Questioni attuali dell'istruzione. Pensare nella distanza, pensare la distanza

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Questioni attuali dell’istruzione.
Pensare nella distanza, pensare la distanza
Una vicinanza di carta e parole:
                 l’educazione paterna per «avoir du monde»
                                                                                  Carlo Cappa

                                        Nostre grand et glorieus chef d’euvre c’est vivre a propos.
                                              Michel de Montaigne, Essais, III, XIII, 1595

INTRODUZIONE

    Momenti come l’attuale imprimono, in maniera inevitabile e dolo-
rosa, un’accelerazione alla riflessione e alle pratiche in campi che, loro
malgrado, si trovano a dover fronteggiare sfide inedite. È il paradigma
dell’emergenza a imporsi quale invadente chiave interpretativa, compri-
mendo tempi più distesi per ponderare le tante posizioni in campo e
per cercare di comporre un quadro coeso e coerente. Tra gli ambiti cui
è toccata tale sorte, vi è stata l’istruzione che, costretta senza preavviso
alcuno a intraprendere un processo di adattamento a tempi e modalità
dettati dalle nuove condizioni, ha affannosamente dato risposte nelle
quali si sono intrecciate prontezza, approssimazione e buona volontà.
Mentre si scrive, le incertezze sul futuro, sia immediato, sia a medio ter-
mine, sono ancora tante, rendendo impossibile un bilancio;1 ciò, natu-
ralmente, non ha scoraggiato l’inseguirsi di numerose voci che hanno
animato un dibattito vivo e spesso aspro, nel quale posizioni differenti
si sono fronteggiate. Distanza e presenza, scuola e istruzione superiore,
età, esigenze e condizioni profondamente diverse, tanti gli elementi che
hanno trovato spazio nelle colonne dei quotidiani e nelle pagine web di
specialisti o semplici opinionisti, rendendo difficile districarsi tra opi-
nioni discordanti, un compito ancor più spinoso per le famiglie che
hanno assistito attonite a una “reclusione” di figlie e figli costretti a una

    1
     Riguardo alla scuola, un primo documento che tenta di analizzare i futuri scenari
è quello realizzato dal Politecnico di Torino, Rapporto “Scuole aperte, società protetta”, ver-
sione 1, 2 maggio 2020.
    “I problemi della pedagogia”, LXVI [2020], n. 1, pp. 5-26.
    ISSN 0032-9347 © 2020 Editoriale Anicia, Roma, Italia.
    DOI: 10.14668/PdP_66101
6   CARLO CAPPA

quotidianità nella quale l’istruzione ha fatto irruzione tra le mura do-
mestiche.
    Dal 23 aprile, con nomina della Ministra Lucia Azzolina, è operativo
un Comitato di esperti che, presieduto da Patrizio Bianchi, vede il coin-
volgimento di un’unica studiosa dell’ambito delle scienze dell’educa-
zione, Maria Grazia Riva, Direttrice del Dipartimento di Scienze Umane
per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università degli Studi di Mi-
lano-Bicocca e Presidente della Conferenza Universitaria di Scienze della
Formazione. Nell’attesa di conoscere quali saranno le direttive elabo-
rate dal Comitato, per la scuola sembra profilarsi, almeno stando alle di-
chiarazioni della Ministra e alle prime note di Bianchi, un ritorno in
classe solo a settembre e con modalità mista (presenza e distanza).
L’istruzione superiore, invece, procede a piccoli passi, cercando di con-
temperare le esigenze di didattica, di ricerca e del comparto ammini-
strativo.2 Ci troviamo in un territorio del tutto inesplorato, per il quale
nessuno era davvero preparato e che ha portato a piena coscienza – o
ha creato le condizioni perché ciò avvenisse – limiti strutturali del no-
stro sistema d’istruzione. In particolare, ciò che ha creato maggiori con-
tese è stato il ricorso obbligato alla didattica a distanza (DAD per la
scuola), una scelta che ha comportato la realizzazione di esperienze assai
differenziate sia all’interno degli stessi cicli sia tra di essi.
    Non è certo questo il luogo per offrire una ricostruzione di quanto
si è fatto e si sta facendo nelle aule italiane: i dati sono ancora assai par-
ziali, il monitoraggio zoppicante, la pluralità di fattori coinvolti difficil-
mente categorizzabile, se non facendo violenza alla sua varietà. Risalta
con forza, però, un netto polarizzarsi del dibattito che, tra l’altro, coin-
volge prospettive collocate su piani differenti: nazionale e internazio-
nale, di breve e lunga durata. Non è solo l’Italia, infatti, ad aver optato
per questa modalità didattica al fine di non interrompere l’anno scola-
stico e accademico, così come certo non data al 2020 l’inizio della ri-
flessione sulle potenzialità e criticità dell’e-learning. Va detto che, sul
versante italiano, questa situazione s’intreccia con l’emanazione e poi

    2
      Più per la scuola che per l’istruzione superiore, però, va segnalato il protrarsi di
una situazione di improvvida incertezza ascrivibile al balbettio istituzionale che rende
complessa, se non velleitaria, un’efficacia programmazione. Il frangente è eccezionale,
non c’è dubbio, ma l’istruzione richiede una pur minima progettazione di medio re-
spiro.
Una vicinanza di carta e parole: l’educazione paterna per «avoir du monde» 7

con il ritiro del DM n. 1171 del 23 dicembre 2019, a firma dell’allora Mi-
nistro Fioramonti, decreto volto a limitare, per alcune classi di laurea, tra
le quali Scienze dell’Educazione (L-19) e Scienze Pedagogiche (LM-85)
l’utilizzo della distanza o della modalità mista, rendendo attivabili in tali
classi di laurea, già dall’anno accademico 2020/2021, solo corsi in mo-
dalità convenzionale, cioè l’erogazione a distanza di massimo il 10% dei
CFU, quindi 18 per i corsi di studio triennali e 12 per i corsi di studio ma-
gistrali.
    Come nel caso di ogni novità che comporti importanti conseguenze,
anche riguardo al digitale in senso ampio e all’e-learning in senso stretto,
negli anni, si sono avute prese di posizione molto nette e l’una contro
l’altra armata, con entusiasmi3 e catastrofismi4 capaci, spesso, di sovra-
stare con il loro roboante clamore studi più circostanziati e meglio in-
formati. Non è sorprendente, quindi, leggere anche oggi appelli5 e
manifesti nettamente schierati,6 i quali s’affiancano a contributi che ten-
dono a dispiegare un più sfumato ventaglio di considerazioni.7 Senza
scendere nel dettaglio di tali documenti, anche e soprattutto perché
hanno carattere episodico e solo nei prossimi mesi, quando meglio si
comprenderà l’andamento della pandemia, potranno essere declinati in
cogenti direzioni operative, scegliendo oculatamente tra le varie opzioni,
non si può non segnalare fin da ora l’emergere di una pessima retorica.
La diffidenza per la didattica a distanza ha portato a considerare scuole
e università come istituzioni “chiuse”, come qualcosa che “manca” da

    3
       Cfr. N. Negroponte, Essere digitali, Milano, Sperling & Kupfer, 2004.
    4
       Cfr. P. Virilio, La bomba informatica, Milano, Raffaello Cortina, 2000; G. Reale, Sal-
vare la scuola nell’era digitale, Brescia, Editrice La Scuola, 2013.
     5
       R. Librandi, C. Giovanardi, F. Sabatini, La ripresa scolastica dopo l’emergenza sanita-
ria, Accademia della Crusca, 24 aprile 2020.
     6
       A distanza, ma non troppo! La scuola al tempo del Covid-19. Manifesto per una didattica
inclusiva, http://www.flcgil.it/files/pdf/20200416/manifesto-per-una-didatti ca-in-
clusiva.pdf. In questo caso, le preoccupazioni pedagogiche degli estensori sono com-
prensibili e ben argomentate, ma prevale una visione appiattita della “distanza” che
tende a non differenziare teorie e pratiche.
     7
       Tra le tante, se ne segnalano due recenti: A. Gavosto, La scuola a doppia velocità, in
“La Stampa”, 3 maggio 2020 e R. Maragliano, Un modo nuovo d’intendere la scuola, in “il-
Sole24ore”, 3 maggio 2020; P. Landri, E. Grimaldi, D. Taglienti, Se sulla scuola a distanza
un’insegnante…, in “letteraturaenoi”, 4 maggio 2020.
8   CARLO CAPPA

noi e all’estero,8 mortificando l’impegno di insegnanti e docenti che, fa-
ticosamente ma con generosità, si sono messi in gioco, anche al di là di
considerazioni meramente contrattuali. Non solo: un approccio del ge-
nere, per il quale la distanza non è “vera” istruzione, ricacciandola in un
limbo ove vi è completa assenza di rapporto educativo, ignora – o finge
opportunisticamente di ignorare – decenni di ricerca e di considerazioni
che, con rigore, hanno soppesato, tra gli altri, proprio interrogativi come
questi. Nonostante tutto, nonostante il dramma che stiamo vivendo,
non siamo all’anno zero dell’e-learning. Lo si ribadisce, le variabili in
campo sono tante; per gli studenti: dalle differenze economiche – per-
ché è una modalità didattica che fa affidamento anche sulla disponibi-
lità di un’adeguata strumentazione tecnica (hardware, software e velocità
di connessione) – a quelle degli stili cognitivi, dalla diversità dell’età coin-
volte a quelle territoriali, dalla situazione familiare a quella abitativa; per
gli insegnanti: oltre a quelle riguardanti la dotazione tecnica, le diffe-
renze s’appuntano sulla preparazione individuale, sulla serietà dell’ag-
giornamento su specifiche tematiche legate alla distanza e, non ultima,
sulla capacità di mettersi in discussione.9
    Tali variabili pongono la discussione attorno alla distanza in un qua-
dro che non può certo fare a meno di calarsi, di volta in volta, nei con-
testi specifici nei quali, concretamente, prende corpo l’azione didattica.
Ciononostante, è proprio in occasioni come queste che si avverte, con
allarme, un impoverimento dello spessore concettuale della riflessione.
Distanza e presenza non possono che declinarsi al plurale, adottando
una logica del distinguo propria di una critica volta a vedere differenze,
invece di supporre uniformità.10 Nelle contrapposizioni prima menzio-

    8
        Si veda la sezione dedicata di “Internazionale”, anno 27, n. 1356, 30 apr.-7 mag.
2020, Ci manca la scuola, pp. 16-25.
     9
        È forse superfluo ricordare quanto, nuovamente, si evidenzi la centralità della for-
mazione iniziale degli insegnanti e della successiva formazione in servizio.
     10
         Un rilievo che dovrebbe essere sempre tenuto presente, ricordato con efficacia
da Marc Fumaroli: «Les étiquettes, selon les cas, peuvent être utiles ou nuisibles. Elles
son généralement utiles, en gros, quand elles se contentent d’indiquer dans quelle ca-
tégorie se situent les objets qu’elles désignent. Elles deviennent nuisibles dans le dé-
tail quand le client, se laissant prendre au mot qui figure sur l’étiquette, néglige de
vérifier si les qualités et les singularités des choses que ce mot annonce correspondent
bien au classement annoncé ; il est encore plus imprudent de faire une telle confiance
au mot figurant sur l’étiquette qu’on vienne à construire sur son sens élémentaire tout
Una vicinanza di carta e parole: l’educazione paterna per «avoir du monde» 9

nate, nonché in posizioni vuotamente nostalgiche di chi mai si era oc-
cupato di didattica,11 ciò che manca è un’elaborazione storica e filosofica
dei concetti che si maneggiano. Eppure, basterebbe ricordare le racco-
mandazioni di John Dewey nel suo testo del 1920, poi ampliato nel
1948, Reconstruction in Philosophy, quando egli indicava, compiendo un
gesto che era di rottura con una tradizione metafisica ma di solida con-
tinuità con la cultura umanistica, l’apporto della teoria per comprendere
il reale e le sue evoluzioni sociali:

         il compito della filosofia futura è di chiarire le idee degli uomini sui conflitti
    sociali e morali del loro tempo, di diventare per quanto umanamente possibile
    un organo per affrontarli. Ciò che appare pretesa irrealistica quando è formu-
    lato attraverso cavilli metafisici diventa di immensa portata quando si collega
    alla lotta drammatica tra credenze e ideali sociali. La filosofia che abdicherà al
    proprio sterile monopolio sulla realtà suprema e assoluta illuminerà in com-
    penso le forze morali che muovono l’umanità e contribuirà alle nostre aspira-
    zioni a una felicità più ordinata e intelligente.12

   Il portato concettuale della nostra tradizione pedagogica ci permette,
leggendo il passato senza dimenticare il presente, di comprendere come
ciò che è stato possa essere fecondo di futuro, solo a patto, però, di af-
francarsi da un ripiegamento nell’emergenza che, invece, deve essere
pensata dal suo interno, nella sua complessità e nella sua dimensione
drammatica. Per questo, nelle pagine che seguiranno, si è scelto di ri-

un édifice abstrait (esthétique par exemple), où l’on s’emploie à faire entrer après coup
de force toute une multitude d’objets divers et singuliers qui n’ont que des raisons
lointaines pour se retrouver dans le même casier», Retorica sacra, retorica divina. Les souches-
mères de l’art dit baroque, in Id., Lire les arts dans l’Europe d’Ancien Régime, Paris, Gallimard,
2019, p. 32.
     11
        Sorprendono, ad esempio, gli articoli di Nuccio Ordine, tra i quali, si ricorda I
docenti, gli studenti e la nostalgia dell’incontro perduto, in “Corriere della Sera”, 23 aprile 2020,
e l’appello di sedici intellettuali italiani dal titolo La scuola è socialità. Non si rimpiazza con
monitor e tablet, in “La Stampa”, 18 maggio 2020. Oltre a una mancanza di chiarezza ri-
spetto a quello che si promuove, è assai oscuro ciò contro cui s’impugnano le penne,
considerando che non vi è nessuno che voglia proporre un’istruzione senza presenza.
Anche in questi casi, inoltre, “presenza” e “distanza” sono concetti resi univoci, tanto
nella loro teorizzazione, quanto nelle possibili pratiche.
     12
        J. Dewey, Rifare la filosofia, intr. di A. Massarenti, Roma, Donzelli, 2008, p. 42
(ed. orig. Reconstruction in philosophy, Boston, The Beacon Press, 1948).
10   CARLO CAPPA

volgere l’attenzione verso momenti in cui l’atto educativo si è inverato
in rapporti a distanza che, però, nulla hanno ceduto della cura e dell’ac-
curatezza di una calda relazione a causa di tale separazione obbligata.
Ben altrimenti, essa si è presentata quale occasione per superare perni-
ciose giustapposizioni, inventando paradigmi sempre in vitale e tra-
sformativa conversazione con chi in precedenza aveva tracciato sentieri
tanto fascinosi quanto percorribili.

DICOTOMIE E TENSIONI

    Uno degli archetipi della pedagogia occidentale è senza alcun dubbio
l’educazione svolta attraverso le lettere: l’arte epistolografica è, d’al-
tronde, una delle frecce più appuntite tra quelle a disposizione nella fa-
retra degli umanisti dell’età moderna, intellettuali che, con amorosa
acribia, rinverdivano i costumi dell’età classica.13 I grandi e nobili modelli
di Cicerone, con le lettere ad Attico, e di Seneca, con quelle a Lucilio, in-
fatti, sono gli exempla per eccellenza di una tradizione che, passando per
Erasmo e la sua tessitura della trama della nascente res publica litteraria,
offrirono un prezioso tesoro di possibile per i loro ammirati epigoni. Tra
questi, spicca Philip Dormer Stanhope, quarto conte di Chesterfield,14
uomo politico, intellettuale raffinato e arguto, il cui ritratto ci è giunto
attraverso le gesta e grazie a un’incredibile impresa educativa: le lettere
indirizzate al suo figlio naturale Philip. Il monumentale edificio costruito
dalla corrispondenza di Lord Chesterfield si presenta con uno spiccato
gusto classico, facendo convivere dettagli tratti dalla cultura greca e ro-
mana, dall’Italia umanistica, dalla Francia rinascimentale e, com’è noto,
dai moralisti del XVII secolo, in particolare La Bruyère e La Rochefou-
cauld. Questa sontuosa residenza aristocratica, nella sua complessità,
offre numerosi punti d’ingresso e, una volta che si è al suo interno, per-

    13
       Cfr. A. Chemello, Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, Milano,
Guerini Studio, 1998.
    14
       Si farà riferimento al capitolo “Virtù e Knowledge of the World: l’etica mondana di
Lord Chesterfield” di Amedeo Quondam in Id., Tre inglesi, l’Italia, il Rinascimento. Son-
daggi sulla tradizione di un rapporto culturale e affettivo, Napoli, Liguori editore, 2006, pp. 39-
180 e all’ampia introduzione di M. Fumaroli, L’uomo dal guanto, in Lord Chesterfield,
Lettere al figlio, Milano, Adelphi, 2001.
Una vicinanza di carta e parole: l’educazione paterna per «avoir du monde» 11

mette d’osservare ricche vedute d’una società d’Ancien Régime che, con
i suoi ideali, ha nutrito una specifica immagine di essere umano civiliz-
zato e della sua educazione. Ciò che qui interessa, tra le tante possibili
chiavi di lettura, è l’inserirsi delle lettere di Lord Chesterfield in una vi-
sione dell’educazione nella quale le contrapposizioni sfumano per re-
stare tensioni lungo le quali muoversi con prudenza. In particolare, la
“distanza” si staglia quale orizzonte al servizio di un’urgenza della vita,
tratteggiando possibilità inedite di un apprendimento che, armato dalla
cultura classica, si scopre al servizio della vita in tutta la sua imprevedi-
bile varietà.
    Per avvicinarsi alla corrispondenza paterna di Lord Chesterfield, è ne-
cessario richiamare brevemente una tradizione che egli aveva ben pre-
sente, una filiazione intellettuale che si reggeva su precisi capisaldi pe-
dagogici. Il primo è quello dell’individualizzazione della proposta
educativa: seppure le riflessioni dell’Umanesimo e del Rinascimento aves-
sero una grande portata, infatti, esse nascevano sempre con un dedica-
tario al quale ci si rivolgeva, cominciando in media res una formazione che,
necessariamente, si radicava in una società educante data per assodata.
Fare astrazione da questa dimensione, estrapolando indicazioni estre-
mamente situate, tradisce quello sforzo di attenta calibratura della parola
e delle prassi che, oltre a essere costantemente praticata, era oggetto di
specifica concettualizzazione. Un secondo caposaldo era rappresentato
dalla funzione trasformativa dell’educazione che, però, per potersi dire
realizzata, avrebbe dovuto articolare una vita che ne desse conto: l’edu-
cazione aristocratica, infatti, dando risalto al versante prettamente cul-
turale, poneva sempre in primo piano la capacità di districarsi nel gran
teatro del mondo, unico palcoscenico nel quale saggiare l’affinamento
di strumenti che, se fossero restati nelle pagine dei libri, avrebbero rap-
presentato un inutile – o dannoso – orpello. Ciò ha un fondamentale cor-
relato: l’insostituibile contributo della natura individuale alla riuscita o al
fallimento del processo educativo. Nota per alcuni versi stridente con la
nostra sensibilità, il ruolo attribuito all’educazione da molti autori della
prima modernità è assieme sovrano e ancillare: sovrano, poiché è pro-
prio l’educazione che rende l’essere umano realmente tale, enfatizzando
una mobilità di condizione assieme nobile e tragica; ancillare, invece, poi-
ché anche la più dedita intenzionalità pedagogica può scontrarsi con con-
dizioni interne ed esterne al soggetto, condizioni tali da essere insor-
montabili e condurre a un doloroso smacco. Terzo caposaldo da tener
12    CARLO CAPPA

presente, infine, è la relativa brevità del periodo dedicato all’istruzione
in senso stretto: il processo educativo, infatti, non era certo indirizzato
alla formazione di un dotto, bensì alla certosina costruzione di un gen-
tiluomo. Ciò comportava tanto un’enfasi sui primi anni, quanto il favo-
rire la propensione a una successiva autoeducazione, fida compagna del
giovane durante tutto il resto della vita. Questa è una delle ragioni per
le quali, in piena continuità con la scholè aristotelica e l’otium ciceroniano,
tale prospettiva pedagogica insistette sulla necessità di consegnare al-
l’individuo la competenza dell’amministrare il proprio tempo libero, lo
spazio del loisir come distensione dell’anima nel ritiro dalla vita civile e
nell’esercizio della passione privata dell’amicizia en petit comité.
    Con modulazioni e accenti diversi, tutti questi aspetti si ritrovano in
almeno tre illustri precedenti di Lord Chesterfield: Erasmo da Rotter-
dam, Michel de Montaigne e John Locke. Già il De pueris statim ac
liberaliter instituendis, edito nel 1529, infatti, si presenta come un dono
fatto, su invito del precettore Conrad Heresbach, al principe Guglielmo
di Cleves.15 La necessità di principiare il prima possibile con un’educa-
zione indirizzata alla vita, con consigli puntuali, “a distanza” ma non
per questo meno vigili, filtrati dalla tutela di un precettore la cui dol-
cezza si accompagna sempre a serietà, sono indicazioni già eredi del no-
stro XV secolo e che, pochi anni dopo, troveranno eco nelle pagine di
Rabelais, sia nelle critiche ai sorbonagres, sia nella celebre lettera, sempre
una lettera, ove un padre premuroso, Gargantua, pone a raffronto il me-
todo degli studi del suo tempo con quello di cui potrà giovarsi suo figlio,
Pantagruel.
    Ancor più importanti per comprendere l’educazione proposta da
Lord Chesterfield, però, sono le pagine di Michel de Montaigne del XXVI
capitolo del I libro degli Essais. Edito per la prima volta nel 1580 e con-
tinuamente rivisto fino al 1592, il capitolo De l’institution des enfants non
si sottrae alla tradizione di essere pensato come una lettera indirizzata a
Madame Diane de Foix, Contessa de Gurson. È questa una scelta pres-
soché unica nell’opera di Montaigne, una scelta che, spesso, risulta scar-
samente considerata dai suoi interpreti, mentre risponde al desiderio di
inserire prepotentemente le sue riflessioni in un contesto di cui, però,
rielabora presupposti e sviluppi. Le incertezze dell’Europa del XVI se-

     15
          Cfr. Erasmo da Rotterdam, Per una libera educazione, Milano, BUR, 2004.
Una vicinanza di carta e parole: l’educazione paterna per «avoir du monde» 13

colo, infatti, hanno inciso con ferocia nella carne viva dell’educazione,
richiedendo un nuovo disincanto: la pedagogia di Montaigne esalta
l’adattabilità del giovane, attraverso un apprendistato che possa durare
tutta la vita ma che deve prendere avvio fin dalla più tenera età. I viaggi,
le lingue, la storia, tutte “discipline” orchestrate da una filosofia modu-
lata per l’ingegno ancora acerbo e da sedurre con blandizie, più che ir-
reggimentare con rigore, confluiscono in una formazione ardita, nella
quale, per la prima volta con affermazioni così esplicite, il mondo di-
venta la vera scuola in cui apprendere l’arte di vivere:

       [A] Ce grand monde, que les uns multiplient encore comme espèces sous
   un genre, c’est le miroir où il nous faut regarder, pour nous connaître de bon
   biais. Somme, je veux que ce soit le livre de mon écolier.16

    L’apertura – sempre problematica ma con partecipata fascinazione –
al mondo non comporta una svalutazione della conoscenza acquisita
attraverso i libri: ben prima di Kant, è Montaigne a richiamare il Sapere
aude di Orazio. La lezione della tradizione, però, deve essere messa alla
prova dall’esperienza, in modo da costruire pazientemente un giudizio
provvisto da quella discrezione già codificata da Guicciardini nei suoi Ri-
cordi. L’allontanamento netto e risoluto da ogni forma di pedanteria si
traduce in un’apertura al possibile dove nulla può essere escluso. Tale ca-
rattere arrischiato non passò inosservato ai censorî occhi dell’Inquisi-
zione che, tra i passi da emendare, indicò all’autore proprio quello nel
quale più forte è tale indicazione. Com’è noto, Montaigne non modificò
né la lettera né lo spirito del capitolo, aggiungendo, quasi come provo-
cazione, una sentenza estratta dalla XC delle Epistole a Lucilio di Seneca:
«Multum interest utrum peccare aliquis nolit aut nesciat».17 Quella tensione già
presente in Erasmo tra educazione e vita, tra libri ed esperienza, diventa,
nelle pagine degli Essais, una sofferta constante della condizione umana,
configurando un esteriore rispetto incondizionato verso gli usi del pro-
prio contesto e un’estrema libertà interiore del giudizio: etica del genti-

     16
        Michel de Montaigne, Saggi, Milano, Bompiani, 2012, p. 284; «Questo gran
mondo, che alcuni moltiplicano ancora come specie sotto un genere, è lo specchio in
cui dobbiamo guardare per conoscerci dal lato giusto. Insomma, voglio che questo sia
il libro del mio scolaro», ivi, p. 285.
     17
        Ivi, p. 302.
14    CARLO CAPPA

luomo che evita lo scandalizzarsi e preserva la sua intima indipendenza,
secondo una lezione che sarà fatta propria dal pensiero libertino del foris
ut moris, intus ut libet.
    Nel secolo successivo, durante il quale Montaigne sarà uno tra i più
popolari livres de chevet di una nobiltà europea impegnata a reinventare la
propria identità,18 l’educazione classica, ritessuta senza posa attraverso
continuità e adattamenti, giungerà fino alle lettere di John Locke, poi
sviluppate per comporre il trattato Some thoughts concerning education edito
nel 1693. Anche quest’opera, infatti, nonostante il suo carattere siste-
matico, è un programma educativo pensato per un individuo specifico,
il figlio del parlamentare Edward Clarke con il quale Locke ebbe una
lunga familiarità. La corrispondenza tra i due19 si sviluppò per più di
vent’anni, racchiudendo consigli e avvertimenti pedagogici frammisti a
più circostanziate considerazioni politiche: Clarke, più giovane di di-
ciannove anni rispetto a Locke, dal 1673 fu barrister all’Inner Temple di
Londra e, provenendo da un contesto familiare e universitario simile a
quello di Locke, grazie anche alla mediazione di Lord Ashley, cominciò
una frequentazione personale, poi proseguita grazie alla corrispon-
denza,20 con il più maturo filosofo.
    La derivazione del trattato dalle lettere è dichiarata dallo stesso Locke
nella lettera dedicatoria, nella quale sono molti i caratteri che emergono
come caratteristiche specifiche di una conversazione privata, trasposta
in un linguaggio differente a uso di un pubblico più vasto:

         These Thoughts concerning Education, which now come abroad into the
     World, do of right belong to You, being written several years since for your
     sake, and are no other than what you have already by you in my Letters. I have
     so little varied any thing, but only the Order of what was sent you at different
     Times, and on several Occasions, that the Reader will easily find, in the Fa-
     miliarity and Fashion of the Style, that they were rather the private Conversa-
     tion of two Friends, than a Discourse designed for publick view.21

     18
       Cfr. B. Craveri, La civiltà della conversazione, Milano, Adelphi, 2001.
     19
       Cfr. B. Rand (ed. by), The Correspondence of John Locke and Edward Clarke, Cam-
bridge, Harvard University Press, 1929.
    20
       «Dear Sir, Since I have been deprived of the happiness of your company…»,
Clarke to Locke, London, 14th Februrary 1681, ivi, p. 82.
    21
       J. Locke, Some Thoughts concerning Education, London, Printed for A. and F.
Churchill, at the Black Swan in Paternoster-row, 1693.
Una vicinanza di carta e parole: l’educazione paterna per «avoir du monde» 15

     Il passaggio dal tono proprio dell’amicizia a quello scelto per la
stampa si evidenzia in molti riferimenti e in una maggiore attenzione a
considerazioni ampie che, pur nei limiti tracciati dalla classe sociale del
gentleman, potessero avere facili riscontri all’esterno della cerchia della co-
noscenza diretta. Le lettere, infatti, hanno una struttura simile ma non
coincidente con quella del trattato, oltre a essere più brevi, specie se ci
si limita a quelle tradizionalmente ascrivibili a tematiche educative.22 I ri-
mandi sono, infatti, numerosi e cominciano fin dall’apertura delle lettere
di taglio pedagogico: questo è un debutto compiuto sotto l’egida del ce-
lebre motto e della sua spiegazione «mens sana in corpore sano is a short but
full description of the most desirable state we are capable of in this life»23
che, nel trattato, lasciando il latino, diventò: «A Sound Mind in a sound
Body, is a short, but full description of a Happy State in this World».24
     La lezione di Montaigne si è sedimentata in molte pagine di Locke e,
in particolare, torna prepotente sia quando si affrontano i ragionamenti
con i giovani che reclamano una necessaria modulazione compiuta a
partire dalle esigenze dell’età,25 sia quando, trattando delle qualità del
precettore, Locke ne tratteggia un ritratto molto vicino a quello degli
Essais. Entrambi gli autori desiderano un gentiluomo esperto del mondo
che, dunque, possa far trarre il maggior frutto possibile dai viaggi,26 da
cominciare prima della tarda adolescenza, e dalla frequentazione di uo-
mini di ogni estrazione sociale, così da conseguire un’idea il più completa
possibile della varietas mundi. In entrambi gli autori, infatti, è proprio il
Governour a rappresentare la scelta più delicata che un padre debba com-
piere per l’educazione di suo figlio:

    22
        In particolare: B. Rand (ed. by), The Correspondence of John Locke and Edward Clarke,
cit., “Letters on Education”, pp. 112-115; 137-142; 144-161; 201-212; 214-220; 235-
242; 285-287.
     23
        Ivi, p. 112.
     24
        J. Locke, Some Thoughts concerning Education, cit., p. 1; Id., Pensieri sull’edu-cazione, To-
rino, Paravia, 1936, p. 5: «Una mente sana in un corpo sano: ecco, brevemente, la con-
dizione per vivere felici nel mondo».
     25
        J. Locke, Some Thoughts concerning Education, cit., pp. 90-92: Id., Pensieri sull’edu-
cazione, cit., pp. 77-78.
     26
        J. Locke, Some Thoughts concerning Education, cit., pp. 253-260. Id., Pensieri sull’edu-
cazione, cit., pp. 241-245. Per le lettere, si veda quella del 6 febbraio 1688: B. Rand (ed.
by), The Correspondence of John Locke and Edward Clarke, cit., pp. 235-244.
16    CARLO CAPPA

        I would from their first begininng to talk, have some Discret, Sober; nay Wise
     Person about Children, whose Care it should be to Fashion them aright, and
     keep them from all ill, especially the infection of bad Company.27

    Fin dai termini scelti da Locke, emerge con evidenza l’eredità della
cultura umanistica del secolo precedente, piegando al contesto educativo
qualità proprie dell’avveduto cortegiano e del sagace segretario. Il mondo
come scuola di vita innerva moltissimi passaggi, ritrovandosi nelle let-
tere e nel trattato, ma, seppur il palcoscenico della vita civile e privata re-
sti la palestra nella quale esercitarsi nella raffinata arte della discrezione,
in Locke il carattere di totale disincanto di Montaigne si è stemperato:
nella conoscenza di virtù e vizi mondani, il filosofo inglese sceglie di
porre l’accento su strategie per esentare il giovane da situazioni disdi-
cevoli, allenandolo a un’accurata conoscenza grazie a esempi28 e ragio-
namenti che potessero formare il suo giudizio, ammettendo che la sag-
gezza sia un lungo percorso di non facile acquisizione per un giovane:29

         To accustom a Child to have true Notions of things, and not to be satis-
     fied till he has them. To raise his Mind to great and worthy Thoughts, and to
     keep him at distance from falshood and Cunning which has always a broad
     mixture of Falshood in it, is the fittest preparation of a Child for Wisdom,
     which being to be learn’d from Time, Experience, and Observation, and an
     Acquaintance with Man, their Tempers, and designs, are not to be expected in
     the ignorance and inadvertency of Childhood, or the inconsiderate heats and
     unwariness of Youth.30

     27
        J. Locke, Some Thoughts concerning Education, cit., pp. 102-103. Id., Pensieri sull’edu-
cazione, cit., p. 86: «Che i bambini, fin da quando incominciano a parlare, abbiano ac-
canto una persona prudente, moderata, saggia, insomma, che abbia il compito di
formarli come si deve, di tenerli lontani dal male e specialmente dal contagio delle cat-
tive compagnie».
     28
        Cfr. J. Locke, Some Thoughts concerning Education, cit., pp. 102-103: Id., Pensieri sul-
l’educazione, cit., pp. 92-93. Id., Pensieri sull’educazione, cit., p. 79.
     29
        J. Locke, Some Thoughts concerning Education, cit., pp. 102-103: Id., Pensieri sull’edu-
cazione, cit., p. 164: «Wisdow, I take in the popular acceptation, for a Man’s managining
his Business ablely, and with fore-sight in this World. This is the product of a good nat-
ural Temper, application of Mind, and Experience together, and not be taught Children».
Id., Pensieri sull’educazione, cit., p. 157: «Chiamiamo prudenza, nel significato popolare, la
qualità di un uomo che sa regolare i suoi affari nel mondo, con abilità e previdenza».
     30
        J. Locke, Some Thoughts concerning Education, cit., pp. 165-166. Id., Pensieri sull’edu-
cazione, cit., p. 157-158: «Abituare il fanciullo ad avere una vera nozione delle cose e a
Una vicinanza di carta e parole: l’educazione paterna per «avoir du monde» 17

    Dalla pratica di un’esistenza tutta mondana si apprende il carattere
plurale e inesauribile dell’esperienza e, in continuità con Erasmo e Mon-
taigne, si conduce il giovane in un’avventura educativa nella quale la ten-
sione tra lettera dei testi e applicazione del giudizio resta vibrante. La
formazione condotta attraverso la premurosa distanza delle lettere, in
questa prospettiva, è occasione di cura minuziosa e consiglio affettuoso,
dando nuovo slancio alla pratica del precettore in una composita archi-
tettura pedagogica.

L’IMMERSIONE NEL MONDO E LA SECONDA NATURA

    Tutte queste fonti privilegiate, capaci di far rivivere in contesti diffe-
renti la classicità che, per mezzo di una nuova semantica avesse presa
sulla loro contemporaneità, confluiscono nell’ambizioso progetto di
Lord Chesterfield. Philip Stanhope, nato a Londra il 22 settembre 1694,
poté studiare a Cambridge, Trinity Hall, e si misurò fin da giovane con
la complessa vita politica e diplomatica dell’Inghilterra georgiana, es-
sendo designato, fin dal 1715, alla Camera dei Comuni, per poi venire
nominato gentiluomo di camera di Giorgio Principe di Galles. Passato
ai Lords nel 1726, dopo aver ereditato il titolo di quarto Conte di Che-
sterfield, fu designato come ambasciatore all’Aia e negoziò, nel 1731, il
secondo trattato di Vienna. Rientrato in Inghilterra, si dedicò alla poli-
tica, contrastando Sir Robert Walpole, con cui ebbe forti attriti per le
scelte compiute durante i dissapori tra Giorgio I e suo figlio, il futuro
Giorgio II. Nel 1744, contribuì alla formazione del governo con William
Pitt e, compiuta una seconda missione come ambasciatore all’Aia, ot-
tenne la luogotenenza dell’Irlanda, per diventare, nel 1746, Segretario di
Stato. Dal 1755, ritiratosi a vita privata, consacrò la sua attività alla sfera
culturale, intrattenendo rapporti con intellettuali del suo paese, da Pope
e Addison a George Berkeley, James Thomson e Samuel Johnson, ed eu-

non essere contento finché non la possiede; elevarne la mente con pensieri nobili e
grandi; difenderlo dalla falsità e dalla furberia che ne è sempre intinta, sarà per un fan-
ciullo la migliore preparazione alla prudenza. Il resto che s’impara con il tempo, con
l’esperienza, con l’osservazione, con il frequentare gli uomini, con la conoscenza del
loro temperamento e dei loro intenti, non bisogna aspettarcelo dall’ignoranza e dal-
l’inavvertenza della fanciullezza, né dalla sventatezza, e vivacità della gioventù».
18   CARLO CAPPA

ropei, in particolare francesi, come Montesquieu e Voltaire. Morì a 79
anni, sempre a Londra, il 24 marzo 1733.
    Stimato da Jonathan Swift per il suo formidabile wit, uomo accorto
e politicamente scaltro, Chesterfield distillò la sua esistenza anche nel-
l’erculea impresa epistolografica dedicata al suo figlio naturale. In essa,
oltre alla tradizione già richiamata, confluiscono altri esempi, specie per-
ché, a differenza di tutte le proposte precedenti, in questo caso il rap-
porto è senza intermediazioni, poiché l’autore si rivolge direttamente a
chi avrebbe dovuto esperire su di sé il modello educativo, implicando
una profonda modifica della retorica utilizzata. Quest’ultima, inoltre, ri-
sente del trascorrere del tempo e, di conseguenza, delle diverse età del
figlio Philip. Tra gli esempi di cui Chesterfield era a conoscenza, ve ne
furono sicuramente due: il primo, di diretta derivazione dei salons pari-
gini da lui assiduamente frequentati, è l’Avis d’une mère à son fils et à sa fille
della Marchesa di Lambert;31 il secondo, invece, di derivazione familiare,
poiché George Saville, marchese di Halifax (1633-1695), fu suo nonno,
nonché autore di Advice to a Daughter (1688).32 Halifax, d’altra parte, rap-
presentò a sua volta un gran signore del XVII secolo, muovendosi abil-
mente nella camera dei Comuni e diventando visconte dal 1688. Egli
riuscì ad attraversare le traversie politiche sotto i regni di Carlo II, Gia-
como II e Guglielmo II d’Orange, fino a diventare presidente della ca-
mera dei Lord e guardasigilli.
    Letti attraverso le lenti della pedagogia, entrambi questi testi presen-
tano un aspetto paradossale e strettamente legato con lo sfaccettato rap-
porto tra educazione e vita già osservato nella tradizione umanistica:
inizialmente, essi non furono pensati per la pubblicazione, giacché erano
tagliati su individui singolari e prendevano senso e vigore all’interno di
specifici contesti sociali. Ogni raccomandazione dal carattere anodino

    31
        Anne-Thérèse de Marguenat de Courcelles, Marchesa de Lambert, Avis d’une
mère à son fils et à sa fille, Paris, chez Etienne Ganeau, 1728. Per la parte dell’opera de-
dicata a sua figlia e i suoi aspetti pedagogici, ci si permette di rimandare a C. Cappa,
“Je n’ai de mérite que d’avoir su choisir mon maitre et mes modèles”. Madame de Lambert e l’edu-
cazione femminile, in E. Marino, C. Roverselli (a c. di), Femminismo e femminismi. Culture,
luoghi, problematiche, Napoli, Loffredo Editore, 2019, pp. 57-70.
    32
        George Savile, Marchese di Halifax, The Lady’s New-Years Gift: or, Advice to a
Daughter, London, Printed for Matt. Gillyflower in Westminster-Hall, and James Par-
tridge at Charing-Cross, 1688.
Una vicinanza di carta e parole: l’educazione paterna per «avoir du monde» 19

diventava pregnante solo se considerata come un affinamento o un’ac-
celerazione di un processo già ampiamente intrapreso all’interno di una
società educante e che, per le ragioni già viste, avrebbe rappresentato il
miglior e più autorevole banco di prova delle “lezioni” apprese. Senza
voler sottovalutare la falsa modestia di Madame de Lambert e di Hali-
fax che, con castiglionesca sprezzatura, nelle brevi prefazioni sminui-
scono le loro opere, poiché tale gesto è luogo topico con cui pagar
pegno verso una consolidata tradizione, è pedagogicamente fondamen-
tale raccordare le loro raccomandazioni alla loro fonte sorgiva di carat-
tere “privato”. La feconda relazione tra proposta pedagogica e contesto
sociale è certamente sempre rilevante per comprendere l’educazione,
tuttavia, in questi casi, istruzione, maniere, vita individuale e società sono
talmente intessute in una medesima trama da provocare lacerazioni nella
loro comprensione allorquando si volessero considerare separatamente.
Come non pensare, per diretta contrapposizione, all’Emilio di Rousseau,
la cui interpretazione non può certo prescindere dalla feroce critica alla
sua società, ma che, proprio in virtù di essa, la rifiuta e immagina un’edu-
cazione per un’utopica realtà a venire?
    Mentre Madame de Lambert aveva curato personalmente la pubbli-
cazione dei suoi Avis e Halifax aveva comunque scritto un volume uni-
tario, pur edito solo dopo la sua morte, la sorte toccata alla
corrispondenza di Lord Chesterfield fu assai differente: la prima edi-
zione delle lettere fu data alle stampe nel 1774 con il titolo Letters to His
Son on the Art of Becoming a Man of the World and a Gentleman, mentre la
seconda, solo un anno dopo, recava un titolo che, scelto dalla vedova di
suo figlio, Eugenia Stanhope, sminuiva e rendeva manualistiche pagine
di tutt’altra fattura, legandole, per altro, proprio con le raccomandazioni
di Madame de Lambert.33 Un intenso rapporto familiare, non scevro da
contrasti e da delusioni, era così estirpato dal suo terreno, scadendo in

    33
         Per misurare la portata del tradimento compiuto da una vedova che, con una sola
trovata, riuscì a ottenere un maggiore successo commerciale e una tardiva rivincita sul
suocero, val la pena riportare per esteso il titolo dell’edizione del 1775: Lord Chesterfield’s
advice to his son, on men and manners, or, a New system of education in which the principles of po-
liteness, the art of acquiring a knowledge of the world, with every instruction necessary to form a man
of honour, virtue, taste, and fashion, are laid down in a plain, easy, and familiar manner, adapted
to every station and capacity. The second edition to which is now added the Marchioness of Lambert’
Advice to his son.
20    CARLO CAPPA

un breviario del quale si pubblicizzava la facilità e la gradualità, trasfi-
gurando alcuni tratti distintivi dell’intento originale. Scomparivano, in-
fatti, le movenze arrischiate e il continuo aggiustamento frutto di
perdurante supervisione e di indefettibile relazione con il giovane e con
coloro che ruotavano in tutte le realtà nelle quali egli avrebbe dovuto
mettere in campo gli insegnamenti paterni. Un’altra infelice scelta edi-
toriale, tra l’altro mantenuta in alcune edizioni in traduzione, fu quella
di raggruppare le raccomandazioni di Lord Chesterfield secondo nuclei
tematici, accentuando così il carattere da incolore prontuario e mettendo
in secondo piano la derivazione dalla forma epistolare:34 bashfulness, com-
pany, rules for conversation, absence of mind, economy, friendship, grace, knowledge
of the world, si tramutano così in altrettanti capitoli separati dal divenire
del singolo individuo. Invece di correggere un processo in fieri, le cui
maniere sarebbero dovute essere apprese con un’immersione nel
mondo, le parole dell’inesausta attenzione paterna si fanno precetti as-
soluti, perdendo flessibilità e cogenza.
    Il corpus della corrispondenza di Lord Chesterfield è sterminato35 e
meriterebbe uno studio sistematico, tanto per porne in luce la piena con-
sapevolezza stilistica, quanto per enuclearne continuità e fratture rispetto
al contesto educativo dell’Ancien Régime. Basti qui richiamarne il suo
innestarsi nella tradizione delineata: una piena appartenenza consolidata
attraverso la creazione di una conversazione plurale che è messa al ser-
vizio di Philip, coinvolgendolo, ma segnando sempre la differenza tra le
voci che vi prendono parte. L’eleganza del padre, infatti, non trova un
corrispettivo nella penna del figlio: il modello proposto, trasfigurazione

    34
        Questa è la struttura scelta anche per l’edizione italiana del 1816 che, infatti,
perde il riferimento alle lettere, per enfatizzare quello legato alle “indicazioni”: Avver-
timenti di Lord Chesterfield a suo figlio intorno agli uomini ed ai costumi, ossia Nuovo sistema d’edu-
cazione, in cui i principi della civiltà, l’arte di conoscere il mondo ed ogni altro insegnamento necessario
a formare un uomo onorato, virtuoso, di buon gusto e di buona società vengono esposti in una ma-
niera semplice, facile e adatta a ogni capacità e ad ogni stato. Il tutto esteso in un ordine interamente
nuovo, Milano, dalla tipografia di Giovanni Silvestri agli scalini del Duomo. Il titolo tra-
duce fedelmente quello di tante edizioni avutesi nel corso dei decenni precedenti.
    35
        Per una breve ricostruzione delle vicende editoriali attorno alle diverse edizioni
delle Letters to his Son, si veda A. Quondam, Tre inglesi, l’Italia, il Rinascimento. Sondaggi sulla
tradizione di un rapporto culturale e affettivo, cit., pp. 46-47. Si segnala che, pur senza nes-
sun apparato critico, la quasi totalità delle lettere sono presenti ora online, nel sito The
Project Gutenberg, da cui si trarranno le citazioni in inglese.
Una vicinanza di carta e parole: l’educazione paterna per «avoir du monde» 21

idealizzata dello stesso Lord Chesterfield, non sarà specchio efficace né
per la prosa né per la vita del figlio.
    Fin dall’inizio della corrispondenza, quando le lettere si aprivano an-
cora con un affettuoso Dear Boy, il padre si presenta quale supervisore
di una fase dell’esistenza di Philip nella quale, lasciati i primi studi, egli
s’avvia a metterli in pratica nel mondo e nella sua complessità.36 Ciò non
comporta affatto che gli insegnamenti libreschi dovessero essere mec-
canicamente applicati alle mutevoli esperienze della vita: esattamente
come in Montaigne, il gran libro del mondo è un’altra forma di ap-
prendimento, una scuola ben più esigente che, però, per poter essere
frequentata richiede l’essersi muniti di quella insostituibile erudizione
classica che, sempre, dovrà essere scevra da qualunque carattere pedan-
tesco. Riguardo a quest’ultimo aspetto, ricalcando le critiche ai sorbona-
gres di Rabelais, Lord Chesterfield sceglie di fustigare l’arroganza degli
studenti di Cambridge che, senza esperienza del mondo, sono vittime di
asprezza e non mostrano alcuna urbanità, rendendo necessario, dopo
essersi imbevuti della sentenziosa aria dell’accademia, un processo di di-
rozzamento che lui stesso aveva dovuto intraprendere.37

     36
        BATH, October 9, O. S. 1746: «You know I have often told you, that my affec-
tion for you was not a weak, womanish one; and, far from blinding me, it makes me
but more quick-sighted as to your faults; those it is not only my right, but my duty to
tell you of; and it is your duty and your interest to correct them. In the strict scrutiny
which I have made into you, I have (thank God) hitherto not discovered any vice of
the heart, or any peculiar weakness of the head: but I have discovered laziness, inat-
tention, and indifference; faults which are only pardonable in old men, who, in the
decline of life, when health and spirits fail, have a kind of claim to that sort of tran-
quillity».
     37
        LONDON, February 28, O. S. 1751: «I remember, that when I came from Cam-
bridge, I had acquired, among the pedants of that illiberal seminary, a sauciness of lit-
erature, a turn to satire and contempt, and a strong tendency to argumentation and
contradiction. But I had been but a very little while in the world, before I found that
this would by no means do; and I immediately adopted the opposite character; I con-
cealed what learning I had; I applauded often, without approving; and I yielded com-
monly without conviction. ‘Suaviter in modo’ was my law and my prophets; and if I
pleased (between you and me) it was much more owing to that, than to any superior
knowledge or merit of my own». A questa data, Lord Chesterfield era già passato al
Dear Friend, riconoscendo un rapporto mutato per l’età e le esperienze di Philip. La
menzione del suaviter in modo – e il sottinteso fortiter in re – è aspetto fondamentale della
proposta pedagogica rispetto alle maniere da tenere nel mondo.
22    CARLO CAPPA

  La tensione tra erudizione e mondo è sempre palpabile e si può facil-
mente riscontrare nel ritorno della bellissima metafora del libro:

         The world is an immense folio, which demands a great deal of time and at-
     tention to be read and understood as it ought to be; you have not yet read
     above four or five pages of it; and you will have but barely time to dip now and
     then in other less important books.38

    Queste raccomandazioni giungono durante l’apprendistato di Philip
a Parigi, la decantata capitale delle grazie: sono proprio queste ultime, in-
fatti, quel pregiato discrimine su cui la cura paterna tornerà ripetuta-
mente: sono loro, quel “non so che” di Gracián impossibile da classifi-
care, a rendere la discrezione e l’arguzia, la ponderata decisone e il
motto di spirito adatti a un’alta etica intrisa d’estetica mondana. Quanto
ciò sia nel solco della tradizione lo si legge anche da un’altra metafora
proveniente dalla più famosa orazione di Pico della Mirandola, l’uomo
come camaleonte:

         In the course of the world, the qualifications of the chameleon are often
     necessary; nay, they must be carried a little further, and exerted a little sooner;
     for you should, to a certain degree, take the hue of either the man or the
     woman that you want, and wish to be upon terms with.39

    Ciò che rendeva l’essere umano la sola creatura capace di muoversi
nella scala degli esseri, giungendo a vette prossime al divino o scadendo
fino a infangarsi con comportamenti bestiali, è reso da Lord Chesterfield
un’attitudine sociale da accentuare a seconda delle situazioni. Moto edu-
cabile e calibrato sulla socialità, la mutevolezza esaltata da Montaigne
attraverso la figura di Alcibiade, nelle Letters è risorsa mondana che si
muove lungo il crinale di una pedagogia sempre in bilico tra conforma-

    38
        LONDON, January 14, O. S. 1751. Lord Chesterfield, Lettere al figlio, cit. p. 144:
«Il mondo è un immenso in-folio, la cui lettura, se lo si vuole capire a fondo, esige una
lunga dedizione; sinora tu non ne conosci più di quattro o cinque pagine: ti resta ben
poco tempo, dunque, per occuparti di altri libri meno importanti».
    39
        LONDON, February 28, O. S. 1751. Lord Chesterfield, Lettere al figlio, cit. p.
168: «Nella vita è sovente necessario possedere le doti del camaleonte: anzi, a volte è
opportuno accentuarle e servirsene con maggiore prontezza, assumendo, entro certi
limiti, il colore dell’uomo o della donna con cui si vogliono stabilire rapporti».
Una vicinanza di carta e parole: l’educazione paterna per «avoir du monde» 23

zione passiva e opportunismo, in un equilibrio che solo la consapevo-
lezza e una costante riflessione sui propri comportamenti può rendere
obiettivo etico di salvaguardia di sé e, al contempo, flessibile formula
per il successo sociale. Tutto ciò è riassunto nella ricca espressione «avoir
du monde», nella quale possesso e appartenenza rappresentano una per-
fetta unità sempre da riconquistare.

RITORNI DIVERSI

    L’istruzione del nostro Paese – ma non solo del nostro Paese – si è al-
lontanata molto da numerosi ideali che avevano rappresentato, per secoli,
le colonne portanti di un preciso affresco dell’essere umano e della so-
cietà, un modello che, nei secoli, conobbe aggiustamenti e correzioni,
senza però mai perdere la sua fisionomia ben riconoscibile. La dialettica
istauratasi, oggi, tra “presenza” e “distanza”, pur con spunti interessanti,
ha mostrato un inaridirsi di questi concetti e, di conseguenza, la messa in
ombra di altre tensioni che, forse, potrebbero essere molto più proficue
per immaginare un processo educativo portatore di futuro. La tradizione
richiamata attraverso programmi pedagogici che, nella distanza delle let-
tere e di opere concepite come canovacci, trovarono la preziosa fucina
per un’azione formatrice calibrata sulla singolarità individuale, è un fil rouge
capace di ricordarci quanto ogni educazione che voglia davvero dirsi tale
non può prescindere da un’aspirazione all’autonomia, presentandosi
come antidoto al sempre più suadente «richiamo della tribù».40 Perché ciò
sia possibile, però, la riflessione educativa, seguendo l’indicazione di De-
wey per una filosofia che sappia guardare oltre a sé, deve dismettere le pre-
tese metafisiche che congelano i concetti con cui pensare.41
    Ciò non significa, naturalmente, prendere alla leggera mutamenti di-
dattici, temporanei o duraturi, anche perché la sfera del digitale, come qual-

    40
       Si utilizza l’efficace titolo della recente autobiografia intellettuale di Mario Var-
gas Llosa, La llamada de la tribu, Barcelona, Penguin Random House Grupo Editorial,
2018 (ed. it. Id., Il richiamo della tribù, Torino, Einaudi, 2019).
    41
       A volte, occorre ammetterlo, ciò che è utilizzato non è neppure un concetto, ma
una sua pallida imitazione, come quella presente nel sintagma «didattica con lo
sguardo», cfr. W. Lapini, La didattica con lo sguardo impossibile “da remoto”, in “Corriere della
Sera”, 12 maggio 2020.
24    CARLO CAPPA

siasi altra sfera verrebbe da dire, ha le sue insidie,42 ma implica l’inserire con
decisione l’istruzione all’interno della società nella quale essa si svolge: “pre-
senza” e “distanza”, sempre da declinare al plurale, non possono rappre-
sentare, né singolarmente, né congiuntamente, l’alpha e l’omega del-
l’azione educativa. Essa deve rivolgersi al suo esterno, comprendendo –
o provando a farlo – nella relazione educativa una complessità che solo
nella singolarità individuale trova l’elemento che possa davvero dar corpo
a un’impresa che non nasce e non finisce nelle aule scolastiche. Ancora una
volta, la domanda è quale ideale di essere umano e di società si possiede
e si difende, ricordando che questi interrogativi sono anche pedagogici, an-
che didattici, ma si legano strutturalmente ai gangli di un’esistenza più am-
pia e meno controllabile, per quanto si possano moltiplicare estenuanti ten-
tativi di catalogazione, delle esperienze che avvengono in classe.

BIBLIOGRAFIA

A distanza, ma non troppo! La scuola al tempo del Covid-19. Manifesto per una didattica inclu-
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     42
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superiore, si vedano anche Per l’ambito europeo, si vedano anche D. Kambouchner,
P. Meirieu, B. Stiegler, L’école, le numérique et la société qui vient, Paris, Librairie Arthème
Fayard – Éditions Mille et une nuits, 2014 e la sezione della rivista “le débat”, Ouvrir
l’université par le numérique?, con i contributi di A. Compagnon, P. Engel e R. Simone,
CLXXX [2014], mai-août, pp. 170-191.
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