquisto con un falsario napoletano, per la mirabolante cifra di mille lire. Tornammo a casa ma restai deluso: la musica che si sprigionava dal radioregistratore Philips dello zio non era quella di Battisti, ma di un cantantucolo che bramiva melodie amorose insopportabili: mio padre ridacchiando mi propose di tenerla - tanto l’abbiamo pagata – ma io misi su un muso grigio che lo costrinse a tornare nei carruggi, trovare lo spacciatore di cassette false, costringerlo a provare la nuova cassetta e finalmente tornarcene con quella giusta (acqua azzurra acqua chiara e balla Linda divennero dei tormentoni in quella casa di via Annibale Passaggi). Assistevamo tutti insieme ai telegiornali – allora sovieticamente a canale unico e in un sobrio bianco e nero – e scoprii che dopo qualche sera la Rai avrebbe trasmesso da Cape Canaveral (o era Cape Kennedy?) la diretta dell’allunaggio degli astronauti della missione Apollo 11. Ero già esperto - tramite la lettura di Topolino – sulle precedenti missioni che avevano portato astronauti in orbita, e non volevo perdermela per niente al mondo. Mi feci promettere da papà – l’allunaggio sarebbe avvenuto di notte per noi italiani – che mi avrebbe svegliato per farmi assistere all’evento davanti al tubo
catodico. Andai a dormire presto, ma mio padre non venne a svegliarmi: invece il baluginino delle immagini sullo schermo e la voce concitata di Tito Stagno e di Ruggero Orlando mi trascinarono magneticamente nell’altra stanza. Papà e lo zio non dissero una parola, e neanche io, tornai a letto dopo poco con negli occhi quella figurina ballonzolante che muoveva piccoli passi incerti sul satellite: ero sicuro che dopo pochi mesi la Luna sarebbe stata colonizzata, avremmo incontrato lunatici e marziani, e invece no: peggio per loro, non sanno quello che si sono persi qui in Italia. Modifica Tutte le immagini contenute in questo articolo sono state prese dai link segnalati e/o dal web per puro scopo divulgativo, tutte le altre sono soggette a copyright. Foto copertina: © Antonio Musotto. OLTRE IL CIELO. Racconti straordinari con esploratori
della Luna e dello Spazio. L’esplorazione è nel DNA degli esseri umani Giovanni Caprara Viaggio nella Luna (Le Voyage dans la lune), Georges Méliès, 1902 Sua eccellenza il Politecnico di Milano ospita, di tanto in tanto, eventi culturali aperti al pubblico e precisamente interviste a personaggi della cultura, condotte con affabile disponibilità dal Magnifico Rettore o docenti dei vari dipartimenti. Ebbene, ho già visto in azione un paio di questi personaggi: Beppe Severgnini, giornalista sempre sorridente nonostante le avversità della politica, e Marco Malvaldi, arguto scrittore
di romanzi gialli. L’incontro con l’autore di cui vi riferisco, è con Giovanni Caprara, editorialista scientifico del Corriere della Sera a colloquio con Giuseppe Sala docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali. Caprara ha recentemente pubblicato un libro dal titolo Oltre il cielo. Racconti straordinari con esploratori della luna e dello spazio, edito da Hoepli. Nove capitoli fra i quali “Grandi padri”, “Guerrieri dell’orbita”, “Uomini e donne del cosmo russo”, “Dall’Italia alle stelle” (ci siamo anche noi, che credevate ?), “Il nostro futuro”. Niente di meglio per ripercorrere le vicende dei viaggi nello spazio, culminati nell’ambiziosa missione luna. Un semplice quiz per i lettori di Diatomea: Come si chiama l’area prescelta dalla NASA per l’allunaggio? A) La prateria del silenzio B) Il mare della tranquillità C) L’oasi della pace. Avete risposto correttamente ? Non ricordate? Bene, un buon motivo per leggere il libro. 20 luglio 1969, 20:17:40 UTC. Vi dice qualcosa questa data ? Gli italiani muniti di televisore in bianco e nero, in tutto due soli canali da farsi bastare, rimasero incollati allo schermo per vivere, comodamente da casa, un momento straordinario della storia dell’umanità: la missione Apollo 11, lo sbarco dell’uomo sulla luna, con il quale gli Stati Uniti vincono la competizione tecnologica e scientifica con l’Unione sovietica. Motivo del sorpasso: superiorità finanziaria e gestionale degli Stati Uniti.
Lancio Apollo 11
Nel pieno fulgore di una guerra fredda alla ricerca di opportunità anche in campo aerospaziale, la cosiddetta “conquista dello spazio” era considerata un’arma strategica di primaria importanza per entrambi i blocchi. Chi di noi al tempo era già grandicello ricorderà la telecronaca in diretta condotta da Tito Stagno, con il commento di Andrea Barbato, e il famoso battibecco con Ruggero Orlando in collegamento da Houston, riguardo al tempo esatto dell’allunaggio. Sala di controllo missione Apollo 11 Un momento di orgoglio nazionale: Rocco Petrone, figlio di immigrati italiani, direttore dei lanci del programma Apollo, premette il pulsante proiettando l’umanità nella storia delle missioni lunari. Dal curriculum dell’autore che ho riportato integralmente, ci rendiamo conto di avere di fronte un esperto del settore spaziale e testimone autorevole di imprese che hanno fatto sognare una generazione di donne e uomini, giovani e meno giovani, che vedevano nell’esplorazione spaziale un
incentivo per un’evoluzione in positivo dell’umanità, un superamento del limite, l’emblema dell’irraggiungibile, un’avventura portatrice di scoperte benefiche in vari campi. Come conseguenza la crescita delle nostre aspettative di benessere diffuso nella società: malattie, guerre, povertà, avrebbero ceduto il posto alla prosperità e alla pace sociale. Una spinta universalista che alimentò l’immaginario popolare, dalla fantascienza alla realtà. Giovanni Caprara 5 luglio 1989. Caprara incontra gli astronauti della missione Apollo 11: Neil Armstrong, Edwin Aldrin e Mike Collins. Una corposa intervista che si svolge nel Salone dell’aeronautica e dello spazio di Parigi-Le Bourget, per celebrare i vent’anni della “notte della luna”. L’autore soddisfa alcune nostre curiosità ponendo molte domande ai leggendari astronauti, fra cui quella vagamente insidiosa, rivolta a Neil Armstrong sul ruolo colonizzatore delle missioni lunari: È giusto che gli Stati Uniti colonizzino la luna? È un tipo di domanda molto ipotetica. Io sono sicuro che se avessimo continuato il programma di esplorazione che avevamo avviato, oggi disporremmo già di una base abitata e potremmo sfruttare le risorse naturali del nostro satellite estraendo per esempio ossigeno dalle rocce. Non ho dubbi comunque. Queste cose si faranno nel prossimo futuro. Il nostro satellite sarà una pietraia del tutto inospitale,
ma dai sassi qualcosa si può spremere per il bene dell’umanità. Dalla prefazione dell’autore al suo libro Oltre il cielo: “Ogni esplorazione, in particolare quella dello spazio è frutto di temerarietà, determinazione ma e soprattutto un’avventura dell’intelletto, della cultura proiettata verso nuovi confini.” […]Il libro è una storia dello spazio raccontata dalla voce dei personaggi che l’hanno realizzata. Ed è stato meraviglioso ascoltare la passione, l’entusiasmo, la visione che animava le loro parole, spesso intrise da una sorprendente umiltà. Testimonianze preziose, che ci portano nel futuro volando dalla fantascienza alla realta.” Questo il sogno planetario di un Occidente che si era lasciato alle spalle, ormai da un ventennio, una guerra mondiale da dimenticare, senza contare un conflitto rovinoso in corso nel Sud-est asiatico; la voglia di un futuro salvifico fatto di vicende straordinarie è umanamente comprensibile. Ricordiamo che in Italia l’Autunno caldo delle mobilitazioni operaie era alle porte. Un sogno di breve durata nel nostro Paese: il 12 dicembre 1969 la strage di Piazza Fontana darà l’avvio alla strategia della tensione. Giovanni Caprara è editorialista scientifico del Corriere della Sera e ha seguito le imprese spaziali nei centri delle varie nazioni. È autore di numerose pubblicazioni sulla storia della scienza e dell’esplorazione spaziale tradotte in Europa e negli Stati Uniti, tra cui: Il libro dei voli spaziali (Vallardi); Era spaziale (Mondadori); Alla scoperta del
sistema solare (con Margherita Hack, Mondadori); Abitare lo spazio (Mondadori); L’avventura della scienza (Rizzoli); L’Italia sullo Shuttle (Mondadori); Breve storia delle grandi scoperte scientifiche (Bompiani); Storia italiana dello spazio (Bompiani); The Complete Encyclopedia of Space Satellites (FireFly); Rosso Marte (Utet). Co-autore di Space Exploration and Humanity – A historical encyclopedia (ABC-CLIO). È curatore della sezione Spazio del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano e tiene lezioni sulla storia dell’esplorazione spaziale al Politecnico di Milano. Nel 2000 ha ricevuto il premio ConScientia come giornalista scientifico dell’anno, premio assegnato congiuntamente dalle università milanesi; nel 2010 l’European Science Writers Award della Euroscience Foundation; nel 2016 il Premio per la comunicazione scientifica della Società Italiana di Fisica (SIF). Dal 2011 è presidente dell’UGIS, Unione Giornalisti Italiani Scientifici. In riconoscimento della sua attività di divulgatore, l’International Astronomical Union ha battezzato in suo onore un asteroide in orbita tra Marte e Giove.
© Francesco Cocco Care amiche e cari amici come molt@ di voi sanno due anni fa abbiamo realizzato con il Network Italiano Salute Globale una mostra fotografica con il materiale raccolto in Burkina Faso da Francesco Cocco, fotografo dell’Agenzia Contrasto, che per noi ha visitato centri antiviolenza e ambulatori medici sostenuti dalla cooperazione sanitaria italiana. Un emozionante racconto in bianco e nero che ha girato un po’ l’Italia, dopo l’inaugurazione a Roma, la mostra è stata esposta a Conversano di Bari, Brescia e Napoli. Siete tutt@ invitati al Finissage che conclude questa iniziativa per brindare insieme a noi e nel corso della serata
sarà anche possibile, con un contributo libero, acquistare le immagini della mostra. Vi aspettiamo! Barbara CS_finissage_defDownload Tutte le immagini contenute in questo articolo sono state prese dai link segnalati e/o dal web per puro scopo divulgativo, tutte le altre sono soggette a copyright ©Francesco Cocco ALLA SCOPERTA DEL SENEGAL ATTRAVERSO LE IMMAGINI – DIRITTI ALL’OBIETTIVO Sabato 25 maggio alle ore 19, presso la sede di via dei Latini 12 a San Lorenzo, Diritti al cuore onlus presenta il libro fotografico “Diritti all’obiettivo – Viaggio fotografico alla scoperta delle periferie, dei paesaggi e dei volti del Senegal”. Saranno presenti i fotografi che hanno donato le foto e gli ideatori del volume. IL PROGRAMMA
Durante la serata saranno proiettate delle immagini e si terrà un reading, inoltre sarà possibile acquistare il libro a un prezzo ridotto rispetto a quello di copertina. I fondi raccolti saranno utilizzati per i nostri progetti in Senegal. Sarà offerto un buffet. L’ingresso è libero.
IL LIBRO “Questo libro non è un romanzo, ma un racconto di immagini, realizzate con le macchine fotografiche di un gruppo di volontari in viaggio con l’Associazione Diritti al Cuore Onlus. Un racconto senza protagonismi, ricco di emozioni, ricordi, sensazioni, affetti. Sono immagini di donne, bambini e uomini che ogni giorno vivono in un contesto difficile, di certo diverso dal nostro. Sono immagini catturate da chi a quel mondo vuole andare incontro. Hanno immortalato anche paesaggi e contesti che raccontano molto altro: Dakar, la periferia, Camberene, Pikine, i villaggi, la discarica. Ma hanno catturato con l’obiettivo soprattutto i volti, che racchiudono mille storie. E sogni. E, in fondo, sono quei paesaggi, quei volti e quegli occhi che hanno catturato tutti loro”. Parte la 26esima edizione del Corso di preparazione al volontariato internazionale di Diritti al cuore onlus! Quando abbiamo iniziato a progettare un giornale di quartiere che divenisse uno spazio di condivisione, riflessione, denuncia, per trattare temi inerenti i diritti umani, la libera informazione, la non violenza, la non discriminazione eravamo un gruppetto di amici che mai avrebbe immaginato che da quel giornale saremmo arrivati lontano, fin sotto a un
baobab senegalese. Era il lontano 1998 e cominciò così il nostro impegno sociale totalmente volontario. Poca esperienza e tanto entusiasmo, fede nell’essere umano e nella possibilità di cambiare “il mondo”. Poco dopo due anni siamo finiti in Senegal tramite i contatti di alcuni ragazzi che frequentavano la nostra sede per il corso di italiano per stranieri. Ci hanno detto, “sfidandoci”, di fare qualcosa lì dove i diritti umani erano davvero calpestati e, soprattutto, neanche conosciuti. Dopo i primi tempi di ricognizione per capire cosa noi, totalmente autofinanziati, laici, apartitici, diciamo anche squattrinati, potevamo e sapevano fare, abbiamo trovato la risposta: mettere insieme gente, in questo caso studenti senegalesi, e far partire un cambiamento dal basso.
Man mano in Italia persone amiche e del quartiere ci esprimevano la volontà di darci una mano, pur non sapendo assolutamente come fare, se non partecipando ad eventi e raccolte fondi. Così ci venne un’ idea, devo dire per l’epoca, 16 anni fa, abbastanza innovativa: organizzare un Corso di preparazione al volontariato internazionale, per farci conoscere, per spiegare il tipo di attività che svolgevamo, per diffondere tematiche a noi care e, non come ultimo obiettivo, per dare contesto a chi veniva in Senegal per sviluppare la campagne di cooperazione.
Fu un successo sin dalla Prima edizione, con almeno 20 iscritti, un numero enorme per una piccola associazione che all’epoca contava sì e no 7 membri! Dopo 16 presentiamo la nuova Edizione del corso, in questi anni ne abbiamo fatte anche due edizioni, arrivando a coinvolgere centinaia di persone. Non tutti sono rimasti in Associazione, ma tutti hanno lasciato un contributo, una impronta, delle idee.
Lunedì 25 febbraio parte l’edizione 2019, la 26esima alle ore 20.30 presso la nostra sede di Via Federico Borromeo 75: un corso composto da 5 incontri monotematici, un corso che non obbliga poi a far parte attiva dell’associazione, ma che è comunque un momento di conoscenza e di formazione personale.
Inoltre, dopo una panoramica teorica e generale del tema, si vede nel concreto quali siano le azioni messe in campo per affrontare la problematica. Calendario temi: 25 febbraio: Infanzia e Sostegno a distanza; 4 marzo: Condizione femminile e discriminazione di genere; 11 marzo: Situazione ambientale e salute; 18 marzo: Migrazioni e flussi in Italia; 25 marzo: Cooperazione internazionale: come si organizza un progetto. Chiuderà il corso una mezza giornata di lavoro pratico/organizzativo. Il corso è aperto a tutti, dai 18 anni in su. Non servono particolari competenze, studi o professioni. Sono di sicuro benvenuti medici e infermieri visti i tanti progetti che sia a Roma sia in Senegal abbiamo in essere, ma tutti sono davvero benvenuti viste le innumerevoli attività che svolgiamo. Posso chiudere con l’invito a partecipare a questo corso, anche per capire cosa spinge ogni volontario a fare quello che fa. Certo, la motivazione è prettamente personale, ma è bello anche scoprire cosa spinge noi stessi a donare e a donarsi. Per quanto mi riguarda vi lascio con una frase che mi ha sempre risuonato nel cuore e fatto muovere nel mondo: “Se metti in moto azioni che continuano negli altri hai fra le mani parte del filo dell’eternità“. Per info e iscrizioni: www.dirittialcuore.it – info@dirittialcuore.it – cell. 3289297160 Diritti al cuore Onlus è un’associazione indipendente, antifascista, antirazzista e autofinanziata che lavora per l’affermazione dei Diritti Umani, organizzando e promuovendo una serie di attività in Italia e in Senegal. I progetti sono volti a migliorare le condizioni igienico sanitarie, sociali ed economiche nei Paesi in via di sviluppo e in Italia sono
volti soprattutto alla formazione e informazione su tematiche quali la non violenza, la non discriminazione, i diritti umani, le migrazioni, la libera informazione e la cooperazione. Incontro sull’architettura italiana in Eritrea presso l’Ordine degli Architetti di Roma. Con il contributo di Diatomea come Associazione Culturale. Svolgimento dell’incontro: 19/02/2019 Erogazione: Frontale CFP: 4 per gli Architetti iscritti all’Ordine Sede: Casa dell Architettura Piazza Manfredo Fanti 47 Roma Quota Iscrizione: gratuito Coordinatore scientifico Arch. Flavio Mangione, Dott. Roberto Reali Tutor Arch. Nives Barranca Il Convegno ha l’obiettivo di presentare lo stato dell’arte
della conoscenza storica del patrimonio architettonico dell’Eritrea, ponendo l’accento sui nuovi metodi di recupero e tutela dei manufatti, sulla conoscenza del territorio e sulle possibili strategie di valorizzazione professionale dell’architettura. Un’occasione per focalizzare l’attenzione sull’opportunità di valorizzare e conservare un patrimonio unico al mondo e soprattutto per diffondere informazioni, notizie, opportunità di conoscenza di questa realtà. La recente scelta della città di Asmara come Patrimonio Mondiale dell’UNESCO e un’ulteriore riconoscimento della capacita di pianificazione urbanistica innovativa e di architettura italiana modernista, opportunità di crescita e di sviluppo professionale.
OAR_Locandina incontro_L’architettura italiana in Eritrea
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