Un po' di Storia di Taranto
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RiviviAMO TARANTO Un po’ di Storia di Taranto Qualunque discorso si faccia su Taranto, si finisce sempre per trovarsi di fronte ad una presenza ingombrante e invadente anche se sottintesa. Si chiama ArcelorMittal, prima Ilva e prima ancora Italsider, insomma l’acciaieria, ed è la maggior industria siderurgica d’Italia e d’Europa, estesa su una superficie grande due volte e mezzo quella della città, assieme ad altre aziende petrolifere e cementifere locali, croce e delizia per i suoi abitanti. Delizia perché impiegano parecchie migliaia di lavoratori, con relativo ricatto occupazionale, croce perché fanno del quartiere periferico Tamburi uno dei luoghi più inquinati della penisola. Un triste primato, purtroppo esaltato e pubblicizzato smisuratamente dagli stessi Tarantini, che non fa certo di Taranto una destinazione turistica ambita nonostante possa offrire, proprio dal punto di vista turistico, una città ed un comprensorio bellissimi e ricchi di storia e cultura. Da quando Bonelli si è candidato Sindaco a Taranto, nel 2012, eleggendosi leader di manifestazioni, certamente giuste, ma condotte con sonorità da suicidio turistico per la Città, Taranto ha perso più del 60% del flusso turistico che, pur non eccezionale, contribuiva in maniera sostanziosa al PIL della Città; senza considerare i notevoli danni prodotti al commercio dei prodotti della pesca ed agricoli. Per riguadagnare l’interesse turistico che merita e recuperare questi danni non basterà la bonifica del territorio, ora che inizierà. Occorrerà che Taranto, i Tarantini prima ancora che i Politici ed Intellettuali facciano ricorso alle sue Pag.1 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO immense doti storico-culturali vantandole in maniera certamente più imperiosa delle citate manifestazioni-suicidio turistico. Taranto, seconda per importanza nella regione, è, infatti, una delle città più antiche d’Italia e d’Europa, fondata nell’VIII sec. a.C. da coloni fuoriusciti da Sparta, che si impose ben presto sulle altre polis della Magna Grecia, per il territorio fertile e la floridezza dei commerci marittimi con la madre patria e l’intero Mediterraneo. La cosiddetta città dei due mari possiede una caratteristica ambientale e geografica unica in assoluto: si affaccia appunto su due mari, anzi tre. Alle spalle dello Ionio si apre infatti il Mar Piccolo, 20 km2 a forma di 8 o di cuore, laguna retrodunale e unico mare interno della penisola, alimentato da sorgenti ipogee di grande interesse. Ottimo porto naturale, straordinariamente ricco di biodiversità, di ogni tipo di pesci e di frutti di mare. Un mare premiato dalla natura, dove ancora oggi si possono incontrare tartarughe e squali giganti. Una gemma turistica della città risulta costituita dal Museo Archeologico nazionale MARTA appena ristrutturato, che da solo meriterebbe un viaggio in quanto tra i più ricchi del Sud e specializzato sulla Magna Grecia. Famoso nel mondo soprattutto per la sua straordinaria raccolta di ori di epoca ellenistica, un’impareggiabile antologia di arte orafa realizzata sia a sbalzo che a filigrana (diademi, orecchini, bracciali, collane, anelli, fibule e quant’altro), provenienti dai corredi funebri delle ricche tarantine. Pag.2 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Narra la leggenda che gli esuli spartani guidati da Falanto stavano costeggiando il golfo ionico, quando si imbatterono in un branco di delfini, considerati dalla mitologia greca indici di buon auspicio. Decisero allora di attraccare sulla penisoletta rocciosa tra Ionio e Mar Piccolo, dove fondarono Taras, la nuova e potente colonia magnogreca egemone nell’area, che arrivò a contare fino a ben 300 mila abitanti (oggi meno di 200 mila). Il rapporto tra Taranto ed i delfini risulta assai più antico degli esuli spartani, risalendo ad almeno 4 mila anni or sono. Per correnti, conformazione, venti e ricchezza alimentare l’Alto Ionio costituisce un luogo ideale per la presenza e la riproduzione dei cetacei: su 8 specie endemiche italiane, ben 4 stazionano in queste acque. Altre importati ricchezze turistiche nel retroterra. Sulle Murge tarantine ad est del capoluogo, sulla strada per Brindisi e l’Adriatico, sorge Grottaglie, cittadina che deve il nome al fatto che nel X sec. gli abitanti vi scavarono ambienti ipogei per farne case, stalle, magazzini e laboratori. Per la presenza di ottima argilla, costituisce uno dei caposaldi regionali di produzione artigianale di ceramica DOC. E proprio il quartiere dei ceramisti, alle spalle del castello trecentesco Episcopio attrezzato a museo, unico nel suo genere e ancora piuttosto genuino, ricorda un villaggio da presepe. La produzione fittile, che risale almeno all’epoca greca se non precedente, ebbe un forte impulso nel 1400-1500, con intensa esportazione anche all’estero. Oltre a vasi, anfore, piatti, ciotole e bicchieri, è famosa per la produzione proprio di presepi, antichi e moderni; dal 1980 ogni Natale vi si svolge una apprezzata rassegna sul presepe ceramicolo. I laboratori sono una cinquantina e c’è solo l’imbarazzo della scelta. A nord-ovest, sul lato opposto, si apre fino ai confini con la Basilicata la piana di Metaponto, fertile territorio un tempo paludoso e malsano che offre spiagge basse e sabbiose, con dune e pinete utilizzate dal turismo per la balneazione, e all’interno ampie distese di agrumeti. Più a monte affiorano invece rocce calcaree e calcareniti, fino ad una altezza di 400-450 m, che costituiscono le Murge tarantine, caratterizzate dalla presenza Pag.3 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO di una particolare forma geomorfologica, le gravine. Si tratta di canyon ripidi, serpeggianti e profondi da alcune decine fino ad oltre 200 m, che solcano l’altopiano e scendono verso valle, scavati in epoche geologiche da paleofiumi penetrati all’interno di fratture presenti nella tenera e solubile roccia calcarea. La presenza costante di acqua, di grotte naturali, di cavità artificiali facilmente scavabili e l’assenza di venti vi ha da sempre richiamato l’uomo, a partire dal Neolitico e fino alla metà del secolo scorso, con particolare frequenza in epoca alto medievale, quando vi sorsero consistenti insediamenti rupestri, con tanto di chiese e cripte decorate da suggestive pitture ed icone bizantine e basiliane. Queste imponenti gole sono circa una sessantina e si estendono da Crispiano e Statte fino a Laterza e Ginosa al limite ovest della regione, o meglio in realtà fino a Matera, i cui Sassi costituiscono la gravina più suggestiva e famosa nel mondo, non a caso protetta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Dal 2005 quelle presenti in 14 comuni della provincia di Taranto, estese su una superficie di 28 mila ettari, fanno parte del Parco naturale regionale delle Gravine. Queste imponenti spaccature della roccia, grazie alla notevole profondità, all’acqua, all’umidità e alle grotte, offrono una straordinaria peculiarità climatico-ecologica, vale a dire l’inversione termica rispetto alla superficie: in estate sul fondo risulta assai più fresco che all’esterno, mentre in inverno succede il contrario. Le oasi climatiche fanno sì che nelle gravine alberghi una fauna e, soprattutto, una flora particolare e diversa da quella presente in superficie, con non pochi endemismi rimasti bloccati in queste nicchie ecologiche. Abbondano i rapaci di tutti i tipi, diurni e notturni, compreso il raro capovaccaio (l’avvoltoio degli Egiziani), diverse specie di pipistrelli, un anfibio endemico, piccoli mammiferi come istrice e volpe fino al lupo e al cinghiale, diversi rettili (quasi tutti innocui, salvo la vipera) e una notevole varietà di farfalle. Ma è soprattutto la vegetazione a stupire: foreste di leccio, pino d’Aleppo, carrubo e acero, con intensa macchia mediterranea e un florido sottobosco dove crescono spontanei asparagi, orchidee e rose selvatiche, ciclamini, melograni e cotogne, con diverse specie di origine balcanica. E le pareti verticali, dove nidificano i rapaci, vengono usate come palestre per l’arrampicata da generazioni di free-climber. Piccoli eden di natura in un territorio antropizzato e Pag.4 degradato. Quella di Laterza è la gravina più grande di tutte, e tra le più belle: ben info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO 12 km di lunghezza, oltre 200 m di profondità e 400 m la larghezza. Il suo sviluppo meandriforme, l’ambiente naturale, le imponenti falesie precipiti, le creste di roccia e i pinnacoli sospesi nel vuoto rendono il paesaggio unico e decisamente emozionante. In realtà si tratta di uno dei maggiori canyon d’Italia e d’Europa, dove dal 1999 sorge una storica oasi della Lipu (Lega italiana protezione uccelli), sempre aperta dal giovedì alla domenica, la quale oltre allo accompagnamento vi svolge anche un intenso calendario di iniziative didattiche e naturalistiche. Nel sovrastante paese di Laterza, fatto di case bianche pitturate a calce che odorano di carne al forno, di focaccia, di friselle e di pane caldo, meritano una visita alcune chiese rupestri (in particolare la cosiddetta Cantina Spagnola) e il Muma, museo della maiolica laertina, ospitato in centro nel bel palazzo marchesale. A partire dal 1200 la maiolica diviene infatti la principale produzione artigianale locale, caratterizzata da grandi piatti da parata, coppe, anfore e alzate di un candido smalto bianco dipinti di turchino, giallo arancio e verde ramina e, soprattutto, dai vasi per farmacie e spezierie. Se poi si è disposti ad uscire dalla provincia tarantina ed allargare gli orizzonti, Family-in ha in serbo numerose altre proposte didattiche adatte per famiglie con bambini. A puro titolo di esempio a Manduria la strada del vino, a Martina Franca gli edifici barocchi, Alberobello con i trulli, le visite speciali alle Grotte di Castellana con le esperienze nel buio e nel silenzio più assoluti (possibili soltanto nelle viscere della terra). Pag.5 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Le origini di Taranto La storia di Taranto la indica nata nel 706 a.C. per opera degli Spartani (i figli illegittimi delle nobili Spartane, cacciati dai mariti traditi al ritorno dalla guerra contro i Messeni) che, guidati di Falanto, sono venuti alla conquista di un territorio abitato dagli Iapigi e dei Messapi. Ma se il territorio che Falanto e gli Spartani hanno conquistato nel 706 a.C. era già abitato dagli Iapigi e dai Messapi vuol dire che Taranto, comunque si chiamasse, già esisteva. Ed ecco una seconda versione storica, come scrive Cosimo D‘elia, che dice di una Taranto nata per opera di Tiras o Taras (a secondo delle vocali che si usano nel leggere un nome che a quel tempo veniva scritto con le sole consonanti), figlio di Jafet, primo figlio di Noè, sin dal tempo del dopo diluvio; ovvero più di 4.000 anni fa (certamente 1.200 anni prima della nascita di Roma), quando i figli ed i nipoti di Noè attraversarono il Mediterraneo in cerca di nuovi territori dai quali partirono ì primi segni di organizzazioni in grosse comunità delle popolazioni Europee. Alcune ricostruzioni li indicano provenienti dall'Illiria (ora costa dalmata/montenegrina) o dalla Creta Micenea. Qualcuno scrive che Tiras fosse figlio di Nettuno che, per altri riferimenti, è identificato nello stesso Noè. L'ampiezza del golfo, protetto dalle due isole poste all'imboccatura, consigliò Fàlanto di approdare in vicinanza di una vasta spiaggia che si estendeva nei pressi di un fiume che scorreva a poche miglia dal luogo ove sarebbe nata poi la città (fra capo Rondinella e la foce del Tara). In ogni caso, non abbiamo utili riferimenti storici da Tiras a Falanto e, quindi, Pag.6 partiamo dagli Spartani. Sistematosi a Taranto, gli Spartani cominciarono ad info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO espandere il loro territorio combattendo e scacciando dai loro insediamenti gli abitanti locali, gli Iapigi Messapi. La Puglia era allora chiamata Iapigia e i suoi abitanti erano chiamati Dauni a nord (Foggia), Messapi al centro (Bari e Taranto) e Peucezi nel Salento. Intorno alla nascita di Taranto si raccontano leggende bellissime. Dicono che queste storie siano il frutto dell’immaginazione dei Greci che volevano in qualche modo avvallare l’origine divina della città e l’indole valorosa dei suoi fondatori. I racconti leggendari più celebri sono quelli di Taras, Arione e Falanto ed il DELFINO. La leggenda di Taras. Taras era figlio della ninfa Satyria e di Nettuno, dio del mare. Era a capo di una flotta che sbarcò alla foce di un fiume che più tardi prese il suo nome. Sulle rive del corso d’acqua cominciò a fare sacrifici per ringraziare il padre del buon viaggio intrapreso e propiziare l’edificazione di una nuova città in quel luogo. Taras stava appunto compiendo questa primordiale operazione chirurgica (le interiora degli animali venivano sventrate e arse in onore del dio) quando all’improvviso vide saltare un delfino nelle acque del fiume. Il giovane interpretò questa apparizione come il segno del favore di Nettuno, del suo incoraggiamento a fondare la città. La chiamò Saturo per omaggiare o la madre Satyria o la moglie Satureia (chissà che confusione in famiglia), località che ancora oggi porta questo nome. Un giorno, mentre Taras era intento a fare sacrifici, cadde nelle acque del fiume e, nonostante le ricerche di coloro che assistevano al rituale, il suo corpo non venne mai trovato. Tutti si convinsero allora che era stato il padre Nettuno a portarlo con sé per accoglierlo nel novero degli eroi. Gli fu dunque dedicato un tempio in cui venne venerato come un dio dagli abitanti della città. Sulle antiche monete di Taranto è raffigurato Taras a cavallo di un delfino che impugna nella mano sinistra un tridente (simbolo di Nettuno) e nella mano destra un vaso da Pag.7 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO sacrificio che rimanda ai rituali propiziatori che il giovane era solito fare al dio del mare. Taras e il suo delfino sono oggi rappresentati nello stemma civico della città, riconosciuto ufficialmente il 20 dicembre 1935 da un decreto reale. Lo stemma più antico in assoluto era completamente diverso e coincideva con quello che è oggi il simbolo della provincia ionica: lo scorpione con la corona e i tre gigli sul dorso. Lo scorpione è rimasto in voga per 17 secoli e, si narra, sia stato a sceglierlo Pirro in persona!. Nel 1589 lo stemma scelto da Pirro venne sostituito con quello di Taras a cavallo del delfino, ma la sua mano sinistra, invece di essere avvolta nel mantello come nella versione attuale, impugnava uno scudo raffigurante uno scorpione. La leggenda di Arione. Citarrista di Corinto, Arione, al culmine della notorietà, pensò fosse giunto il momento di allontanarsi da Taranto e di tornare a Corinto. Quando la nave salpò e fu in alto mare, la ciurma complottò contro di lui perché voleva impadronirsi del suo denaro. Arione supplicò inutilmente l’equipaggio di prendersi tutti i suoi averi ma di lasciarlo in vita. Gli fu data solo la possibilità di scegliere fra un suicidio con degna sepoltura in terra o un tuffo in alto mare. Arione scelse la seconda alternativa ma, prima di compiere l’estremo gesto, chiese di intonare un ultimo canto. Presa la cetra, suonò e cantò una lode ad Apollo così soavemente che attirò intorno alla nave un gruppo di delfini. Quando si buttò, uno di essi lo raccolse sul dorso e lo portò sano e salvo presso il santuario di Poseidone a Capo Tenaro. I marinai proseguirono per Corinto senza accorgersi di nulla. Pag.8 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Si dice che Apollo, colpito dal canto intonato in suo onore, abbia poi assunto fra le stelle Arione e il delfino trasformandoli in due costellazioni: la costellazione della lira e la costellazione del delfino. La legenfa di Falanto. La traversata in mare di Falanto verso la nostra terra fu piena di avversità. Venti contrari li spinsero verso il mare Egeo e qui la nave fece naufragio. Ma ecco che un delfino giunse in soccorso di Falanto e lo portò a riva. Da qui il capo dei Parteni coordinò i soccorsi in favore dei suoi compagni. La nave fu riparata alla meglio e pronta a ripartire. Per molto tempo i Parteni navigarono senza meta, e Falanto fu persino tormentato dal dubbio che il vaticinio degli Dei non dovesse mai avverarsi. Finché un giorno, stremato, si addormentò sulle ginocchia della moglie Etra, il cui nome significa “cielo sereno”. La donna, pensando alle sventure vissute dal marito, cominciò a piangere. Le sue lacrime destarono Falanto. Fu un’illuminazione. Le parole oscure dell’oracolo furono finalmente interpretate: aveva piovuto dal cielo sereno. Evviva. Falanto e i suoi compagni si trovavano in quel momento nel golfo di Saturo, alla foce del fiume Tara, ed è qui che fondarono una nuova città sottraendo le terre agli Japigi. La chiamarono Taranto in onore di Taras, l’eroe che secoli prima era giunto in quegli stessi luoghi. Prima di morire, Falanto si ricordò che l’oracolo aveva predetto che Taranto sarebbe rimasta inviolata se le sue ceneri fossero state sparse entro le mura della città. Si raccomandò dunque che le sue reliquie venissero polverizzate e distribuite di nascosto nel foro di Taranto per assicurare il possesso della città ai Parteni. In omaggio a questo gesto, i cittadini riservarono a Falanto onori divini e la sua figura venne rappresentata (così come avvenne per Taras) a cavallo di un delfino su medaglie e monete. Pag.9 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO La città fu ingrandita, resa prospera e possente; egli cominciò a darle fama, l'arricchì di savie leggi, di glorie e vittorie. Dopo Fàlanto, cacciato a Brindisi dai suoi seguaci per una ribellione al suo potere, Taranto ebbe alcuni secoli contraddistinti da una sorta di monarchia vicina alla tirannide. Gli storici menzionano un re di nome Aristofilide che portò Taranto a due guerre ben distinte contro gli Iapigi Messapi. In occasione di singole battaglie i tarantini si lasciarono andare a saccheggi poco onorevoli. Gli Iapigi Messapi coalizzati con i Peucezi, sconfissero i Tarantini (473-467 a.C.) e dopo la cacciata dell'aristocrazia al potere, Taranto cominciò a risorgere. La nuova Repubblica democratica portò una trasformazione anche sul piano urbanistico, costruendo nuove mura difensive e ampliando il parco delle opere architettoniche con la costruzione del noto e imponente tempio dorico sull'Acropoli dedicato presumibilmente a Poseidone. Ma lo spirito combattivo dei Tarantini lo condusse verso una nuova guerra contro la Sirtide (panelleni abitanti la zona fra Sinni e Agri). Il conflitto tra Tarantini e Panelleni di Thourioi finì con un accordo volto alla creazione di una subcolonia mista di thourini e tarantini che prese il nome di Erakleia. Successivamente si formò la cosiddetta Lega Italiota (capitale a Crotone), una sorta di alleanza politico-militare tra colonie greche in Basilicata e Calabria per difendersi dai Lucani e da Dionigi di Siracusa. Italiota è il termine con cui i greci antichi indicavano i coloni di lingua greca che si sono insediati nella penisola Pag.10 italiana, cioè in Magna Grecia. Il termine non comprendeva i coloni situati in info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Sicilia, per i quali esisteva la denominazione di sicelioti. Entrambi i termini sono stati accolti, con lo stesso significato, nella letteratura scientifica in ambito storico e archeologico. La Lega Italiota era composta da Crotone, Thurii, Kaulonia (punta Stilo), Metaponto, Eraclea, Reghion (Reggio C.), Medma (Gioia Tauro) e Hipponion (Vibo V.). Ma Dionigi vinse sull'esercito della Lega, espugnò Reggio e distrusse Kaulon- Punta Stilo e trasferì il potere della Lega Italiota da Crotone a Eraclea (già sotto l'influenza di Taranto) e successivamente a Taranto stessa. A cavallo tra il quinto e il quarto secolo a.C, la Repubblica della città-stato Taranto prosperò sotto la guida di Archita, filosofo pitagorico, capitano, “Stratega”. La città divenne più vasta e popolosa, opulenta e autonoma, munita com'era di rocca, mura e fossato. Archita fu anche il mentore della Lega Italiota, ormai trasferitasi a Eraclea che rimaneva sotto l'influenza tarantina. Alla scomparsa di Archita, Taranto cominciò a declinare al punto da essere definita molle, incontinente, lasciva, meritandosi i rimproveri di Platone; feste e divertimenti, fino alla sciagura finale. Siamo così arrivati al 303 a.C., quando i Lucani si allearono con Roma per potersi opporre a Taranto. I Romani tuttavia preferirono stipulare con Taranto una pace separata. Nel 282 a.C. però i Lucani assediarono Thurii (nei pressi di Sibari) e questa chiese soccorso ai Romani. Questi ultimi inviarono una flotta di 10 navi che per arrivare nei pressi di Thurii ormeggiarono nel Golfo di Taranto. I tarantini reagirono assalendo la flotta romana e affondando diverse navi e catturandone altre. Da qui nacque la guerra. Siamo nel 280 a.C.. I Tarantini chiesero aiuto a Pirro, Re dell'Epiro che vinse ad Heraclea (grazie agli elefanti, allora sconosciuti ai romani) e ad Ascoli Satriano mentre i Romani ebbero il sopravvento nella battaglia di Benevento (275 a.C.) nella quale persero la vita 20.000 tarantini e 20.000 romani. Ma mentre l'esercito tarantino contava ormai poche decine di unità, di romani ve n'erano ancora diverse migliaia per cui Pirro abbandonò la contesa lasciando il comando delle operazioni al suo Pag.11 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO aiutante Milone che vedendosi accerchiato dalle truppe romane consentì l'ingresso in Taranto e rientrò in Epiro. Era l'anno 272 a.C. Entrati in Taranto i romani proseguirono la conquista nei confronti di Messapi e Salentini. Tutta la popolazione, da Taranto a Leuca, soffrì l'oppressione romana per circa 70 anni ossia fino a quando, nel 210 a. C. chiamarono Annibale che riuscì, grazie alla congiura di alcuni tarantini, ad entrare in Taranto scacciandone i romani e ricacciando e affondando le loro navi nelle acque tra Crotone e Sibari. (Si narra che Annibale fosse accampato a Massafra con il suo esercito di africani già da mesi nella speranza di entrare a Taranto per conquistarla – da qui il nome MASSA – AFRA cioè massa di africani) che riuscì, grazie alla congiura di alcuni tarantini (con la scusa di andare a cacciare i cinghiali per sfamare la popolazione, e con l’aiuto di alcune guardie consenzienti), ad entrare in Taranto scacciandone i romani e affondando le loro navi nelle acque tra Crotone e Sibari. (Si narra che i centurioni accampati nelle mura della città – il cui centro era proprio il tratto tra piazza san Costantino e la Chiesa del Monte Uliveto – furono salvati proprio dallo stesso Annibale che permise loro, dando tre giorni di tempo per farlo, di segnare tutte le case dei tarantini al fine di poter saccheggiare solo Pag.12 le case dei romani. info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO E mentre i romani scappavano i conquistatori saccheggiarono le case ormai abbandonate dei romani, lasciando ai tarantini le loro ricchezze. Ecco perché si racconta che Taranto fosse una città molto ricca. Ne nacque così una alleanza che durò per tre anni) (Nello stesso periodo erano solite le visite di altri due personaggi storici illustrissimi, Cleopatra ed il suo amante MarcAntonio, che si incontravano per i loro incontri amorosi da cui, si dice, siano nati tre figli, nel palazzo di via Paisiello angolo via Duomo. (Si narra che Cleopatra, venendo a Taranto, usava far tingere le vele delle sue navi di porpora. Per certo sappiamo che, già nell’Antico Testamento si parla del bisso - la seta del mare - e della porpora come tecniche avanzate, sofisticate, e molto ricercate; ciò conferma che Taranto sia molto più antica di come la raccontano i libri di storia. Ma la reazione dei Romani non si fece attendere e ben presto riprese e saccheggiò Taranto. Annibale fece subito fortificare la Città. Terminata l’opera di fortificazione, si ritirò al Galeso, lasciando in Città solo un piccolo numero di soldati e di cavalieri, sufficienti per la sua difesa. Ma una squadra navale romana, arrivata da Metaponto, entrò nella Rocca da parte del mare, e distrussero le opere di fortificazione e le macchine da guerra. Fu una strage di Cartaginesi, Tarantini e Bruzi. Si narra che furono presi 30.000 schiavi, ventisette tonnellate di oro, argento lavorato e in monete, statue, dipinti. Delle grandi statue in bronzo fu preso solo l’Ercole di Lisippo. Probabilmente, presero anche le statue di dimensioni minori: tra queste, il satiro e la Nike in bronzo dorato che fu posta sull’Aventino e, successivamente trasferito da Ottaviano nella Curia Iulia a ornamento del suo trionfo egizio. Cominciò così nel 272 a.C. l'occupazione romana di Taranto che durò sino alla caduta dell'Impero Romano nel 472 d.C. In tale periodo Taranto continuò a coniare monete, a governarsi con le proprie leggi e conservò lingua e usanze greche ma sempre sotto presidio delle Legioni Romane. Ospitò Virgilio che vi compose le bucoliche nonché Orazio che trovava dal Galeso ispirazione alle sue Pag.13 elegie. info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Nel 123 a. C. Caio Gracco fondò una colonia romana (Colonia Neptunia) che convisse con la comunità greca. Entrambe poi si fusero in un Municipium che segnò lentamente la latinizzazione della popolazione e l'omologazione nell'Impero prima e nella Repubblica Romana dopo. Inoltre la crescita di Brindisi come porto preferito dai romani per le navi dirette a Oriente determinò il decadimento di Taranto che non ritornò più ai fasti del periodo Magno Greco. Per Taranto passarono Giulio Cesare, Antonio, Ottaviano. Passarono anche S. Pietro e S. Marco lasciando una forte traccia di evangelizzazione se è vero che i templi pagani dedicati a Nettuno, Ercole, Giove, Apollo e Vulcano furono trasformati in templi cristiani, Verso la metà del IV secolo ebbe inizio il periodo delle invasioni barbariche o, meglio, della trasmigrazione dei popoli. Non si trattava di eserciti ma di interi popoli che si spostavano in quanto a loro volta incalzati da popoli dell'Asia centrale. Taranto, al pari delle altre città meridionali, passò dai Germanici agli Ostrogoti, ai Bizantini ed ai Longobardi. Ai primi del 700 ebbero inizio, con varia fortuna, le scorrerie dei berberi ma Taranto rimase sostanzialmente nelle mani dei Longobardi. All'inizio del IX secolo i Longobardi videro il proprio potere indebolito a causa di lotte interne che portarono all'annientamento ad opera dei Franchi. Ne approfittarono i Saraceni che nella seconda metà del IX secolo assunsero a varie riprese il controllo della città fino al 15 agosto del 927 quando i musulmani guidati da Sabir distrussero definitivamente quanto rimaneva della città greco- romana, massacrarono i cittadini o li deportarono schiavi in Africa; solo pochi tarantini riuscirono a fuggire sulle Murge. I conquistatori vi istituirono un insediamento musulmano definito Emirato di Bari e Taranto, che ebbe vita per un quarantennio circa, fino al 967 d.C In realtà l'Emirato di Taranto era costituito solo da un mucchio di rovine non abitato. I pochi tarantini che erano sfuggiti alla strage e alle deportazioni ad opera dei saraceni erano scappati nell'entroterra. Pag.14 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Fu solo nel 967 d.C. che l'imperatore bizantino Niceforo Foca, che è considerato il secondo fondatore di Taranto dopo Fàlanto, cedendo agli appelli dei superstiti, decise di ricostruirla. Ne nacque quella che ora per noi è Taranto vecchia. Niceforo Foca intuì che la posizione di Taranto aveva una certa importanza strategica sul piano militare. Fece spazzare le rovine della vecchia acropoli creando una spianata sul lato Mar Piccolo dove sarebbero poi sorti il quartiere della Marina, la via Di Mezzo e Piazza Fontana. Unì, inoltre, l'isola alla terra ferma costruendo un ponte di pietra a 7 arcate che resistette 900 anni, ossia fino all'alluvione del 1883. Realizzò infine un castello sull'attuale canale navigabile ed un acquedotto che portava acqua alla città dalle fonti delle Murge, passando per il ponte di pietra. I pescatori presero a tornare in città e cominciarono a costruire abitazioni sulla spianata corrispondente all'attuale via Garibaldi, lungo la quale fu alzato un muro per difendersi da eventuali aggressori. Il muro era interrotto da alcune porte per consentire ai pescatori di accedere alle barche. La città cominciò a rinascere e la popolazione ad aumentare. Sul finire del X secolo Ottone II di Germania si spinse fin nel sud dell'Italia contando sull'appoggio dei sovrani longobardi di Benevento, Capua e Salerno e con l'intento di scacciare definitivamente i Saraceni. Arrivò così ad occupare Napoli e Taranto, strappando quest'ultima a Niceforo Foca. Ottone però fu costretto ad una durissima battaglia contro i musulmani in prossimità di Capo Colonna, lasciando sguarnita Taranto che fu pertanto ripresa dai Greci. Questi si installarono a Taranto per i successivi 80 anni finchè Pag.15 dalla lontana Normandia arrivò Roberto d'Altavilla, detto il Guiscardo, in cerca info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO di fortuna. Fu così che a seguito di conquiste, alleanze e matrimoni, Roberto il Guiscardo prese Taranto ai Greci e dette inizio al Principato di Taranto. Taranto si accinse a diventare la capitale di uno dei più vasti e più potenti domini feudali del Regno di Sicilia. Alla morte di Roberto il Guiscardo la sua eredità, consistente ormai nel Ducato di Puglia e Calabria, fu contesa dai suoi figli, Boemondo I° d'Antiochia e Ruggero Borsa, Boemondo, che era stato escluso dalla successione, decise di far valere i propri diritti con le armi impadronendosi di Oria e portandosi nei territori di Taranto e Otranto con frequenti scorrerie. Il fratello Ruggero allora, onde evitare guai maggiori e acconsentendo alle richieste del Papa Urbano II, concesse a Boemondo i territori di Taranto, Otranto, Gallipoli e Brindisi. Ma Boemondo non si accontentò delle concessione e, proseguendo nelle scorrerie, riuscì a diventare, nel 1088, sovrano incontrastato del Principato di Taranto. Nel 1089/90 Boemondo I° d'Antiochia partì per la prima Crociata restando via da Taranto alcuni anni. Fu quest'assenza sufficiente perché la città osservasse un periodo di decadenza. Boemondo morì nel 1111 quando il Principato passò prima nelle mani del figlio, Boemondo II d'Antiochia e poi in quelle del figlio di quest'ultimo, Ruggero II di Sicilia. Tra il 1132 e il 1194 si succedettero altri 6 membri della dinastia normanna degli Altavilla e, quindi, alla dinastia normanna degli Altavilla seguì quella degli Svevi grazie a Costanza, figlia di un Altavilla e di una Hohenstaufen (Svevia) e a sua volta madre del celebre Federico II di Svevia che in quanto re di Sicilia incorporava anche il Principato di Taranto. Siamo così arrivati all'anno 1221. Pag.16 Alla morte di Federico II, nel 1250, il Principato di Taranto passò al figlio Manfredi il quale si trovò presto in rotta di collisione con il papa Urbano IV che lo info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO scomunicò e incoronò Carlo I° d'Angiò re di Sicilia e conseguentemente Principe di Taranto. Questi fece guerra a Manfredi che capitolò e morì nella battaglia di Benevento nel 1266. A partire da quell'anno a capo del Principato di Taranto si alternarono 7 regnanti della famiglia d'Angiò per complessivi 90 anni, fino al 1374. L'ultimo principe di Taranto della dinastia D'Angiò fu Filippo III che però morì giovane per cui il titolo tornò al padre Filippo II, ancora in vita e senza altri eredi. Alla sua morte il principato passò al nipote Giacomo Del Balzo (Jacopo de Baux), figlio di Margherita D'Angiò (sorella di Filippo II) e di Francesco I° del Balzo. Durante i circa ottanta anni della signoria dei tre principi del ramo angioino (Filippo I, Roberto e Filippo II) la storia del principato di Taranto fu quasi “assorbita” nella storia del regno di Napoli, visto che i tre principi si adoperarono soprattutto per influenzare attivamente la politica della corte reale e in chimeriche conquiste in Oriente. Essi risiedettero quasi esclusivamente a Napoli e soltanto di rado visitarono Taranto. Il principato di Taranto fu fortemente ridimensionato dal punto di vista territoriale. Giacomo del Balzo resse il Principato dal 1374 al 1383, con la sua morte. La regina di Napoli, Giovanna I^ d'Angiò assegnò allora il Principato di Taranto a suo marito Ottone IV di Brunswick che lo tenne fino alla sua morte, avvenuta nel 1399 allorché il nuovo Re di Napoli, Ladislao d'Angiò, lo restituì ai del Balzo-Orsini che lo governarono dal 1399 al 1463. Il più noto dei Del Balzo Orsini è certamente Raimondo, detto Raimondello che fortificò ulteriormente il borgo antico con la costruzione della torre quadrata (anno 1404) prospiciente il ponte di porta Napoli, nei pressi dell'attuale piazza Fontana. (L'alluvione del 1883 ne indebolì la struttura per cui fu definitivamente demolita sul finire del 1800. Sono ancora visibili alcuni resti della Cittadella originaria.) Pag.17 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Nel “folklore” il principato di Taranto è diventato quasi sinonimo di “Raimondello” e Maria d’Enghien, sua moglie; il breve periodo compreso fra il 1399 e il 1407 corrisponde forse all’unico momento nel basso medioevo in cui Taranto e il principato omonimo furono almeno per poco tempo al centro della politica non solo del regno di Napoli, ma di tutta l’Europa occidentale. Dal 1339 Maria d’Enghien fu principessa di Taranto. In guerra con Ladislao principe di Napoli, ne subì l’assedio della città. Consapevole di non poter resistere a lungo alle forze di Ladislao chiese il sostegno di Luigi II d’Angiò di Francia. Questi inviò tre navi in soccorso. Dopo la partenza una improvvisa tempesta distrusse le tre navi. Così nel giro di poche ore un capriccio della fortuna privò Maria d’Enghien di ogni speranza di soccorsi dalla Francia. Alla metà di aprile 1407 incalzata da una situazione senza via d’uscita e su consiglio di Gabriele Capitignano, capitano di Taranto, Maria d’Enghien iniziò subito le trattative per la resa. Ladislao era interessato a una soluzione rapida e incruenta della questione tarantina, poiché aveva intenzione di sferrare in quella stessa estate la grande offensiva per la occupazione dello stato pontificio. Quindi fu subito raggiunto un accordo che prevedeva il matrimonio fra il re e la principessa ribelle. Appena una settimana dopo l’arrivo di Ladislao a Taranto, il 23 aprile, furono celebrate le nozze nel Palazzo Gallo, adiacente il Palazzo abitato dal Paisiello. In una situazione disperata e senza scampo Maria non riuscì soltanto a salvare la testa, ma addirittura a ottenere la corona di Napoli. Assorbito il Principato di Taranto nel Regno di Napoli, gli anni dal 1463 al 1502 furono caratterizzati dalla presenza degli Aragonesi. Il Regno di Napoli era infatti retto da Re Ferdinando I° d'Aragona, detto don Ferrante, che aveva sposato Isabella di Taranto, figlia di Caterina Orsini del Balzo. Gli aragonesi decisero di fortificare la città in quanto minacciata dai Turchi e dai Veneziani. Fu quindi realizzato il castello e il fossato, trasformando l'abitato di Taranto in Pag.18 un'isola. info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Il castello, che poteva ospitare dai 300 ai 400 soldati e contava non meno di 60 bocche di fuoco, fu ultimato in fretta in quanto il re aragonese temeva un attacco da parte dei francesi, spinti dal papa che voleva assegnare il regno di Napoli a Carlo VIII di Francia. Questi infatti scese in Puglia nel 1495; le truppe aragonesi abbandonarono il castello lasciandone il comando a due tarantini, Muscetola e Caputo. I francesi non trovarono grosse resistenze e nei primi mesi del 1495 entrarono in città e presero il castello senza sparare un colpo. Ma pochi mesi dopo le truppe aragonesi, comandate da Don Cesare d'Aragona tornarono ad assediare Taranto. L'assedio terminò un anno e mezzo dopo, nel febbraio 1497, quando i pochi francesi rimasti, stanchi e ammalati, si arresero a don Cesare. La stessa Regina Isabella di Napoli volle festeggiare il ritorno di Taranto agli aragonesi tornando nella sua città per tre giorni e soggiornando nel castello. Ma ancora una volta il papa del momento, Alessandro VI, ostile agli aragonesi, fomentò Francesi e Spagnoli contro la corona. Il re Federico dovette fuggire lasciando la reggenza al figlio Ferdinando, Duca di Calabria il quale, tuttavia, dopo una breve resistenza, dovette aprire le porte del castello agli Spagnoli. Era il I° marzo 1501 quando la bandiera aragonese fu definitivamente ammainata. A testimoniare il passaggio degli aragonesi a Taranto rimasero un castello ed il loro stemma. Il dominio spagnolo durò fino al 1715. In questo periodo Taranto era considerata città demaniale del Regno di Napoli, con un suo consiglio comunale che sceglieva la giunta che a sua volta nominava il sindaco. Ovviamente il sindaco doveva essere gradito al Viceré spagnolo di Napoli. Il castello aragonese intanto andava sempre più in rovina per mancanza di fondi. Vi abitavano ormai solo quattro anziani soldati con le loro famiglie. Così, il Vicerè di Napoli, temendo un attacco degli Ottomani, iniziò delle opere di fortificazione alzando le torri costiere (torre Saturo, torre Castelluccia, torre Ovo, torre Columena ecc.). Pag.19 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Filippo II di Spagna decise infine di organizzare una grande spedizione navale, concentrando parte della flotta a Taranto. Da qui partirono le navi che inflissero ai turchi, nel 1571, la sonora sconfitta di Lepanto. Per rappresaglia i Turchi, nel 1594, posero assedio alla città, colpevole di aver sostenuto la flotta spagnola nella spedizione di Lepanto. I primi decenni del '600 vedono nobiltà e clero gestire le proprietà agricole relegando i contadini a semplice manovalanza retribuita con prodotti della natura. Aggiunto ad una forte crisi economica tutto ciò porta ad una crisi economica che culmina nell'insurrezione popolare del 1647 contemporaneamente a quella Napoletana nota per la figura di Masaniello, La rivolta fu sedata da Francesco II Caracciolo di Martina Franca al quale si erano rivolti i reali spagnoli di Napoli. Nella seconda metà del '600 la situazione peggiora ulteriormente in quanto la Corona Spagnola trascura l'Italia meridionale per concentrare risorse umane e finanziarie nella conquista dei territori del Sud America. Il primo decennio del XVIII° secolo fu caratterizzato dalla Guerra di Successione Spagnola che si concluse con il Trattato di Utrecht in base al quale il Regno di Napoli passava a Carlo VI d'Asburgo. Gli Austriaci arrivarono quindi a Napoli e a Taranto. Presero possesso del Castello facendovi sistemare sulla porta lo stemma asburgico (visibile tuttora, sebbene consumato dal tempo). La permanenza austriaca a Taranto durò solo fino al 1734 quando gli spagnoli, con Carlo III di Borbone, rioccuparono Napoli. Il barone Basta di Monteparano, che era rimasto fedele alla corona di Spagna, fu richiesto di rappresentare il dominio spagnolo a Taranto. Egli nominò l'allora sindaco Galeota “Regio Governatore” e “Castellano”. Galeota tuttavia non seppe controllare una piccola rivolta popolare per cui la carica gli fu tolta e il Castello passò nelle mani del Duca Petraccone Caracciolo. Nel 1765 fu completato il Convento dei Frati Alcantarini, sede dell'odierno museo archeologico. Pag.20 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Qualche anno dopo fu nominato Arcivescovo di Taranto Mons. Capecelatro che raccolse nella sua villa (dove si trova ora l'ospedale militare), numerosi reperti archeologici recuperati in città vecchia e città nuova. Mons. Capecelatro fece conoscere ai contadini nuove tecniche di coltivazione per spostare gli abitanti della città vecchia nelle campagne: ma questi non accettarono di lasciare l'isola. Al 1765 risale le prima processione dei Misteri come la conosciamo oggi ma non si esclude che una forma di processione della Settimana Santa fosse già in vigore da decenni, ossia prima della parentesi di dominazione austriaca a Taranto. Gli anni a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo vedono Napoli passare da Regno Borbonico a Repubblica Partenopea filo-francese (1799) per poi tornare ad una Restaurazione Borbonica dal 1801 al 1806 quando le truppe francesi occuperanno nuovamente Napoli e il suo Regno. In questi anni Taranto segue le vicende di Napoli ma conosce i suoi anni migliori dal 1806 in poi quando Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat la dotano di fortificazioni e caserme, oltre ad iniziare il progetto di un grande arsenale militare. Ma anche questo decennio francese ebbe fine a seguito del ritorno dei Borboni che segnò per Taranto un ennesimo periodo di abbandono in quanto la Corona non aveva interessi di tipo marittimo-militari. Passarono così altri quarant'anni Pag.21 senza particolari scosse, segnati unicamente da diversi episodi di brigantaggio. info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Come abbiamo visto, durante il cosiddetto periodo murattiano (1806 - 1816) Taranto si vide riconosciuto il ruolo strategico che aveva sempre avuto e che solo i Borbone avevano sottovalutato e che continueranno a sottovalutare anche dopo il loro rientro nel 1816. A partire da quest'anno la città conobbe un nuovo periodo di oscurantismo: le opere di fortificazione militare iniziate dai francesi furono bloccate e l'economia cominciò presto a stagnare. Fu solo con l'incorporazione di Taranto nel Regno d'Italia che la città tornò a rifiorire grazie all'opera del senatore Cataldo Nitti e del patriota Nicolò Mignogna i quali si adoperarono per il rilancio militare della città con la costruzione dell'arsenale militare, l'abbattimento della parte occidentale del castello e trasformando il noto fossato in un canale navigabile. A quel punto si rese necessaria la realizzazione di un ponte che favorì l'espansione della città oltre il canale. Cominciano per Taranto ed i Tarantini anni funesti costellati da avvenimenti tragici ed eroici. ll 15 settembre 1883, una memorabile alluvione colpì il Borgo Antico. Dopo un temporale durato parecchie ore, il livello del mar Piccolo si è elevato di quasi 3 metri. Quindi tutta la Piazza Grande e Via Garibaldi, le case e le botteghe a piano terreno sono rimaste inondante a più di un metro sott'acqua. La violenza della corrente che si riversava con impeto indicibile, dall'uno all'altro mare, ha completamente abbattuto il gran Ponte di Napoli, e la Cittadella, battuta alla base dalla violenza dell'acqua, minaccia rovina. Si è dovuto ordinare l'immediato sgombero di tutti gli abitanti. Nel 1910 la città attraversò una terribile epidemia di colera che portò la crisi nell'industria della mitilicoltura e subito dopo a tutta l'economia cittadina. Taranto tuttavia si risollevò presto grazie alle spedizioni coloniali in Africa che avevano avuto inizio già sul finire dell'800 ma che ebbero una notevole accelerata negli anni '10 del ventesimo secolo. La città trovò impulso economico nell'approvvigionamento delle navi che partivano dal nostro porto per l'Egeo per sostenere la guerra all'Impero Ottomano, vinta la quale l'Italia potè disporre di una sua colonia in Tripolitania e Cirenaica, motivo per cui i Pag.22 trasferimenti di navi da Taranto verso quei porti si infittirono. info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Con l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale Taranto assunse un ruolo fondamentale grazie all'Arsenale e ai Cantieri Navali Franco Tosi che lavoravano a pieno regime per costruire e riparare navi da guerra. Il 2 agosto 1916 un atto di sabotaggio perpetrato dagli Austriaci fece esplodere nel mar piccolo la nave da guerra Leonardo da Vinci, causando la morte di circa 250 militari. Il busto di Leonardo, che si ergeva a prua della nave, è tuttora visibile lungo la passeggiata della Villa Peripato sul lato Mar Piccolo. Nel 1923 un decreto scorporò il circondario di Taranto dalla Provincia di Lecce. Fu così creata la Provincia di Taranto che fino al 1951 ebbe anche il nome ufficiale di Provincia dello Ionio. Il fascismo portò alla ripresa dei lavori nell'arsenale e nei cantieri navali; anche a livello urbanistico la città visse un momento positivo: nel 1929 fu demolito il teatro Alhambra per permettere la costruzione del Palazzo del Governo che fu inaugurato dallo stesso Mussolini nel 1934. Successivamente furono realizzati il palazzo delle Poste e la sede del fascio che attualmente ospita l'Intendenza di Finanza. In Piazza della Vittoria fu eretto il monumento ai caduti. L'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale portò nuovo lavoro per l'arsenale ma determinò la crisi per tutti gli altri settori dell'economia anche perché i molti cittadini sfollarono in provincia per timore dei bombardamenti. Dopo appena 5 mesi dall'entrata in guerra, nella notte tra l'11 e il 12 novembre 1940, 21 aerosiluranti inglesi partiti dalla portaerei Illustrious, al largo di Cefalonia, attaccarono in due ondate successive le navi militari italiane alla fonda a Mar Grande e a Mar Piccolo. Le corazzate Cavour, Littorio e oltre a numerose navi appoggio, dragamine, posamine e cacciatorpediniere furono seriamente danneggiate o semiaffondate. Si contarono 59 morti e circa 600 feriti. Taranto fu colpita da un secondo, duro bombardamento nei giorni immediatamente precedenti l'armistizio dell'8 settembre 1943. Nei giorni 26, 27 e 29 agosto una pioggia di bombe colpì la zona dei Tamburi, del cimitero e della ferrovia. L'obiettivo era una guarnigione tedesca acquartierata nella periferia nord ma vi furono ugualmente molte vittime civili. Pag.23 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Con l'approssimarsi dell'armistizio gli alleati evitarono di bombardare ulteriormente Taranto poiché temevano di danneggiare le strutture portuali che sarebbero servite loro per la seconda parte della guerra. Subito dopo ebbe inizio l'Operazione Slapstick, termine con il quale si definisce una delle operazioni di invasione peninsulare italiana ad opera delle truppe alleate. Taranto si riempì di angloamericani, indiani, marocchini, algerini, sudafricani ecc. Per ospitarli tutti fu necessario requisire gli edifici pubblici, Museo Archeologico incluso. Il 25 aprile 1945 la fine della guerra fu annunciata in diretta radio in Piazza della Vittoria. Il 2 giugno 1946 nacque la Repubblica Italiana e finalmente Taranto si vide riconosciuto il ruolo di nodo marittimo e commerciale di importanza internazionale. La felice posizione geografica ed il boom economico ormai avviato costituirono fattori determinanti per la scelta di Taranto quale polo siderurgico alternativo a Genova. Fu così che nel 1965 il Presidente Saragat inaugurò il IV Centro Siderurgico “Italsider”, grazie al quale non solo l'emigrazione si arrestò ma la città conobbe addirittura un'espansione demografica per via di ben 30.000 agricoltori che lasciarono le campagne per lavorare in Italsider. Nel dicembre del '68 Papa Paolo VI celebrò la Messa di Natale tra gli operai di turno negli altiforni per un rito di riconciliazione tra Chiesa e mondo del lavoro dopo un anno che passava alla storia per la virulenza delle lotte per i diritti civili. Pag.24 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO I PALAZZI STORICI DELLA CITTA’ (elencati in ordine cronologico) Tempio Dorico Del grande Tempio Dorico, testimonianza dei fasti della Taranto antica, rimangono due colonne e la base di una terza, visibili nei pressi di Piazza Castello. Qui sorgeva la chiesa della SS. ma Trinità nel cui Oratorio, incastonata in una delle pareti, era visibile la parte superiore di una colonna antica, dimostrando l’esistenza di un tempio dorico. Le colonne, costruite con blocchi di carparo, facevano parte del colonnato settentrionale del monumento sacro. Il Tempio, dedicato a Poseidone, il dio greco del mare, oppure ad una divinità femminile, era lungo 50metri e contava, quasi certamente, tredici colonne sul lato lungo e sei su quello corto. La sua costruzione risale all’inizio del VI sec. a.C., rappresentante l’edificio più importante tra quelli visibili nella città vecchia di Taranto. L’edificazione del Tempio sorse nel periodo di affermazione di Taranto nell’ambito della Magna Grecia, di cui fu capitale economica e commerciale; coincide anche con la sistemazione urbanistica di Taranto, con l’Acropoli nella città vecchia e la Polis nel borgo. Pag.25 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO S. Cataldo Non sappiamo l’anno in cui nacque S. Cataldo, sappiamo invece che visse ai tempi di S. Patrizio, del quale fu discepolo. Arrivato a Taranto S. Cataldo compì alcuni miracoli, tra cui quello di ricevere la vista attraverso una benedizione, dopodiché molti abbracciarono la Fede di Cristo. Tra i tanti monumenti eretti ricordiamo la Cappella che chiamò S. Giovanni in Galilea, dove fu sepolto dopo la sua morte per sua volontà, accanto alla Cattedrale che poi prenderà il nome di S. Cataldo. La Cattedrale misura 84metri di lunghezza e 24metri di larghezza. Nel XII sec. fu innalzato il campanile normanno, distrutto per un terremoto e sostituito nel 1952. a cupola risale al1713, con scene della vita e dei miracoli del Santo. Il cappellone di S. Cataldo è oggi il più grande vanto della città, considerato massima espressione del barocco pugliese. La cripta, risalente all’età bizantina, presenta un impianto cruciforme; è diviso da due navate con colonne basse sormontate da lastre che fungono da capitelli, sulle quali poggiano le volte a crociera a sesto rialzato di epoca tarda. Pag.26 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO S. Domenico Maggiore La chiesa, già chiesa di San Pietro Imperiale, è una chiesa in stile romanico- gotico sorta nel 1302. Sul sito sorgeva un Tempio greco di epoca arcaica, ricostruito in epoca classica e su cui nel corso dell’XXI sec. sorse la chiesa di San Pietro Imperiale in stile bizantino, la quale venne abbandonata nel 1228. L’attuale edificio venne costruito nel 1302 dedicato a San Domenico da Giovanni Taurisano, nel 1349 si insediarono i Padri Domenicani e la chiesa venne consacrata San Domenico di Guzmàn. L’ingresso principale è raggiungibile con una scalinata barocca costruita alla fine del XVIII sec., quando fu creato il Pendio San Domenico per collegare Via Duomo con la Parte bassa dell’isola. La quarta e ultima cappella, all’interno della chiesa, è dedicata alla Madonna Addolorata ed è curata dalla Confraternita di Maria SS. Addolorata e San Domenico, l’altare è in stile barocco del XVII sec. e ospita la statua della Vergine Addolorata della 2^ metà del XVII sec. che viene portata in processione il Giovedì Santo. Il culto della Madonna Addolorata fu introdotto a metà del XVIII sec. dal Canonico Abate Vincenzo Cosa, che donò la statua e la relativa “cassa delle robbe”. Al 1872 risale l’inizio del pellegrinaggio della Vergine Addolorata, poco prima della mezzanotte del Giovedì Santo la processione dell’Addolorata esce dalla chiesa e durante il suo svolgimento i Confratelli avanzano nazzicando, formando un caratteristico corteo: troccola (strumento che rimpiazza il suono della campana e dà il passo alla procesisone), pesàre (coppia di bambini figli di contratelli che portano al collo una finta pietra), croce dei misteri (che porta attaccati i simboli della passione di Cristo), 15 poste (incappucciati), 3 crociferi (scalzi con una croce di legno in spalla), il trono, clero, simulacro della Madonna Addolorata (la statua portata da 8 confratelli, 4 in abito di rito detti sdanghieri, 4 Pag.27 in abito nero e papillon detti forcelle). info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO S. Andrea degli Armeni Risale all’ XI sec. D.C., al tempo in cui un gruppo di Armeni si stabilì in quel sito. Questa chiesa fu molto danneggiata da eventi bellici nel 1393 e poi ricostruita totalmente nel 1573. Palazzo Gallo Questo palazzo risale al 400, con rifacimento in stile barocco nel 600. In questo palazzo ci fu il ricevimento in occasione delle nozze di Maria d’Enghien, la quale era la vedova del Principe di Taranto, con Ladislao di Durazzo Re di Napoli. S. Agostino Questa chiesa risale al 1402. Per numerosi interventi di restauro, specie nel XVIII e nel XIX sec. D.C., fu completamente trasformata. In questa chiesa è sepolto il poeta tarantino Tommaso Niccolò D’Aquino, avvenuta nella seconda metà del XVII sec. D.C. Pag.28 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
RiviviAMO TARANTO Chiesa dei Santi Medici Dedicata ai Santi Medici (Cosma e Damiano), la chiesa è la più piccola della città. L’edificio fu eretto intorno al 1379, ed è situato nel borgo antico, nella caratteristica Via di Mezzo. E’ da secoli il luogo di culto, in cui molti fedeli si recano per ottenere una grazia dai santi titolari. Cosma e Damiano erano gemelli di origine araba che esercitavano gratuitamente la medicina in Cilicia: subirono la tortura e il martirio durante le persecuzioni di Diocleziano del IV secolo e divennero i santi protettori dei medici e dei farmacisti. L’edificio presenta un’architettura semplice: si ritiene che esso, pur essendo stato modificato e restaurato nel Sei-Settecento, sia poco diverso da quello originario., La chiesa attuale è il risultato di una serie di modifiche e restauri intervenuti fra il Seicento e il Settecento. L’interno contiene: un pregevole dipinto sull’altare maggiore, che rappresenta la Vergine di Costantinopoli col Bambino, attorniata dai Santi medici; un dipinto ottocentesco degli stessi e due belle statue in legno, sempre dei Santi Cosma e Damiano. Palazzo D’Aquino Questo palazzo risale a fine ‘500. All’interno nacque il poeta tarantino Tommaso Niccolò D’Aquino nel 1665. Sul retro si trova un ampio giardino. Oggi sede dell’Università Pag.29 info@riviviamotaranto.it www.riviviamotaranto.it
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