LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA

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LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
ISTITUTO TECNICO COMMERCIALE "V. DE FAZIO"
                           LAMEZIA TERME

        ISTITUTO     REGIONALE DI RICERCA           EDUCATIVA
                         DELLA CALABRIA

                VINCENZO VILLELLA

      LE TERME CARONTE
nella NATURA e nella STORIA

                                  IRRE
                             Progetto Fiumi
       Educazione e sviluppo delle risorse ambientali della Calabria
LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
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LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
Premessa
Il territorio della provincia di Catanzaro, gravitante intorno a Lamezia Terme, possiede una oroidrografia      di grande importanza. Infatti, specialmente
intorno al monte Reventino, possiede nel suo sottosuolo una straordinaria varietà di rocce e di giacimenti minerari: salgemma, gesso, zolfo, ferro, man-
ganese, rame, alluminio. Questi, benché non offrano possibilità reali di un proficuo sfruttamento estrattivo, condizionano  la mineralizzazione delle nume-
rose sorgive, alcune delle quali offrono caratteristiche non comuni ad acque di altre regioni.
Il solo gruppo sorgenti zio finora adeguatamente     sfruttato e valorizzato            a livello industriale   nel territorio    lametino   è quello di Caronte. Si tratta di acque
termali minerali ipotoniche solfato-calcio-magnesiache-potassiche-solfuree.

Il progetto   didattico   di carattere   storico-naturalistico-geologico-ambientale-geografico            è articolato     nei seguenti   percorsi   di ricerca:
a) Il luogo.
b) La storia del luogo.
c) Topografia ed idrogeologia.
d) Dati analitici e proprietà delle acque.

Documentazione:

P. C. Federici,   Le acque salutari della Calabria, Parma 1971 e bibliografia                allegata .
  . Greco, Acque e bagni lenno-minerali nel Regno delle Due Sicilie: il caso Calabria, Lamezia                           Terme   1998.
Archivio Società Terme Caronte.
Archivio famiglia Cataldi.

Docente proponente e referente: prof. Vincenzo Villella.
Si ringrazia il Direttore Generale delle Terme Caronte Emilio Cataldi per averci concesso di utilizzare foto e testi.

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LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
PREFAZIONE
di Luigi Saladino*

Il lavoro monografico curato da Vincenzo Villella sulle Terme Caronte si colloca all'interno di un progetto assai più
vasto, di interesse mondiale. Il 2003, infatti, tramite Kofy Annan, segretario dell'Assemblea delle Nazioni Unite, è stato
proclamato Anno internazionale dell'Acqua.
E' all'interno di questo contesto che l'Istituto Regionale di Ricerca Educativa della Calabria, armonizzando la sua atti-
vità con le Istituzioni di riferimento (Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Direzione Regionale
alla P. I., Assessorato Regionale alla Cultura, Province, Comunità Montane, Comuni) ma soprattutto stimolando l'at-
tenzione all'innovazione da parte dei più attenti operatori della scuola, è riuscito a portare a compimento il Progetto
Fiumi che si è caratterizzato per l'idea di muovere dall'acqua per fare riflettere sull'importanza di questo elemento
vitale.fonte inesauribile di valore per la società e le culture antiche e presenti e per innovare la didattica attraverso
la messa a fuoco di nuclei tematici significativi, capaci di coinvolgere gli interessi degli alunni e dei docenti in attivi-
tà laboratoriali interdisciplinari di ricerca e di scoperta.
L'impianto della ricerca è stato coordinato, oltre che dallo scrivente, dalla struttura tecnico-scientifica dell'IRRE nel
più rigoroso rispetto dell'autonomia, principio ormai acquisito e praticato con successo crescente dalla scuola italia-
na. I Progetti più qualificati e meritevoli, alla fine, sono stati premiati nel Convegno-mostra del 26 maggio 2004 tenu-
tosi presso l'Auditorium dell'Istituto Magistrale 'Tommaso Campanella' di Lamezia Terme, con il concorso
dell'Amministrazione ospitante, delle istituzioni interessate e di 26 scuole della Calabria.
Sul problema della valenza innovativa della didattica della ricerca ho diffusamente discusso in particolare in occa-
sione di un Convegno promosso il 6/7 maggio 2003 a Rimini dall'IRRE-Emilia Romagna - (cfr. Gli IRRE e la ricerca
educativa, a cura di N. Arcangeli, F. Frabboni, R. Toni, Tecnodid, Napoli 2004) - ma in questa sede mi preme ribadi-
re che attraverso l'attività laboratoriale la scuola si caratterizza come effettiva Comunità educante perché, promuo-
vendo un diverso metodo di insegnamento-apprendimento,             mostra come la cultura sia un costrutto, un inestimabile
patrimonio di conoscenza, che contribuisce a consolidare un sentire comune e identitario .
Vincenzo Villella - che si muove con questi intendimenti - in dense e chiare pagine che sanno di passione per la ricer-
ca, traccia la storia e la civiltà delle acque 'miracolate e miracolose' di Caronte, che scorrono vive e calde ed hanno
attirato l'attenzione di poeti antichi (Licofrone) e moderni (Vittorio Butera). Esse, ancora oggi, sono meta di cure ter-
mali, per gli effetti regolatori sul generale equilibrio psico-fisico dovuti al contesto - la salubrità dell'aria e dell'am-
biente, oltre al vigore terso dei colori di una natura ancora allo stato edenico - e per la qualità delle miscele minera-
li.

* Coordinatore della ricerca sui 'Percorsi fluviali' - Educazione e Sviluppo delle risorse ambientali e culturali della
Calabria.

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LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
Le Terme Caronte.

Il nome

      Lo sgorgare di acque sulfuree ad alta temperatura e i vapori che si innalzavano nella vallata dell'antico
Ocinaro (ora Bagni) conferivano all'ambiente calcareo circostante un aspetto irreale, misterioso e terrifican-
te.
      La credenza popolare, che vedeva nel fumoso gorgogliare delle acque una presenza diabolica, finì per
identificare queste acque col mitico fiume infernale Acheronte, dando alla sorgente principale, la più calda
e la più copiosa, il nome del traghettatore Caronte che, successivamente, indicò le terme e anche la località.
Ben presto però si scoprirono le virtù salutari di queste acque.
       "Non ferus ille Caron, non saeva Acherontis imago, hic calidae linphae, grata hic medicamenta mor-
bilS " .
"Non troverai qui Caronte                                                   ma calde sorgive e dolci rimedi ai
                                                                            tuoi mali".

     Con questi due esametri G. Casale smitizzava quell'antica credenza, evidenziando i poteri medicamen-
tosi delle acque.
     Le acque della sorgente Caronte vengono alla luce riccamente mineralizzate dal lungo e profondo per-
corso sotterraneo in terreni calcarei e cristallini. La temperatura di oltre 39° è dovuta all'alto gradiente geo-
termico della zona, alla grande profondità e alla velocità della risalita.
     Sull'origine del calore delle rocce che riscaldano l'acqua di Caronte la spiegazione scientifica è che esso
debba essere messo in relazione con la presenza di un consistente corpo magmatico risalito in superficie solo
parzialmente e rimasto in gran parte incuneato nelle rocce sotto stanti il golfo di S. Eufemia che dista dallo
Stromboli appena 85 krn.
     Le numerose analisi effettuate hanno sempre evidenziato nell'acqua la costante presenza dei suoi ele-
menti principali in base ai quali essa viene ormai classificata come "solfurea-solfato-alcalino-ferrosa-iodica-
arsenicale" dalle eccezionali virtù terapeutiche.

La 'magara' delle terme.

     Il manifesto delle terme Caronte è diventato un notissimo componimento in vernacolo del poeta-inge-
gnere Vittorio Butera, intitolato "I Vagni 'e Caronte". E' esposto nella sala di accettazione dello stabilimen-
to termale ed è memorizzato da quanti frequentano le terme.

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LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
I VAGNI 'E CARONTE
                                           di Vittorio Butera

Rugnusi, squallarati,                                   Rognosi, sdirenati (affetti da ernia),
cinanchi, scudillati,                                   claudican ti, sfiancati,
ciunchi, sciancati, muti,                               zoppi, miserabili, muti,
sbalinchi e ccuoscinuti,                                malfermi ed aggobbati,
vinìtive a jjittare intra 'sta fonte,                   venite ad immergervi dentro questa fonte
si vuliti sanare, de Caronte.                           di Caronte se volete guarire.

Rizette, midicine,                                      Ricette, medicine,
miedici, spizierìe                                      medici, spezierie
su' ttutte mpacchiatine,                                sono tutte impiastri (palliativi)
su' ttutte fissarie.                                    sono tutte fesserie!

'E radiche pistate,                                     Le radici pestate,
e carte sinapate                                        le carte senapate (cataplasmi)
su' ppropriu cumu l'uogliu quadijatu                    sono proprio come l'olio scaldato
a cchira banna untatu!                                  spalmato in mezzo alle gambe! (all'inguine)
Unu spenne, se minnica                                  Uno spende, si depaupera
Resta cciuncu esse strafrica!                           ma rimane storpio e fregato (e si rovina).

Ma si vo' ppe mmu se cura,                              Ma se vuole veramente curarsi,
mu se sana esse spricura,                               onde guarire e tranquillizzarsi,
s'ha dde jire a mpruscinare                             deve andare ad immergersi (voltolarsi)
a ra fonte                                              alla fonte
de Carente!                                             di Carente!

Chilla è nn'acqua,                                      Quella è un'acqua
chi a ri muorti puru cole;                              che giova anche ai morti!
chine vadi essi cce sciacqua                            Chi ci va e vi si sciacqua
chira banna chi le dole,                                quella parte del corpo che gli duole,
intra mancu na simana                                   dopo nemmeno una settimana,
gran ne o pìcciulu, se sana!                            grande o piccolo, guarisce!

Nesce ss'acqua surfurigna                               Sgorga l'acqua solforosa
de na petra carcarigna;                                 da una pietra ca1carea.
fa nna gorna e bbulle ppara                             Forma un ristagno e bolle tutta uguale
cumu dintra na quadara;                                 come dentro una caldaia;
nné cce vuolu ffrasche e lligna                         non ci vogliono frasche e legna
ca l'attizza nna magara.                                perché l'accende una magara (fattucchiera).

Mo, llà d'intra, amicu caru,                            Ora, là dentro, amico caro,
cc'è nna vera spiziria:                                 c'è una vera farmacia:
cc'edi fierru, cc'edi azzaru,                           c'è il ferro, c'è l'acciaio,
e cc'è marva primintìa,                                 c'è la malva primiziale,
cc'è brumuru,                                           c'è bromuro,
cc'è juduru,                                            c'è iodio,
cc'è nnitratu                                           c'è nitrato,
e cc'è ssurfatu,                                        c'è solfato

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LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
chi, s'agiuva                                    che, se giova
ttantu all'uva,                                  tanto all'uva,
te figuri a nnu malatul                          figurati ad un malato.
 A buntà de ss'acqua è ttanta                    La bontà di quest'acqua è tanta
chi 'u r'appatta ll'acqua santa.                 che non la eguaglia l'acqua santa.
Chira cagna de quadara,                          Quella diavola di caldaia
dduve attizza ra magara,                         dove attizza il fuoco la magara
quannu vulle ppara para                          quando bolle tutt'intera (uniforme)
fa mmiraculi a mmigliara.                        fa miracoli a migliaia.

Iu cuntare nne putèra                            lo ne potrei raccontare
nna filèra,                                      una sfilza.
ma 'na 'dea ppe mmu nn'aviti,                    Ma, affinché n'abbiate solo un'idea,
vi nne dicu trio Sintiti:                         ve ne dico tre. Sentite:

A ra Bella, nu quatraru                          Alla (frazione) Bella, un giovane
caminavadi accruccatu.                           camminava tutto incurvato.
S'era ttroppu strabazzatu                        S'era troppo strapazzato
e ttinia ru stirrinatu.                          e si era sdirenato.
Edi jutu,                                        E' andato (a Caronte),
s'è jjittatu                                     s'è buttato
paru paru                                        tutt'intero
a cchir'acquaru                                  in quella gara d'acqua
e r'aggiusu (nel manoscritto: e ru mpisu),       e dal fondo (e stando sospeso),
dopu mancu 'nu minutu,                           dopo nemmeno un minuto
nn'è nnisciutu                                   ne è uscito fuori
tisu tisu                                        dritto dritto (pienamente raddrizzato)
e azzarijatu!                                    e riternprato!

I dicotti                                        I decotti
e ri cirotti                                     e i cerotti
te l'avèranu lassatu                             te lo avrebbero lasciato
accruccatu                                       incurvato
e scatrijatu,                                    e fracassato,
ammusciatu                                       indebolito
e sminnicatu!                                    e depauperato!

A 'nna ciopa de Sammata,                         Ad una formosa ragazza di Sambate
de 'na banna dilicata,                           da un posto delicato,
le pinnìa 'nna cosa ... ujjata!                  le pendeva una cosa gonfia!
Povarellal A 'nna furzata,                       Poverettal Ad uno sforzo,
cica, s'era squallaratal                         si diceva, le era venuta un'ernia.
'V dutture le dicia:                             Il dottore le diceva:
bella mia,                                       bella mia,
chissa è gguallara mmicchiata                    questa è un'ernia cronica
e cce va' 'nna fuorficiata,                      e ci vuole un taglio
ppecchì ll'uogliu quadiatu                       in quanto l'olio riscaldato
cc'è appizzatu!                                  vi è sprecato!
Si te spagni,                                    Se hai paura,

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LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
va' ari vagni.                        va' ai bagni.
Lla tte crepa ssula sula,             Là ti si crepa da sola,
cula,                                 cola,
scula                                 scola
e tte sana                            e ti guarisce
a 'nna simana!                        in una settimana!
Chilla è jjuta,                       Lei è andata,
s'è sciacquata                        s'è sciacquata
chira banna dilicata                  quella parte delicata
e a Ssammata                          e a Sambate
senza vummula è ttumata!              senza gonfiore è tornata!

Cchi ffuntana!                        Che fontana!
Cula,                                 Cola,
scula,                                scola,
lava e ssana!                         lava e guarisce!

Na quatrara 'u ffacia ffigli.         Una giovane non poteva avere figli.
'U maritu nne vulìa                   Il marito ne voleva
e r'affritta spersa jìa               e la infelice andava in giro
ppe pariri e ppe ccunsigli.           per pareri e per consigli.
Capitannu ad Ancillitu                Trovandosi per caso all'Angillito
ecu 'nnu ciuotu de maritu             insieme ad uno sciocco di marito
a Ddo Mmicu cce truvau                vi trovò don Mica
e ru ... e ru ... cunsurtau.          e lo consultò.
- S'è ppe cchissu chi te lagni        - Se è per questo che ti lamenti
'u d'avire nulla pena;                non avere nessuna pena;
vieni, fatte quattru vagni            vieni, fatti quattro bagni
a Ccaronte e ... niesci prenal-       a Caronte e ... resterai incinta!
Cumu 'mpatti. Mi se dice,             Ed infatti, mi si dice,
ch'a ri nove misi fice                che ai nove mesi partorì
'nna pariglia,                        due gemelli,
'nna cucchiata,                       un'accoppiata
ch'assimiglia                         che somiglia
spizzicata                            perfettamente
a r'amicu miu Ddo' Mmicu!             all'amico mio don Mica!
'U maritu dice ancora:                Il marito dice ancora:
oh! cchid'acqua figliarolal           Oh! Che acqua figliarola (prolifica).

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LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
Caronte come miraggio della salute. Caronte come 'rituale' magico per guarire tanti malanni e sconfiggere anche
la sterilità!
      Vittorio Butera (1877-1955) I, tra ironia e realismo, esalta le proprietà terapeutiche (o presunte tali) di queste acque
anche per alcune malattie nei cui confronti le medicine preparate dagli speziali (siamo nel primo '900) sono solo intru-
gli inutili.
      Dove la medicina è impotente, l'acqua di Caronte compie miracoli. Un'acqua che - dice iperbolicamente il poeta
- fa bene (cole) anche ai morti!
      C'è qui quasi una contrapposizione dissacrante con l'acqua santa. Dove non c'è più speranza e si dichiarano scon-
fitte sia la pratica medica che l'esorcismo religioso, quando l'acqua benedetta aspersa dal prete non compie il miraco-
lo di guarigione, subentra l'acqua magica di Caronte che fa "miracoli a migliaia".
      La lunga poesia si compone di quattro parti tra loro strettamente complementari, e tuttavia autonome nel dare
senso al messaggio della poesia stessa.
      La prima è come una sorta di manifesto promozionale delle Terme con l'elenco delle malattie che vi si possono
curare con successo.
      La seconda descrive, con un suggestivo linguaggio onomatopeico e sempre con ironico iperbolismo, la composi-
zione chimica di quest'acqua con sotteso un valore magico in quanto chi la tiene in continua ebollizione è una "maga-
ra" (donna-maga-fattucchiera che aveva poteri anche di levare o fare il malocchio).
      La terza e la quarta parte riportano, sempre in chiave ironica e con un crescendo incredibile di meraviglia, tre
esempi di prodigiose guarigioni avvenute a Caronte. La prima di un giovane di Bella (frazione di Lamezia Terme) col-
pito dallo "stirrinu" (colpo della strega). La seconda riguarda la guarigione di un'ernia inguinale ad una formosa con-
tadina di Sambate (frazione montana alle falde del monte Reventino). La terza, addirittura, incredibile a dirsi, raccon-
ta, quasi con linguaggio evangelico, la fecondazione miracolosa di una donna che - secondo lo sciocco marito e i
parenti - era sterile e, quindi, non poteva dare un erede a cui tanto si teneva. L'impotenza, in quei tempi di famiglie
patriarcali, veniva addebitata sempre alla donna e mai all'uomo.
      L'acqua di Caronte non solo ha poteri sulle malattie, ma dà anche la vita: è, infatti, un'acquafigliarola (prolifica,
procreatrice, fecondatrice), che sconfigge la sterilità femminile più ostinata e consente miracolosamente di restare
incinte.
      Il termine figliarola è mutuato da Butera dall'espressione conflentese "petra figliarola" che troviamo anche nella
poesia 'Afuntana e Fruntera.
      Petra figliarola è una tipica pietra del Reventino, di colore verde, che si sfalda facilmente, anche manualmente,
riducendosi a numerose scaglie e, quindi, appunto assai prolifica.
      Il miracolo di Caronte si rivela da un lato oltremodo umiliante nei confronti della credulità e ingenuità del mari-
to, inconsciamente impotente, e dall'altro causticamente, ma bonariamente, esaltante nei confronti del padrone delle
Terme, Don Micu, che fa le veci delle acque allorché queste purtroppo, ma solo lui lo sa, non hanno alcun potere di
fecondare le donne sterili.
      In questa poesia la lingua dialettale-popolare di Butera raggiunge una perfetta aderenza con la realtà sociale che
vuole rappresentare.
      Basti l'esempio delle spizirie dei farmacisti che non servono a niente e, quindi, sono - come si diceva nella parla-
ta contadina - "uogliu ara guallara" (olio sull'ernia). Dentro la gorna (vasca naturale) di Caronte, invece, c'è la vera
spezieria dove tutti gli elementi nobili e benefici alla salute sono sapientemente mescolati nel bollore incessante che
purifica e sana: ferro, acciaio, malva, bromuro, jodio, nitrato, solfato ecc.

  Vittorio Bufera nacque a Conflenti il 23 dicembre 1877 da Tommaso Butera e Maria Teresa de Carusi. Orfano di madre, morta a pochi mesi
  dal parto, fu allevato dalla nonna. Frequentò nel paese natio le scuole elementari col maestro Emanuele Caruso. Nel 1890 fu chiamato dallo
  zio paterno, che era contrammiraglio medico, a La Spezia dove compì gli studi medi. Nel 1899, durante la consueta vacanza a Conflenti,
  conobbe il poeta Michele Pane. Nel 1905 conseguì a Napoli la laurea in ingegneria. Lavorò subito a Roma dove diresse i lavori per la costru-
  zione del nuovo quartiere in S. Croce in Gerusalemme. Poi fu assunto come ingegnere delle Ferrovie dello Stato presso il compartimento di
  Palermo. Nel 1909 vinse un concorso presso l'Amministrazione provinciale di Catanzaro. Si sposò nel 1911. Nel 1949 lasciò il lavoro per
  limiti di età. Nello stesso anno pubblicò, sollecitato dagli amici, la prima raccolta di poesie 'Prima cantu e ddoppu cuntu' (in cui è inserita la
  poesia sulle Terme Caronte), presso l'editore Bonacci di Roma. Morì nel 1955.
  Tutte le poesie di Vittorio Butera, edite ed inedite, sono state pubblicate a cura di Carlo Cimino e Vincenzo Villella nel volume CANTA
  PUETA (Ed. Fratelli Gigliotti, Lamezia Terme 1990).

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LE TERME CARONTE nella NATURA e nella STORIA
La fonte sacra di Caronte.

       Come hanno dimostrato gli studi più recenti, la piana lametina e le colline che le fanno corona nel periodo neoli-
tico erano costellate di villaggi, composti di capanne a forma circolare, di cui sono stati rinvenuti i fondi e i resti fram-
misti ad altri oggetti d'uso quotidiano, lungo il corso del fiume Amato, ad Acconia, a S. Eufemia Vetere, a Casella di
Maida.
       Si trattava di una popolazione di razza mediterranea dedita ad un'agricoltura molto rudimentale, all'allevamento
alla pesca e al commercio sia con l'interno che con le isole Eolie da cui proveniva l'ossidiana usata per creare bulini,
raschiatoi ed altri utensili.
       Questa popolazione, che utilizzava per i suoi spostamenti verso l'interno anche la via fluviale dell'Amato, aveva
creato un'altra importante arteria (se pure a livello di tratturo) che dalla valle del Corace, passando alla base delle col-
line che fanno corona al golfo lametino, giungeva fino all'attuale Sambiase.
       Proprio in territorio di Sambiase era stata notata fin dal periodo neolitico una fonte d'acqua calda che incuteva
nello stesso tempo riverenza e paura in una popolazione che aveva come principale divinità la Madre Terra.
       Questa acqua, che scaturiva straordinaria e benefica dal grembo caldo di questa divinità, fu ben presto sacralizza-
ta come lo furono anche i boschi che la circondavano. Quale fosse il nome specifico di questa divinità non lo sappia-
mo. Conosciamo solo gli aspetti che le diedero i popoli che seguirono i neolitici e che poi i greci assimilarono. Quel
che sappiamo con certezza è che questa divinità femminile era preposta ai culti di una società matrileneare e la si ritro-
verà nel periodo magnogreco assimilata nella figura greco-italica di Persefone.
       Possiamo paragonarla, secondo lo studioso Dario Leone, scopritore del sito preistorico di Casella di Maida, alla
sumerica Inanna, all'assiro-babilonese Istar, alle greche Demetra ed Hecate. Ma qualsiasi cosa essa sia stata, era la
'Potnia' (la divina signora), come la chiamarono le genti pregreche. Il suo carattere di divinità aveva un lato luminoso
e benigno, ma, anche, all'opposto, oscuro e malefico. Essa, infatti, faceva risplendere rigogliose le messi e proliferare
gli armenti, ma poteva anche far inaridire i campi e isterilire gli animali. Essa era la dea del Cielo e della Terra, era la
regina dell'Inferno.
       Già forse fin dal neolitico, dunque, un heron era già sorto in questa località in suo onore e, in periodi stabiliti, le
folle oranti dei pellegrini si affollavano intorno alla sua ara e innalzavano capanne e ripari di canne e frasche. A diffe-
renza però di località più fortunate, come Savignano sul Panaro e Willendorf, la piana di S. Eufemia non ha restituito
ancora statue di Dee Madri.
       Dario Leone però era riuscito a rinvenire, proprio non lontano dalla Fonte Sacra, un idoletto che merita di essere
segnalato. Si tratta di una forma estremamente stilizzata di dea madre la cui caratteristica principale è costituita da un
ventre prominente, chiaro augurio di abbondanza e fecondità. Il volto non si nota, come non si notano le solite carat-
teristiche sessuali, anche perché le mammelle formano col ventre un'unica prominenza. "Tutto è ridotto all'essenziale
- osservava Dario Leone - ma è sufficiente a dimostrare ciò che l'artista intendeva rappresentare". Le vie commercia-
li, i tratturi , i sentieri, la stessa via fluviale dell'Amato, ancor prima di essere percorse dai commercianti, furono tran-
sitate dalle folle oranti dei fedeli che correvano all'ara sacra sorta accanto alla Fonte Sacra, come accadeva per l'heron
che precedette il tempio di Hera Lacinia a Crotone, oppure quello che precedette l'Hera del Sele o quello della
Persefone a Locri.
       Questo era il culto principale delle popolazioni preistoriche della piana di S. Eufemia. Ad esso si sovrappose poi
quello della Ninfa Ligea e a questo subentrò poi il culto bizantino alla vergine e martire di Calcedonia, S. Eufemia.
Già nella prima età del ferro la semplice ara votiva si sarebbe trasformata in tempio utilizzando una delle grotte di cui
era cosparso il terreno carcareo di Caronte. La zona rappresentava, quindi, un centro di irradiazione sacra e la sugge-
stività del sito diede luogo a leggende piene di fascino.

Il mito della Sirena Ligea.
        ei primi anni del 500 a. C. Crotone fonda nella piana lametina la città di Terina. Sulle splendide monete conia-
te in questa città, recentemente portata alla luce con le campagne di scavi archeologici in località Jardini di Renda, c'è
la più antica testimonianza delle acque termali di Caronte. Infatti, sul dritto di questa moneta, ritenuta uno dei capola-
vori dell'antica numismatica, c'è impresso il dolce profilo di una fanciulla alata mentre riempie un vaso d'acqua ad una
sorgente che sgorga dalla testa di un leone, chiara simbologia iconografica di una fonte sacra.
      Si tratta della rappresentazione del simulacro della Sirena Ligea (la melodiosa), la cui salma, sospinta dalle onde
del Tirreno, fu gettata sulla spiaggia del golfo lametino dove ricevette onorata sepoltura dalle pietose mani dei navi-
ganti e a cui più tardi i terinei elevarono culto religioso. E la Sirena avrebbe rappresentato la personificazione della
città di Terina (che significa 'la tenera'). E' il mito della Sirena Ligea del poeta calcidese Licofrone (330 a. C. circa)
nei versi del poema Alexandra. "E Ligea pertanto sarà sbalzata presso Terina sputando acqua di mare; e i naviganti
la seppelliranno nella sabbiosa spiaggia presso le rapide correnti dell'Ocinaro; e questo, forte nume dalla fronte

                                                              IO
cornuta, con le sue acque bagnerà il sepolcro e tergerà il busto dell'alatafanciulla [. . .]. Altri, stanchi di vagare peno-
samente di qua e di là, si stanzieranno nel paese di Terina, dove bagna la terra l'Ocinaro versando le sue limpide
acque nel mare".

      In questi versi dell'Alexandra il nome di Ligea e quello di Terina appaiono associati e la fonte e l'anfora simbo-
leggiano il fiume Ocinaro (l'attuale Bagni) che attraversa Caronte e che con le sue acque tergeva il sepolcro della sire-
na Ligea nel mito cantato da Licofrone.
      Ma chi erano queste Sirene?
      Gli antichi aedi, che ci hanno tramandato il mito, cantarono che esse, annidate sugli scogli, con la dolcezza del
loro canto ammaliavano i naviganti che costeggiavano le sponde del Tirreno dal Circeo a Scilla.
      Il mito venne introdotto su queste coste tirreniche dai coloni greci che vi si stabilirono a partire dall'VIII secolo
a. C. In Omero e in Esiodo le Sirene sono due. Ma esse più tardi divennero tre: Partenope ('quella che sembra una ver-
gine'), Leucosia ('quella che ha candide membra') e Ligea ('la melodiosa dalla voce incantevole'), figlie di una Musa e
del fiume Acheloo. Esse sarebbero state mutate in uccelli da Demetra per punirle di non aver aiutato Persefone (figlia
di Zeus e Demetra), loro compagna di giochi, quando Ade (il dio degli inferi) la rapì mentre insieme a loro stava
cogliendo fiori nella pianura di Enna, trascinandola nell'Averno.
      Sulla loro tragica fine Apollonio Rodio (III sec. a. C.) nel suo poema Argonautica ci dice che le Sirene si sareb-
bero data la morte, lanciandosi nel mare, quando Ulisse riuscì a sottrarsi al fascino del loro canto. Le onde del mar
Tirreno avrebbero rigettato il corpo galleggiante di Partenope sulla spiaggia della Campania dove poi sorse Napoli
(chiamata anche Partenope), quello di Leuocosia sul lido di Posidonia (Paestum) da cui il nome di Leucosia dato ad
un'isoletta presso quella città e quello di Ligea sulla riva tirrenica della Calabria presso Terina.
      Le Sirene venivano rappresentate con corpo di uccello e testa di fanciulla oppure come fanciulla nella parte supe-
riore e in quella inferiore come uccello o, più tardi, come pesce.
      In origine le Sirene erano le sacerdotesse di Afrodite, che praticavano la prostituzione sacra così come avveniva
in Oriente e nell'Asia Minore col culto di Ashtart dei Fenici e della dea Ishtar dei Babilonesi. Con i proventi ricavati
dall'esercizio di quella professione le sacerdotesse si costituivano la dote. In Babilonia anche le donne sposate si pro-
stituivano agli stranieri, una volta tanto, nel tempio di Mylitta versando però il denaro così guadagnato al tesoro del
tempio.
      Come si vede sulle monete di Terina, la figura alata di Ligea è accompagnata da alcuni attributi caratteristici di
Afrodite, evidentemente trasferiti alla sacerdotessa della dea. Infatti sulle monete di Terina su una faccia c'è una fan-
ciulla alata che reca in mano una colomba o una lepre e un ramoscello di mirto. Sull'altra faccia una figura muliebre
alata, assisa su un poggio e volta a sinistra, che stringe nella mano sinistra un caduceo e con la destra tiene un'anfora
appoggiata sulle ginocchia, nella quale cade l'acqua che scorre da una testa di leone (simbolo di una fonte) situata su
una muraglia di pietre e ai piedi un cigno nuotante nella fontana. La colomba, la lepre e il ramoscello di mirto sono i
simboli di Afrodite attribuiti alle sue alate sacerdotesse (dette ierodule). Alla schiera delle ierodule si possono ascrive-
re le Sirene, ossia le fanciulle che incantavano col fascino della loro voce e dei loro amorosi richiami i naviganti.
      Le Sirene cantano, suonano, danzano proprio come le meretrici dell'antichità che erano cantatrici, suonatrici e bal-
lerine. Sono esseri graziosi, allegri, canori come gli uccelli e perciò erano rappresentate alate o in forma di uccelli o
di fanciulle-uccelli. Esse abitano nei paesi di mare, nei porti perché la prostituzione sacra era praticata con stranieri e
perciò sono dette le muse del mare, le figlie di divinità marine, esse stesse divinità marine e più tardi verranno rappre-
sentate come fanciulle fino alla cintola e nel resto del corpo come pesci.
      Il fascino maggiore delle Sirene, quello che ha colpito di più la fantasia dei naviganti, stava comunque, come già
detto, nella loro dolcissima voce.
      Dunque, il mito di Ligea, cantato da Licofrone, è legato all'esistenza di Terina, recentemente portata alla luce nel-
l'area denominata Jardini di Renda posta a sud di Caronte a poca distanza, interrata dalle piene del Bagni dopo la sua
distruzione ad opera di Annibale nell'anno 203 a.C. C'è poi un altro elemento che conferma questo accostamento.
      L'Ocinaro ha il nome di Bagni dall'SOO in poi con chiaro riferimento al fatto che il corso d'acqua passa accanto
alle terme di Caronte (appunto 'i bagni').
      Anteriormente il fiume era chiamato Fàrmiti, formato dai torrenti Carpinà (carpineto) e Carìa (noceto). Questo
nome, secondo l'Alessio, reppresenta un prezioso relitto toponomastico in quanto deriverebbe dal nome latino Aquae
Fòrmidae (daformidus=caldo) che doveva essere la denominazione antica delle terme di Sambiase. Dunque il nome
Fòrmiti proviene dalle sorgenti solforose calde (Aquae fòrmidae= acque calde). E' il caso di ricordare che sopra
Caronte c'è una frazione chiamata Acquadàuzano (acqua degli auzani, ossia degli ontani).

                                                             Il
Le aqu(a)e ang(a)e

      La identificazione delle Aque Ange indicate nella Tabula Peutungeriana (copia medievale di una carta stradale
romana del IIl sec. d. C.) con le sorgenti solforose delle Terme Caronte (già sostenuta dall'Orsi e da altri) non può esse-
re accettata. Infatti non sono esatte le prove su cui si fondava l'affermazione.
      Il tutto era basato sul fatto che su una moneta di Terina, raffigurante la Sirena Ligea, si legge la scritta greca AGE
che era stata interpretata come il nome di un corso d'acqua. Ma la sigla è stata individuata anche su una moneta dei
Metapontini dal Raoul-Rochette che giustamente l'ha spiegata come abbreviazione del nome dell'incisore (tipo AGE-
SILAOS). Inoltre, come hanno dimostrato gli studiosi delle stessa Tabula Peutingeriana e dell'ltinerarium Antonini,
l'identificazione suddetta non può essere accettata in quanto non risponde alle indicazioni delle distanze segnate sulla
stessa carta per cui le Aque Ange, termine che richiama, linguisticamente, il termine Angitola, sarebbero da identifi-
care con lo stabilimento termale che deve essere collocato 5 miglia dopo la statio Ad Turres, precisamente in località
Ellade di Acconia dove sorgono i ruderi delle Terme romane.?

Idrografia intorno a Caronte e nel golfo lametino.
      Una vera e propria rete di torrenti e fiumare, asciutti d'estate e gonfi e rovinosi d'inverno, sono la caratteristica
dell'ampio territorio lametino gravitante ad oriente e ad occidente intorno alla valle di Caronte.
      Essi, da ovest a est, sono: i torrenti Casale, Zingaro, Forcita, Zinnavo, Spilinga, Bagni, Cantagalli, Piazza, Canne,
S. Ippolito, il fiume Amato, il torrente Cottola, il Rio La Grazia, il torrente Turrina, il torrente Randac il torrente
Quercia e il fiume Angitola che lambisce solo per un piccolo tratto il confine occidentale del comprensorio.
      Il torrente Zinnavo nasce tra il Monte La Presa e il Monte Mitojo, ricevendo sulla sinistra il fosso Tre Comuni e
quello di S. Minà. Ha il bacino di origine ed il canale di scarico scavati entro gli scisti filladici e, dopo un percorso di
circa cinque chilometri, termina con un amplissimo cono di deiezione.
      Il torrente Spilinga, che ha un bacino di Kmq. 4,35, nasce lungo le pendici meridionali del Monte Mitojo, inci-
dendo dapprima gli scisti filladici e poi i calcari cristallini che si estendono fino a raggiungere la valle del torrente
Bagni. Prima della sua sistemazione, le acque nei periodi di piena esondavano, contribuendo notevolmente all'impa-
ludamento della pianura. Questo torrente riceve il tributo di due gruppi di polle, quello della sorgente Spilinga o
Càccovo e l'altro della sorgente Piscirò.
      Il torrente Bagni nasce, col nome di torrente Caria, alle falde del Monte Capo di Bove (m.1306), un contrafforte
del Monte Reventino, e presso il Molino riceve sulla destra il torrente Vallericciardi il quale risulta dalla confluenza
del fosso Carpinà e del fosso Montuccio, che discendono dalle pendici orientali del M. Nocelletto. Riceve solo dei
fossi laterali raccoglitori di acqua piovana tra cui i principali sono il Malipassi sulla destra e il Carbonara sulla sini-
stra. Il bacino ha una superficie complessiva di Kmq. 50, mentre l'intero corso del torrente ha una lunghezza di Km.
15. Il suo primo tronco, racchiuso in una stretta valle a pareti scoscese e franose, presenta una forte pendenza, tanto
che, quando esso sbocca da una stretta gola presso lo stabilimento di Caronte, dopo un percorso di appena sette chilo-
metri, non è più che a 250 metri sul mare. Il suo bacino è costituito per la massima parte da scisti filladici e da una
limitata zona di calcari cristallini, inclusi a guisa di lente negli scisti. La massa calcarea, che affiora allo sbocco del
torrente presso Caronte, per effetto di una faglia, presenta una parete a picco, in alcuni punti assolutamente liscia. Di
fronte stanno le sorgenti termali di Caronte dovute all'acqua assorbita dai calcari e costretta a venire fuori per effetto
degli scisti filladici impermeabili.
      Il torrente Cantagalli, indicato nelle antiche carte topo grafiche col nome di Fiumicello-Sambiase, nasce dalle pen-
dici meridionali del Monte Santa Maria (m.l087) e fin presso Sambiase scorre sugli scisti filladici. Il suo bacino ha
una superficie di Kmq. 25,38. Sulla destra il Cantagalli riceve il fosso Zupello. Esso, prima dei lavori di bonifica, si
impantanava in prossimità della stazione e del villaggio di S. Eufemia, dando origine ad uno dei più micidiali centri
malarici.
      Il fiume Amato è il corso d'acqua più importante del golfo di S. Eufemia sia per lunghezza e portata, sia per le sue
piene e per l'azione esercitata sulla stessa pianura alluvionale che lo fiancheggia nell'ultimo suo tronco. Ha origine
quasi sotto la vetta del Monte Reventino, lungo il versante N.N.E., alla quota di 1416 metri sul mare. E' all'inizio un
modestissimo fosso scarsamente alimentato da esigui tributi che riceve prima di giungere alla pianura ad est di
Decollatura. Ivi si unisce col torrente Gallice di Stocco, che discende dai piani di Soveria Mannelli e procede, quindi,
diretto a S.E. senza accogliere lungo la sinistra alcun affluente, poiché lo spartiacque da quella parte passa assai vici-
no all'alveo, mentre a destra vi sboccano successivamente i piccoli torrenti di Terrati, Caroleo, Fiumarella e Ombrano,
dopo i quali il bacino diventa sempre più ampio, accogliendo anche a sinistra dei tributari di una certa lunghezza.

2 Sulla storia della piana lametina cfr. V. VILLELLA, Scheria, la terra dei Feaci, Stampa Sud, Lamezia Terme 2004.

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In seguito, alla destra del corso sbocca il torrente Cancello e più oltre, sulla sinistra, i torrenti Solleria, Inforcaturo,
Turboli, Acquabianca, (prima che l'Amato entri nel largo tratto vallivo alluvionale che si spande nella piana di S.
Eufemia), il Pesipe, che si origina dalla Serra di S. Vito a circa 1000 m. di altitudine, alimentato dal torrente Cancello
e dal torrente Pilla ed infine a destra il torrente S. Ippolito, il più importante di tutti gli affluenti, il cui ultimo ramo è
costituito dal Piazzi. Fra i tributari del S. Ippolito assumono una qualche importanza, prima del Piazzi, il fosso Badia,
che passa presso Feroleto Antico e Pianopoli, il Cordolo, che scende dalle alture di Accaria, ed il torrente Canne, indi-
cato sulla carta topografica col nome di fiumara di Nicastro, con due rami secondari, lo Zangarone ed il Valloncello.
Il Canne ha il proprio bacino di origine nel M. Crozzo (m. 711) costituito da scisti filladici, passa dentro Nicastro.
Prima dei lavori della bonifica le sue acque si perdevano appena al di sotto di Nicastro, contribuendo all'impaludamen-
to della pianura. L'ultimo tronco dell'Amato riceve sulla sinistra il torrente Cottola che nasce dal M. Contessa (m.800)
ed è alimentato sulla sinistra dal torrente Ugolìo che si origina sotto S. Pietro a Maida. Ci sono poi i vari rami del
Turboli (Piraino, Fico, Petrella, Verna, Vattendiere) tra i Piani del Carrà ed il Monte Cocuzzolo. Dopo il ponte della
Statale n° 18, il fiume Amato raggiunge il mare sul letto scavato nelle sue stesse alluvioni, costituite in prevalenza da
materiali sabbiosi. Esso, insieme al torrente S. Ippolito, anteriormente ai lavori di sistemazione idraulica, arrivava
verso lo sbocco ad aver un alveo largo più di un chilometro e mezzo. L'Amato, in conseguenza del ristagno delle sue
acque, aveva formato nella pianura una zona paludosa larga quasi otto chilometri, alimentata pure dal S. Ippolito il
quale determinava degli enormi acquitrini anche presso la confluenza del Piazzi e del Canne, i quali ne ostacolavano
il deflusso delle acque. La lunghezza complessiva dell'Amato è di km. 56, con un bacino idrografico avente una super-
ficie totale 460 kmq., dei quali la maggior parte in territorio montuoso e collinare.
     Il torrente Turrina ha un bacino di origine scavato entro la serie di micascisti granatiferi e gneiss profondamente
alterati e solo nella parte più elevata alcuni rivi che lo alimentano, come il S. Teodoro, sono incisi sui sedimenti qua-
ternari terrazzati. I suoi vari rami (S. Elia Vecchio, Rupa, Cupo, Candeliere, Malevindi, Zicca, S. Teodoro) hanno
determinato la formazione di burroni fortemente scoscesi.
     Il fiume Angitola raccoglie le acque di una parte del versante corrispondente al tratto della Serra che si estende
sopra Filadelfia e Vallelonga.

Le acque sotterranee.

      Nella parte più bassa della piana di S. Eufemia esiste una falda freatica poco profonda che, mentre verso Capo
Suvero dista dalla superficie in media 6-7 metri, procedendo verso sud tende a risalire, cosicché nei dintorni della foce
dell'Angitola essa si trova a 2-3 metri al di sotto della superficie del terreno. L'acqua freatica è alimentata in parte dalle
piogge che cadono direttamente sulla pianura, in parte dalle sorgive esistenti alla base dei terrazzi fiancheggianti la
piana ed in parte dai corsi d'acqua che solcano il territorio.
Le più importanti sorgenti poste ai piedi dei
rilievi circondanti la pianura, sono:
* La sorgente Spilinga o Caccavo e Piscirò,
nascente dal calcare cristallino quasi all'al-
tezza del torrente Spilinga a pochi metri a
monte della strada per Gizzeria.
* La sorgente Zupello, posta tra Sambiase e
il torrente Bagni, proviente dai soprastanti
rilievi costituiti da scisti filIadici. Questa
sorgente di ottima acqua potabile e vari altri
stillicidi davano in passato un contributo uti-
lizzato in parte dall'irrigazione.
* Sorgenti della Valle Badia.
* Fonti Palazzo e Jacino. Fuoriescono in
prossimità delle case da cui prendono il
nome.
* Sorgente Strufolio, sgorgante al contatto fra i sedimenti sabbioso-ghiaiosi calabriani del terrazzo di Scarro con gli
gneiss e micascisti granatiferi di Montesoro.

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Era utilizzata per alimentare l'acquedotto di Curinga.
* Sorgente dell'Acquabianca, ubicata lungo il corso del torrente omonimo in prossimità della confluenza coll'Amato a
monte del ponte Calderaro.

La storia delle terme

      Le fonti Caronte sgorgano in un terreno appartenente anticamente alla Badia basiliana dei SS. Quaranta Martiri.
Presso la chiesa, annessa alla Badia basiliana, sono stati trovati ruderi di antichi bagni. Per questo i bagni furono anche
detti dei Quaranta Martiri. Anche il torrente, prima dell'800, era sovente chiamato, oltre che Formiti, fiume dei
Quaranta Martiri o semplicemente Quaranta. Qualche glottologo, a tal proposito, ha avanzato l'ipotesi che il toponimo
'Caronte' non sia altro che una deformazione gergale di 'Quaranta'.
      Proveniente presumibilmente dalla Badia basiliana, distrutta da una delle tante incursioni saracene, si conserva
all'interno delle Terme un'antica statua della Madonna che la credenza popolare indica come S. Quaranta.
      Le sorgenti vengono a giorno nel terreno alluvionale del torrente, alle falde dei monti S. Elia (693 m) e Muzzari
(260 m), rispettivamente alla destra ed alla sinistra dell'alveo.
      Anticamente le acque di Sambiase erano indicate coi nomi delle località vicine più note come Nicastro
(Neocastrum, Neocastron) e S. Eufemia. Poi furono dette: Bagni dei Quaranta Martiri, Bagni di Sambiase, Terme di
S. Elia, Terme di Caronte. Le polle conosciute verso la metà del secolo scorso erano 9.
      Ma la sorgente prevalentemente valorizzata è stata la fonte Caronte dalla quale prende a tutt'oggi nome l'intero
complesso termale; alcune delle polle minori continuarono a sgorgare liberamente nella concessione, mentre altre si
dispersero fra i detriti delle recenti alluvioni.
      Le razionali opere di captazione, compiute nel corso degli anni, hanno permesso di convogliare molte di queste
polle nella sorgente principale Caronte, 2 captazioni sulla sinistra del torrente, la Solfurea Fredda S. Elia sulla destra.
      Molte sono le testimonianze storiche sulle terme Caronte che erano conosciute già nel V secolo a. C.
      Goffredo Malaterra, biografo del re normanno Ruggero, nella sua opera che si spinge con la cronaca sino alla fine
del XII secolo, riferisce che Roberto il Guiscardo, muovendo guerra a Reggio nel 1056, dopo aver occupato Martirano,
abbia sostato per due giorni in una località sopra il fiume Amato, presso una fonte termale: "Exercitu itaque commo-
to et his quae ad expeditionem necessaria erant (paratis), versus partes Calabriae aciem dirigit: pertransiensque
Cusentinos fines et Marturanenses,juxta       aquas calidas super flumine quod Lametum dicitur, biduo permansit ut exer-
citum, itineris asperitate fatigatum, recrearet et terram citius exploraret">.
      Ciò attesterebbe l'esistenza di una via Martirano-Caronte-Sambiase.
      L'umanista cosentino Aulo Giano Parrasio (1470-1522), fondatore dell'Accademia cosentina, vi curava la gotta
nel 1512 ed è probabile che i bagni fossero in uso già verso la metà del XV secolo, se non da parecchio tempo prima.
Sicuramente questi bagni avevano nel '500 raggiunto una certa fama se nel 1570 F. Grano affermava: "Non cedit Baijs
Cumanis nostra Nicastrum?+.

 3 G. MALATERRA, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius auctore Gaufredo Malaterra,
   monaco benedectino, ed. a cura di Ernesto Pontieri, Bologna 1927.
 4 F. GRANO, De situ, laudibusque Calabriae, deque Aoehae Nymphae Methamorphosi,       Roma 1570.

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Nel 1571 così le citava il Barrio: "Blasium pagus, Turres olim Antonino Pio Caesari in itinerario dictus, cum
melle spectato, et balneis nobilibus. Aqua sulphurea est, qua multis medetur morbis">.
      A sua volta A. Baccio, nella prima (1571) e più dettagliatamente nella seconda (1588) edizione del suo De
Thermis, accenna alle acque salutari utilizzate per curare diverse malattie durante tutta la stagione estiva:
      "Quas iter celebre est balneum ad Neocastrum Sanctae Euphemiae, oppidum quidam et id satis nobile. Est autem
balneum antiquurn, ut ex structura cernitur al vei, qui sedilibus undique descensum. Aqua (ut dixi) calida, ac piane
sulphurea, eaque usus in balneis frequentissimi ad ommigenas frigidas infirmitates. Moderate calefacit, et siccat, ter-
get cutim, digerito Dolores lenit, tumentias reprimit etiam ventris, mestruas revocat purgationes, In usu tota aestate">.
Successivamente le terme fecero registrare un netto declino per varie vicissitudini, ma soprattutto a causa della fre-
quente minaccia di pirati e saraceni: " .. .Ob frequentes vero circa illa littora pyratarum ac Sarracenorum excursiones,
cum iam derelictae [ere, ac incultae multis seculis iacuerint ... Può darsi che sia stato anche il clima malsano a causa
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dell'impaludarnento della piana dove si era già cominciata a diffondere la malaria.
      Accennano a questi bagni anche G. Marafioti (1601)7 ,Fiore (1691)8 ,Pacichelli (1703)9 ,Giannone (1723)10 ,
De Amato (1725)11 ,Lupis (1794) 12,Alfano (1795) 13, Sacco (1796)14 ,Giustiniani (1797) 15 e altri. Come scrive Pier
Carlo Federici, certamente "per lunghi anni furono trascurate, così da potersene dimenticare la loro antica origine se,
nel 1828, correva voce che le sorgive di Sambiase fossero state, per la prima volta, messe a nudo dall'azione erosiva
del torrente nel 1667 e le loro proprietà curati ve fossero state osservate occasionalmente da alcuni pastori solo nel
 1717"16. Ma si tratta sicuramente di notizie inesatte riguardanti alcune polle secondarie o indicanti la riscoperta e riva-
lutazione delle sorgive stesse, rimaste per alcuni anni sommerse da materiali alluvionali o di frana. Infatti, fu nel 1716
che il terreno delle terme, appartenente alla badia dei SS. Quaranta Martiri, fu concesso in enfiteusi alla famiglia
Cataldi la quale avviò la bonifica dei luoghi e il rifacimento delle poche costruzioni esistenti, provvedendo poi all'ac-
quisto di tutto il terreno della Badia. In uno strumento del notaio G. Caputo di Nicastro, datato 8 dicembre 1716, si
legge che il terreno dei bagni venne concesso in enfiteusi (usque ad tertiam generationem), per il canone di due duca-
ti annui, da Cesare Colelli, procuratore del cardinale V. Petra, abate della Badia dei SS. Quaranta Martiri proprietaria
delle polle, a Gian Galeano Cataldi. AI cardinal Petra successe l'abate Cosenza ed a questi, nel 1742, l'abate D. Valeria
Rinaldi. Costui si rese conto della nullità del contratto e nel 1750 iniziò una causa contro la famiglia Cataldi. Essa si
risolse con giudizio del Sacro Regio Consiglio del 12 dicembre 1751, che sanciva l'annullamento del contratto e la
restituzione delle fonti al demanio. La famiglia Cataldi, la quale nel frattempo (1737) aveva provveduto ad acquistare
i terreni circostanti le polle dai fratelli Pansino, i quali li avevano acquistati dalla stessa Badia, fece ricorso contro la
sentenza. Il 24 aprile 1755 fu posta fine alla controversia con un accordo tra le parti. Nell'atto, redatto dal notaio
Stagapiede di Napoli, si stabiliva che le sorgenti venivano concesse in enfiteusi 'ad meliorandum' ai Cataldi per altre
tre generazioni, per 45 ducati annui.
      La concessione alla famiglia Cataldi fu confermata con successivi accordi, anche quando la badia da cardinalizia
divenne regia e fu data in godimento, come vedremo più avanti, alla famiglia Winspeare di Napoli.

5 G. SARRIO, De antiquitate et situ Calabriae, Roma 1571, lib. 2, p. 156.
6 A. BACCIO, De Thermis , Venezia 1588, lib. 4, p. 229.
7 MARA FiaTI G., Croniche et antichità di Calabria conforme all'ordine dei testi Greco et Latino raccolta da' più famosi scrittori antichi e
  moderni, Ed. L. Pasquali, Padova 1601, p. 220.
8 GiaRE    G., Della Calabria illustrata, Tip. D. A. e M. Parrino, Napoli 1691, p. 263.
9 PACICHELLI G. S., Il Regno di Napoli in prospettiva,      Stampo D. Parrino e M. Luigi Mutio, Napoli 1703, p. 135.
IO GIANNONE      P., lstoria civile del Regno di Napoli, Tip. N. Naso, Napoli 1723.
II DE AMATO E., Pantopologia calabra in qua celebriorum ejusdem Provinciae Locorum, virorumque, Armis, Pietate, Titulis,           Doctrina,
   Sanguine, Monumento expenduntur, Tip. Fr. Mosca, Napoli 1725, p. 356.
12 LUPIS a., Elementi di storia universale, Y. Flauto, Napoli 1794-1795, Tomo VI, p. 113.
13 ALFANO G. M., fstorica descrizione del Regno di Napoli ultimamente diviso in quindici province colla nuova mutazione di esse nello stato
   presente, Tip. Manfredi, Napoli 1795.
14 SACCO F., Dizionario geografico-istorico-fisico   del Regno di Napoli, Y. Flauto, Napoli 1795-1796, voI.   m, p.   249.
15 GIUSTINIANI     L., Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Tip. Manfredi, Napoli 1797.
16 FEDERICI P. C, Lamezia Terme e le 'Terme Caronte' di Sambiase, La Nazionale Tipografoca Editrice, Parma 1971, p. 51

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Nella seconda metà del '700 si ha un vuoto di notizie. C'è solo una memoria all'interno di un manoscritto non data-
to (ma risalente ai primi decenni dell'800) intitolato Cenno storico e ragioni a pro del padrone dei bagni, conservato
nell'archivio Cataldi, in cui si dice che allorché Ferdinando IV emanò le cosiddette 'leggi di ammortizzazione', i bagni
e i terreni annessi posseduti dai Cataldi furono dichiarati allodiali della stessa famiglia e resi liberi in ogni genere di
commercio "col solo obbligo di pagare il canone stabilito". All'inizio dell'800 la famiglia Cataldi provvedeva a dota-
re la località di uno stabilimento per la pratica dei bagni, di alcune pensioni per alloggiare i curandi e della prima illu-
minazione a gas acetilene. Contestualmente si assiste alla valorizzazione delle acque termali da parte di alcuni studio-
si, concordi nel ritenerle fra le più celebri ed importanti della Calabria. Sono di questo periodo le relazioni dei dotto-
ri V. Colosimo (1819), Calcaterra (1828), Parracocchia e Montesanto (1832) alla Società Economica della
Provincia.Tutti però denunciavano le precarie condizioni in cui erano ancora abbandonate le terme ed il Calcaterra sol-
lecitava il Comune a rivendicarne la gestione o ad invitare i proprietari a compiere le opere necessarie. Le relazione
suddette sono ricche di dati interessanti, storici e topografici. In particolare quelle del Colosimo e del Montesanto
riportano i risultati delle analisi delle quattro polle, sulla sinistra del torrente, e delle cinque polle sulla riva destra.
Queste prime relazioni ebbero soprattutto il merito di far sentire la necessità di analisi più dettagliate e complete, che
vennero formalmente richieste dai soci Fr. Pelagi, F. Berlingò e Fr. Codispoti nella stessa seduta dell'lI ottobre 1832
in cui aveva parlato il Montesanto. Accolsero la proposta i soci professori Tarantino e Masciari che si dichiararono
disponibili ad eseguire le analisi a loro spese, ma in seguito desistettero, essendo venuti a conoscenza che l'incarico
era stato ufficialmente affidato dal Ministro dell'Interno, cav. Santangelo, al professor F. Ricca di Catanzaro. Il Ricca
nel 1835 compiva le analisi di tutte le nove polle sgorganti ai lati del torrente, analisi che però erano date alle stampe
solo nel 1846 con una Memoria chimico-medica
sulle acque minerali e termali di Sambiaseìl . Questa,
che può anche considerarsi la prima monografia sulle
acque di Caronte, offre dati abbastanza accurati e I
precisi per il tempo in cui fu redatta. A questa segui-
rono le Osservazioni terapeutico-cliniche         del La I
Camera (1855), che pure ripeteva le analisi chimiche
delle acque, trovando valori dei tutto concordanti
con quelli del Ricca. Altri autori, sia esperti che sem-
plici cronisti, si occupavano delle acque: De Renzi
(1829-1845)18, Grimaldi (1839)19, Pagano (1840)20,
V. Colosimo (1842)21, Filioli (1842)22, Mastriani
(1842)23, Cappa (1844)24, Zuccagni-Orlandini
(1845)25, Adilardi (1848)26, Brey (1848)27, De Luca
(1850)28, Giuliani (1867)29.
Nel 1861 le acque di Sambiase venivano presentate alla Esposizione Italiana di Firenze e nella relazione, curata da
Targioni- Tozzetti, sono riportate anche le analisi dell'acqua Caronte e Ferrata effettuate dal Ricca. Le analisi del Ricca
di tutte nove le polle sono riportate integralmente dal Marieni e dal Perone (1870) il quale ribadisce le deplorevoli con-
dizioni igieniche in cui giacevano gli impianti.
      Nel 1876 lo Jervis informava che le fonti Tremuoto, Saraceno e dell'Occhio erano andate disperse mentre la
Ferrata e la Solfurea Fredda erano da qualche tempo trascurate ed impiegate per l'irrigazione.

17 RICCA F., Memoria chimico-medica sulle acque minerali e termali di Sambiase in Calabria Ultra Il, Tip. All'insegna dell'Ancora, Napoli 1846.
18 DE RENZI S., Osservazioni sulla topografia medica del regno di Napoli, Ed. Fratelli Criscuola, Napoli 1829-1830; IDEM, Topografia e statistica
   medica della ciua di Napoli con alcune considerazioni sul Regno intero, Ed. Filiate Sebezio, Napoli 1845.
19 GRIMALDI L., Sulle acque minerali della Provincia di Calabria Ultra Il, relazione lena nella seduta del 29 marzo 1939 della Soc. Economica della
   Provincia di Calabria Ultra Il.
20 PAGANO L., Delle acque minerali della Calabria, Ed. Filiate Sebezio, Napoli 1940.
21   COLOSIMO V, Su le acque minerali delle Calabrie, Tip. G. Migliaccio, Cosenza 1842.
22   FILIOLI G., Delle acque minerali e termali del Regno di Napoli, Napoli 1842.
23   MASTRIANI R., La Calabria, in Dizionario geografico-storico-civile del regno delle Due Sicilie, Tip. All'Insegna del Diogene, Napoli 1842.
24   CAPPA R:, Guida medica pe' bagni e per le acque minerali, Ed. Tip. Della Minerva Sebezia, Napoli 1844.
25   ZUCCAGNl-ORLANDlNl A., Geografia fisica, storica e statistica, topografia storico-governativa del Regno delle Due Sicilie, Ed. Tip. All'insegna
     di Clio, Firenze 1845.
26   ADlLARDI F., Cenno storico sul vescovato di Nicastro, Tip. G. Ranucci, Napoli J 848.
27   BREY G., Statistica delle acque minerali delle sorgenti più frequentate d'Italia, Ed. Chiusi, Milano 1848.
28   DE LUCA F.-MASTRIANI R., Dizionario corografico del Reame di Napoli, Ed. G. Civelli, Milano J 850.
29   GIULIANl P, Memorie istoriche della città di Nicastro, Tip. V. Colavita, Nicastro 1867, Tip. Nicotera J 893.

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Nel 1892 il dottor S. Camilla, dei Laboratori della Direzione di Sanità, pubblicava una nuova accurata analisi
quantitativa dell'acqua della fonte Caronte, analisi riportata nel 1933 da Marotta e Sica nella loro Classifica e da molti
altri.
       Tratta estesamente delle acque di Sambiase Leopoldo Pagano nei suoi Studi sulla Calabria, pubblicati postumi
dal nipote Vincenzo nel 1892.
       Nel 1906 G. S. Vinaj si limitava ad una fugace notizia su queste acque. Nel 1907 il Casciani scriveva che lo
Stabilimento termo-minerale Caronte constava, in quel tempo, di 16 camerini e d'una piscina collettiva; vi era pure una
modesta casa-albergo per 150 persone e la frequenza si aggirava sui 500 ospiti, per una stagione che durava dal 15
maggio al 30 settembre.
       Le terme Caronte sono ricordate in quasi tutte le principali opere idrologiche del '900: Piccinini (1924)30 ,
Trambusti (1927)31, Vinaj (1939)32, Silvestri (1939)33, Lasagna (1939)34, Petragnani (1939-1940)35, Messini e
Meccoli (1940)36, Monti e Cardinali (1951)37, Colosimo R. (1954)38.
       Nel 1819 la Società economica di Calabria Ultra II, in vista della costruzione di uno stabilimento presso le sor-
genti, affidò l'incarico di analizzare le acque al socio della stessa Società Vincenzo Colosimo (Vedi: L. GRIMALDI,
Studi statistici sull'industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra Il, in Società Reale Borbonica, Rendiconto
della Reale Accademia delle Scienze, Napoli 1842, p. 55). Successivamente fu redatto un altro studio dal socio della
stessa Società economica Nicola Calcaterra il quale propose la costruzione di uno stabilimento termale pubblico gesti-
to direttamente dal governo (lbidem).
       Nel 1830 il Consiglio Provinciale di Catanzaro approvò un progetto che prevedeva un finanziamento da parte
della Cassa di Beneficenza per "le acque e pei bagni', in beneficio delle persone indigenti che avevano necessità della
cura delle acque di Caronte. "Questa decisione, che prevedeva la dichiarazione della proprietà regia delle acque ter-
mominerali, ma rispettava in ogni caso il diritto di proprietà dei Cataldi attraverso un indennizzo, ottenne l'approva-
zione del re"39.
       C'è a tal proposito presso l'archivio Cataldi un manoscritto che registra lo Stato nominativo di questi poveri
ammessi gratuitamente alle terme dal 1831 al 1875. Proprio in questo anno 1875 finiva la politica assistenziale volu-
ta dal governo borbonico a causa della rigida politica economica e finanziaria della Destra storica.
       Un passo avanti nella valorizzazione delle terme a fini terapeutici si registrò nel 1832 (anno del terremoto e del
colera) allorché il dr. F. Montesanto redasse la sua 'Dissertazione sulle acque minerali di Sambiase' (in archivio
Cataldi). Il Montesanto, facendo riferimento ad altri stabilimenti termali italiani già più avanzati scientificamente, dava
indicazioni sull'uso medico delle acque, analizzando anche le condizioni igieniche non solo delle sorgenti, ma anche
degli alloggi.
Nell'ottobre 1833 il reale Istituto d'Incoraggiamento alle scienze naturali, economiche e tecnologiche di Napoli inca-
ricava dell'analisi delle acque F. Ricca, professore di chimica al reale Liceo di Catanzaro.
       La ricerca, finanziata dalla famiglia Cataldi con 120 ducati, fu pubblicata nel 1846 con la supervisione del mini-
stro degli affari interni N. Santangelo.
       Nel 1851 il Sottointendente di Nicastro Giuseppe Guerrieri nella sua relazione tenuta al Consiglio del Distretto
affermava che le terme di Sambiase dalle 'virtù salutari' non potevano essere sfruttate adeguatamente perché la viabi-
lità e le strutture erano assai carenti. Infatti mancavano 'buone strade', mancava "un edifizio che si presti alle esigen-
ze degli avventori, corredato di quante agevolezze dan lustro e rinomanza a simili igienici stabilimenti ne' Pirenei,
nella Savoia, in Castellammare". L'aspetto delle terme, a detta del funzionario, era squallido e desolante: "una via
disastrosa, pessimi tuguri, assoluta mancanza di mezzi a sussistere, ecco gli attuali inconvenienti de' bagni di
Sambiase, troppo popolati nella stagione estiva".
       Per poterli rendere "accessibili, abitabili, proficui veramente", era necessario, secondo il Sottointendente, che "il
Governo li acquisti e il proprietario con le debite regole e sanzioni li ceda" perché "la utilità pubblica lo esige"40.

30 PICCININI P., Idrologia e Crenoterapia. Le acque minerali, Hoepli, Milano 1924, p. 410.
31 TRAMBUSTI A., Trattato di Crenoterapia, Vallardi, Milano 1927, p. 291.
32 VI Al A., Le stazioni termali in Italia, Ed. S.N.F.M., Roma 1939, p. 84.
33 SILVESTRl S., Elementi di idrologia con note sulle acque minerali italiane, G. Bardi, Roma 1939, p. 130.
34 LASAGNA F., Trattato di ldroclimatologia per otorinolaringoiatri, A. Mattioli, Fidenza 1939, p. 106.
35 PETRAGNANI G., Classifica delle acque minerali italiane autorizzate, 1st. Poligrafico dello Stato, Roma 1939-1940, p. 180.
36 MESSINI M-MECCOLI v., Clinica e terapia idrologica, acque minerali italiane, Vallecchi, Firenze 1940.
37 MONTI G.-CARDINALI M., Stazioni termali e climatiche, Cappelli, Bologna 1950-1951.
38 COLOSIMO R., Le sorgenti termali della Calabria, in Almanacco Calabrese, IV, 1st. Grafico Tiberino, Roma 1954.
   Dello stesso autore esiste nell'Archivio della Società Terme Caronte un manoscritto del 1962 intitolato Sorgenti termali di Caronte. Opera di
   presa e di eduzione delle sorgenti per gli usi del nuovo complesso termale.
39 N. GRECO, Acque e bagni termo-minerali nel Regno delle Due Sicilie: il caso Calabria, Fratelli Gigliotti Editori, Lamezia Terme 1998, p. 150.
40 V. VILLELLA, Trono, altare e sette nella Calabria risorgimentale, Stampa Sud, Lamezia Terme 1997, p. 103.

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