Studio per un dizionario italiano-bengali

Pagina creata da Jessica Bosio
 
CONTINUA A LEGGERE
Università di Roma “La Sapienza”
                                Facoltà di Studi Orientali
                    Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Civiltà Orientali

            Studio per un dizionario italiano-bengali

   Uno strumento didattico per le esigenze comunicative della comunità
                            bengalese in Italia

Candidata: Carola Erika Lorea                               Relatore: Prof. Francesco De Renzo

                                                            Correlatore: Prof. Mario Prayer

                           Anno Accademico 2009/2010

                                                                                              1
Introduzione

     La comunità di immigrati provenienti dal Bangladesh è una delle più numerose in
     Italia e, a Roma, è anche una delle più visibili. Ogni cittadino romano, anche il più
     lontano dagli studi sull'immigrazione, si sarà di certo ritrovato a rifiutare una rosa al
     ristorante, a comprare un ombrello quando all'improvviso piove, a stampare un
     documento da un internet point, o a contrattare per un accendino da un venditore
     ambulante di San Lorenzo. Dietro a queste e a molte altre attività brulicano gli
     sforzi degli immigrati bangladeshi (o bengalesi, se usiamo una connotazione etnico-
     linguistica piuttosto che politica), spesso e volentieri confusi con migranti di altra
     provenienza, come indiani e pakistani; nelle bigiotterie, dietro alle bancarelle di
     abbigliamento, nelle cucine delle pizzerie italiane e ai banchi di spezie del mercato
     Esquilino, la forza lavoro bengalese si integra e si interseca con le vite di altre
     migliaia di italiani, nonostante il radicamento alle proprie origini e consuetudini e
     alla propria comunità etnica sia molto intenso. I figli degli immigrati frequentano le
     scuole elementari e medie e siedono ai banchi insieme ad altre decine e decine di
     provenienze geografiche. Per loro, così come per i loro genitori, l'apprendimento
     della lingua italiana è una priorità non trascurabile: è il veicolo dell'integrazione,
     della formazione, della socializzazione, e gli strumenti per ottenerlo sono
     qualitativamente scarsi e quantitativamente insufficienti.
     Rispetto all'immigrazione cinese o a quella sudamericana, il materiale didattico e i
     supporti lessicali esistenti per i parlanti bengali sono praticamente pari a zero:
     d'altronde la lingua bengali non è fra le più studiate nelle università italiane,
     nonostante i manuali e le grammatiche per gli apprendenti italiani di bengali L2
     siano paradossalmente più numerosi degli strumenti didattici per apprendenti
     bengalesi di italiano L2.
     Nelle scuole in cui ho lavorato in questi anni per l'insegnamento dell'italiano,
     nonostante in certe classi più di un terzo degli alunni fossero di provenienza
     bengalese, non vi sono né materiali didattici utili agli studenti di madrelingua
     bengali, né personale specializzato, o perlomeno munito di qualche nozione sulla

                                                                                                 6
lingua di partenza, adibito al sostegno e all'insegnamento dell'italiano L2. Allo
stesso modo nelle altre istituzioni italiane, negli ospedali, nei tribunali, nei centri di
prima accoglienza e di permanenza temporanea, ecc., non vi sono gli strumenti
adatti per far fronte alle esigenze dei nuovi cittadini: della popolazione italiana
composta in larga parte da immigrati poco o per nulla competenti nella nostra
lingua.
L'elaborazione     di   un    dizionario    bilingue    essenziale    e    maneggevole,
specificatamente costruito a partire dalle esigenze della comunità bangladeshi in
Italia, intende inserirsi in tale lacuna. Al fine di essere funzionale allo scopo
prefissato, il lemmario del dizionario italiano-bengali è nato a seguito di un'attenta
selezione lessicale che tiene conto del vocabolario di base dell'italiano, dei campi
semantici che più premono alla vita degli immigrati del Bangladesh, e del lessico
dell'immigrazione. Per questo motivo i destinatari di un dizionario così concepito
sono non solo i parlanti di lingua bengali (fra cui includiamo, oltre ai bangladeshi,
anche i bengalesi provenienti dalla regione indiana del West Bengal presenti,
seppure in minor misura, in Italia) ma anche tutti coloro che lavorando nel campo
dell' immigrazione      si trovano a dover fronteggiare una barriera linguistica e
culturale: mediatori, insegnanti, impiegati presso enti facilitatori e strutture
pubbliche, volontari dei corsi di italiano per immigrati non nativi, uffici di
collocamento e di orientamento al lavoro.
Al principio della decisione di intraprendere questo progetto risiede l'idea di
collaborare ad una integrazione sana ed indispensabile in una società multiculturale
e plurilinguistica. Al raggiungimento dell'integrazione fra i membri sociali di
diversa matrice linguistica e culturale concorre in maniera imprescindibile
l'acquisizione della lingua italiana, strumento centrale per assicurare parità dei
diritti, dei doveri e della salute, elemento cardine per allontanare le situazioni di
marginalità e di discriminazione.
Con tali premesse, ovvero la constatazione della mancanza di strumenti linguistici
ad uso e consumo della comunità bengalese in Italia, di politiche linguistiche
proporzionate alla presenza di immigrati sul nostro territorio, e di provvedimenti
pratici per raggiungere una condivisa idea di integrazione, ho gettato le basi per la
costruzione del dizionario, costruzione che prende piede da ricerche e
approfondimenti anche molto lontani dal puro ambito lessicale. Per questa ragione

                                                                                             7
l'elaborato che presento in questa sede è suddiviso in due sezioni. La prima sezione
comprende tutto l'iter lavorativo che ha permesso la realizzazione del dizionario
bilingue italiano-bengali. La seconda sezione consiste invece nella concreta
esemplificazione del dizionario vero e proprio.
La prima sezione si articola in tre capitoli riguardanti le ricerche che soggiaciono
alla creazione del dizionario in quanto strumento consapevolmente utile ai suoi
destinatari. Nel primo, si ricostruisce l'identità del principale utente del dizionario:
gli immigrati bangladeshi. Verrà pertanto descritta la storia dei movimenti migratori
dal Bangladesh e la presenza bengalese in Italia in termini sociologici e
demografici:    chi    sono    gli   immigrati    bangladeshi,     quali    peculiarità   li
contraddistinguono dalle altre comunità di migranti, quanti sono, di cosa si
occupano, come si inseriscono nella società italiana. Nel secondo, si intende
esplorare quella che è la situazione del fenomeno migratorio in Italia,
dell'integrazione degli immigrati e in particolare dell'integrazione linguistica,
premesso e dimostrato il ruolo di centralità dell'acquisizione linguistica nel
processo di inserimento, lavorativo e non.
Il terzo capitolo racchiude invece le indagini linguistiche e glottodidattiche da cui
prende il via l'elaborazione concreta del lemmario. In primis si motiva l'importanza
di disporre di un dizionario vista la centralità della dimensione lessicale all'interno
del processo di apprendimento di una seconda lingua. Si prosegue, poi, con la
descrizione del lessico italiano con l'intento di inquadrarne il nucleo, o vocabolario
di base. Infine, descritti e dimostrati i limiti dell'esistente vocabolario di base
dell'italiano, si enunciano i criteri di selezione e costruzione di un lemmario che
miri, secondo i principi della moderna glottodidattica, a soddisfare le necessità
dell'apprendente.
L'essenza di tutti e tre i capitoli è l'intento di costruire un lemmario volto all'utilità e
alla spendibilità delle parole, piuttosto che alla loro frequenza: è grazie a questo
criterio e ai metodi elaborati per concretizzarlo che nel dizionario compariranno
tutte le parole necessarie a una situazione di immigrazione (permesso di soggiorno,
certificato, residenza, irregolare, accoglienza, discriminazione, ecc.), alla ricerca
della casa e di un lavoro (contratto, curriculum, affittare, ecc.), alla frequenza della
scuola dell'obbligo (iscrizione, tassa, sostregno, ecc.), alla tutela dei propri diritti e
all'interazione con le strutture italiane adibite al contatto fra società e immigrato

                                                                                               8
(modulo, consultorio, maternità, asilo nido, guardia medica, ecc.).
Oltre ad essere utile, il dizionario italiano-bengali è stato pensato in modo da essere
facilmente consultabile e sinteticamente esauriente per un'utenza di parlanti che per
la maggior parte dei casi non hanno alcuna nozione di grammatica italiana, né
hanno frequentato alcun corso per l'apprendimento formale e guidato della lingua.
Dunque, perché il dizionario funga allo stesso tempo da supporto lessicale e
didattico, sono stati inseriti a lemma elementi generalmente assenti nella
dizionaristica tradizionale (quali preposizioni articolate, femminili dall'uscita
diversa dal maschile, participi passati irregolari o imprevedibili per l'apprendente
non nativo, ecc.) di modo che, anche senza competenze nell'uso e nella
consultazione di un dizionario si possa arrivare nel modo più semplice e più veloce
alla parola cercata. Inoltre compare, ad ogni voce, l'indicazione di pronuncia del
lemma basata sulla traslitterazione in caratteri bengali, che non presuppone alcuna
conoscenza in materia di convenzioni di trascrizione fonetica per poter pronunciare
- con tutte le inevitabili approssimazioni – correttamente la parola cercata.
Proprio perché l'utilità è l'obiettivo a cui mira questo intero elaborato, l'augurio e la
speranza a seguito del lavoro svolto è quello che il dizionario abbia la possibilità di
rendersi concretamente utile nelle mani dei suoi utilizzatori e che risulti uno
strumento effettivamente funzionale al miglioramento delle abilità comunicative.
Inoltre, considerato che l'inadeguatezza delle politiche linguistiche e la scarsità di
materiale didattico per un pubblico di apprendenti immigrati sono problematiche
che non riguardano solamente i bangladeshi, ma altre centinaia di migliaia di
immigrati di altre origini, spero che il lavoro esemplificato in questo elaborato
possa essere riutilizzato come modello per la costruzione di altri dizionari di altre
lingue dell'immigrazione che abbiano l'intento di soddisfare le necessità
comunicative dei loro utenti, filippini, ucraini o punjabi o di qualsiasi altra
madrelingua.
E' famosa una pagina di Croce che diceva che chi pone fine a una ricerca "intravede
le prime incerte linee di un'altra, che egli medesimo, o chi verrà dopo di lui,
eseguirà. E con questa modestia, che è delle cose stesse e non già del mio
sentimento personale, con questa modestia che è insieme fiducia di non aver
pensato indarno, io metto termine al mio lavoro, porgendolo ai ben disposti come
strumento di lavoro".

                                                                                            9
I.   Il dizionario: per chi e perché

                                       10
1)              CAPITOLO 1
        Le caratteristiche dell'immigrazione bengalese

       1. I movimenti migratori dal Bangladesh e la presenza bengalese in
       Italia

       Il processo migratorio è uno degli elementi più dinamici dell'economia e della
       società bengalese. Anzi, si potrebbe dire che l'economia del Bangladesh è in diretta
       relazione con l'andamento della mobilità internazionale dei suoi abitanti. Essendo
       un Paese estremamente popoloso, il Bangladesh ha sempre goduto e, al contempo,
       sofferto di un grande surplus di forza-lavoro, il che lo rende uno dei principali Paesi
       di esportazione internazionale di manodopera già da un paio di secoli. D'altra parte,
       da relativamente pochi anni, anche in Italia si comincia a percepire la presenza
       sempre maggiore di immigrati provenienti da tale area. Per poter meglio
       comprendere la situazione italiana, anche per mezzo del paragone con le precedenti
       esperienze migratorie che hanno origine dal Bangladesh, è indispensabile fornire
       una rapida panoramica della storia delle migrazioni bengalesi. Seppure le ricerche
       effettuate a tale proposito siano insufficienti e il materiale piuttosto scarso, siamo in
       grado, a partire dai dati esistenti, di suddividere la storia delle migrazioni bengalesi
       in tre fasi: una prima fase detta “dei pionieri”, una seconda fase di migrazioni
       rivolte soprattutto verso il Medio Oriente, e una terza fase di migrazioni che
       interessano in primo luogo i paesi occidentali.1

       1.1 Una storia dei movimenti migratori dal Bangladesh alle
       maggiori destinazioni internazionali

1     Cfr. QUATTROCCHI, PATRIZIA; Il fenomeno migratorio nel comune di Monfalcone: il caso della
comunità bengalese: rapporto di ricerca. La Grafica, Gradisca D'Isonzo, 2003. Cap. 3, pp. 45-59.

                                                                                                   11
        In Bangladesh i migranti sono chiamati probashi, gli “abitanti di fuori”,
         oppure, in special modo nel dialetto della regione di Sylhet, londoni. La prima
         grande meta delle migrazioni bengalesi è infatti Londra, e per estensione,
         l'Inghilterra, paese in cui l'immigrazione dall'Asia Meridionale, a seguito
         dell'esperienza coloniale, è un fenomeno storico e ben radicato.
         Il governo coloniale rivalutò, a partire dall'inizio del XX secolo, una risorsa assai
         preziosa e ancora poco mercificata: la forza lavoro a basso costo. Risalgono già al
         1700 le prime testimonianze di manodopera bengalese ingaggiata dalla Compagnia
         delle Indie Orientali per lo svolgimento di mansioni umili; si trattava in particolare
         di lascar, mozzi o marinai impiegati sulle navi e retribuiti con compensi
         decisamente inferiori a quelli dei marinai inglesi. La maggior parte dei lascar
         proveniva da tre regioni del Bangladesh: Chittagong, Noakhali, e in particolar modo
         Sylhet. Le prime due regioni si trovano vicino al mare: lì, l'arruolamento di uomini
         sulle navi mercantili è una pratica tradizionalmente esistente ed accettata. Sylhet,
         per contro, è una regione continentale, collocata nel nord-est del Paese, e gli unici
         marinai tradizionalmente presenti sono quelli che, imbarcati sulle chiatte,
         percorrono i grandi fiumi della regione. Il loro massiccio arruolamento sulle navi
         inglesi è dovuto alle peculiarità nell'organizzazione socio-economica della regione
         di Sylhet. Già dall'epoca coloniale infatti, il territorio, anziché essere diviso in
         latifondi sottoposti al potere degli zamindar2, era parcellizzato fra i diversi
         lavoratori agricoli che erano quindi, al contempo, anche piccoli proprietari terrieri,
         abituati a gestire il loro patrimonio e ad investire sulle sue possibilità di
         miglioramento. A causa del benessere diffuso, della maggiore autonomia,
         dell'attitudine al lavoro e della capacità imprenditoriale, dal distretto partì un forte
         flusso migratorio. Per tutto il XIX secolo e l'inizio del XX, migrare è un'opportunità
         che sfrutta solamente una classe medio-alta di proprietari terrieri pronti a rischiare
         investimenti sul futuro.
         Questa tendenza si rafforza a tal punto che ancora oggi Sylhet risulta essere l'area di
         provenienza preponderante (95%), per quanto riguarda l'emigrazione bengalese in
         Gran Bretagna.
         Fino agli anni '50-'60 , in questa prima fase che è stata definita “dei pionieri”, gli

2          Latifondisti dalla privilegiata posizione economia, politica e sociale, paragonabili in qualche modo ai nostri
feudatari.

                                                                                                                        12
immigrati bengalesi in Inghilterra sono esclusivamente uomini, solitamente celibi,
        ed essendo membri del Commonwealth possono lavorare e vivere in Gran Bretagna
        senza particolari limiti di tempo o difficoltà burocratiche.

                 Nel 1962 le cose iniziano a cambiare: la legislazione in materia di
        immigrazione viene modificata e si inaugura il sistema dei cosiddetti labour
        voucher (buoni di lavoro, documenti di lavoro) in base al quale l'accesso al mercato
        del lavoro britannico avviene unicamente tramite tali “permessi di lavoro” rilasciati
        dal Ministero. Per ottenere il voucher di lavoro è utile avere parenti o amici che già
        risiedono nel Paese, essere in contatto con le istituzioni britanniche, e avere una rete
        di conoscenze che agevolino le cose anche dal Bangladesh. A tale livello agiscono
        degli intermediari, dei veri e propri broker: essi hanno solitamente già vissuto di
        persona l'esperienza della migrazione, sono informati sulle opportunità lavorative,
        conoscono i percorsi burocratici da seguire, sono in possesso dei contatti necessari
        all'interno delle istituzioni britanniche per avviare con successo nuovi percorsi
        migratori, e spesso prestano denaro ai nuovi migranti che devono costruirsi una
        vita al di là della frontiera bengalese.
        A Sylhet, terra di benestanti e intraprendenti proprietari terrieri, la presenza degli
        intermediari, e quindi anche la consuetudine a migrare, si radicano più
        velocemente.3 Questa seconda fase migratoria è caratterizzata dall'impiego di una
        gran parte dei migranti nel settore industriale. Si tratta di una migrazione
        temporanea: il lavoratore bengalese vive in Gran Bretagna per brevi periodi, da
        qualche mese a pochi anni, limitando al minimo indispensabile le spese per la
        sopravvivenza, con l'obiettivo principale di tornare nel proprio Paese di origine
        quanto prima, e lì godersi le ricchezze accumulate e il nuovo status sociale acquisito
        a seguito dell'esperienza lavorativa all'estero.

                 Dal 1971, anno in cui il Bangladesh ottiene la sua indipendenza
        affrancandosi dal Pakistan, la politica di accoglienza della Gran Bretagna cambia
        radicalmente. Viene approvato l'Immigration Act, che stabilisce regole sempre più
        rigide per l'ingresso nel Paese. Da questo momento in poi, migrare diventa

3        Per un'interessante raccolta di testimonianze sulla prima fase migratoria, vedi ADAMS, CAROLINE; Across
seven seas and thirteen rivers: life stories of pioneer Sylethy settlers in Britain. Thap, London, 1987

                                                                                                                   13
un'esclusiva possibilità di chi è già in contatto con altri immigrati residenti in
        Inghilterra e già inseriti saldamente nel nuovo tessuto sociale. Per le famiglie e le
        comunità che si trovano al di fuori della “rete migratoria”, la migrazione verso la
        Gran Bretagna diventa un percorso quasi impossibile. Per coloro che già vi si
        trovano, invece, cambia il progetto migratorio iniziale: a seguito dei cambiamenti
        legislativi, i lavoratori immigrati tendono a stabilizzarsi, a richiedere il
        ricongiungimento familiare per vivere sedentariamente nel nuovo Paese con le
        proprie famiglie, e a naturalizzarsi. Infatti, dagli anni '70 agli anni '90 in Gran
        Bretagna la maggior parte dei nuovi arrivi è rappresentata dalle mogli e dai figli dei
        già residenti.
               In concomitanza con l'innalzarsi di barriere e difficoltà in Gran Bretagna,
        sorgono per i bengalesi nuove opportunità migratorie, nuove destinazioni e nuove
        formule. La prima e la più importante per impatto è la migrazione che ha come
        destinazione i Paesi del Medio Oriente. Proprio negli anni in cui l'Inghilterra chiude
        i suoi confini, l'economia dell'area mediorientale vive un momento di forte
        espansione che culmina, nel '74, con il boom dei prezzi del petrolio. La
        riorganizzazione dell'economia dell'area richiama molti lavoratori da tutta l'Asia, tra
        i quali una grande parte proviene dal subcontinente indiano. La provenienza non è
        più limitata a Sylhet ma coinvolge anche nuovi distretti del Paese, come
        Chittagong, Noakhali, Comilla e Dhaka.
        Inizialmente, soprattutto fra 1976 e 1981, la richiesta dei paesi mediorientali
        riguarda categorie professionali elevate (medici, infermieri, insegnanti) da inserire
        nelle loro infrastrutture in rapida crescita. Gli anni '90 invece sono caratterizzati da
        un notevole cambiamento nell'offerta di lavoro, che si concentra esclusivamente
        sulla manodopera a basso costo, carente di specializzazione, relegata a settori
        lavorativi di basso profilo, con scarsa retribuzione e scarso riconoscimento sociale4.
        Negli stessi anni la migrazione comincia gradualmente a rivolgersi anche verso i
        paesi di recente industrializzazione del Sud-Est asiatico, primo fra tutti la Malesia.
        Anche in questo caso si tratta di migrazioni di breve durata e sulla base di contratti
        per specifici lavori, di solito di bassa qualifica.5
        L'ingaggio del migrante si basa sull'istituzione dei “contratti di lavoro”, per la

4 Vedi Tabella 1 in appendice.
5        Cfr. MAHMOOD, RAISUL AWAL, Data on migration from Bangladesh, Asian and Pacific Migration Journal, (4),
4, 1995, p. 46

                                                                                                             14
quale, a differenza dei “voucher di lavoro” britannici, il migrante “compra” prima
       della partenza un posto di lavoro che può essere solo quello indicato sul contratto,
       stipulato con il governo del Paese in questione o con compagnie private. Agli inizi
       degli anni '80 i costi di un contratto della durata di due anni in Arabia Saudita
       variavano tra 40 e 60.000 taka (8-12.000 sterline). Comprensibilmente, tali cifre
       selezionano in partenza i potenziali fruitori.
       Ancora una volta, i mediatori rivestono un ruolo di primaria importanza: nel 1985 si
       contano già, in Bangladesh, ben 300 agenzie ufficiali di reclutamento, nate con
       l'unico obiettivo di collocare, attraverso la stipula di contratti regolari, i lavoratori
       bengalesi nei paesi asiatici.
       Secondo i dati del BMET (Bureau of Manpower, Employment and Training), dal
       1976 al 2008 un totale di 5.613.752 di persone intraprendono un percorso
       migratorio. Di queste, 2.474.392 scelgono l'Arabia Saudita come paese di
       destinazione e 1.005.139 gli Emirati Arabi Uniti. Gli altri paesi verso cui è orientata
       la migrazione bengalese della terza fase sono Malesia, Kuwait, Oman, Qatar e
       Bahrein.6
               Mentre il flusso di migrazione temporanea continua ad investire i paesi del
       Medioriente e del sud-est asiatico, persiste un lento ma continuo processo
       migratorio verso i paesi industrializzati dell'Occidente, che i migranti raggiungono
       grazie alle richieste di        visti lavorativi, visti per studenti e richieste di
       ricongiungimento familiare. Fra i paesi del “primo mondo”, Gran Bretagna e Stati
       Uniti rappresentano le due destinazioni maggiori; a seguire, in ordine decrescente
       per presenza bengalese, troviamo l'Italia, Canada, Giappone, Australia, Grecia e
       Spagna. Le fonti ufficiali riportano che quasi 1,2 milioni di bengalesi vivono
       stabilmente, in qualità di residenti, nei paesi industrializzati7.

       1.2 Politiche migratorie del governo bengalese

               La legislazione bengalese in materia di migrazione è nata, dopo
       l'Indipendenza, ricalcando l'Emigration Act del 1922, forgiato nel passato coloniale.

6        Vedi Tabella 2 in appendice
7        Cfr. SIKDER, MOHAMMAD JALAL UDDIN, Bangladesh: refugee and migratory movements research unit. Asian
and Pacific Migration Journal, (17), 3-4, 2008, p. 272

                                                                                                         15
Con l'inizio dei flussi migratori verso il Medioriente, l'argomento migrazione
        divenne una delle maggiori preoccupazioni del governo, visti i grandi benefici che
        un'emigrazione a larga scala avrebbe potuto apportare alle condizioni economiche
        del Paese, ed esso iniziò ad assistere l'esportazione di forza lavoro bengalese con la
        fondazione di enti ed istituzioni ad hoc. Primo fra tutti, nel 1976, il BMET (Bureau
        of Manpower, Employment and Training). Nel frattempo, la legge del '22 si
        dimostrò inadeguata alle nuove dimensioni del fenomeno e bisognosa di
        un'attualizzazione. Nel 1982 venne perciò promulgata l'Emigration Ordinance, che
        divenne la base per la più completa legislazione del 2002. Con essa, il governo si
        impegnava ad autorizzare l'emigrazione ai soli cittadini in possesso dei documenti
        di viaggio validi, ad esempio un permesso lavorativo accordato dal datore di lavoro
        all'estero, oppure un visto lavorativo emesso dal governo dello stato in questione.
        Inoltre permetteva la migrazione di coloro che venivano selezionati tramite i
        contatti forniti dalle agenzie di collocamento riconosciute dal governo. Queste
        ultime si organizzarono nel 1984 in un gruppo noto come BAIRA (Bangladesh
        Association      of   International     Recruiting   Agencies)   e   si   moltiplicarono
        progressivamente, fino a passare da 23 a 780 nel giro di tredici anni.
         Nel 1997 l'esigenza di una normativa più completa per organizzare e tutelare i
        migranti e la richiesta sempre più pressante da parte della società civile e della
        RMMRU (Refugee and Migratory Movements Research Unit) di nuove politiche
        sull'emigrazione spinse il governo a istituire il MoEWOE (Ministry of Expatriates'
        Welfare and Overseas Employment); il nuovo ministero, attivo dal 2001, si sarebbe
        incaricato di correggere e migliorare l'Emigration Ordinance, e inoltre di
        promuovere, monitorare e regolare il contesto migratorio, occupandosi di creare
        nuove opportunità migratorie per i bangladeshi nel mondo, e di risolvere le loro
        problematiche.
        Fra le politiche intraprese dal governo per regolare i flussi migratori dal Bangladesh
        citiamo, per concludere, il più recente provvedimento, ovvero l'Overseas
        Employment Policy del 20068.

        1.3     Le modalità di migrazione e il problema dell'immigrazione
        irregolare
8 Per approfondimenti, vedi SIKDER, op. cit, pp. 264-270

                                                                                                   16
I canali di migrazione dei lavoratori bengalesi hanno subito notevoli
     cambiamenti nel tempo. Durante i flussi migratori rivolti alla Gran Bretagna e fino
     ai primissimi anni '70, il ruolo del governo bengalese nell'organizzazione delle
     dinamiche migratorie è stato sostanzialmente quello di un osservatore passivo. Poi,
     rendendosi conto dell'enorme domanda di manodopera da parte del Medio Oriente e
     del conseguente beneficio che le migrazioni avrebbero apportato all'economia
     domestica, il governo inaugurò una consistente politica di esportazione di forza
     lavoro. Ad esempio, vennero negoziati accordi bilaterali con i paesi richiedenti la
     manodopera per provvedere al massiccio invio di lavoratori bengalesi. Un terzo dei
     migranti che si recarono in Medio Oriente dal 1977 al 1980 usufruì di questo,
     diciamo, canale ufficiale. Ma in tempi più recenti, il suo ruolo nelle faccende della
     migrazione è stato minimo.9
            Gli anni'80 sono stati contrassegnati dalla nascita e dal proliferare delle
     agenzie private per il collocamento e l'esportazione di manodopera. Dal 1977 al
     1981 l'attività delle agenzie private crebbe dal 7 al 40%, ed ebbe un ruolo di
     avanguardia nella scoperta delle nuove mete migratorie.10
            Nonostante alcune ONG e diversi enti, come l'RMMRU (Refugee and
     Migratory Movement Research Unit) e il già citato BMET, si stiano occupando di
     raccogliere dati sempre più dettagliati ed esaurienti al fine di una maggiore
     comprensione dei processi migratori che hanno come paese di origine, e pure di
     ritorno, il Bangladesh, la situazione è ancora lontana dall'essere chiara e completa.
     Ad aggravare la difficoltà e la parzialità della ricerca, sta il fatto che, secondo stime
     elaborate da istituti di ricerca come l'RMMRU, solamente il 40% di coloro che
     decidono di migrare viene reclutato da agenzie ufficiali di intermediazione.
     Vi sono perciò altri canali di migrazione, “informali” ed irregolari. In primo luogo,
     si può fare ricorso a mediatori non riconosciuti ufficialmente che svolgono lo stesso
     ruolo di quelli 'a norma'. I contratti vengono stipulati e comprati dai lavoratori
     prima della partenza, ma a un prezzo inferiore rispetto ai contratti ufficiali, poiché si
     tratta di lavori molto pesanti, a rischio, non tutelati da assicurazioni, o senza
     garanzia di durata.

9     Cfr. B.B.KUMAR; Illegal migration from Bangladesh. Astha Bharati, Delhi, 2006. Cap. 4, pp. 78-82
10   Cfr. MAHMOOD, RAISUL AWAL, Ibidem.

                                                                                                         17
In alternativa, si può ricorrere all'emigrazione illegale, senza avere alcun contratto
     di lavoro in mano. Il migrante ha ben poco potere contrattuale al momento
     dell'arrivo nel paese ospite ed è perciò destinato a sopravvivere, nella maggior parte
     dei casi, attraverso lavori precari e malpagati, magari facendo il venditore
     ambulante o il lustrascarpe.
     Anche in quest'ultimo tipo di migrazione intervengono gli intermediari e i
     faccendieri locali, che hanno contatti in grado di mobilitare una rete di conoscenze
     tale da consentire al migrante di arrivare a destinazione. Tali figure vengono
     comunemente chiamate dalal.
     Il costo della migrazione illegale è molto elevato, ma ad ogni modo più accessibile
     rispetto a quella regolare. Ogni paese di destinazione ha una “tariffa” che varia a
     seconda delle opportunità di guadagno e di inserimento che il paese stesso offre. A
     seguito di alcune interviste11, sappiamo ad esempio che qualche anno fa Francia e
     Germania costavano circa 15.000 euro, mentre pare che l'Italia sia una delle
     destinazioni più 'economiche' dell'Europa Occidentale (dai 10 ai 12.000 euro).

     1.4    Caratteristiche del migrante: la selezione in partenza

            Se una famiglia composta da cinque-sette persone in Bangladesh vive con
     60.000 taka ( all'incirca 1.000 euro) all'anno, la sproporzione tra il reddito medio
     familiare e il costo di una migrazione è evidente. Per questo motivo la decisione di
     migrare spetta non solo alla persona direttamente interessata, ma coinvolge
     necessariamente tutto il nucleo familiare. Il migrante è un investimento e una
     responsabilità condivisa da tutti, di cui tutti beneficeranno, in caso positivo, o di cui
     tutti subiranno gli effetti negativi, nel caso qualcosa non dovesse funzionare. E' un
     compito che interessa l'intera famiglia quello di procurare la somma necessaria per
     mandare in porto la migrazione, e trattandosi di una somma molto elevata, in un
     Paese in cui la maggior parte della popolazione vive in condizioni di indigenza, è
     evidente che l'accesso alla migrazione è limitato a quella esigua, ma presente, classe
     media/medio-alta di proprietari terrieri, imprenditori, piccoli commercianti o

11    Cfr. QUATTROCCHI, PATRIZIA. Ibidem.

                                                                                                 18
Puoi anche leggere