Camp for Company Un nuovo paradigma per nuovi apprendimenti
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La sfida: elaborare una strategia, didattica, operativa, gestionale e sostenibile per la promozione e la diffusione della cultura dell’innovazione e dell’imprenditorialità all’interno del sistema d’istruzione nelle scuole superiori e di formazione valida per ogni gruppo linguistico dell’Alto Adige. “Camp for Company” intende mettere a sistema una nuova visione nel passaggio scuola-lavoro e fungere da catalizzatore d’idee, competenze, capacità e risorse. Il metodo: identificare una metodologia, attuarla sul campo attraverso una fase di sperimentazione in maniera organica e consequenziale. La ricerca: individuare le buone pratiche esistenti, cooptare partner strategici ed operativi rappresentativi sia a livello nazionale che internazionale; analizzare, adottare e/o produrre ex-novo strumenti di lavoro (ad oggi sette) e contenuti (ad oggi più di cinquanta). L’azione: allestire un team di lavoro (didattico e organizzativo) plurilingue, organizzare incontri, realizzare workshop, allestire un sito di riferimento (www. viva.bz.it) . Attuare azioni di sostegno e consulenza a favore di studenti e docenti. Le finalità: adeguare l’offerta del sistema formativo altoatesino alle esigenze del territorio, rispondere a quanto raccomandato dall’Unione Europea, inserire nei curricula nuove competenze trasversali. Il risultato: ad oggi 350 alunni/e di quattordici istituti d’ogni indirizzo partecipano al progetto, decine d’idee imprenditoriali prodotte. COLOPHON COORDINAZIONE: Mario Farias TESTI: Renzo Roncat (cap. 1 e 5) Mario Farias (cap. 2, 3, 4 e 5) Luca Guarnieri (cap. 2 e 4) Simone Sprea (cap. 2) Massimo Andriolo (cap. 2) Carla Arcieri (cap. 4) Elena Farias (cap. 4) Marco Fontana (revisione dei testi) FOTO: Mattia Rizzi, Elena Farias, Carla Arcieri, iStockphoto © kirin_photo, © pixel107 STAMPA: Tezzele by Esperia Bolzano-Bozen GRAFICA: communication & design © 2014
L’Intendenza Scolastica per le scuole in lingua italiana attraverso il Servizio Innovazione e Buone Pratiche ha avviato una sistematica azione di ideazione, sostegno e proposta di progetti che abbiano come obiettivo l’occupazione giovanile. Nel 2012 il Servizio ha sottoscritto con le principali organizzazioni del mondo economico e dell’impresa un protocollo d’intesa per il sostegno di tutte le iniziative atte ad avvicinare istituzioni scolastiche e mondo del lavoro. Nel 2013 è stato avviato il progetto Camp for Company che la presente pubblicazione illustra sia per gli aspetti di teoria degli apprendimenti che per gli aspetti di documentazione dei processi e dei contenuti adottati. Il progetto ha coinvolto nella sua progettazione e realizzazione una rete di soggetti altamente qualificati nel settore dell’educazione all’imprenditorialità e all’innovazione e ha trovato sostegno nelle imprese del territorio, ora si tratta di procedere, in collaborazione con le istituzioni scolastiche, alla sua introduzione nei curricola di studio. NICOLETTA MINNEI Sovrintendente scolastica - Provincia autonoma di Bolzano RENZO RONCAT Direttore della ripartizione Intendenza scolastica in Lingua italiana Provincia autonoma di Bolzano La nostra scuola deve necessariamente cambiare e giá da alcuni anni abbiamo puntato la nostra attenzione sull’importante binomio scuola-lavoro. Essere bravi a scuola non basta più perché lo studio da solo non garantisce più un’occupazione: sbagliato considerare scuola e lavoro come percorsi completamente diversi e distanti. Proprio il mondo del lavoro deve essere la guida per acquisire nuove conoscenze e nuove competenze nel percorso formativo dei nostri ragazzi. Diventa strettamente necessario entrare nel mondo del lavoro già in fase scolastica e continuare a studiare una volta acquisita un’occupazione. Ogni singolo studente deve trasformarsi in imprenditore di se stesso cercando di costruirsi la propria carriera professionale guardando non al presente, ma al mondo come sarà tra 5 o 10 anni e noi dobbiamo dare ai nostri studenti gli strumenti adatti per fare questo. La scuola deve riuscire a trasmettere non solo la tradizionale preparazione accademica, ma deve aiutare a sviluppare tutte quelle capacità trasversali quali ad esempio la capacità di risolvere i problemi, lavorare in gruppo o essere orientati al risultato, che sono necessarie per il mondo occupazionale che attende i nostri ragazzi. Visto il momento economico difficile che stiamo attraversando, è essenziale ambire ad una forza lavoro qualificata per sviluppare un’economia che riesca ad essere competitiva, sostenibile e innovativa. Con questi obiettivi si è sviluppato Camp for Company con l’intento di sviluppare e promuovere tra i banchi della scuola una cultura dell’imprenditorialità e dell’innovazione e ci auguriamo possa a breve essere considerato fondamentale e una reale possibilità per migliorare il futuro dei nostri studenti. CHRISTIAN TOMMASINI Vicepresidente della Provincia autonoma di Bolzano Assessore alla cultura, scuola e formazione in lingua italiana
Come trasmettere ai giovani lo spirito imprenditoriale? Fargli vivere in prima persona “le gioie e i dolori” che si incontrano quando ci si mette in proprio e far toccare loro con mano le sfide che si devono affrontare in questo percorso è una strategia vincente per riuscirci. Il progetto Camp for Company va esattamente in questa direzione, ed è già stato coronato dal successo in altri Paesi europei. Il TIS innovation park, in quanto sostenitore dei pionieri dell’innovazione, ha partecipato con gioia alla definizione di una strategia per la promozione della cultura dell’innovazione e dell’imprenditorialità nella scuola secondaria in Alto Adige: partire dai giovani è infatti l’unico modo per attuare il cambio di mentalità necessario che permetterà all’Alto Adige di giocare un ruolo di primo piano tra i motori economici europei dei prossimi decenni. NIKOLAUS TRIBUS Presidente del TIS innovation park La Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano si occupa di sostenere attività socio- culturali e, come recita il suo statuto, promuove e sostiene misure innovative, d’eccellenza, rilevanti dal punto di vista sociale e progetti che abbiano un effetto duraturo. Camp for Company ha tutte queste caratteristiche, anzi nè il prototipo. Investire nei giovani, dar loro una possibilità (in più) di formazione e interazione con il mondo del lavoro e con quello economico è per noi motivo di grande soddisfazione, specialmente in un momento come quello attuale nel quale i giovani devono confrontarsi con una realtà lavorativa molto incerta. Dar loro strumenti, contenuti, nuove competenze, lavorare con loro per sviluppare nuove idee imprenditoriali, trasmettere proprio quello spirito imprenditoriale così importante per completare la loro formazione e il loro curriculum assume anche un significato civile e sociale. La Fondazione sostiene e sosterrà quindi con grande passione questa iniziativa che si augura possa diventare una attività sistematica nell’ambito di tutti gli indirizzi scolastici. GERHARD BRANDSTÄTTER Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano
Introduzione Camp for Company. Un nuovo paradigma per nuovi apprendimenti Camp for Company (CfC) nasce facendo rete tra soggetti istituzionali impegnati a sostenere lo sviluppo sia delle persone sia del sistema e si connota come un Progetto-intervento volto alla promozione della cultura dell’innovazione e dell’imprenditorialità in Alto Adige. A livello teorico-metodologico, CfC si colloca nell’alveo dell’approccio della teoria dell’azione e interattivo-costruttivista; a livello prasseologico, fa riferimento alle raccomandazioni e direttive dell’Unione Europea, ad esempi di politiche pubbliche per l’adozione di tali direttive e a buone pratiche a livello sovranazionale. Il Progetto, che si rivolge alle classi IV e V della scuola secondaria, si configura come un processo di co-costruzione d’impresa che tiene a riferimento: modelli d’apprendimento ancorati nella pratica, esperienze di testimoni privilegiati, creazione di student companies. Si dà la finalità di formare e sostenere l’imprenditorialità e l’autoefficacia a livello individuale e di gruppo, e soprattutto la motivazione per il transfer di competenze. La metodologia didattica si caratterizza come un percorso di tutoring che fornisce il debito aiuto – nella forma di workshop, strumenti e tecniche coerenti con l’approccio scelto – per costruire, presentare, difendere e realizzare modelli di Business multilingui. L’auspicio è quello di continuare a lavorare secondo tale approccio e con queste finalità, perché questo è il modo migliore per fare imprenditorialità e progettazione esistenziale, quindi educazione permanente dalle prime scuole fino all’Università. LILIANA DOZZA Vice preside della facoltà di scienze della formazione Libera Università di Bolzano
Capitolo 1 Un paradigma nuovo per i nuovi bisogni d'apprendimento 1.1 I nuovi bisogni d’apprendimento 8 1.2 Il paradigma della divisione del lavoro 8 1.3 Alla ricerca di un paradigma nuovo 9 1.4 Il lavoro come agire collettivo 11 1.5 Lo spazio d’azione in Provincia di Bolzano 11 1.6 Le progettazioni già in atto 13 1.7 Il nuovo paradigma e i curricoli scoIastici 15 1.8 L’agire collettivo come 16 gruppo d’impresa: l’imprenditorialità 1.9 L’impresa basata sulla cooperazione 17 7
1.1 I nuovi bisogni di apprendimento E’ noto che, tra le stagioni dell’età evolutiva, l’adolescenza riveste un carattere straordinario: ricerca del sé, processi di identificazione di genere, sperimentazione dell’io sociale, affettivo, relazionale assorbono quantità enormi di energia psichica condizionando potentemente i processi di apprendimento dei giovani. In un arco temporale di circa sei anni si concentrano esperienze, prove, appuntamenti, decisioni che possono condizionare profondamente gli orizzonti di vita, gli atteggiamenti e le aspettative individuali. La delicatezza di questa fase dell’età evolutiva è accentuata dalla complessità delle dinamiche storico-sociali in cui oggi essa è immersa. La ricerca pedagogica e la progettazione educativa sono chiamate a fornire paradigmi nuovi che possano ispirare la concretezza dell’azione delle istituzioni formative ed educative a partire dalla consapevolezza e conoscenza dei nuovi contesti e dei nuovi bisogni. In questa sede siamo costretti a limitarci al solo contesto del progetto professionale del giovane in formazione tentando però di trarre da questa problematica anche alcune indicazioni generali che possano fungere da paradigma di riferimento in merito alla valutazione dei curricoli, dei saperi e degli approcci didattici. Orientamento e progettazione professionale costituiscono da sempre un passaggio chiave dell’età adolescenziale, i nuovi contesti determinati dalla rivoluzione digitale e dalla globalizzazione connotano però oggi tale passaggio di aspetti di imprevedibilità e indeterminatezza un tempo sconosciuti. E’ necessario interrogarsi sui nuovi profili che la scolarizzazione deve perseguire e formare ben sapendo che il desiderio di sperimentazione di sé e l’istanza di individuazione del sè propri dell’età adolescenziale esigono e richiedono modelli ed esempi che concretamente siano in grado di orientare e indirizzare i percorsi e i progetti di vita. 1.2 Il paradigma della divisione del lavoro La scolarizzazione, in età moderna, ha rappresentato lo strumento con cui gli Stati nazionali hanno perseguito le esigenze di omologazione proprie della nascente società di massa, le strutture portanti dei sistemi scolastici denunciano ancora oggi chiaramente la loro derivazione dai modelli della grande industria. Alcuni postulati del modello taylorista permangono tutt’ora visibili nella struttura ordinamentale, nei curricola, nelle culture professionali delle istituzioni scolastiche. La concezione del lavoro come attività sezionabile in funzioni che individuano e separano i momenti della progettazione e della decisione da quelli della realizzazione operativa si palesano anche sul piano degli ordinamenti laddove è evidente la previsione di indirizzi di studio deputati a formare le funzioni dirigenziali e indirizzi deputati a formare competenze tecniche o professionali. I curricola proseguono l’operazione applicando il paradigma taylorista alla definizione dei contenuti e dei metodi di apprendimento e la divisione rigida dei saperi entro le coordinate impermeabili delle discipline; la dislocazione delle 8
discipline nei curricoli ripropongono a livello culturale la logica della catena di montaggio e della separazione tra processi cognitivi astratti e processi cognitivi concreti gli uni e gli altri affidati a categorie diverse di individui. Anche le culture professionali presenti nel mondo dell’istruzione e formazione restano fortemente condizionate dal presupposto che la teoria si apprende con la teoria e la pratica si apprende con la pratica, di qui la grande difficoltà di individuare percorsi curricolari che, nel rompere questa distinzione, mettano al centro quella particolare e attuale forma di sapere chiamata competenza. Il paradigma taylorista si giustifica, ad un certo grado dello sviluppo storico, soprattutto in ragione della ancora ridotta complessità del sistema socio- economico. La produzione di conoscenza è di pertinenza di poche istituzioni, la produzione di beni materiali punta più ad abbassare i costi che a innovare i prodotti, il controllo dei mercati è fortemente esercitato con strumenti politico-militari, le posizioni di monopolio e il protezionismo tutelano gli assetti consolidati, la governance del sistema è garantita da una classe dirigente ristretta e da un funzionale sistema burocratico, tutto ciò consente al paradigma della divisione del lavoro di garantire il ricambio generazionale e la continuità dei processi. In quel sistema il cardine del profilo di cittadinanza è l’accesso al lavoro, attraverso di esso si ottiene collocazione stabile nel sistema dei diritti e dei doveri e un ruolo sociale dalle caratteristiche ben individuate. L’accesso al lavoro, d’altronde, risponde a condizioni e requisiti che il sistema è in grado di definire e formalizzare in percorsi formativi standardizzabili ispirati al paradigma fondativo della divisione del lavoro. Quel contesto, caratterizzato da orizzonti professionali molto delineati e stabili, varcati da direttrici nitide che separavano i settori economici, le figure professionali, i ruoli, le funzioni, le mansioni e consentivano ai sistemi formativi di tracciare le precise coordinate dei percorsi formativi, è venuto via via perdendosi. 1.3 Alla ricerca di un paradigma nuovo I processi di scolarizzazione e i sistemi a cui fanno riferimento sono chiamati oggi ad una funzione storica in gran parte mutata che va ricondotta a quella società post-moderna i cui connotati sono venuti chiarendosi in modo distinto negli ultimi anni. Lo scambio e la produzione di conoscenza grazie al web ha raggiunto gli strati sociali e i luoghi un tempo più lontani da questi processi, i saperi si sono rapidamente mescolati generando nuovi ambiti disciplinari, nuovi prodotti culturali, una rapidità inaudita di nuove produzioni, nuovi saperi, nuove scoperte. La produzione ha visto rivoluzionati i propri canoni e i propri sistemi, il primato dell’investimento innovativo ha determinato la richiesta di profili professionali totalmente rivoluzionati rispetto al passato. La globalizzazione ha rotto il sistema della divisione politica dei mercati consentendo a nuovi soggetti di inserirsi come global player nella competizione economica. Le funzioni di deliberazione e di direzione sono andate decentrandosi, il governo dei processi oggi è possibile solo con il coinvolgimento di tutti gli attori. Forte è l’esigenza di riconvertire la burocrazia che da strumento di gestione dei 9
processi separato dagli stessi tende sempre più a ridefinirsi come funzione di servizio inclusa nei processi e integrata negli stessi. Il concetto stesso di classe dirigente come nucleo ristretto di funzioni a cui sono demandate le decisioni e le iniziative si riconverte in un concetto nuovo di direzione meglio ricompreso in espressioni quali governance diffusa, principio di sussidiarietà, accordo di rete, co-decisione. Nel sistema sommariamente illustrato la divisione del lavoro esercita un ruolo residuale, non scompare ma non è più l’architrave su cui poggia il sistema stesso, è necessario individuare le conseguenze, sul versante dei percorsi di scolarizzazione, del cambio di paradigma cui stiamo assistendo. Proviamo ad analizzare alcune manifestazioni del nuovo paradigma: siamo di fronte a processi che erodono, fino a farle scomparire, le distinzioni rigide tra settori economici e, dentro questi, tra compiti e funzioni professionali. Si fa strada in ogni settore la compenetrazione tra competenze e saperi provenienti da ambiti differenti, nei project team è richiesta la presenza di specializzazioni da aree disciplinari molto distanti e dunque l’abitudine a farsi carico della dialettica tra linguaggi e strumenti interpretativi molto difformi. Nelle imprese ha sempre più peso la richiesta di governare processi sconosciuti rispetto a quella di implementare processi conosciuti. In ogni contesto professionale cresce la rilevanza delle competenze organizzative, comunicative, relazionali, competenze per loro natura acquisibili solo in situazione e in presenza. La predisposizione ad osservare con occhio critico i processi e i prodotti e a cogliere modalità innovative per gli stessi costituisce probabilmente l’abito mentale più aderente ai nuovi contesti. Tale abito mentale si fonda su una varietà di componenti che vanno da aspetti di organizzazione consapevole della percezione (attenzione ai particolari, percezione sin-estetica, abitudine al decentramento prospettico, ecc.), ad aspetti di natura logica (trovare creativamente delle soluzioni a problemi apparentemente insolubili e paradossali, applicare prospettive e linguaggi provenienti da ambiti disciplinari un tempo distanti e incomunicanti,ecc.), per arrivare a componenti di natura culturale (concezione del lavoro, concezione del collettivo, rappresentazione etica e valoriale) e relazionale (abitudine al dialogo, alla ricerca, all’inclusione, all’organizzazione e alla valorizzazione degli altri). Dovendo raccogliere in un’unica espressione il nuovo paradigma lo potremmo chiamare azione collettiva. In team 10
1.4 Il lavoro come agire collettivo Il profilo nuovo assunto dal lavoro al tempo della rivoluzione digitale e della globalizzazione si identifica in una caratteristica che tende sempre a crearsi qualunque sia il rapporto di lavoro, il ramo di attività, la natura del soggetto economico preso in considerazione. Questa caratteristica è la tendenza del lavoro ad essere azione inclusiva che interroga e chiama al coinvolgimento decisionale molto più di quanto non divida e parcellizzi. Ciò non significa che non esistano più le specializzazioni ma che esse non risolvono di per sé i ruoli e i compiti dei singoli attori; la parte di gran lunga prevalente consiste nelle capacità espresse dal gruppo di coinvolgere, mobilitare energie, generare nuovi saperi. Il paradigma dell’azione collettiva implica nuovi assetti organizzativi, nuove modalità di comunicazione, nuove modalità di gestione delle risorse umane ma anche nuove strategie di impresa, nuove forme societarie, nuove modalità di inclusione del lavoro nei processi decisionali. Questo quadro di analisi necessariamente sintetico è lo sfondo per comprendere la portata della pressione che si esercita oggi sui sistemi di istruzione e formazione affinché aggiornino le loro coordinate. Le raccomandazioni dell’U.E, l’introduzione di progetti internazionali di valutazione delle competenze delle alunne e degli alunni, l’istituzione di un quadro europeo delle competenze linguistiche con relativa certificazione, l’individuazione di competenze chiave e l’insistenza con cui se ne raccomanda la cura, sono solo alcuni esempi dell’attenzione con cui si guarda, soprattutto in Europa, al ruolo della scolarizzazione come primo fondamentale laboratorio della nuova cittadinanza. La cittadinanza, intesa come condizione di esistenza integrata nel sistema di relazioni sociali, in grado di valorizzare le qualità e competenze individuali e di fornire al singolo adeguati spazi di realizzazione politica, professionale e umana, resta la finalità più alta dei processi di scolarizzazione. Si tratta però di individuare cosa è indispensabile oggi all’individuo per il suo esercizio libero e consapevole e successivamente di capire quali esperienze di apprendimento coerenti a questo fine la scuola debba fornire. Una scolarizzazione che non prendesse in considerazione la dimensione nuova assunta dal lavoro nei nuovi contesti e che non si interrogasse sugli strumenti necessari ai giovani per poter realmente realizzare sé stessi nell’ambito della vita reale sarebbe una scolarizzazione fasulla, un tradimento della funzione di emancipazione umana che la scuola ha storicamente ricoperto. 1.5 Lo spazio d’azione in Provincia di Bolzano Numerosi sono i riferimenti normativi che orientano il sistema d’istruzione e formazione della Provincia di Bolzano verso una crescente apertura alle problematiche del lavoro, dell’impresa e dell’imprenditorialità. Grazie agli art. 8 e 9 del DPR 31 agosto 1972, n. 670 (testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino- Alto Adige) e al DPR 10 febbraio 1983, n. 89 la Provincia di Bolzano dispone di un’ampia autonomia legislativa 11
in materia di ordinamento scolastico. In particolare l’art.9 del citato DPR 10 febbraio 1983, n. 89 consente alla Provincia di adottare con propria legge le modifiche dei programmi e degli orari di insegnamento e di esame, ivi compresa l’introduzione di nuovi insegnamenti, per le scuole di ciascun gruppo linguistico. La Provincia può dunque individuare, sulla base delle ricerche di settore, i percorsi didattici più idonei e rispondenti alle esigenze culturali e linguistiche dei gruppi residenti sul territorio e adottare, sentito il parere del CNPI, tutti i provvedimenti normativi necessari alla realizzazione degli stessi. La Legge provinciale 24 settembre 2010, n.11 disciplina l’ordinamento del secondo ciclo d’istruzione e formazione della Provincia autonoma di Bolzano; all’art. 1 comma 3 la legge affida ai percorsi del secondo ciclo il compito di promuovere lo sviluppo di specifici interessi e talenti, assicurare il successo scolastico e le pari opportunità formative anche ai fini dell’inserimento nel mondo del lavoro. La medesima legge all’art.7 prevede che le istituzioni scolastiche del primo e del secondo ciclo favoriscano scelte adeguate in relazione al proseguimento degli studi attraverso azioni di orientamento realizzate in collaborazione tra loro. Tali azioni comuni debbono mirare alla promozione della formazione e dello sviluppo della personalità delle studentesse e degli studenti nonché alla prevenzione della dispersione scolastica. Alle istituzioni scolastiche e formative del secondo ciclo è affidato il compito di realizzare azioni di orientamento volte al sostegno di scelte adeguate al proseguimento degli studi d’ordine superiore e all’inserimento nel mondo del lavoro. Alle scuole è anche richiesta la collaborazione sinergica con il mondo del lavoro, con la realtà produttiva del territorio, con gli istituti educativi e di ricerca locali e con le associazioni giovanili nonché lo scambio di studenti con scuole in Italia e all’estero. Le Indicazioni Provinciali per la definizione dei curricoli del secondo ciclo d’istruzione prevedono che già durante il primo biennio (Delibera GP n 2041 del 13 dicembre 2010) le scuole dispongano di spazi di autonoma gestione del curricolo allo scopo di articolare le aree di indirizzo fino al 40% dell’orario annuale delle lezioni per corrispondere alle esigenze del territorio e ai fabbisogni formativi espressi dal mondo del lavoro e delle professioni. Gli spazi di flessibilità possono essere utilizzati per realizzare specifici percorsi all’interno di un preciso profilo culturale in risposta alle vocazioni del territorio, ai bisogni dell’utenza e nel rispetto dell’equilibrio dell’offerta formativa territoriale. Per il secondo biennio le Indicazioni provinciali per la definizione dei curricoli prevedono l’approfondimento di nuclei tematici funzionali all’orientamento e alla scelta tra prosecuzione degli studi o entrata nel mondo del lavoro anche mediante attività di mobilità studentesca, di stage o di tirocinio. (Delibera GP n. 1301 del 3.09.12. Indicazioni provinciali per il secondo ciclo di istruzione (2° biennio e 5° anno). Le azioni d’orientamento, finalizzate allo studio post-diploma, alle professioni e al lavoro, diventano attività istituzionali per tutti gli istituti di istruzione secondaria superiore, statali e paritari. Esse si inseriscono strutturalmente nel Piano dell’offerta formativa del secondo biennio e del quinto anno, per essere modulate allo scopo di assecondare i talenti e gli interessi degli studenti. Le azioni di orientamento sono intese come attività didattiche che mettano in grado le/gli studentesse/i di: • valutare le proprie capacità, i propri interessi e le proprie aspirazioni (bilancio delle competenze) nei confronti dello studio post-diploma o del lavoro; • sviluppare competenze metodologiche finalizzate ad assumere decisioni; 12
• riconoscere i cambiamenti intervenuti nel sistema della formazione e del mercato del lavoro; • utilizzare strumenti per la ricerca attiva delle opportunità formative e lavorative (redazione e diffusione del CV, accesso a banche dati ecc.). La norma richiama a questo riguardo l’attenzione dei dirigenti e dei docenti sulla necessità di utilizzare metodologie didattiche “attive” e di avvalersi di “organici collegamenti” con il mondo esterno alla scuola: gli altri Enti formativi, compresi il mondo del lavoro, il volontariato e il privato sociale. In tutti gli istituti del secondo ciclo d’istruzione e in tutti gli indirizzi sono introdotti gli stage e i tirocini come esplicitazione di un preciso indirizzo pedagogico che concepisce il luogo di lavoro come luogo di apprendimento. L’ente/organizzazione/impresa che ospita lo studente assume il ruolo di contesto di apprendimento complementare a quello dell’aula e del laboratorio. Attraverso la partecipazione diretta al contesto operativo, quindi, si realizza quella socializzazione e permeabilità tra i diversi ambienti, nonché quello scambio reciproco delle esperienze che concorre alla formazione della persona. Le componenti di base 1.6 Le progettazioni già in atto Riguardo alla tematica della cultura d’impresa e dell’imprenditorialità nelle scuole secondarie di secondo grado in lingua italiana della provincia di Bolzano si possono riscontrare a grandi linee tre tipi di atteggiamento. Dall’analisi dei piani dell’offerta formativa si può evincere che alcune scuole hanno scelto di mettere in particolare risalto le attività destinate a promuovere la cultura d’impresa e il collegamento con il mondo del lavoro, altre hanno scelto invece di darne una indicazione più sintetica e generale, altre ancora hanno scelto di dare poco spazio a questo tipo di aspetti. Va tuttavia sottolineato che non sempre vi è una corrispondenza o equivalenza fra lo spazio dedicato nei POF all’esposizione delle iniziative e l’effettiva attività svolta dalle scuole in collaborazione con le aziende e gli enti presenti nel territorio. Le attività e i progetti in questo settore si concentrano soprattutto negli istituti 13
tecnici e professionali e seguono soprattutto la tipologia dell’alternanza scuola- lavoro e dello stage di orientamento al lavoro. Per realizzare questo genere di attività le istituzioni scolastiche hanno incaricato un docente referente e costituito una rete di contatti e rapporti con soggetti sia pubblici che privati promuovendo accordi, intese, convenzioni. In alcuni istituti tecnici e professionali si realizzano anche percorsi secondo la tipologia dell’azienda simulata. Da un punto di vista quantitativo circa 300 studenti degli Istituti di istruzione secondaria superiore della provincia di Bolzano nell’anno scolastico 2012 – 2013 sono stati protagonisti di un’esperienza di stage o tirocinio, questo tipo di esperienza è principalmente rivolta agli studenti delle classi quarte, tranne che per gli Istituti di Istruzione professionale che la propongono agli studenti a partire dalla classe terza; la cifra rappresenta circa un terzo degli studenti frequentanti il quarto anno. Da questa sintetica indagine risultano confermate alcune linee di tendenza: • l’esperienza del lavoro e dell’incontro con l’economia è progettata prevalentemente negli istituti tecnico-professionali; • le tipologie di esperienza proposte rispondono ancora fortemente al parametro del lavoro alle dipendenze; • a due terzi circa degli studenti questa opportunità non viene offerta. Nel curricolo prevale ancora fortemente il medium verbale e il trasferimento di strutture concettuali che vedono il docente nel ruolo di emittente e il discente nel ruolo di destinatario, l’operatività resta incardinata sulle strutture dei linguaggi formali e per loro tramite solo evocativa di fenomeni reali. L’introduzione nel curricolo di esperienze capaci di richiamare situazioni problematiche della vita reale e che richiedono competenze autentiche rappresenta una condizione sine qua non per dare alle/ai giovani adolescenti un contesto di scolarizzazione adeguato alle sfide socio-professionali cui saranno a breve chiamate/i. Abbiamo più sopra evocato il paradigma dell’azione collettiva, intorno ad esso si sviluppa la proposta di un nuovo curricolo delle competenze. La consapevolezza delle proprie attitudini 14
1.7 Il nuovo paradigma e i curricoli scoIastici Abbiamo già visto più sopra che la legislazione scolastica ha recepito le sollecitazioni verso un avvicinamento dei curricoli al versante dell’agire e dell’operare e conseguentemente all’ambito della formazione di competenze spendibili nei contesti della vita reale. Non si deve tuttavia dissimulare la condizione ancora marginale e a tratti para-scolastica che ancora occupano queste problematiche e queste progettualità nei curricoli delle istituzioni scolastiche. Relegate in un arco di tempo molto ridotto - perlopiù durante il quarto anno- esse sono, anche in questa forma ridotta, comunque totalmente assenti nel curricolo di due studenti su tre. L’agire collettivo come modalità di attivazione dei processi di apprendimento è ancora fenomeno piuttosto raro presso le istituzioni scolastiche dove invece resta prevalente la separazione tra apprendere ed agire. L’apprendere continua ad essere interpretato come restituzione da parte di un discente di quanto comunicato da un docente e l’agire continua ad essere demandato a situazioni straordinarie e comunque collocate per lo più nell’extra- scuola. Se indaghiamo brevemente la fenomenologia dell’agire collettivo e la rapportiamo ai processi di apprendimento scopriamo quale potenziale va perso ogniqualvolta i percorsi formativi trascurano questa modalità nei loro percorsi. L’azione collettiva è attività in primo luogo deliberativa, l’individuo accede ad una dimensione politica e sperimenta i meccanismi del dialogo, della ricerca, della decisione e della responsabilità. Si tratta del più rilevante processo di identificazione e del più formidabile veicolo di autostima ed auto-efficacia a disposizione dei sistemi formativi. La partecipazione a processi deliberativi orientati ad avviare un’azione comune proietta l’adolescente nella dimensione adulta e gli fornisce le competenze politiche (politeia ovvero l’agire collettivo attraverso patti e promesse) necessarie alla vita attiva che oggi è fusa con la vita lavorativa. L’azione collettiva è attività ideativa con sperimentazione dei vincoli di realtà e insieme dei processi del ragionamento ipotetico e di quello congetturale; nella deliberazione delle finalità dell’agire e dei suoi obiettivi si attivano processi cognitivi di logica applicata che consentono la fusione di orizzonti; infine nell’azione collettiva la dimensione politico/morale (cosa è giusto fare) si fonde con quella tecnico/funzionale (come si può fare). L’azione collettiva è organizzazione del lavoro e consapevolezza delle sue molteplici implicazioni (negoziazione, valorizzazione, comunicazione, valutazione, ecc.), si tratta di passare dalle procedure del soggetto individuale a quelle del soggetto collettivo affrontando in situazione le complesse problematiche della leadership, del coinvolgimento, della governance dei sistemi e dei processi. Il soggetto collettivo deve essere in grado di gestire la varietà delle linee di intervento (ricerca e progettazione, gestione finanziaria, produzione, logistica, marketing, clienti, ecc.) assicurando il pieno coinvolgimento e insieme efficienza, efficacia, economicità. L’azione collettiva è uso funzionale e consapevole della rete e dei social network: infatti le potenzialità del web si dislocano in una dimensione inedita 15
in quanto grazie all’operatività e intenzionalità propria del soggetto collettivo può generarsi il nuovo abito mentale proprio della cittadinanza digitale: il glocal. Solo l’azione collettiva dispone delle competenze necessarie per intersecare il globale e il locale in modo che sia l’uno che l’altro possano realmente arricchirsi. E’ necessario dunque entrare nei curricoli di istituto con la chiarezza dell’obiettivo: il paradigma della divisione del lavoro (antinomie docente- discente, teoria-pratica, scienze umane-scienze naturali, conoscere-agire, ecc.) non ha la necessaria efficacia per fornire quel tipo nuovo di intelligenza richiesto dal nuovo paradigma dell’agire collettivo. Il principio di responsabilità sociale del sistema di istruzione e formazione deve muovere verso l’introduzione nei curricoli di forti momenti di innovazione ispirati al nuovo paradigma. 1.8 L’agire collettivo come gruppo d’impresa: l’imprenditorialità L’agire collettivo nei sistemi di apprendimento può darsi solo a patto di aprire, nel curricolo di istituto, uno spazio nuovo non condizionato dalle antinomie della divisione del lavoro. Molti sono dunque gli aspetti che non possono essere riproposti, ecco alcuni tra i più rilevanti: • non può essere una disciplina da insegnare, • non può fondarsi sulla separazione della teoria dalla prassi, • non può basarsi sulla divisione tra chi sa (docente) e chi non sa (discente), • non può mantenere la divisione dei saperi e tanto meno la separatezza disciplinaristica, • non può mantenere la divisione degli spazi e dei tempi, • non può mantenere la divisione tra chi valuta e chi è valutato. Spazio di investimento culturale, relazionale, affettivo, l’agire collettivo non può essere una simulazione ma deve essere invece un’occasione di immersione reale in una identità individual-collettiva con i rischi e le opportunità che questa comporta. Spazio di scoperta e di invenzione, l’agire collettivo deve misurarsi con la fenomenologia autentica della sfida che impegna, responsabilizza e sollecita passione conoscitiva. Spazio di gestione di processi complessi, l’agire collettivo non deve occultarne la dimensione problematica, situazionale, spesso caotica e comunque sempre elenctica rispetto agli stereotipi dell’agire burocratico funzionale. Aprire il curricolo a questa dimensione significa allora non tanto portare nelle aule problemi della vita reale ma piuttosto portare nelle aule lo strumento di azione della vita reale e interfacciare questo strumento con la sua dimensione naturale: la produzione di beni e servizi. Sono l’imprenditorialità e l’impresa a divenire nel curricolo il quadro di riferimento funzionale al nuovo paradigma dell’agire collettivo; non è, si badi bene, una scelta aziendalista né tanto meno l’abdicazione della pedagogia a favore dell’economia. E’ piuttosto lo sforzo di affrontare con concretezza il nodo teorico dei nuovi saperi e delle nuove forme di apprendimento ben sapendo quanto oggi i profili di scolarizzazione richiedano una intelligenza dal baricentro fortemente allungato sul versante dell’iniziativa, dello spirito creativo, 16
dell’istanza collaborativa e relazionale. L’imprenditorialità fecondata dal nuovo paradigma dell’agire collettivo assume un abito mentale inedito, l’impresa diventa cifra dell’agire nella società della globalizzazione e del cyberspazio. Non ci sono altre strade per formare i nuovi profili di scolarizzazione se non quella di accompagnare gli adolescenti nell’esperienza della messa a frutto dell’intelligenza collettiva dentro i contesti del fare impresa e del mercato. Un’imprenditorialità che dilata la sua funzione pedagogica in quanto è la risposta all’adolescente che chiede di mettersi alla prova, è l’offerta di spazio e tempo per agire, comunicare, confrontarsi, ideare,confutare, calcolare, programmare, organizzare, valutare, il tutto sempre a partire da un team che è il vero e unico soggetto d’impresa. 1.9 L’impresa basata sulla cooperazione Proprio per accentuare il primato del collettivo e la rilevanza che il principio isonomico comincia a rivestire nelle moderne forme di organizzazione, lo strumento imprenditoriale che si propone è quello dell’impresa organizzata e gestita con metodi cooperativi. L’impresa orizzontale è in grado di associare l’istanza funzionalistica (nuovi profili cognitivi, nuove competenze) con l’istanza etica (il lavoro come risorsa sociale della comunità) consentendo ai giovani di fare insieme l’esperienza del mercato e quella della comunità. L’esperienza del mercato è necessaria per saldare il progetto d’impresa ai vincoli di realtà e alle condizioni reali del suo esercizio, misurarsi con un business plan non come semplice esercitazione scolastica ma come veicolo di un’azione reale è la condizione imprescindibile per mobilitare e appassionare il gruppo. L’esperienza di comunità è necessaria ai giovani per uscire da impostazioni individualistiche e narcisistiche del comportamento. L’impresa basata sul principio cooperativo consente l’esperienza della costruzione di una corporate identity nella garanzia che ciascuno sia chiamato a fare la propria parte entro regole del gioco che esaltano la discussione e il principio di isonomia. L’impresa basata sul principio cooperativo innesta il paradigma dell’azione collettiva entro le coordinate della storia del movimento dei lavoratori, questo consente ai giovani di riscoprire anche la continuità con il passato e il riproporsi in versione aggiornata delle antiche istanze del modo del lavoro. La distribuzione ineguale dei mezzi di produzione e del capitale è il tratto distintivo che separa chi può agire e intraprendere da chi non ha i mezzi per agire e deve dunque mettersi al servizio, l’emancipazione attraverso l’impresa cooperativa riafferma anche nei contesti educativo/formativi il proprio orizzonte di senso. I giovani che si misurano con un’azione collettiva e la intraprendono fondando un’impresa cooperativa assumono, rispetto al nodo dell’orientamento e dell’occupabilità una posizione completamente differente rispetto ai giovani che non hanno modo di fare esperienze di questo tipo. Per definire il valore aggiunto, il guadagno di questa esperienza non è infatti sufficiente fare riferimento alla mobilitazione di energie e di motivazioni e non basta nemmeno aggiungervi le molte competenze, non ultime quelle sociali, relazionali, comunicative, organizzative che vengono messe in gioco. Il vero guadagno è probabilmente la fusione di tutto questo, fusione che permette la conquista di una nuova prospettiva da cui osservare il proprio futuro, una prospettiva da condividere con gli altri con l’identico desiderio di agire. 17
Camp 4 company Capitolo 2 Il mondo dell’impresa Progetti nelle scuole per far creare incontra la scuola un’azienda agli studenti
Capitolo 2 Il mondo dell’impresa incontra la scuola 2.1 Introduzione 22 2.2 Skills di imprenditorialità richiesti 22 da realtá internazionali a neo-diplomati e buone pratiche internazionali di corsi formativi 2.2.1 Skills di imprenditorialità 22 2.2.2 Buone pratiche di corsi formativi 25 2.3 Università di Verona: Un lavoro da … protagonista! 28 2.4 L’indagine 31 2.4.1 Le domande 31 2.4.2 La ricerca nel Triveneto 32 2.4.3 Gli imprenditori locali 33 2.4.4 Caratteristiche del futuro imprenditore 33 2.4.5 Il mondo degli imprenditori incontra la scuola 34 2.4.6 Diplomati e mondo del lavoro: quali iniziative 35 21
2.1 Introduzione All’interno della progettazione dell’educazione all’imprenditorialità e nella preparazione di tutte le iniziative collegate si è pensato fondamentale andare a verificare quale fosse la percezione del mondo dell’imprenditoria reale, quella presente sul territorio, rispetto al ruolo che può avere l’istituzione scolastica nella preparazione di una generazione di studenti consapevoli e preparati anche alla libera iniziativa economica. Questo capitolo si compone di tre parti: • nella prima parte l’Istituto IXL Center (Center for Innovation Excellence and Leadership), una delle principali società al mondo di consulenza strategica e di formazione nel campo dell’ innovazione, presente in 11 paesi del mondo e attiva da 35 anni, riassume in un contributo quanto emerge a livello mondiale sulla tematica “Skills di imprenditorialità richiesti da realtá internazionali a neo- diplomati”, portando anche alcuni esempi di buone pratiche esistenti a livello scolastico in Europa e nel mondo; • nella seconda parte l’Università di Verona, sulla base della propria esperienza sugli studenti post-diploma, si interroga su come i giovani debbano muoversi se intendono mettere alla prova le proprie competenze imprenditoriali; • nella terza parte invece si riportano i risultati di un’indagine sulla percezione che gli imprenditori hanno del ruolo della scuola e di cosa effettivamente si faccia e cosa manchi ai neo-diplomati nella nostra realtà. Tutte queste considerazioni portano ad una riflessione su quanto sia concretamente utile e necessario implementare nella scuola per rispondere alle necessità di un mercato del lavoro profondamente diverso da quello del passato. 2.2 Skills di imprenditorialità richiesti da realtà internazionali a neo-diplomati e buone pratiche internazionali di corsi formativi 2.2.1 Skills di imprenditorialità Situazione È opinione comune che la crisi economica internazionale tuttora in corso abbia cambiato il mondo. Innumerevoli aziende sono state costrette a ridurre le proprie attività o chiudere i battenti, con conseguente aumento della disoccupazione, in particolar modo di quella giovanile. Nonostante si scorgano segni di miglioramento all’orizzonte, risulta chiaro che il mondo futuro sarà diverso da quello del 2007. Secondo uno studio della società di consulenza Mc Kinsey1, tra i principali motivi che preoccupano l’80% del management di società appartenenti al S & P 500 (le 500 aziende a maggiore capitalizzazione degli USA), emergono: a) la crescente incertezza sul futuro; b) la crescente complessità nello svolgere attività imprenditoriali; c) la velocità con cui cambiano le cose. Un punto di partenza, è la scuola superiore, il cui compito è preparare i giovani ad un mondo sempre piú complesso, competitivo, globalizzato e veloce. 22
Insegnando loro le competenze necessarie per “vincere” in questi scenari, li si aiuterà ad a) essere piú “appetibili” per aziende internazionali; b) portare maggiore valore aggiunto ad aziende nazionali; c) essere meglio preparati per lanciare nuove iniziative imprenditoriali/assumere la direzione di aziende di famiglia. Bisogno Iniziamo dal capire quali competenze vengono maggiormente richieste dalle aziende (specialmente aziende focalizzate su mercati internazionali) ai propri collaboratori. Secondo un’analisi pubblicata dal quotidiano inglese “The Guardian” (primavera 2013)2, le competenze/caratteristiche tra le più richieste (e meglio retribuite) dalle imprese (numero d’annunci analizzati 500.000) per assumere nuovi addetti risultano essere: A) “Capacità organizzative” Cary Cooper, professore di psicologia organizzativa e della salute alla Lancaster University, interpreta questa richiesta come la capacità di “cavartela nel caso che tu venga gettato nell’acqua fredda”. Questa caratteristica va interpretata come flessibilità e capacità di individuare autonomamente soluzioni ai problemi. Da questo punto di vista i giovani italiani possono avere un vantaggio in questo campo in quanto in Italia, si è per definizione abituati a ragionare in tal modo. B) “Capacità di comunicazione e leadership” Questo termine è obiettivamente difficile da interpretare. Talvolta, questo termine può riferirsi alla capacità di mostrarsi sicuri di se stessi davanti ai clienti oppure, come capacità di lavorare in gruppo. Secondo Kirwan Hack, del reparto gestione risorse umane della società di consulenza Fairplace Cedar3 (specializzata nelle ristrutturazioni aziendali), la seconda è l’interpretazione prevalente. Questo vale anche nel caso in cui si debba lavorare in team multiculturali. Leadership consiste nella capacità di motivare collaboratori a dare il loro meglio e di indirizzarli al raggiungimento di obiettivi comuni. C) “Passione e motivazione” Anche questo termine si presta ad interpretazioni differenti. Sempre Cary Cooper, interpreta questa qualità come “to self-start”, cioè la capacità di trovare soluzioni adeguate a problemi, in maniera autonoma. D) “Buone competenze tecniche specifiche all’attivitá svolta” È interessante notare che le “competenze tecniche” appaiano solamente al quarto posto. Non c’è dubbio che, se si ricerca un infermiere qualificato, esso debba dimostrare qualifiche adeguate. È d’opinione comune che siano preferiti coloro che riescono ad applicare competenze tecniche per creare valore per l’azienda a coloro che sono “bravi sulla carta”. Secondo l’esperienza maturata da IXL-Center lavorando con aziende attive in tutti i settori, certificazioni internazionali come ad esempio “PMP” (project management professional) o “GIMI” (innovation manager professional) possono dare un vantaggio competitivo a chi le possiede. E) “Modestia e spirito di sacrificio” Secondo il professor Cooper, l’importanza di questa caratteristica è destinata 23
a crescere. Certamente, in una fase di economia stagnante, è diventata cosa comune per le aziende essere sotto organico. Questo significa che in molti casi viene richiesto ai collaboratori di essere disposti a fare cose al di fuori del proprio livello di competenza , sia verso l’alto che verso il basso. F) “Buona padronanza di lingue straniere” È di dominio comune il fatto che molte aziende danno per scontata una buona padronanza della lingua inglese, sia scritta che orale. La padronanza di ulteriori lingue parlate in mercati importanti per l’azienda (es. cinese mandarino, russo o spagnolo) possono aumentare l’attrattività di un neo-diplomato per aziende che esportano.4 G) “Curiosità e desiderio di migliorare continuamente” Secondo Kirwan Hack di Fireplace Cedar, questa caratteristica può essere interpretata come l’energia ed il “fuoco” che si dimostra per l’attività assegnata. Caratteristica senza la quale, specialmente in periodi di difficoltà, è difficile sopravvivere. Il desiderio di migliorare continuamente presuppone anche il desiderio di innovare. I) “Track record” (risultati raggiunti in passate attività) Secondo Kirwan Hack, questa caratteristica è una delle caratteristiche meglio retribuite. Termine anglosassone, indica i risultati ottenuti in occupazioni passate, sia lavorative che scolastiche. Quali ad esempio i voti ottenuti a scuola, l’ottenimento di premi, la vincita di borse di studio o i risultati raggiunti in occupazioni passate come ad esempio l’aumento di fatturato generato, il numero di brevetti registrati, l’aumentato del tasso di soddisfazione dei clienti. L) “Carattere Innovativo; empatia e creativitá” Alcune attività richiedono di essere creativi. Il prof. Cooper suggerisce che essere “creativo” non è sinonimo di “scheggia pazza”, ma è una caratteristica che consente di riuscire a pensare ed agire in maniera nuova, per trovare soluzioni concrete a problemi. IXL-Center, da diverso tempo nota una convergenza tra le attività svolte da studi di design industriale (empatia e fantasia) e quelle svolte dalle società di innovazione strategica (struttura e disciplina) e mira a sviluppare collaborazioni integrate che portino a soluzioni uniche più velocemente e con meno rischio5. Società come Ideo Design (www.ideo.com), Frog Design (www. frogdesign.com) o Design Continuum (www.continuuminnovation.com) sono esempi di società che hanno applicato tale metodologia. Soluzioni possibili Le qualità/competenze richieste dalle aziende ai propri dipendenti e collaboratori, ed in particolare a giovani diplomati, sono diverse, ma il denominatore comune rimane “l’imprenditorialità”. In linea di massima la flessibilità, la fantasia e l’empatia proprie degli studenti italiani, porta a pensare che essi dovrebbero avere una “marcia in più” rispetto ad altri giovani di altri paesi. Effettivamente è così ma permangono delle lacune da colmare, in particolare la relativa capacità di comunicazione e le minori capacità organizzative (tra gli skills più richiesti) che possono diventare degli scogli difficili da sormontare. Proprio per questo motivo è vitale inserire nel proprio percorso scolastico corsi riguardanti 24
l’imprenditoria e l’innovazione. Essi permettono, in prima istanza di: • riconoscere e dare struttura alle proprie idee (anche imprenditoriali); • acquisire la disciplina per riuscire ad iniziare un’attività e portarla a termine; • imparare la capacità di lavorare in gruppo e prendere posizioni sulle tematiche proposte. Infine sarebbe ideale integrare le attività sopradescritte con lo studio di una lingua straniera, dando la preferenza alla lingua inglese. 2.2.2 Buone pratiche di corsi formativi Risulta chiaro che le qualità/competenze indicate sopra, sono trasversali e non caratterizzano esclusivamente la sfera imprenditoriale. Forse questo è il motivo per cui tra il 1985 ed il 2008, tra scuola superiore e università, il numero dell’offerta di corsi di imprenditoria sia aumentato a livello mondiale di 20 volte (dati Fondazione Kauffman)6. Una recente ricerca della “rete per insegnare imprenditorialità” (NFTE)7 sostiene che il valore aggiunto derivante dall’insegnamento ai giovani di come gestire un azienda, va oltre la creazione delle prossime generazioni di imprenditori “star” ma ha anche un forte impatto sociale sulla riduzione della povertà. Uno studio di NFTE su un campione di oltre 500.000 studenti, per lo più di scuole medie e superiori e con basso reddito, ha mostrato che: • gli studenti che hanno completato un programma di imprenditoria giovanile NFTE hanno raggiunto migliori risultati scolastici rispetto ai loro coetanei; • il 99% di alunni di età superiore ai 25 anni che hanno seguito corsi di imprenditoria hanno un diploma di scuola superiore, contro il 85 % dei loro coetanei; • il tasso d’abbandono scolastico per alunni che hanno seguito corsi scolastici NFTE tra i 16 ei 19 anni è stato di 1%, a fronte di una media nazionale (USA) del 3,4%. La metà degli alunni dei corsi di imprenditoria NFTE che si sono laureati al college ha ottenuto una laurea in scienza, tecnologia , ingegneria o matematica. Secondo l’amministratore delegato di NFTE Amy Rosen, molti bambini prendono tra i 12 o 13 anni decisioni che influenzeranno la loro vita. E’ quindi lecito domandarsi se, e quanto, può cambiare la vita di una persona frequentare un corso che gli offre le giuste basi per posizionarsi meglio rispetto alle aspettative del mercato e della società? La risposta di Amy Rosen è: « ho visto tante volte che è possibile. Oggigiorno vengono offerti diversi corsi di imprenditorialità da diverse scuole, ricordiamoci però che non è sufficiente preparare del materiale didattico, ma è necessario anche: sviluppare dei programmi/esercizi per applicare quanto appreso; definire delle metodologie didattiche che favoriscano il divertimento; sviluppare modelli che favoriscano la competizione oltre i confini della scuola/ classe ». Di seguito tre buone pratiche: 25
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