Strumenti_ 9 Le campagne di comunicazione sull'active ageing in Europa - A cura di Sante Marchetti e Giuliana Scarpetti - Sviluppo Mercato dei ...
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Strumenti_ 9 Le campagne di comunicazione sull’active ageing in Europa A cura di Sante Marchetti e Giuliana Scarpetti ISSN 2037-2582 collana strumenti isfol | numero 2010/9 - dicembre | www.isfol.it
L’Isfol, Istituto per lo sviluppo della formazione Strumenti Isfol è la collana elettronica che raccoglie tutti i contributi professionale dei lavoratori, è stato istituito con DPR n. che l’Isfol realizza con specifiche finalità operative, come 478 del 30 giugno 1973, e riconosciuto Ente di ricerca strumentazione a disposizione degli operatori e dei non-specialisti, nel 1999 ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero del anche nell’ambito di committenze esterne vincolanti. lavoro e delle politiche sociali. L’Istituto opera nel campo della formazione, delle politiche sociali e del La collana ha l’obiettivo di rendere disponibili non solo particolari lavoro al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione elaborati teorici per la comunità scientifica ma anche una vasta ed al miglioramento delle risorse umane. L'Isfol svolge tipologia di prodotti (quali kit, manuali, dispositivi operativi e opuscoli a e promuove attività di studio, ricerca, sperimentazione, fini divulgativi, atti di convegni, ecc.) per un target di utenti più ampio. documentazione, informazione e valutazione, consulenza e assistenza tecnica. Fornisce un supporto tecnico-scientifico al Ministero del lavoro, ad altri Ministeri, al Parlamento, alle Regioni e Province autonome, agli Enti locali, alle Istituzioni nazionali, pubbliche e private, sulle politiche e sui sistemi della formazione ed apprendimento lungo tutto l’arco della vita, del mercato del lavoro e dell’inclusione sociale. Fa parte del Sistema Statistico Nazionale. Svolge inoltre il ruolo di assistenza metodologica e scientifica per le azioni di sistema del Fondo sociale europeo, è Agenzia nazionale Lifelong Lerning Programme – Programma settoriale Leonardo da Vinci. Presidente: Sergio Trevisanato Direttore: Aviana Bulgarelli Riferimenti: Via G. B. Morgagni, 33 00161 Roma Tel. +39.06445901 web: www.isfol.it La Collana Strumenti Isfol è curata da Claudio Bensi Responsabile Servizio comunicazione web e multimediale. Coordinamento editoriale: Paola Piras, Aurelia Tirelli, Matilde Tobia Redazione: Federica Carboni, Paola Piras, Costanza Romano, Aurelia Tirelli, Matilde Tobia Contatti: editoriadigitale@isfol.it
Autori: Ringraziamenti Sante Marchetti - Ricercatore Isfol Si desidera ringraziare vivamente tutti coloro che, nei vari Paesi, hanno contribuito alla raccolta dei dati e delle informazioni Introduzione, par. 1.1, Premesse generali e par. 1.2, Il contenute in questo rapporto e si sono prestati ad approfondirne caso Italia diversi aspetti non sempre evidenti. Senza la loro disponibilità e il loro prezioso contributo questa ricognizione europea non avrebbe Paolo Baldi - Media Consultant, specializzato in “Studi potuto essere effettuata: comparativi sui media europei” • Mme Dominique Jérémiasz, Chef de la mission Introduzione, par 1.3, Le campagne di comunicazione e communication, Délégation générale à l’emploi et à la Capitoli 1-2-3-4-5-6-7 formation professionnelle; Ministère de l’économie, de Fabrizio Pasanisi - Giornalista professionista, l’industrie e de l’emploi (Parigi, Francia); specializzato in “Giornalismo e comunicazioni di massa” • Mme Dominique Allory, Délégation Information et Introduzione, par. III, Le campagne di comunicazione e Communication; Ministère du travail, des relations sociales et Capitoli 1-2-3-4-5-6-7 de la solidarité (Parigi, Francia); Elaborazioni statistiche a cura di Luca Mattei • Mr Arthur Phillips, Age Positive / Extending Working Lives; Department for Work and Pensions (Sheffield, Gran Bretagna); • Dr Elisa Zechner, Ageing, Population and Volunteering Policies; Federal Ministry of Labour, Social Affairs and Consumer Protection (Vienna, Austria); • Mr Julius Op De Beke, Unit E1 Demography and Social Analysis; DG Employment Social Affairs and Equal Opportunities; European Commission (Bruxelles, Belgio); • Mr Giles Goodall, Press Officer; DG Employment, Social Affairs and Equal Opportunities (Bruxelles, Belgio); • Mr Alexander Belopopsky, Senior Communication & Public Information Officer; ISSA – ILO (Svizzera) • Mr Jan Strøbæk, Specialkonsulent; Arbejdsmarkedsstyrelsen (Copenaghen, Danimarca) • Mrs Karen Lund; KL's center for ledelsesudvikling (Copenaghen, Danimarca) • Mr Åsmund Lunde, Direktør; Senter for seniorpolitikk (Oslo, Norvegia) • Mrs Karolina Mackiewicz, Project Secretary; Baltic Region Healthy Cities Association (Turku, Finlandia)
INDICE ABSTRACT PREMESSA 1. INTRODUZIONE 1.1 Alcuni elementi di contesto 1.2 La situazione italiana dell’offerta di lavoro matura 1.3 Nota metodologica 2. GRAN BRETAGNA 2.1 La Campagna “Age Positive” 2.2 La Campagna “Be Ready” 2.3 “Building a society for all Ages” 2.4 “Extending working life”: alla ricerca dell’efficacia 3. FRANCIA 3.1 Il Piano Nazionale in favore dei senior 3.2 Il portale web “Pour l’emploi des seniors” 3.3 Ulteriori evoluzioni 4 DANIMARCA 4.1 Le politiche verso i senior 4.2 La Campagna di comunicazione “Seniorpraksis” 4.3 Guida al sito Seniorpraksis 4.4 Attività previste per il 2010 5 NORVEGIA 5.1 Una politica dedicata ai senior 5.2 La Campagna di comunicazione “VinnVinn” 5.3 Guida alla Campagna VinnVinn 5.4 Lo sapevate che… 5.5 Ulteriori informazioni 6 LE INIZIATIVE NEGLI ALTRI PAESI 6.1 Germania 6.2 Austria 6.3 Svizzera 6.4 Svezia 6.5 Finlandia 1
7 GLI ORGANISMI INTERNAZIONALI 7.1 Introduzione 7.2 Il Resource Package di Eurofound (UE) 7.3 La Commissione Europea 7.4 L’International Social Security Association (ISSA) 8 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 8.1 C’è campagna e campagna 8.2 Sensibilizzare o informare? 8.3 I contenuti della comunicazione 8.4 Il ruolo strategico della ricerca BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA 2
ABSTRACT In questo rapporto realizzato nell’ambito dell’attività Ricognizione e analisi delle azioni locali a supporto del prolungamento della vita attiva1 – che ha come obiettivo la messa a regime di un sistema di osservazione dei fenomeni in atto sul tema e la possibile diffusione dei modelli di intervento più efficaci, realizzati in ambito nazionale ed europeo – vengono presentati i risultati di una ricognizione delle principali attività informative e delle campagne a sostegno dei programmi nazionali per l’invecchiamento attivo (active ageing) svolta a livello europeo nel periodo giugno-novembre 2009. Lo studio è preceduto da una parte introduttiva che mostra a grandi linee l’evoluzione demografica in Europa e in Italia, e le sue ricadute sul mercato del lavoro, prendendo in considerazione soprattutto l’aspetto delle “discriminazioni basate sull’età” ed il fenomeno degli “scoraggiati maturi” in un’ottica di superamento della percezione/autopercezione negativa dell’anziano. Diversi paesi europei hanno organizzato ripetute campagne di comunicazione – orientate ai lavoratori, alle imprese e all’insieme dei cittadini – allo scopo di rafforzare la capacità di penetrazione delle misure in favore dell’invecchiamento attivo e di modificare gli stereotipi culturali relativi alle persone mature. Il rapporto ha inteso analizzare unicamente le campagne che perseguivano i seguenti obiettivi: valorizzare l’immagine dei lavoratori anziani e dei senior; ritardare al massimo l’età di pensionamento; favorire un rapido re-inserimento dell’anziano che ha perso il lavoro. L’attenzione si è concentrata su quattro Paesi – Gran Bretagna, Francia, Danimarca e Norvegia in quanto casi meritevoli di approfondimento. Per quanto riguarda la Norvegia e la Danimarca, Paesi – come tutti quelli nordici – che occupano i primi posti della classifica elaborata da EUROSTAT sulle percentuali di lavoratori anziani che sono ancora al lavoro, appariva importante verificare come questi brillanti risultati fossero stati ottenuti. In quanto alla Gran Bretagna e alla Francia è sembrato necessario approfondire la situazione in almeno due dei cinque grandi paesi europei. La Gran Bretagna ha già raggiunto l’obiettivo europeo della quota del 50% di lavoratori anziani occupati entro il 2010, vantando una politica più che decennale in materia di active ageing; la Francia, che stenta a raggiungerlo, è obbligata a investire molte energie e denaro nelle campagne di comunicazione. Dopo aver analizzato i quattro Paesi più significativi ai fini della ricerca, il rapporto prende in considerazione i Paesi in cui non esistono attualmente vere e proprie campagne – sia perché non si ritiene ce ne sia bisogno, sia perché non si sono ancora raggiunte le condizioni per farle – e le iniziative di livello internazionale che hanno raggiunto quasi tutti i paesi europei. Nel capitolo conclusivo vengono infine messe in luce quelle tematiche che rivestono un’importanza trasversale: i diversi modi di concepire una campagna di comunicazione; la correlazione tra il tipo di campagna effettuata e le misure già intraprese in un determinato Paese; i diversi contenuti che la comunicazione utilizza per sensibilizzare i vari target; l’importanza, ai fini del successo di una campagna, della ricerca di tipo strategico- preventivo. 1 L’attività risponde alla priorità segnalata dal Ministero del Lavoro, di contribuire alla definizione di politiche a supporto del prolungamento della vita attiva nell’ottica della definizione di un piano nazionale di active ageing. 3
The research presented in this report was realized within the ISFOL project “Analysis of local actions in support of active ageing”. It presents findings from a study concerning information activities and campaigns in support of national programs for active ageing, which was carried out in selected European countries between June and November 2009. The study is introduced by a chapter summarizing European and Italian demographic trends and their impact on labour market, especially considering problems of age discrimination and the phenomenon of seniors’ job search frustration. Several European countries have organized periodic communication campaigns – addressed to workers, enterprises and citizens – in order to enhance the penetration of measures to promote active aging and to change cultural stereotypes related to elderly. This research intended to analyze only campaigns that had the following objectives: promoting the image of older workers and seniors; delaying retirement; supporting re-insertion of the elderly who lost their jobs. The report focus on four countries: United Kingdom, France, Denmark and Norway, as cases worthy of consideration. As regards Norway and Denmark, which are, like all Nordic countries, high in the ranking by EUROSTAT as concerns the share of older persons who are still at work, it seemed important to verify how they were able to achieve such brilliant success, looking at communication contribution. As to UK and France, they were included because part of the group of the five major European countries. The UK has already achieved the European goal of 50% share of older workers employed by 2010, after more than ten years of policy on active ageing. On the other side, France, which is struggling to reach the benchmark, is currently obliged to invest considerable efforts and money in policy interventions and supporting campaigns. After analyzing these nations, the report takes into consideration countries in which there aren’t on going communication campaigns, either because a lack in demand, or because there aren’t yet the conditions to organize them. Finally, international communication initiatives that have reached almost all European countries are considered. In the final chapter, four issues are highlighted, concerning different ways to design a communication campaign: the correlation between types of campaigns and measures already implemented within a country; types of content the communication uses to sensitize the various target groups; the importance of a strategic framing in order to plan a successful a campaign. 4
PREMESSA Le dinamiche demografiche che caratterizzano gli ultimi decenni, non solo nel nostro paese ma su scala mondiale, vengono riconosciute tra i fattori di cambiamento più importanti della nostra epoca. La riduzione delle nascite, l’innalzamento dell’età media della popolazione, l’incremento della speranza di vita in buone condizioni di salute si manifestano come potenti forze di trasformazione della società, che richiedono a loro volta ulteriori mutamenti dell’organizzazione sociale, un progressivo ridisegno di molti sistemi istituzionali, economici e sociali ed un re-indirizzo di strategie e di risorse. Anche le abitudini della popolazione, le aspettative e gli orientamenti collettivi vengono sollecitati nella direzione del cambiamento, che coinvolge individui e famiglie, così come incide significativamente sugli assetti produttivi e su quelli dei servizi per la collettività, che si trovano a dover rispondere molto velocemente a nuove necessità. Una delle principali questioni, che va di pari passo con le dinamiche cui si è fatto cenno, riguarda la sostenibilità del nostro modello sociale, che verrà messa sotto pressione se non si dovesse intervenire con misure capaci di innalzare i tassi di occupazione. Tra queste ultime occorre considerare anche quelle a favore del prolungamento della vita lavorativa, in vista sia di un maggiore equilibrio tra vita attiva e vita in quiescenza, tra tassi di attività e tassi di dipendenza, sia di una ridefinizione dell’equilibrio tra le fonti di finanziamento. L’insieme di questi elementi comporta la necessità di riconsiderare in una prospettiva diversa rispetto al passato le responsabilità e le opportunità poste davanti alle diverse generazioni ed apre la strada ad approcci che sappiano considerare in modo nuovo i compiti che riguardano ciascuno di noi nelle successive fasi della vita. Occorre, dunque, sviluppare la capacità di affrontare una discontinuità anche di tipo culturale, che mette in gioco abitudini, convinzioni, paradigmi concettuali ed aspettative personali che non di rado appaiono tra loro contraddittorie. Un esempio tra tanti: nelle indagini europee sulle opinioni dei cittadini in tema di percezione della discriminazione sul lavoro si sentono ugualmente penalizzati i lavoratori più anziani e quelli più giovani. Si tratta di fasce di popolazione che manifestano l’esigenza di poter disporre di migliori prospettive, l’aspirazione ad una valorizzazione più chiara delle proprie competenze, ad una partecipazione più piena e “di qualità” alla vita attiva. Per le persone appartenenti a queste fasce di età, anche in Italia, è percepibile un disagio connesso alla sfera del lavoro che, in parte, discende dalla consapevolezza che stanno cambiando rapidamente molti quadri di riferimento, e che un nuovo disegno non è ancora ben definito. Come in tutte le fasi di passaggio, bisogna essere preparati a trattare e superare momenti di disorientamento. Uno degli strumenti che possono essere utilizzati è quello di promuovere una discussione collettiva che sia basata su informazioni accurate, dati e quadri di tendenza, ipotesi e proposte, esempi tratti da esperienze già assestate e curando con particolare attenzione la comprensibilità di quanto comunicato. Proprio in questa prospettiva in molti paesi europei il tema dell’invecchiamento demografico e della necessità di raggiungere equilibri adeguati in termini di estensione della vita attiva è stato affrontato non solo dal punto di vista normativo e da quello degli incentivi che facilitino un allungamento della vita lavorativa, ma 5
anche facendo ricorso ad ampie campagne di informazione e sensibilizzazione. I destinatari delle campagne sono stati i lavoratori vicino al ritiro, le aziende interessate da un invecchiamento della forza lavoro ed i cittadini nel loro insieme; si è ritenuto fondamentale condividere sia con i protagonisti del rapporto di lavoro sia con la collettività la portata della questione, fornendo informazioni, sollecitando la discussione e disegnando prospettive per il futuro. Nello stesso tempo sono stati presentati nuovi strumenti normativi (anche in fase di adozione, come nel Regno Unito) e sono state illustrate le opportunità messe in campo nei diversi paesi per sostenere un percorso che riguarda direttamente le persone, le famiglie, l’organizzazione sociale ed il mondo delle imprese. Frequentemente sono stati sottolineati alle imprese grandi e piccole i benefici che derivano dall’adozione di strategie di age management, anche predisponendo canali informativi dedicati al settore produttivo (opuscoli per le aziende, conferenze ad hoc, parti speciali del sito web, ecc.); tra i vantaggi maggiormente sottolineati si illustrano quelli relativi all’incremento della produttività, ad un maggiore utilizzo di competenze e qualificazioni rilevanti, alla riduzione dell’assenteismo, all’incremento del benessere personale di molti lavoratori anziani con positive conseguenze sul clima aziendale. Per i lavoratori vicini al pensionamento, o per coinvolgere i pensionati più giovani in un percorso di rientro al lavoro, sono state pensate analoghe iniziative ed allestiti spazi web dedicati. Campagne finalizzate ad una riflessione più ampia sul tema sono state indirizzate all’opinione pubblica in generale, non solo al fine di mettere in luce il contributo delle persone non più giovani al benessere collettivo, ma anche di muovere verso una valorizzazione reale delle responsabilità civili e sociali di ciascuno in tutte le fasi della vita. Molta attenzione è dedicata ai vantaggi che un approccio intergenerazionale può comportare per tutti, con l’adozione di un sistema alternativo di distribuzione del lavoro e della sua intensità più corrispondente alle esigenze dell’individuo lungo i diversi stadi della vita personale e professionale. Il ricorso alla comunicazione sociale quale supporto per il cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti si basa, in questi casi, su un’azione che in primo luogo è di informazione e sostegno ad una conoscenza articolata della questione, i cui contorni non sempre sono evidenti nella loro complessità. Elementi importanti riguardano anche la capacità delle campagne di stimolare il coinvolgimento diretto di ciascuno, motivando la partecipazione al dibattito, nella consapevolezza che invitare la collettività a ripensare molte dimensioni che sembravano acquisite per sempre richiede uno sforzo non indifferente. Molte esperienze hanno dimostrato che la comunicazione sociale può essere uno straordinario strumento di conoscenza e consapevolezza; specie negli ultimi due decenni il ricorso a questo tipo di intervento, sia da parte degli Stati che delle organizzazioni senza scopo di lucro, ha conosciuto uno sviluppo senza precedenti: le iniziative finalizzate a sensibilizzare la comunità su questioni di valore sociale si moltiplicano di anno in anno (anche nei periodi in cui la comunicazione commerciale, invece, si contrae). Contemporaneamente la qualità degli strumenti adottati tende a migliorare, anche in seguito all’utilizzazione dei risultati di studi valutativi sulle campagne già realizzate; ad esempio, sempre di più la comunicazione sociale realizza campagne che puntano ad ampliare gli spazi di riflessione sulle questioni affrontate, più che trasmettere messaggi a senso unico. Anche la quota rappresentata dagli investimenti per la comunicazione sociale 6
cresce, nel tempo, rispetto a quella destinata complessivamente alla comunicazione commerciale. Un altro aspetto che non può essere dimenticato riguarda il ruolo sempre più centrale che la comunicazione ha acquisito nell’ambito delle Amministrazioni: attraverso la comunicazione pubblica si intende rispondere alle esigenze di partecipazione e di informazione dei cittadini sul funzionamento della cosa pubblica e a quelle di trasparenza degli enti. In questa prospettiva, relativamente nuova nel nostro paese, anche la produzione normativa considera ormai la comunicazione una delle funzioni strategiche delle amministrazioni, la cui attenzione a criteri di rendicontabilità nei confronti dei cittadini e di orientamento alla soddisfazione degli utenti dei servizi è uno dei pilastri della recente attività legislativa ed organizzativa. È a partire da questi due punti di vista che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha commissionato all’Isfol uno studio che descrivesse ed analizzasse le campagne sviluppate in alcuni paesi a sostegno di un nuovo atteggiamento dei cittadini e delle imprese nei confronti del prolungamento della vita lavorativa. Si trattava, infatti, di poter disporre di una ricognizione di esperienze di comunicazione sociale sull’active ageing che, da una parte, individuasse le tipologie di intervento comunicativo promosse in Europa per rafforzare nell’opinione pubblica la consapevolezza circa una questione tra le più rilevanti che le nostre società si trovano ad affrontare, e dall’altra di acquisire elementi anche qualitativi, utili alla eventuale adozione di iniziative analoghe. Diana Gilli Dirigente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali Direzione generale del mercato del lavoro 7
1. INTRODUZIONE 1.1 Alcuni elementi di contesto La Commissione delle Comunità europee ha presentato a marzo del 2009 le nuove proiezioni demografiche che confermano la probabilità, da qui al 2060, che la popolazione europea rimanga quantitativamente quasi immutata, ma divenga nettamente più anziana. Si passerà da un rapporto di quattro persone in età lavorativa (tra i 15 e i 64 anni) per ogni persona oltre i 65 anni, ad un rapporto di solo due a uno. Il calo più considerevole dovrebbe registrarsi durante il periodo tra il 2015 e il 2035, in coincidenza con il raggiungimento dell’età della pensione dei figli del baby-boom2. In questo contesto, la crisi economica in corso andrà, peraltro, a minare due pilastri del futuro benessere europeo: l'occupazione e la coesione sociale, ampliando le differenze in ricchezza e reddito sia tra gruppi di persone, che tra Stato e Stato. I più significativi segni di deterioramento, per quello che attiene il mercato del lavoro, hanno iniziato a mostrarsi nella seconda metà del 2008 e si prevede in prospettiva un ulteriore peggioramento per il 2010. Nel 2008 l’occupazione europea è stata caratterizzata, in generale, da una caduta della domanda di nuovi lavoratori (-30%), una contrazione del mercato (-4,3 milioni di posti di lavoro) e una crescita della disoccupazione specialmente nei gruppi storicamente deboli quali i giovani, i lavoratori con bassi livelli di istruzione e i migranti3. In base ai recenti dati forniti da EUROSTAT, i giovani tra i 15-24 anni sono risultati essere la fascia più colpita dalla crisi, con un calo dell'occupazione del 7,3%. All'opposto, la popolazione over 55 ha retto bene l'urto mostrando un rialzo intorno al 3% nella fascia 55-64 anni. Gli anziani, quindi, appaiono meno a rischio di perdita del posto di lavoro, ma hanno mostrato serie difficoltà di re-impiego in caso di licenziamento. Lo sviluppo di questo andamento si riflette anche nell'evoluzione dei tassi di disoccupazione. Dal marzo 2008 al secondo trimestre del 2009 si è registrato un aumento della disoccupazione del 2,4%, che tocca in maniera differente le varie categorie. In questo periodo di crisi, emerge un quadro del disoccupato medio identificabile come maschio, tra i 25 e i 54 anni, poco qualificato e con basso livello di istruzione. Se prendiamo in esame esclusivamente il fattore età possiamo riscontrare che il 69% dell'aumento della disoccupazione ricade nella fascia di età 25-54, seguita dai giovani fra i 15 e i 24 (23%) e dagli over 55 (8,7%)4. Le conseguenze sociali a cui stiamo andando incontro appaiono dunque gravi: gli Stati Membri non dovrebbero perdere di vista gli obiettivi a lungo termine5, proseguendo con le necessarie riforme strutturali. Prima che la crisi scoppiasse, circa un terzo della popolazione adulta era senza lavoro, né lo cercava; questo 2 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Bruxelles, 29.4.2009 COM(2009) 180 definitivo. Gestire l’impatto dell’invecchiamento della popolazione dell’Unione Europea (relazione sull’invecchiamento attivo), p. 3. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0180:FIN:IT:PDF 3 European Commission, Draft report from the Commission to the Council - Draft Joint Employment Report (JER) 2009/2010, Brussels, COM(2009) XXX (provisional). http://www.europolitique.info/pdf/gratuit_fr/263131-fr.pdf 4 European Commission, Employment in Europe 2009, pp. 37-40. http://www.europolitique.info/pdf/gratuit_fr/263131-fr.pdf 5 Ci si riferisce ai ben noti obiettivi della SEO. 8
sottolinea l'importanza del perché sia necessario assicurarsi che i recenti disoccupati siano preservati dallo scivolare nell'inattività e nell'esclusione lavorativa. I dati sopra citati prefigurano infatti uno scenario in cui la fascia dei giovani (15-24) ha ed avrà sempre più difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro – oltre ad assottigliarsi numericamente – mentre la fascia 25-54 (prime-age), la più numerosa, tenderà ad essere espulsa. Il messaggio che la Commissione Europea6 propone è quello di trovare il giusto bilanciamento tra misure d’urgenza e politiche di lungo raggio, in modo che le azioni intraprese per contrastare la crisi possano contribuire ad aumentare l'occupazione e le prospettive di crescita a medio termine. Gli interventi d’urgenza, volti a ridurre ulteriormente le rigidità dell’attuale mercato del lavoro, debbono coniugarsi con i principi di flessicurezza enunciati nella Strategia di Lisbona, essere tempestivi, determinati nel tempo ed essere modellati su specifici target. In linea con questo approccio generale, la Commissione7 ha identificato una serie di principi a cui gli Stati membri dovrebbero attenersi: • preservare i posti di lavoro esistenti, mantenendo i lavoratori occupati attraverso la flessicurezza; • assicurare un rapido reinserimento nel mercato del lavoro attraverso la riqualificazione e la formazione professionale delle categorie svantaggiate; • facilitare la mobilità dei lavoratori all'interno del Mercato unico; • integrare le misure mirate alla revisione della legislazione protezionistica dell'occupazione entro un approccio di flessibilità, in modo da ridurre la segmentazione del mercato e migliorarne la funzionalità. In particolare, viene sottolineata l’importanza di allontanarsi dalle politiche che facilitavano la fuoriuscita prematura dei lavoratori anziani attraverso l'uso del pensionamento anticipato, onde evitare conseguenze negative in termini di ripresa economica8. Anche se l'innalzamento del tasso di partecipazione della forza lavoro matura (55-64) al livello delle coorti dei giovani non produrrebbe significativi miglioramenti nell'incremento del prodotto interno lordo pro capite, supportare il prolungamento della vita attiva dei lavoratori maturi contribuirebbe in maniera positiva alla ripresa economica e alla sostenibilità sul lungo periodo delle finanze pubbliche9. È ormai chiaro, però, che “lavorare in rete” è l’unica modalità per emergere rapidamente dalla crisi che attanaglia il mercato del lavoro. È necessaria una cooperazione tra tutti gli attori 6 Commission Communications: “From Financial crisis to recovery: A European framework for action”. EU COM(2008)706, Brussels, 29.10.2008 http://ec.europa.eu/employment_social/esf/docs/from_crisis_to_recovery_en.pdf and “A European Economic Recovery Plan”, COM(2008)800, Brussels, 26.11.2008. In: European Commission, Occasional Papers 51/July 2009 – The EU’s response to support the real economy during the economic crisis: an overview of Member States’ recovery measures, pp.31-45. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0800:FIN:EN:PDF 7 Commission Communication for the Spring European Council, “Driving European recovery”, COM(2009)114. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0114:FIN:EN:PDF 8 European Commission, Occasional Papers 51/July 2009 – The EU’s response to support the real economy during the economic crisis: an overview of Member States’ recovery measures, pp.31-45. http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication_summary15670_en.htm 9 UN Department of Economic and Social Affairs “Development in an Ageing World” - World Economic and Social Survey 2007. Il documento è scaricabile da: http://www.un.org/esa/policy/wess/wess2007files/wess2007.pdf. 9
interessati: azioni portate avanti singolarmente, anche da attori istituzionali, non risulterebbero efficaci10. Anche se in maniera diversa, individui, imprese, istituzioni nazionali ed europee devono farsi carico di alcuni oneri: • i singoli, adottando atteggiamenti proattivi volti alla sviluppo di nuove competenze, all’autoimprenditorialità, alla ricerca attiva del lavoro intesa come analisi obiettiva dei contesti socioeconomici di residenza; • le imprese, adottando una nuova visione della propria responsabilità sociale che non si fermi al momento della cessazione del rapporto lavorativo ma continui sino al ricollocamento del licenziato; • i Governi nazionali, modificando quei meccanismi e quelle politiche esistenti che favoriscono il ritiro anticipato dal lavoro, ad esempio riformando i sistemi pensionistici; implementando una politica sull’invecchiamento attivo attraverso la promozione di politiche attive nel mercato del lavoro; promuovendo l’apprendimento permanente o sviluppando campagne informative che contrastino l’immaginario negativo nei confronti dei lavoratori maturi11; • la Comunità europea, creando un quadro legale comune con leggi che garantiscano i diritti dei lavoratori in transizione. A tale proposito, l’Unione Europea si è posta in prima linea nell’introdurre una legislazione di antidiscriminazione globale. Con la Direttiva CE n. 2000/78 (emanata contestualmente alla Strategia di Lisbona), gli Stati membri dovevano prendere le misure necessarie per assicurare che: • tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative contrarie al principio della parità di trattamento vengano abrogate; • tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti di lavoro o nei contratti collettivi, nei regolamenti interni delle aziende o nelle regole che disciplinano il lavoro autonomo, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, siano o possano essere dichiarate nulle e prive di effetto oppure siano modificate (art 16). Da quel momento il divieto di discriminazione per motivi di età ha acquisito rilevanza giuridica e la lotta alla discriminazione si è sviluppata anche nel mondo del lavoro. In Italia il recepimento della Direttiva è avvenuto con il Decreto legislativo del 9 luglio 2003 n. 216, in base al quale il divieto di discriminare in ragione dell’età riguarda ogni singola fase del rapporto di lavoro: dall'accesso, allo sviluppo professionale sino al termine del contratto12. Per promuovere una crescita economica in una società che invecchia, è di fondamentale importanza combattere la discriminazione basata sull’età, in particolare rimuovendo gli stereotipi negativi legati all’immagine dell’anziano sul posto di lavoro. 10 P. Checcucci (a cura di), Le situazioni di crisi occupazionale e il ruolo dei Servizi per l’impiego, Isfol, Collana digitale Analisi, n. 1/2009. http://www.isfol.it/Documentazione/index.scm. 11 Riccio G., Scassellati A. (a cura di), Le politiche aziendali per l'age management. Materiali per una strategia nazionale per invecchiamento attivo, Roma, ISFOL, (Monografie del Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego, 1/2008). 12 Naddeo P., I fattori che intervengono sulla permanenza al lavoro dei lavoratori maturi, in P. Checcucci (a cura di), Le azioni locali a supporto del prolungamento della vita attiva, Isfol, in corso di pubblicazione. 10
La promozione di una immagine positiva degli anziani attraverso campagne informative e l’inclusione nel sistema formativo rendendo più flessibili le fasi di transizione istruzione-lavoro-pensionamento in modo da lasciare maggiori possibilità di scelta individuale può aumentare significativamente un più vasto apprezzamento del ruolo giocato dagli anziani nella società. A questo scopo è anche necessario promuovere e rendere generalizzato un atteggiamento più favorevole nei datori di lavoro rispetto alle capacità produttive dei lavoratori maturi13. Significative appaiono a tal fine le recenti affermazioni del Commissario europeo per le Pari Opportunità Vladimir Spidla14: “la discriminazione può avere un effetto devastante sugli individui e rappresenta una perdita di talento per la società […] inoltre un trattamento diseguale a causa dell'età rimane un problema significativo in Europa. Ora, più di prima, abbiamo necessità di usare tutte le nostre risorse per fronteggiare la crisi economica e il suo impatto sociale e occupazionale”. Dal 2003, la DG Occupazione, Affari sociali e pari opportunità ha dato vita, nei 27 paesi dell'UE, ad una campagna “Sì alla diversità. No alle discriminazioni” finanziata tramite il programma PROGRESS. La campagna mira a sensibilizzare il pubblico in materia di discriminazione e a migliorare la comprensione delle norme comunitarie che tutelano il cittadino sia sul posto di lavoro che nella società in genere. Nel 2006, in previsione dell'Anno delle Pari Opportunità per tutti (2007), la medesima DG Occupazione ha commissionato una serie di interviste a livello europeo (Eurobarometro) sulla percezione che i cittadini comunitari hanno sui temi della discriminazione e della disuguaglianza. Effettuata tra il giugno del 2006 e il giugno del 2009, l’indagine ha portato alla luce dati particolarmente interessanti: nel 2009 la maggioranza degli europei (58%) ha considerato nel proprio paese assai diffusa la discriminazione basata sull'età; se si confrontano i dati con quelli del 2008 (42%), l'incremento è stato di 16 punti, il più alto tra le tipologie di discriminazione studiate15. La crisi economica sembra essere alla base di questo notevole cambiamento di opinione: una delle conseguenze percepite è che il lavoro per gli anziani è meno sicuro. Tabella 1 - Percezione generale di possibile discriminazione a causa dell’età. Valori % 2008 2009 Differenze % EU 42,0 58,0 16,0 UK 48,0 61,0 13,0 FR 46,0 68,0 22,0 IT 46,0 54,0 8,0 DK 28,0 39,0 11,0 Fonte: Eurobarometro 317 13 United Nation Economic Commission for Europe, A Society for all Ages: Challenges and Opportunities Geneva 2008. http://www.unece.org/pau/_docs/pau/2008/PAU_2008_Publ_LeonTitlePrefaceAndContents.pdf 14 Age discrimination is widespread across the European Union. Press release 14.08.2009 in: http://www.knpd.org/pubs/pdf/ Age%20discrimination%20is%20widespread%20across%20the%20European%20Union%20-%2014%20Aug_e.pdf. 15 I fattori di discriminazione studiati sono: genere, età, orientamento sessuale, credo religioso, etnia/razza. 11
In base alle opinioni raccolte, gli europei ritengono che a causa della crisi economica l'età rivestirà il fattore di discriminazione più significativo in ambito lavorativo. Nello specifico il 64% degli intervistati ritiene che ciò sia altamente probabile, ed è la media più alta tra i fattori di discriminazione studiati. Figura 1 - Discriminazione sull'età in ambito lavorativo. Valori % 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 FI SE AT EU FR DK UK IT Fonte: Eurobarometro 317 Prendendo in esame i dati relativi all'Italia, la situazione che ne emerge non appare rassicurante: in Italia non sembra esistere la coscienza del rischio di venire discriminati a causa dell'età, sia nella società nel suo complesso (tab. 1) sia in ambito lavorativo (tab. 2). Soprattutto questo ultimo caso merita una particolare attenzione visto il notevole scarto dalla percezione media della popolazione europea. 1.2 La situazione italiana dell’offerta di lavoro matura Il quadro dell'occupazione in Italia è in linea con la panoramica europea precedentemente descritta. Nel primo semestre del 2009, l'impatto della crisi sul mercato del lavoro ha cominciato a mostrare i suoi segni, riducendo dell'1,2% il numero degli occupati rispetto al periodo analogo del 200816. Sul fronte dell'occupazione, si registra per i giovani un tasso del 21,7% nel 2009, corrispondenti a un calo del 3,5% rispetto al secondo trimestre del 2008; i lavoratori maturi presentano un tasso di occupazione del 36,4% con un incremento dell'1,6% nell'anno precedente. In questa ultima fascia d’età, la maggiore propensione all’attività è un fenomeno decisamente positivo, in quanto segnala un relativo prolungamento della vita lavorativa che consente di sostenere l’offerta di lavoro. Sul fronte della disoccupazione, si registra per la fascia 15-24 anni un tasso del 24,0% nel secondo trimestre del 2009 rispetto al 20,4% del 2008. La fascia matura mantiene invece un tasso invariato al 3,2%. Alla fine di luglio 2009 coloro che hanno usufruito di misure di protezione, volte a preservare i posti di lavoro, sono 16 Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro Commissione dell’Informazione, Mercato del Lavoro – Notiziario trimestrale, sett. 2009. http://www.portalecnel.it/Portale/NotiziarioMercatoLavoro.nsf/0/755BA8F83AE065A3C12576AA004F01A1/$File/CNEL_NotizMerLav_ Set2009.pdf 12
stati calcolati tra le 700 e le 800 mila unità17; non essendo ancora disponibili elaborazioni di tali dati per fasce d’età, non è possibile fare previsioni circa futuri scenari per i lavoratori maturi nel momento in cui tali misure giungeranno a scadenza. Se sembra che l’emorragia di posti di lavoro per questi lavoratori sia piuttosto contenuta, è pur vero che nel nostro mercato del lavoro si sta assistendo all’aumento del fenomeno dell’inattività nelle sue varie forme18; di conseguenza parte della disoccupazione potrebbe risultare assorbita dal cambio di status. Il CNEL, in una sua ultima pubblicazione19, si sofferma in particolare su una categoria di inattivi, gli scoraggiati, ossia coloro che rientrano nei cd. “inattivi attivabili”20. È un fenomeno che, in base alle osservazioni del Consiglio, riguarda particolarmente i giovani del Sud, ma a cui non risultano estranei i lavoratori maturi. La tabella seguenti ci mostra come il fenomeno dello scoraggiamento influenzi la popolazione della fascia 50- 64. Gli scoraggiati maturi risultano essere 328.957 corrispondenti al 2,95% della popolazione di riferimento. Come per la popolazione dei giovani, questo è un fenomeno che caratterizza soprattutto il meridione, che annovera nella sua popolazione anziana il 4,59% di scoraggiati. Appare dunque necessario intervenire il più rapidamente possibile per riattivare questi soggetti, prima che in loro si rafforzi la convinzione dell’inevitabilità della loro condizione, ossia aderiscano a quella che Clark chiama “norma sociale”21, influenzando negativamente i comportamenti generali di ricerca lavorativa. In un Paese dove la percezione del rischio di venir discriminati sul posto di lavoro a causa dell’età è molto bassa, serve intervenire con strumenti che rendano “visibile” questo problema, come primo passo verso il superamento dello stereotipo negativo dell’anziano. Le campagne informative, sia a livello nazionale che locale, rappresentano strumenti fondamentali per sensibilizzare il pubblico e supportare la diffusione di informazioni utili ad influenzare i policy maker nella loro attività. 17 European Commission, Recovering from the crisis – 27 ways of tackling the employment challenge, 11/2009. http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=113&langId=en&pubId=429&type=2&furtherPubs=yes 18 Cfr. Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro Commissione dell’Informazione (III), Rapporto sul Mercato del Lavoro 2008-2009, 22 luglio 2009, pp. 66-67. http://www.governo.it/backoffice/allegati/48588-5509.pdf 19 Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro Commissione dell’Informazione, Mercato del Lavoro – Notiziario trimestrale, gen. 2010. http://www.portalecnel.it/Portale/NotiziarioMercatoLavoro.nsf/0/3119C6645EE86A38C125764E005688E4/$File/Notiziario%20genna io%202010%20definitivo.pdf 20 Nello specifico, si considerano scoraggiati coloro che sono disposti a lavorare ma per varie ragioni hanno smesso di cercare, di conseguenza sono classificati come inattivi. Ma di quest'ultima categoria, sono coloro, che in ottica positiva sono “recuperabili”. 21 Clark A., “Unemployment as a Social Norm: Psychological Evidence from Panel Data”, in Journal of Labor Economics, Vol. 21 issue 2, University of Chicago Press, 2003. 13
Tabella 2 – Popolazione italiana tra i 50 e 64 anni e presenza di scoraggiati nella ricerca di lavoro, per classe di età e area geografica. I trimestre 2009. Valori assoluti e valori % Popolazione 50-64 anni Classe di età Nord-ovest Nord-est Centro Sud e Isole Totale 50-54 1.051.118 751.421 775.329 1.348.920 3.926.787 55-59 1.011.115 703.756 733.190 1.252.136 3.700.198 60-64 976.597 683.366 711.704 1.139.965 3.511.632 Totale 3.038.831 2.138.543 2.220.223 3.741.021 11.138.617 Scoraggiati 50-54 21.255 15.781 16.692 84.454 138.181 55-59 25.019 9.552 23.599 49.473 107.643 60-64 17.218 9.650 18.427 37.838 83.133 Totale 63.491 34.983 58.718 171.765 328.957 Scoraggiati valore % sul totale della popolazione 50-54 2,02 2,10 2,15 6,26 3,52 55-59 2,47 1,36 3,22 3,95 2,91 60-64 1,76 1,41 2,59 3,32 2,37 Totale 2,09 1,64 2,64 4,59 2,95 Fonte: elaborazione Isfol, su dati ISTAT RCFL. Diversi paesi europei hanno già organizzato ripetute campagne informative orientate sia ai lavoratori che alle imprese e all’insieme dei cittadini. Si è trattato di azioni di sensibilizzazione che miravano a rafforzare la capacità di penetrazione delle misure prese in favore dell’invecchiamento attivo. Esse tendevano anche a indebolire molti stereotipi culturali nati nel passato e che, di fatto, devono essere superati dati i profondi mutamenti demografici e sociali di questi ultimi anni. Come vedremo, esiste una correlazione abbastanza stretta tra come le due grandi tematiche della retention e del prolungamento della vita attiva sono state assimilate dal mondo del lavoro di un determinato Paese e il tipo di campagna che quest’ultimo decide di lanciare. Una Nazione con un basso grado di assimilazione è spinta generalmente verso una campagna a “tutto campo” per recuperare il ritardo; viceversa, una con un alto grado di “maturità” tende a promuovere semplicemente aggiornamenti tecnico-legislativi nell’ambito dei portali istituzionali e governativi. 1.3 Nota metodologica In questo rapporto vengono presentati i principali risultati di una ricerca svolta nel secondo semestre del 2009, il cui scopo è stato quello di effettuare una ricognizione a livello europeo delle principali attività informative e delle campagne a sostegno dei programmi nazionali per l’invecchiamento attivo. Tale scopo era ricompreso in una finalità più complessiva: mettere a regime un sistema di osservazione strutturata dei fenomeni, delle dinamiche e degli interventi in atto sul tema dell’active ageing in Europa, anche al fine di favorire la messa a punto di modelli d’intervento che risultino efficaci, a livello nazionale e locale. Partendo da questi presupposti, e dopo una prima ricognizione a vasto raggio che ha preso in considerazione molti paesi europei, l’attenzione si è concentrata su quattro Paesi – Gran Bretagna, Francia, Danimarca e Norvegia – poiché ciascuno di loro rappresenta, per motivi diversi, un “caso” che merita essere approfondito. 14
La scelta della Norvegia e della Danimarca è sembrata quasi ovvia, dato che ambedue i Paesi, come tutti quelli nordici, occupano i primi posti della classifica elaborata da EUROSTAT riguardo alla percentuale di lavoratori anziani che sono ancora al lavoro. Appariva dunque importante verificare come fossero riusciti ad ottenere questi brillanti risultati, in termini di comunicazione, tenendo anche conto che in ambedue i Paesi le campagne erano ancora in corso, o perlomeno accessibili sui siti Internet governativi, elemento che ne favoriva una descrizione maggiormente dettagliata. La scelta della Gran Bretagna e della Francia è stata compiuta per due ordini di motivi. Innanzitutto è sembrato necessario approfondire la situazione in almeno due dei cinque grandi paesi europei; in secondo luogo è sembrato interessante analizzare l’esperienza di due Paesi piuttosto distanti tra loro in termini di raggiungimento dell’obiettivo europeo della quota del 50% di lavoratori anziani occupati entro il 2010. La Gran Bretagna ha già raggiunto tale obiettivo, ha introdotto nella legislazione nazionale le principali Direttive europee e vanta una politica più che decennale in materia di active ageing. La Francia, invece, stenta a raggiungere l’obiettivo europeo; ha una legislazione ancora contraddittoria in materia ed è quindi obbligata a investire molte energie e denaro nelle campagne informative e di sensibilizzazione. La diversità delle situazioni in ciascuno dei Paesi esaminati – ma soprattutto la diversità evolutiva o il diverso grado di presa di coscienza della problematica in questione – permette di spiegare alcune diversità che si ritrovano nei contenuti dei singoli capitoli. Nei Paesi in cui le campagne sono ancora attive e/o disponibili sui siti Internet, la descrizione è ovviamente più dettagliata, come per esempio in Norvegia e Danimarca. In un Paese come la Gran Bretagna, invece, dove le grandi campagne di comunicazione fanno oramai parte del passato, la descrizione dettagliata è stata praticamente impossibile: ci si è quindi concentrati sui principi strategici che le hanno ispirate, sulle valutazioni effettuate a conclusione e sulle indicazioni che ne sono state tratte. Anche nel caso della Francia le campagne sono oramai terminate, ma alcuni filmati e brochure sono ancora disponibili sul sito Internet del Ministero e anche facilmente comprensibili per chiunque li voglia esaminare nei dettagli. Dopo aver analizzato i quattro Paesi più significativi ai fini della ricerca, il rapporto prende in considerazione due altre realtà: 1. i Paesi in cui non esistono attualmente vere e proprie campagne (capitolo 6), sia perché non si ritiene ce ne sia bisogno (es. Finlandia), sia perché non si sono ancora determinate le condizioni per realizzarle, pur essendo state già programmate (es. Svizzera); 2. le iniziative di livello internazionale, che hanno raggiunto quasi tutti i paesi europei (capitolo 7). Nel capitolo conclusivo vengono infine messe in luce quattro tematiche che rivestono un’importanza trasversale, poiché frutto del lavoro comparativo: 1. i diversi modi di concepire una “campagna di comunicazione”; 2. la correlazione che sembra esistere tra il tipo di campagna effettuata e lo stato di “avanzamento” (in termini di misure già intraprese) di un determinato Paese; 3. i diversi contenuti che la comunicazione utilizza per sensibilizzare, ma soprattutto convincere i vari target; 15
4. l’importanza, ai fini del successo di una campagna, della ricerca di tipo strategico-preventivo. Un’ulteriore scelta metodologica merita un’avvertenza a livello di introduzione. Come è ben noto la tematica dell’active ageing è estremamente ampia; è stato quindi necessario operare una restrizione a livello concettuale. La ricerca si è cioè concentrata sulle campagne che puntavano principalmente sugli aspetti legati al “lavoro” – al suo mantenimento e/o prolungamento – invece che disperdersi in tutti quei rivoli che affrontano il tema anche dal punto di vista “sanitario” o ancora più genericamente del “welfare”. Le due tematiche (salute e lavoro) sono ovviamente legate – bisogna essere anziani in buona salute per poter essere percepiti come una “risorsa” o un “capitale” – ma l’attenzione si è limitata ad analizzare il solo lato “lavorativo” del problema. In sostanza, sono divenute oggetto di analisi unicamente le campagne che perseguivano i seguenti obiettivi: 1. valorizzare l’immagine dei lavoratori anziani e dei senior; 2. ritardare al massimo il pensionamento dell’anziano che lavora; 3. favorire un rapido re-inserimento dell’anziano che ha perso il lavoro. Da segnalare anche un’altra esclusione – oltre all’active ageing di tipo “sanitario” – che si reputa marginale ai fini della ricerca, ma che è bene comunque menzionare per una maggior completezza. Ci si riferisce a quel fenomeno comunicativo che ha fatto del “senior” il target pubblicitario emergente in questi ultimi anni. Per esempio, esistono ormai agenzie specializzate esclusivamente nel reclutamento di mannequins senior (ex. la Masters Models in Francia), ma anche i siti Internet che propongono una serie di servizi “ritagliati” sui bisogni specifici dei senior sono numerosi (un esempio per tutti, in Belgio, il sito www.senioractu.com). Molti sono anche i reportage televisivi, in tutti i Paesi, che sottolineano la dimensione sociale e non soltanto economica del fenomeno, parlando di una vera e propria “fierezza delle rughe”. Si tratta, ovviamente, di una tendenza comunicativa puramente commerciale – ciò che interessa è solo il potere d’acquisto di quello che veniva chiamato, una volta, l’“anziano” – ma è pur sempre un fenomeno che sta a dimostrare, indirettamente, la nuova e prolungata vitalità di quello stesso settore della popolazione oggetto di questa ricerca. 16
2. GRAN BRETAGNA La Gran Bretagna ha sempre portato un’attenzione particolare al tema dell’active ageing e ha quindi sempre cercato di creare un clima di consapevolezza – awareness – su un argomento che presenta risvolti non solo complessi, ma anche altamente controversi. Un tema che necessita misure e interventi la cui accettazione è tutt’altro che scontata: e non solo da parte dei lavoratori, ma anche e soprattutto da parte delle imprese. La Welfare to Work strategy, per esempio, ha più di dieci anni. In seguito a una serie di consultazioni il Governo lanciò, nel 1998, una serie di misure per combattere pregiudizi largamente diffusi e favorire comportamenti virtuosi (best practices). Queste misure rimarranno – fino a oggi – gli assi portanti della politica britannica in materia di active ageing e quindi anche della sua promozione a livello comunicativo. Le misure adottate dal Governo e dall’Amministrazione – principalmente, il Department of Work and pensions (DWP)22 – sono molteplici, ma sono anche facilmente riconducibili a tre aree principali: • combattere la discriminazione basata sull’età (age discrimination); • creare consapevolezza, presso i datori di lavoro, sui tutti i temi legati all’età; • frenare l’alto tasso di disoccupazione di cui sono vittime i lavoratori anziani (idealmente, invertire la tendenza). È importante sottolineare, in sede di introduzione, che il Governo e il DWP, consapevoli del fatto che bisognava agire nell’ambito di un contesto oggettivamente sfavorevole – la ageist culture – ha deciso di adottare, fin dall’inizio, una strategia basata su due livelli, paralleli e complementari: 1. ancorare le decisioni e le strategie governative in materia di active ageing su un corpus di ricerche estremamente solido e i cui risultati siano, idealmente, inconfutabili (research evidence); 2. lanciare una serie di campagne comunicative il cui obiettivo non sia la sola e semplice “sensibilizzazione” al tema, ma anche e soprattutto la messa a disposizione (via Internet principalmente) di tutta una serie di guide e/o manuali operativi (guidance) che permettesse a tutti coloro che volessero agire nella direzione suggerita – sia le imprese che i lavoratori – di poterlo fare concretamente: to make it possible. Va sottolineata, inoltre, non solo l’interdipendenza tra i due livelli – ricerca e comunicazione – ma anche il fatto che la “ricerca” è stata largamente usata non solamente per argomentare e difendere le misure legislative che dovevano essere prese (es. la Age Legislation del 2006), ma anche per plasmare, ideare, produrre e in seguito monitorare tutte le campagne di comunicazione che sono state lanciate e finanziate nell’ultimo decennio (cfr. infra, ultimo paragrafo, la ricerca Extending Working Life pubblicata proprio quest’anno). Le campagne di comunicazione di rilievo sono state principalmente due: 1. la Age Positive Campaign, che è iniziata nel 2001 e ha prodotto tutta una serie di “guide”, oltre che di ricerche, rivolte principalmente alle imprese – ma anche ai lavoratori – e modulate sia in funzione dei vari settori lavorativi (trasporti, salute, logistica ecc.), che dei dipartimenti coinvolti nell’applicazione della nuova legge che era in preparazione (es. Risorse Umane, Top Management ecc.). Nel marzo del 2009, il 22 http://www.dwp.gov.uk 17
DWP ha chiuso il sito ufficiale “Age Positive” e attualmente gran parte delle informazioni e dei manuali che vi erano contenuti sono disponibili sul nuovo sito Businesslink, in un’apposita sezione dedicata ai lavoratori anziani (cfr. infra). 2. la Be Ready National Guidance Campaign, che è durata dal 2005 al 2007 e si è svolta in parallelo all’iniziativa Age Positive. La campagna ha avuto uno scopo ben preciso: attirare l’attenzione dei datori di lavoro e dei consulenti industriali sul nuovo pacchetto di norme e procedure in materia di assunzioni, che sarebbe entrato in vigore nell’ottobre del 2006 con la nuova legge (Age Legislation). A queste due campagne si deve però aggiungere anche una recente iniziativa del Governo britannico, e cioè il lancio di una nuova strategia – Building a Society for all ages (luglio 2009) – in cui è stata annunciata una nuova campagna di comunicazione, che intende capitalizzare le esperienze precedenti (Age Positive e Be Ready). La “strategia” annunciata dal Governo è ampiamente spiegata in un sito dedicato23, e prevede tutta una serie di misure piuttosto concrete e innovative. 2.1 La campagna “Age Positive” La campagna d’informazione Age Positive è stata uno dei più grossi sforzi comunicativi del Governo britannico in termini di active ageing. È iniziata nel 2001 e si è protratta per circa otto anni fino al marzo del 2009, quando gran parte del contenuto presente sul sito che era stato creato per l’occasione – soprattutto manuali e guide rivolte al mondo delle imprese – è confluito nel nuovo sito Businesslink24 in una sezione dedicata, chiamata Employing older workers (cfr. infra). L’obiettivo di Age Positive dominerà lungo tutto l’arco della campagna e lo si può ritrovare tutt’oggi nell’home-page del nuovo sito Businesslink: illustrare i benefici di cui ogni tipo di business può usufruire adottando la politica della age diverse workforce. Il team creato intorno all’iniziative Age Positive ha lavorato in stretto contatto con le piccole, medie e grandi imprese, ha individuato una serie di “comportamenti virtuosi” (best practices) e li ha trasformati in business cases da poter mostrare orgogliosamente: in messaggi da amplificare il più possibile in modo da mettere in moto un processo di emulazione collettiva. Con il tempo gli obiettivi della campagna sono diventati ancora più precisi e mirati: incoraggiare l’abolizione dell’età fissa per il pensionamento e l’adozione di approcci flessibili in modo da favorire il mantenimento al lavoro (work retention) il più a lungo possibile. È interessante notare, a questo proposito, il cambiamento – negli anni – della strategia comunicativa del DWP. Con l’“uccisione” di un sito tematico dedicato a un problema specifico – Age Positive – e l’inclusione di tutta questa materia in un sito “generalista” come Businesslink – Practical Advise for Business – recita il sottotitolo del portale – si è consumata in effetti una rottura con il passato. Dal marzo di quest’anno (2009) la problematica legata ai senior non è più “ghettizzata” in un sito autonomo, ma è diventata una semplice articolazione tematica nel maxi-portale governativo. 23 http://www.hmg.gov.uk/buildingasocietyforallages.aspx 24 http://www.businesslink.gov.uk/agepositive 18
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