Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico
Rev. 4.0 del 12/09/2016

         Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e
                             registro elettronico

Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico   1
Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico
Premessa
Obiettivo della scuola di oggi è integrare progressivamente le ICT nei percorsi didattici; affinchè questa
integrazione sia costruttiva per tutte le parti coinvolte bisogna modulare tempi, spazi, ruoli e metodologie
didattiche in relazione alla centralità del processo di apprendimento dello studente.
La classe 2.0 è basata sull’apprendimento interattivo e riesce a creare una dimensione che è sia reale che vir-
tuale, tale da attivare la metacognizione.
Integrare efficacemente le ICT nella didattica significa riformulare il piano formativo sulla base di una dif-
ferente gestione degli spazi e del tempo: lo spazio della classe 2.0 non è da intendersi semplicemente come
lo spazio fisico dell’aula, ma come spazio virtuale (ambiente online), nonché come spazio mentale (ovvero il
tempo/ritmo individuale necessario all’apprendimento e all’elaborazione).
Il ruolo del docente nella classe 2.0 è quello di un facilitatore/conduttore del processo di apprendimento
dell’intero gruppo classe in relazione alla crescita autonoma e spontanea del singolo alunno.
L’idea del gruppo classe come comunità che apprende rispecchia una visione di scuola e di apprendimento
che raccoglie le più recenti e innovative sperimentazioni in campo educativo, promuovendo la capacità cre-
ativa del singolo studente.
Il modulo 3 analizza nel dettaglio le nuove pratiche d’aula funzionali alla didattica che integra le tecnologie
digitali nel processo di apprendimento: la flipped classroom, l’aula virtuale, i software e le app per la didat-
tica, il registro elettronico.
In queste pratiche d’aula l’insegnamento assume la forma metodologica che di volta in volta può essere fun-
zionale all’apprendimento del tema trattato, divenendo buona pratica nel momento in cui va a soddisfare gli
esiti attesi.
I software per la didattica sono programmi che il docente utilizza per facilitare il processo di apprendimento
degli studenti o per realizzare un progetto interdisciplinare.
Spesso non è facile scegliere tra i numerosi software disponibili: il docente dovrebbe prima di tutto program-
mare l’attività che intende svolgere, definendo obiettivi e contenuti; relativamente alle caratteristiche dei
principali software della propria disciplina/campo di applicazione.
Gli obiettivi di integrazione delle ICT nella didattica posti qualche anno fa, oggi sono stati rilanciati con il
Piano Nazionale Scuola Digitale con un investimento in prima tranche per l’anno scolastico 2015/2016 di circa
novanta milioni di euro, seguiti da circa trenta milioni di euro ogni anno successivo a partire dal 2016: tra
questi l’introduzione del Registro Elettronico, poste le sufficienti condizioni d’utilizzo (un’efficiente connes-
sione wirless, computer/tablet a disposizione di docenti/studenti in ogni classe, un’adeguata formazione per
i docenti circa l’utilizzo di tale strumento); come trattato al termine del presente modulo.

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico
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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico
INDICE
1. CLASSE 2.0 E SCUOLE 2.0, LE AZIONI DEI CENTRI SCOLASTICI DIGITALI (CSD).... 5
    1.1 La Classe 2.0: integrazione delle ICT nelle pratiche didattiche............................................................. 6
    1.2 Il setting della Classe 2.0: gestire lo spazio e organizzare il tempo....................................................... 8
    1.3 Il ruolo dei docenti nelle Classi 2.0........................................................................................................... 11
    1.4 I Centri Scolastici Digitali (CSD).............................................................................................................. 14

2. PRATICHE D’AULA...................................................................................................................................... 19
    2.1 Insegnare le buone pratiche...................................................................................................................... 19
    2.2 Pratiche d’aula: la funzione didattica....................................................................................................... 21
    2.3 La Flipped Classroom................................................................................................................................ 23
    2.4 I laboratori formativi.................................................................................................................................. 41
    2.5 AULA VIRTUALE...................................................................................................................................... 46

3. SOFTWARE PER LA DIDATTICA.......................................................................................................... 51
    3.1 App/tool/software a uso didattico............................................................................................................ 58
    3.2 Wiki, RSS e WebQuest................................................................................................................................ 61
    3.3 Materiali didattici digitali online.............................................................................................................. 68

4. REGISTRO ELETTRONICO...................................................................................................................... 74
    4.1. Utilizzo del Registro Elettronico.............................................................................................................. 74
    4.2 Griglie di valutazione................................................................................................................................. 84

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Buone pratiche: integrazione delle ICT, software didattici e registro elettronico
BUONE PRATICHE: INTEGRAZIONE DELLE ICT, SOFTWARE DIDATTICI E REGISTRO
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1. CLASSE 2.0 E SCUOLE 2.0, LE AZIONI DEI CENTRI SCOLASTICI DIGI-
TALI (CSD)

Il Piano Nazionale Scuola Digitale del 2009 ha dato inizio al processo di innovazione del sistema scolastico
con un progetto articolato che mira a:

•• dotare tutte le scuole di strumenti tecnologici avanzati;
•• sostituire il “laboratorio informatico” con un ambiente di apprendimento in cui i ragazzi siano co-autori
   dei processi di conoscenza insieme a insegnanti e facilitatori;
•• formare adeguatamente gli insegnanti con corsi di aggiornamento specifici.

Molti sono i progetti del PNSD già avviati, tra questi il progetto Cl@ssi 2.0 consiste in una sorta di monito-
raggio per la formulazione di proposte innovative; infatti il focus non è sugli strumenti tecnologici ma sulla
capacità progettuale e creativa dei docenti, i quali, attraverso la verifica quotidiana delle attività con le ICT in
classe, possono strutturare un progetto di innovazione didattica. In tal modo si possono acquistare i dispositi-
vi necessari per attuare il progetto stesso, in quanto la logica di Cl@ssi 2.0 valorizza l’attuazione di esperienze
didattiche innovative che possano generare un contagio nella scuola.
Conseguentemente, il progetto Scuola 2.0 contenuto nello stesso PNSD si fonda sull’autonomia delle scuole
con l’obiettivo di estendere l’innovazione a tutte le classi della scuola; in quanto si rivolge al Collegio docenti
che, insieme al Dirigente, è chiamato ad adottare soluzioni organizzative e didattiche aperte e flessibili. In
questo modo il POF può sostenere le scelte della scuola rivolgendosi anche alle famiglie e al territorio, mentre
il Consiglio di Istituto ne è corresponsabile.
Il Web 2.0 e le tecnologie digitali nel loro complesso trasformano profondamente la comunicazione creando
nuove possibilità di apprendimento informale che caratterizzano l’intera società della conoscenza: l’obiettivo
della scuola di oggi è integrare progressivamente tali strumenti nei percorsi didattici.
Affinchè questa integrazione sia effettivamente costruttiva per tutte le parti coinvolte, bisogna considerare
come stanno cambiando tempi, spazi, ruoli e metodologie didattiche; così da modulare questi fattori in rela-
zione alla centralità del processo di apprendimento dello studente.
Infatti, attraverso l’utilizzo delle ICT nella didattica, gli studenti diventano protagonisti: da consumatori pas-
sivi di contenuti digitali ad autori responsabili che, guidati dal docente, progressivamente sviluppano abilità
di ricerca e flessibilità cognitiva.
Le tecnologie, all’interno di una progettazione intenzionale da parte dell’insegnante, possono promuovere la costruzione
condivisa di conoscenza, l’interazione con il contenuto dell’informazione ma anche la personalizzazione dei percorsi e
delle strategie di apprendimento e l’acquisizione attiva e anche creativa dei sistemi simbolici culturali ovvero le diverse
discipline (Rossi, 2009; Ranieri, 2011).

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1.1 LA CLASSE 2.0: INTEGRAZIONE DELLE ICT NELLE PRATICHE DIDATTICHE

Tra il 1985 e il 1995 le ICT sono state inserite nell’ambito disciplinare della scuola, in forma di laboratorio di
informatica: il computer era relegato in un luogo diverso dalla classe, in uno spazio dedicato dove gli studen-
ti potevano accedervi solo per lezioni episodiche.
Negli anni a seguire, la scuola ha risposto all’introduzione delle ICT nel piano didattico con lentezza e scetti-
cismo. La posizione dei docenti si è infatti mantenuta sulla difensiva per il timore che la tecnologia, portatrice
d’innovazione, potesse modificare il ruolo autoritario degli stessi; quindi l’introduzione delle ICT è stata
faticosa tanto per la scarsa disponibilità delle risorse economiche quanto per la resistenza culturale di coloro
che compongono e organizzano l’intero sistema educativo.
Tra il 1997 e il 2000 il Programma di Sviluppo per le Tecnologie Didattiche (PSTD) ha posto attenzione
sull’aggiornamento delle competenze tecnologiche per i docenti e sull’educazione alla multimedialità per gli
studenti.
L’obiettivo del progetto era quello di fornire ai docenti gli strumenti per ricevere una prima formazione di
base sulla multimedialità e studiarne le possibilità applicative nella didattica, cooperare con altri docenti
della stessa scuola o di altre scuole per esaminare ed elaborare materiali didattici, coinvolgere classi o gruppi
di studenti in attività non sistematiche utilizzando la multimedialità.
Alle scuole coinvolte nel progetto erano quindi destinate risorse finanziarie per le attrezzature e per la for-
mazione.
In tal modo le ICT hanno iniziato a proporsi come strumento di comunicazione multimediale per la costru-
zione e fruizione di contenuti interdisciplinari.
È a partire dal 2004 che le tecnologie digitali vengono introdotte in classe: con le prime Lavagne Interattive
Multimediali (LIM) la classe si fa laboratorio e inizia un lento eppur costante processo di integrazione tra le
ICT e la didattica tradizionale. La LIM infatti permette di sperimentare nuove modalità di lezione interattive
in quanto è progettata secondo la logica del digitale e della Rete.
In questo processo di integrazione sono tuttavia emerse non poche criticità legate alla effettiva organizzazio-
ne delle azioni da intraprendere in relazione alle caratteristiche proprie della tecnologia digitale.
Il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Informazione e alla Tecnologia (CREMIT) ha monitorato
nel tempo le fasi del processo, mettendone in luce i differenti ostacoli derivanti dalla scarsità di risorse im-
mediatamente spendibili per l’aggiornamento formativo dei docenti; da qui le difficoltà tecniche legate alla
gestione degli strumenti digitali, e di conseguenza la condizione di isolamento di quei docenti più sperimen-
tatori – che non ricevevano sufficiente supporto dal sistema scolastico.
Nel 2008 il MIUR ha promosso l’azione Scuola Digitale – Lavagna, portando 35.000 LIM nelle scuole primarie
e secondarie di I e di II grado in tre anni e affidando il piano di formazione all’INDIRE.
L’iniziativa ha gettato le basi per le iniziative che sarebbero seguite, in quanto le LIM sono state obbligatoria-
mente installate in classe e non nel laboratorio di informatica, costituite da un unico sistema integrato affisso
alla parete.
Le scuole aderenti hanno quindi coinvolto tutti i docenti del consiglio di classe nell’attività di formazione
tecnica (affidata alle ditte) e in quella metodologico-didattica (affidata all’INDIRE).
Il Piano Nazionale Scuola Digitale del 2009 ha quindi mirato alla concreta integrazione delle tecnologie digi-
tali nella didattica, trasformando gli ambienti di apprendimento, ovvero le classi.
Questi sono stati passi necessari per un cambiamento radicale del sistema scolastico, che è avvenuto e tutt’o-

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ra avviene in un tempo più diluito rispetto alla velocità che caratterizza lo stesso cambiamento nella vita
quotidiana delle persone: le tecnologie digitali portano in sé una nuova concezione di presenza, di comu-
nicazione e di apprendimento, e se questa concezione è stata subito assimilata più o meno coscientemente
nella sfera personale di ognuno, ha bisogno di più tempo per essere assimilata da un sistema complesso come
quello scolastico.
Questo cambiamento radicale mira infatti a scardinare l’idea tradizionale di classe: la classe 2.0 è un ambiente
di apprendimento sia fisico, reale, che virtuale; nel quale le coordinate spazio temporali si dilatano sino a
raggiungere qualsiasi altro ambiente (o persona) e i passaggi di conoscenza avvengono in una nuova dimen-
sione tra il formale e l’informale.
Nella classe 2.0 il focus è sul processo di apprendimento interattivo: questo spiega come, nel corso degli anni,
la pratica didattica quotidiana ha progressivamente sostituito una formazione per i docenti prettamente tec-
nica (intesa come alfabetizzazione informatica per l’uso di specifici software) con una formazione più ampia,
finalizzata ad acquisire la competenza digitale nel senso più ampio del termine.
L’adeguata formazione dei docenti è fondamentale per permettere agli studenti di comprendere, acquisire e
utilizzare le tecnologie digitali in relazione alle effettive potenzialità delle stesse: per questo, la formazione
prettamente strumentale dev’essere supportata da una formazione che agisca concretamente sulle rappre-
sentazioni.
Per rappresentazione si intende l’idea mentale che si possiede di un certo oggetto o situazione.
Questa idea mentale va a determinare il tipo di reazione comportamentale che si attiverà nei confronti di
quell’oggetto o situazione: ad esempio, se si considerano tablet e smartphone come strumenti ludici che por-
tano alla distrazione, nel momento in cui si ci troverà a doverli utilizzare si attiverà una reazione di resistenza
più o meno esplicita, espressa attraverso azioni più o meno consapevoli.
Al contrario, se si considerano tablet e smartphone come strumenti potenzialmente efficaci per attivare un
rinnovato processo di apprendimento, nel momento in cui ci si troverà a doverli utilizzare si attiverà una re-
azione di curiosità ed entusiasmo più o meno esplicita – la quale andrà a influenzarne positivamente gli esiti.
Una formazione per i docenti che tenga conto delle rappresentazioni (le quali si evincono dall’osservazione
fenomenologica delle azioni presenti) è utile per strutturare concretamente le azioni da intraprendere per il
raggiungimento degli obiettivi posti.
Un tipo di lavoro propedeutico interessante potrebbe riguardare anche le rappresentazioni dei genitori e
degli studenti stessi circa la tecnologia digitale: prima di entrare nel vivo di un progetto sarebbe utile coin-
volgere genitori e studenti in un dialogo comune, per far emergere i dubbi e le criticità, così da formulare una
direzione comune di intervento, dato che l’apprendimento con le ICT è continuo e può avvenire in tempi e
modi individuali e non prefigurati.
Le rappresentazioni degli studenti sono spesso più flessibili rispetto a quelle di docenti e genitori; infatti i
giovani manifestano un generale entusiasmo per l’utilizzo delle tecnologie digitali, prevedendo positive rica-
dute sull’apprendimento. Gli strumenti e le metodologie di studio innovative permettono di approfondire i
contenuti in modo più divertente e leggero, inoltre aiutano a utilizzare responsabilmente la tecnologia anche
nella quotidianità.
Dalle osservazioni risultano interessanti le modalità con cui gli studenti combinano i tradizionali strumenti
didattici (quaderni, penne, libri) con gli strumenti tecnologici: con dimestichezza passano dal tablet al qua-
derno degli appunti, comportandosi attivamente, prima ancora che creativamente. E questa rinnovata attivi-
tà non è un elemento trascurabile.

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1.2 IL SETTING DELLA CLASSE 2.0: GESTIRE LO SPAZIO E ORGANIZZARE IL TEMPO

Nella classe 2.0 la tecnologia digitale non è solo un dispositivo da “aggiungere” al setting tradizionale, ma è
uno strumento attivo che prevede una riprogettazione adeguata dello spazio e dei tempi della lezione.
Vediamo dunque come si modifica il setting didattico nella classe 2.0, in relazione alla dimensione prossemi-
ca e relazionale dello spazio e alla dimensione temporale dei processi di insegnamento e assimilazione dei
contenuti: lo spazio fisico è in stretto rapporto con la qualità del processo di apprendimento; pertanto incide
sulla memoria, sulla motivazione e sull’efficacia dell’educazione.
Finalità della classe 2.0 è creare una dimensione tanto reale quanto finzionale, una sorta di cornice didattica
che permetta di sperimentare concretamente e al contempo di prendere distanza dall’azione per attivare la
metacognizione.
La metacognizione è la capacità di riconoscere e riflettere sul proprio mondo interno, rendendo consapevoli
emozioni e pensieri; è questa una capacità fondamentale per riportare i contenuti appresi nella propria per-
sonale esperienza, dunque per fruirli attivamente trasformandoli in competenze.
Stando in questa prospettiva, si evince come la dimensione spaziale è fortemente connessa alla dimensione
temporale: dunque per setting non si intende semplicemente la disposizione degli strumenti nello spazio, ma
anche le modalità del loro utilizzo.
La stessa configurazione della tecnologia digitale prevede una modalità di lavoro interattivo e collaborativo,

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che richiede di progettare in gruppo.
La tecnologia può essere intesa come amplificatore dello spazio in quanto l’azione si svolge in un ambiente
virtuale che consente di lavorare e apprendere anche fuori dalle mura scolastiche: la dimensione temporale
dell’insegnamento/apprendimento diviene sempre più individuale e modulabile.
Stando alle osservazioni riportate, la maggior parte delle scuole impegnate nella sperimentazione ha con-
servato il setting tradizionale della classe, modificandolo di volta in volta in base alla tipologia di attività da
svolgere, soprattutto per le attività di gruppo.
Pur nella diversità delle situazioni didattiche sperimentate, si mantengono tendenzialmente due configura-
zioni di setting:

•• Il setting tradizionale prevede una fila di banchi in cui ogni studente ha il suo dispositivo sul quale lavo-
   rare individualmente, ed è orientato alla cattedra con doppia lavagna (ardesia ed e-Board). Qui il docente
   dirige la prossemica avvicinandosi o allontanandosi dal singolo alunno, orientandone lo sguardo in base
   all’organizzazione e all’uso dei supporti.

•• Il setting per il lavoro di gruppo prevede la disposizione dei banchi per isole di lavoro, dove la tecnologia
   supporta l’attività del gruppo integrandosi con gli strumenti didattici tradizionali. La posizione del docen-
   te è mobile: egli si sposta tra le diverse isole per controllare, visionare, sostenere il processo, sollecitando la
   comunicazione tra gli studenti.
In queste situazioni didattiche la dimensione prossemica del docente (che si muove tra i banchi seguendo le
richieste che di volta in volta gli vengono poste) sostiene il processo di apprendimento degli studenti: rispet-
to alla tradizionale lezione frontale il focus è sui percorsi di ricerca individuali, sul lavoro di gruppo, sulle
modalità collaborative di elaborazione e produzione di contenuti.
Le stesse modalità collaborative emergono sin dal principio della situazione didattica, in quanto i ragazzi si
attivano naturalmente per organizzare lo spazio; predisponendolo per l’attività, secondo i suggerimenti del
docente.
Dalle osservazioni è infine emerso un aumento della socializzazione tra gli studenti e una migliore coopera-
zione di fronte alle diversità.
Il lavoro di gruppo può rendere l’ambiente più confusionario, ma nel complesso l’attività risulta stimolante
tanto da far emergere nei ragazzi coinvolti la volontà di superare gli ostacoli che si presentano, insieme a una
buona motivazione ad apprendere, attraverso la ricerca e l’elaborazione attiva di contenuti.
Nell’ambito del setting didattico della classe 2.0 va citato il metodo degli EAS (Episodi di Apprendimento Si-
tuati). Un EAS è un micromodulo didattico che si compone di tre momenti:

-- L’introduzione, in cui il docente presenta il concetto/tema sul quale si dovrà strutturare il lavoro, dunque
   assegna un compito da svolgere.
-- La parte centrale, in cui il compito viene realizzato mediante una produzione multimediale (analisi di un
   testo, realizzazione di un video, fotografie, ecc.).
-- La parte conclusiva, durante la quale il docente accompagna la classe nel debriefing (ovvero la valutazione
   finale del processo).

In quest’ultima parte gli studenti si dispongono in semicerchio davanti a un cartellone, che riporta in sintesi
grafiche le produzioni svolte: questa modalità dispositiva li predispone al confronto e alla partecipazione,
favorendo l’espressione del pensiero individuale e del dialogo tra le parti.
Il metodo degli EAS ridefinisce la progettazione didattica sulla base della variabile tempo: per elaborare una
produzione digitale c’è bisogno di più tempo, quindi si potrebbe dire che la didattica digitale favorisce le con-

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dizioni per l’attivazione di un’educazione lenta e migliora la sintesi e la combinazione dei diversi linguaggi
espressivi.
La dimensione temporale, nell’ambito della ricerca sperimentale all’interno delle scuole, risulta difficilmente
valutabile:
“La scuola funziona secondo un ritmo stabilito, con un tempo razionalizzato, pianificato e con attività attentamente pro-
grammate. Si stabiliscono obiettivi da raggiungere entro tempi prefissati. Questa pratica, che dovrebbe salvare l’attività
didattica dallo spontaneismo, conduce all’ossessione per il tempo che non basta mai.” (Francesch, 2011, p. 20).
Il rapporto OCSE del 2015 evidenzia i risultati della digitalizzazione della scuola relativamente all’appren-
dimento.
I giovani italiani, nonostante possiedano buona dimestichezza con le tecnologie digitali (le loro competenze
di lettura digitale risultano addirittura sopra la media OCSE - 504 rispetto a 497 - ma superiori di 11 punti a
quelle di paesi che hanno una performance simile nella lettura ‘tradizionale’), nella loro navigazione sono
lost in navigation, ovvero disorientati: il digital divide sociale non è quantitativo ma piuttosto qualitativo. Il
15% degli studenti, quando naviga sul web, rispetto al 12% della media OCSE è poco mirato: quasi tutti gli
studenti in Italia commettono errori nella navigazione, e solo il 25% si corregge ritornando sulla rotta di navi-
gazione più appropriata. In Italia l’accesso a Internet sembra riguardare il 92,9% degli studenti svantaggiati,
6,3 punti percentuali in meno di quelli più avvantaggiati, ma solo il 66% ottiene informazioni valide (13% in
meno degli avvantaggiati), e il 44% degli svantaggiati naviga su Internet per un uso esclusivamente ludico.
Questo significa che le possibilità delle tecnologie digitali sono ancora poco sperimentate nella didattica, in
termini di apprendimento, collaborazione, inclusione, produzione di contenuti e condivisione: tutti fattori
che porterebbero i giovani italiani a utilizzare la Rete in modo produttivo per sé stessi e per gli altri.
Tutte le parti coinvolte nel sistema educativo scolastico lamentano una “mancanza di tempo”, ma per “tem-
po” si possono intendere due differenti aspetti:
•• Il tempo della dimensione del sistema scuola, ovvero il tempo dell’organizzazione scolastica del curricolo,
   che deve costantemente trovare un compromesso tra gli obiettivi prefissati (aspettative) e quelli effettiva-
   mente raggiungibili (la concretezza dei fatti). Questa dimensione temporale è quantitativa.
•• Il tempo dei processi di insegnamento e apprendimento, ovvero il ritmo con il quale il docente trasmette
   la conoscenza agli studenti in relazione al ritmo con il quale gli studenti la assimilano ed elaborano, re-
   stituendola al gruppo classe (docente incluso) in una forma personale. Questa dimensione temporale è
   qualitativa.

Le tecnologie digitali portano in sé un paradosso temporale: da un lato minimizzano le distanze spaziali sino
quasi a farle scomparire (in pochi minuti è possibile comunicare e condividere contenuti in tempo reale con
una persona che si trova dall’altra parte del mondo), dall’altro aumentano il tempo necessario per la proget-
tazione di un contenuto multimediale, in quanto prevedono un team, anche minimo, di lavoro (basti pensare
alle fasi di produzione e pubblicazione di un video).
Spesso si pensa di ricorrere alla tecnologia proprio per recuperare tempo: certamente la velocità dei device
tecnologici facilita l’accesso all’informazione e permette di sperimentare la policronia, propria del multi-
tasking (ovvero la possibilità di gestire simultaneamente più tempi in relazione alle attività aperte).
Tuttavia le ICT portate nel sistema scolastico richiedono più tempo invece di “recuperarlo”, a causa dei tempi
di risoluzione di problemi tecnici e dei tempi di preparazione dei materiali didattici, nonché di produzione
di contenuti multimediali in modalità collaborativa.
Integrare efficacemente le ICT nella didattica quindi significa riformulare il piano formativo sulla base di una
differente gestione degli spazi e del tempo: le possibilità di apprendimento, sintesi dei linguaggi espressivi e
cooperazione degli studenti che le tecnologie digitali portano in sé, richiedono che la dimensione temporale

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qualitativa del sistema scolastico sia il “contenitore” della dimensione temporale quantitativa.
Su questa riformulazione lo spazio della classe 2.0 non è da intendersi semplicemente come lo spazio fisico
dell’aula, ma come spazio virtuale (ambiente online), nonché come spazio mentale (ovvero il tempo/ritmo
individuale necessario all’apprendimento e all’elaborazione).

1.3 IL RUOLO DEI DOCENTI NELLE CLASSI 2.0

Il docente è la figura di riferimento che guida il gruppo classe in quanto individua, legge e gestisce le dina-
miche emotive e relazionali del gruppo studenti.
Il sistema scolastico è un’esperienza di gruppo nella quale convergono inscindibilmente le dinamiche della
classe e del Consiglio di classe.
È vero che ogni docente gestisce individualmente la lezione, ma è altrettanto vero che l’unità e la coesione
decisionale del Consiglio di classe si riflettono nel gruppo classe, garantendo ai ragazzi stabilità e buoni
risultati; al contrario i conflitti non risolti del Consiglio si possono tradurre in disgregazione d’intenti e di-
spersione dei ragazzi.
Per muoversi in unità i docenti coinvolti nel Consiglio di classe devono quindi comprendere la cultura affet-
tiva della classe all’interno della cultura affettiva della scuola:
La cultura affettiva di un gruppo di lavoro o di un’istituzione dipende da molte variabili, come la collocazione territo-
riale, il tipo di studenti e di genitori che si hanno, le tipologie di dirigenti succedutisi, gli eventi ‘mitici’ o drammatici
presenti nella biografia istituzionale della scuola. Ogni scuola possiede una propria ‘cultura affettiva’ e ogni singola
classe ne ha una, costituendo così un soggetto psicologico a sé stante (Lancini, 2015, p. 151).
Per quanto riguarda l’integrazione delle ICT nella didattica, anche in questo caso i docenti dovrebbero per-
seguire unità d’intenti, coesione decisionale e operativa, per evitare che le tecnologie vengano intese e utiliz-
zate dai ragazzi esclusivamente nella loro accezione ludica, come momento di distrazione dalla tradizionale
lezione frontale.
Il ruolo del docente nella classe 2.0 è più che mai quello di un facilitatore/conduttore del processo di appren-
dimento dell’intero gruppo classe in relazione alla crescita autonoma e spontanea del singolo alunno.
Tale ruolo è legato anche alle metodologie didattiche proposte, come il Problem Solving (che facilita nei ragaz-
zi l’attivazione di strategie decisionali), il Learning by doing (apprendimento attraverso il fare, dunque labora-
toriale e promotore del carattere autoriale), il Reflective Learning (apprendimento riflessivo degli studenti che
riguarda “non solo il cosa ma anche il come”, dunque basato sulla capacità metacognitiva).
Non bisogna dimenticare che la stessa esperienza dell’apprendimento di qualcosa di nuovo è un’esperienza
ansiogena, in quanto l’incontro con ciò che non si conosce può generare insicurezza e timore.
Per questo il docente dovrebbe saper utilizzare le tecnologie digitali anche come pretesto per avviare percorsi
collaborativi di co-ricerca insieme ad altri professionisti, nella logica di un’integrazione tra istituzioni, realtà
territoriali e progresso culturale.
In ambito didattico, oggi si fa riferimento alla capacità negativa, ovvero la capacità del docente di so-stare
nell’attesa per rispettare il tempo necessario al processo di apprendimento dello studente; capacità che lo
stesso docente dovrebbe trasmettere ai ragazzi come una sorta di atteggiamento formativo, più che come
qualità o nozione.
La capacità negativa si può tradurre come responsabilità emotiva che il docente deve sviluppare attraverso
la pratica di osservazione fenomenologica e ascolto attivo: si tratta di essere cosciente – dunque responsabile
– del funzionamento della propria mente e delle proprie motivazioni personali e professionali; così da per-

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mettere – attraverso il proprio processo elaborativo – il dispiegarsi del processo di apprendimento dell’altro
– in questo caso dello studente.
Comprendendo il proprio modo di apprendere, il docente può accompagnare i giovani a comprendere il
loro, incoraggiandoli emotivamente.
Questo concetto può apparire scontato ma di fatto – a causa di una moltitudine di fattori, personali e organiz-
zativi – spesso non è messo in pratica; qui si può connettere il concetto legato alla qualità della dimensione
temporale, in un contesto in cui il docente comprende l’efficacia di tale atteggiamento formativo ma non ha
concretamente il tempo di esperirlo.
In questo il paradosso delle tecnologie digitali può essere letto in una chiave evoluzionistica: è vero che la ve-
locità della Rete toglie tempo all’approfondimento, ma è altrettanto vero che sperimentare la produzione di
contenuti in forma autoriale e collaborativa – dunque attraverso l’utilizzo del medium tecnologico – consente
di rallentare il tempo dell’apprendimento (inteso come assimilazione ed elaborazione dei concetti); permet-
tendo a ognuno di “sintonizzarsi” sul proprio personale ritmo di lavoro, in relazione ai compagni co-autori
del progetto.
Molti ragazzi affermano di non sentirsi coinvolti rispetto a quanto viene loro insegnato a scuola, lamentando
una de-contestualizzazione dei contenuti trattati: pragmaticamente non sanno cosa fare con le nozioni che
ogni giorno imparano, che percepiscono come “staccate” dalle problematiche concrete, quotidiane.
È certo che il focus del problema non è sul cosa ma sul come: una lezione di storia interattiva che sappia “dia-
logare” con l’attualità può appassionare gli studenti, stimolando la riflessione e il confronto.
I giovani nativi digitali non sono dis-interessati agli argomenti di studio, sono piuttosto dis-adattati a metodi
di studio predigitali, in quanto sono nati e cresciuti in un universo iperconnesso, quindi hanno sviluppato
sistemi di apprendimento differenti da quelli tradizionalmente proposti dal sistema scolastico.
È concreta la difficoltà degli studenti ad adattarsi a un sistema scolastico ancora poco responsivo al cambia-
mento: è indicativo l’incremento dei ritiri scolastici (spesso accompagnato da una forte frustrazione causata
dal confronto con l’ambiente esterno, considerato giudicante), insieme alla crescita esponenziale dei bisogni
educativi speciali.
Molti studenti sperimentano grandi difficoltà nella memorizzazione delle conoscenze sui libri di testo, no-
nostante un’adeguata funzionalità cognitiva: semplicemente hanno un diverso rapporto con lo studio, in
particolare con il testo scritto, e faticano a so-stare nella dimensione di silenzio e raccoglimento che ha carat-
terizzato la formazione scolastica dei predigitali.
Il loro studio è una sperimentazione di nuove forme di contatto, in quanto sono in grado di mantenere alta
l’attenzione attraverso la vicinanza e la distanza dalla comunicazione che in quel momento hanno attivato
con i loro compagni nell’ambiente virtuale dei Social Media.
Le nuove generazioni hanno quindi un sistema di valori differente rispetto a quello delle generazioni prece-
denti: basti pensare a come la Rete ha modificato l’etica dell’immagine – smaterializzandola. Dunque a come
ha modificato la percezione di sé in relazione all’ambiente, e di conseguenza i valori legati alle relazioni e alla
socialità.
La Rete è un ambiente libero quindi le nuove generazioni vi si muovono senza avere saldi riferimenti: gli
adulti spesso reagiscono con indifferenza alla loro sete di connessione, o formulano giudizi negativi e affret-
tati sui loro comportamenti in apparenza “distaccati, privi d’interesse”.
Oggi per i ragazzi è prioritaria la spinta all’autorealizzazione del proprio Sé, che si basa su un bisogno conti-
nuo di conoscenza non formale, con l’obiettivo di autodefinire la propria identità in relazione ai movimenti
sociali e culturali: percepiscono il futuro come incerto (in un’accezione negativa), creativo (in un’accezione
positiva). Per i ragazzi delle precedenti generazioni era prioritario studiare in funzione della professione che

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sapevano sarebbe diventata il lavoro del futuro, e che conferiva loro l’identità sociale.
La questione non è comprendere cos’è meglio e cos’è peggio, ma come creare un legame intergenerazionale
che abbia un valore educativo – dunque evolutivo – sia per i ragazzi che per gli adulti.
“Quel che conta è riuscire a utilizzare il sapere per so-stenere il Sé e la propria crescita personale, solo così potranno
forse trasformare la noia che sperimentano in interesse e, dunque, in attenzione, ascolto e apprendimento.” (Lancini,
2015, p. 40).
La didattica della classe 2.0 è una didattica del cre@pprendere, guidata da un docente che progetta l’azione
educativa: egli recupera le risorse di significato disponibili e le rimette in circolo dopo averle rielaborate in-
sieme agli studenti; dunque armonizza i contenuti in modo collaborativo.
Le tecnologie impongono di affrontare “il nuovo” ridisegnando un nuovo rapporto tra docenti e studenti,
entrambi protagonisti sul Web in quanto co-autori di contenuti.
Infatti un’azione intenzionale che superi una “idea festiva di tecnologia” si basa sulla comprensione, da parte
del docente, delle motivazioni che hanno guidato l’azione stessa, la quale sarà sempre sostenuta dalla rifles-
sione consapevole derivante dalla ricerca.
Il docente che avvia percorsi collaborativi di co-ricerca insieme ad altri professionisti acquisisce la capacità –
indispensabile nella didattica del cre@pprendere – di decontestualizzare l’azione per rileggerla ed esperirla
attraverso molteplici punti di vista esterni all’azione stessa.
La ricerca-azione è una modalità che applicata nel settore educativo aiuta il docente a elaborare un’analisi
soggettiva e collegiale intorno alle discipline da insegnare o reticolare con gli altri colleghi.
La ricerca-azione favorisce approfondimenti nelle diverse tematiche in vista della realizzazione di percorsi
di azione e di riflessione in itinere, fornisce un supporto valido ed efficace alla didattica e alla progettazione:
uno degli obiettivi principali risiede nel produrre un mutamento di prospettiva da innestare nel modo di
educare per quanto concerne le modalità e i risultati.
Molto importante risulta quindi riuscire a mantenere una visione d’insieme, che ponga attenzione alle mol-
teplici componenti (cognitive e non) implicate nel processo educativo, tenendo sotto controllo le variabili che
entrano in gioco.
Un esempio incisivo può essere l’esperienza di molte realtà scolastiche che hanno avviato progetti che rin-
novano il rapporto con il libro di testo, muovendosi tra il libro digitale co-costruito con la casa editrice e la
costruzione dell’ebook in classe: il tempo lineare della narrazione, della lettura e della scrittura interagisce
con i linguaggi sistemici della Rete, promuovendo la complementarietà tra le metodologie di apprendimento
tradizionali e quelle innovative.
Il ruolo dei docenti nelle classi 2.0 è quello di promuovere l’alfabetizzazione digitale funzionale attraverso
l’utilizzo della multimedialità per creare una reale connessione tra le nuove generazioni e le generazioni
predigitali, dunque per minimizzare il divario tra il pensiero lineare logico delle metodologie tradizionali e
il pensiero creativo delle metodologie innovative.
Il nuovo analfabetismo consiste nella fruizione passiva di contenuti in Rete, quindi l’alfabetizzazione digi-
tale funzionale permette di sfruttare le possibilità delle tecnologie digitali per promuovere un processo di
apprendimento – e di educazione – evolutivo prima ancora che innovativo: il progresso è prima di tutto nella
comprensione della funzionalità che lo genera.

In tal senso la didattica del cre@pprendere prevede la teoria come sostegno all’azione e quindi punto d’arri-
vo, più che come punto di partenza: l’apprendimento avviene per scoperta, attraverso la comunicazione e la

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ricerca, la cooperazione e la condivisione.
Le tecnologie digitali possono facilitare questo apprendimento per scoperta, creando occasioni per sviluppa-
re le competenze e abilità cognitive e sociali mentre le si agisce.
Per un docente che svolge il suo operato nella classe 2.0 la finalità dell’insegnamento dovrebbe essere quella
di formare le generazioni future promuovendo l’alfabetizzazione digitale funzionale – dalla quale si può
generare un’alfabetizzazione culturale.

1.4 I CENTRI SCOLASTICI DIGITALI (CSD)

L’operazione Scuola 2.0 è nata con la finalità di realizzare una scuola innovativa capace di superare gli schemi
tradizionali di istituto scolastico, non solo in termini di didattica ma anche a livello di organizzazione delle
strutture e del personale: l’Agenda Digitale Italiana ha quindi previsto i Centri Scolastici Digitali - CSD (art.
11 legge 221 del 2012), per permettere agli studenti dislocati in zone disagiate di fare scuola in collegamento
con una “scuola di riferimento”, con il sostegno di un tutor che opera in presenza.
I CSD sono quindi plessi scolastici “funzionalmente legati alle istituzioni scolastiche di riferimento, mediante
l’utilizzo di nuove tecnologie”, per assicurare pari opportunità formative e di socializzazione agli studenti
che vivono in situazioni di isolamento geografico. Ad oggi le regioni che hanno espresso l’interesse a con-
nettere la scuola con il territorio - con il supporto del Miur - in forma di CSD sono: Abruzzo, Liguria, Molise,
Umbria, Basilicata.
In Italia ci sono circa 8000 comuni, tra questi circa la metà sono considerati piccoli e piccolissimi comuni: qui
la scuola è un importante punto di riferimento per la società, un collegamento funzionale tra le persone e il
territorio, in quanto lo spopolamento e l’isolamento sono rischi concreti per realtà di questo tipo.
Infatti queste scuole devono fronteggiare molteplici problemi sia di ordine organizzativo che didattico: dal
continuo dimensionamento delle scuole (con conseguente aumento del numero massimo di allievi nelle plu-
riclassi) alla riduzione dell’assegnazione dell’organico; da un alto turnover degli insegnanti (causato dalle
difficoltà logistiche e di trasporto), alla frequente interruzione della continuità didattica.
Queste criticità ostacolano il conseguimento di economie di scala, utili a mantenere attive le stesse sedi sco-
lastiche con offerte formative innovative anche in siti geograficamente più isolati.
I CSD prevedono di avviare la sperimentazione a distanza di scuole organizzate in reti: questo significa apri-
re la classe, concettualmente e praticamente, per trasformare l’isolamento da limite geografico a opportunità
di apprendimento attraverso una didattica modulata al contesto. Questo tipo di sperimentazione può favo-
rire il radicamento sul territorio delle famiglie, spesso costrette a spostarsi nei grandi centri che garantiscono
un’offerta formativa ampia e costante.
Pertanto tutte le soluzioni proposte per i CSD, al fine di favorire nel migliore dei modi l’interazione tra docen-
ti e insegnanti che si trovano in diverse sedi scolastiche, devono garantire la connessione continua a Internet
per consentire l’interoperabilità.
Le scelte tecnologiche devono seguire un modello didattico collaborativo, teso al potenziamento delle co-
noscenze e delle competenze degli studenti: disporre di un’ampia dotazione tecnologica non è condizione
sufficiente per fare scuola a distanza, in quanto bisogna puntare sulla formazione metodologica dei docenti.
In questo modo ogni singolo strumento tecnologico può assumere una precisa valenza nel contesto didattico
in cui viene utilizzato.

Dall’osservazione effettuata in questi anni sono emerse due possibilità di applicazione:

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1. La didattica condivisa: prevede quotidianamente l’uso della videoconferenza tra due o più classi ap-
   partenenti a istituzioni scolastiche diverse, per garantire tutti gli insegnamenti disciplinari attraverso lo
   scambio di esperienze. La didattica condivisa prevede collegamenti in classe tra studenti di altre scuole
   (o con studenti impossibilitati a essere in aula) e incontri a distanza con esperti disciplinari e/o tutor. Le
   tecnologie sono quindi a fondamento di queste possibilità, in quanto permettono di ristrutturare la didat-
   tica con metodologie innovative (flipped classroom, l’uso di webquest in rete, ecc...).

2. L’ambiente di apprendimento allargato: qui una o più classi lavorano a un progetto disciplinare comune,
   organizzando periodicamente incontri tra docenti, studenti ed esperti che comunicano con l’ausilio di
   videoconferenze. In questo caso la didattica ottimizza le risorse, quindi è intesa come una metodologia
   complementare all’insegnamento tradizionale, consentendo una migliore interazione tra docenti, studen-
   ti e loro familiari.
In entrambi gli scenari la connettività prevede una cablatura diffusa in tutti i plessi della scuola (con una rete
wireless ed una rete dedicata):

•• Il collegamento tra le scuole avviene in uno spazio comune online, utilizzato per la collaborazione, la ge-
   stione, la condivisione e lo scambio di strumenti e contenuti didattici.
•• Una linea dedicata (doppio canale) consente di lavorare stabilmente con gli strumenti di comunicazione
   sincrona e videoconferenze, dunque di avviare una lezione condivisa.
•• Alla videoconferenza può essere affiancata una piattaforma per il lavoro online come follow up all’intera-
   zione in presenza (può essere una sorta di classe virtuale o anche solo un sistema di condivisione dei file).
•• Un sistema “in parallelo” garantisce il passaggio in videoconferenza di tutto ciò che è audio e video, mentre
   l’interazione sugli applicativi passerà attraverso il computer della lavagna interattiva multimediale (LIM).

L’ambiente di apprendimento allargato prevede un setting tecnologico più vario e leggero, in quanto si pos-
sono avviare le videoconferenze anche attraverso software gratuiti come Skype, Google Hangouts, ecc.; op-
pure lavorare con interazioni asincrone (con piattaforme di formazione con classi virtuali o repository online
per la condivisione), supportando ulteriormente l’interazione con strumenti di collaborazione come wiki o
simili, e sistemi di messaggistica (Whatsapp e forum).
Dunque è fondamentale la buona combinazione tra comunicazione sincrona e asincrona, tra momenti di
lavoro collaborativo e autonomo da parte degli studenti.
In sintesi, le due possibilità di applicazione (didattica condivisa e ambiente di apprendimento allargato)
permettono di:

•• Garantire un’istruzione di qualità indipendentemente dalla collocazione geografica della scuola, raggiun-
   gendo anche gli studenti che non hanno la possibilità di esser presenti in aula.
•• Arricchire l’ambiente di apprendimento con la didattica condivisa.
•• Superare la condizione di isolamento degli insegnanti.
•• Promuovere le tecnologie per la collaborazione e lo sviluppo di abilità cognitive e sociali.
•• Mantenere in attività le piccole scuole grazie a un uso intelligente delle tecnologie.
•• Fare delle scuole che si trovano in luoghi geograficamente isolati un punto di riferimento per l’innovazione
   locale.

L’Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), nell’ambito della didat-
tica a distanza, ha accompagnato i progetti di sperimentazione che le scuole situate in località isolate hanno
avviato - come ad esempio Marettimo e Lampedusa, o la rete di istituti dell’Appennino toscano (progetto
Errequadro) e quella delle scuole della Liguria con capofila l’Istituto Comprensivo di Sassello (Savona) - os-
servando le metodologie che gli insegnanti di queste particolari realtà utilizzano.

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http://www.uncemtoscana.it/attivita/progetti-e-attivita-per-lo-sviluppo/innovazione/progetto-errequ-dro/progetto-erre-
qu-dro
Riferimenti utili
Il sito INDIRE presenta il progetto Cl@ssi 2.0 per la Scuola Digitale, affrontando temi quali: ambienti di ap-
prendimento innovativi, individualizzazione e personalizzazione degli apprendimenti, formali-non formali,
contenuti didattici digitali, metodologie didattiche.
http://www.scuola-digitale.it/classi-2-0/il-progetto/introduzione-2/
Il sito del MIUR presenta l’avviso pubblico per la realizzazione di ambienti multimediali (PON 2014/2020).
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/pon/2014_2020
Il sito dell’Agenda Digitale Italiana, una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, che fissa gli
obiettivi per la crescita nell’Unione europea da raggiungere entro il 2020.
http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/agenda-digitale-italiana
Il sito del CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Informazione e alla Tecnologia) offre pub-
blicazioni, progetti ed esiti di monitoraggi.
http://lnx.cremit.it/
Education 2.0 è una community online sul mondo dell’education aperta a tutti gli attori del mondo scolasti-
co, dell’educazione e della formazione (insegnanti, dirigenti, formatori, studenti, genitori ecc.). Gli autori di
education 2.0 sono esperti del settore ICT, sotto la direzione scientifica dell’ex ministro dell’istruzione Luigi
Berlinguer.
Qui gli utenti possono approfondire, discutere, condividere le esperienze.
http://www.educationduepuntozero.it

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ABSTRACT

  Molti sono i progetti del PNSD già avviati, tra questi il progetto Cl@ssi 2.0 consiste in una sorta di mo-
  nitoraggio per la formulazione di proposte innovative; infatti il focus non è sugli strumenti tecnologici
  ma sulla capacità progettuale e creativa dei docenti, i quali, attraverso la verifica quotidiana delle attività
  con le ICT in classe, possono strutturare un progetto di innovazione didattica. In tal modo si possono
  acquistare i dispositivi necessari per attuare il progetto stesso, in quanto la logica di Cl@ssi 2.0 valorizza
  l’attuazione di esperienze didattiche innovative che possano generare un contagio nella scuola.

  Conseguentemente, il progetto Scuola 2.0 contenuto nello stesso PNSD si fonda sull’autonomia delle
  scuole con l’obiettivo di estendere l’innovazione a tutte le classi. L’obiettivo della scuola di oggi è integra-
  re progressivamente le ICT nei percorsi didattici; affinchè questa integrazione sia costruttiva per tutte le
  parti coinvolte bisogna modulare tempi, spazi, ruoli e metodologie didattiche in relazione alla centralità
  del processo di apprendimento dello studente.

  Nella classe 2.0 il focus è sul processo di apprendimento interattivo: questo spiega come, nel corso degli
  anni, la pratica didattica quotidiana ha progressivamente sostituito una formazione per i docenti pretta-
  mente tecnica (intesa come alfabetizzazione informatica per l’uso di specifici software) con una formazio-
  ne più ampia, finalizzata ad acquisire la competenza digitale nel senso più ampio del termine.

  Finalità della classe 2.0 è creare una dimensione tanto reale quanto finzionale, una sorta di cornice didat-
  tica che permetta di sperimentare concretamente e al contempo di prendere distanza dall’azione per atti-
  vare la metacognizione. Integrare efficacemente le ICT nella didattica significa riformulare il piano forma-
  tivo sulla base di una differente gestione degli spazi e del tempo: le possibilità di apprendimento, sintesi
  dei linguaggi espressivi e cooperazione degli studenti che le tecnologie digitali portano in sé, richiedono
  che la dimensione temporale qualitativa del sistema scolastico sia il “contenitore” della dimensione tem-
  porale quantitativa. Su questa riformulazione lo spazio della classe 2.0 non è da intendersi semplicemente
  come lo spazio fisico dell’aula, ma come spazio virtuale (ambiente online), nonché come spazio mentale
  (ovvero il tempo/ritmo individuale necessario all’apprendimento e all’elaborazione).

  Il ruolo del docente nella classe 2.0 è quello di un facilitatore/conduttore del processo di apprendimento
  dell’intero gruppo classe in relazione alla crescita autonoma e spontanea del singolo alunno. Tale ruolo
  è legato anche alle metodologie didattiche proposte, come il Problem Solving (che facilita nei ragazzi
  l’attivazione di strategie decisionali), il Learning by doing (apprendimento attraverso il fare, dunque la-
  boratoriale e promotore del carattere autoriale), il Reflective Learning (apprendimento riflessivo degli
  studenti che riguarda “non solo il cosa ma anche il come”, dunque basato sulla capacità metacognitiva).
  Le nuove generazioni hanno un sistema di valori differente rispetto a quello delle generazioni precedenti:
  basti pensare a come la Rete ha modificato l’etica dell’immagine – smaterializzandola. Dunque a come
  ha modificato la percezione di sé in relazione all’ambiente, e di conseguenza i valori legati alle relazioni
  e alla socialità.

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