La crisi e i conflitti dei Paesi dell'Africa Saheliana. La priorità per un'eventuale azione nazionale ed europea - Marco Massoni - Difesa
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CENTRO ALTI STUDI CENTRO MILITARE PER LA DIFESA DI STUDI STRATEGICI Marco Massoni La crisi e i conflitti dei Paesi dell’Africa Saheliana. La priorità per un’eventuale azione nazionale ed europea (Codice SMD AL-SA-10
Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è un organismo istituito nel 1987 che gestisce, nell’ambito e per conto della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico. Tale attività permette di accedere, valorizzandoli, a strumenti di conoscenza ed a metodologie di analisi indispensabili per dominare la complessità degli attuali scenari e necessari per il raggiungimento degli obiettivi che le Forze Armate, e più in generale la collettività nazionale, si pongono in tema di sicurezza e difesa. La mission del Centro, infatti, nasce dalla ineludibile necessità del Ministero della Difesa di svolgere un ruolo di soggetto attivo all’interno del mondo della cultura e della conoscenza scientifica interagendo efficacemente con tale realtà, contribuendo quindi a plasmare un contesto culturale favorevole, agevolando la conoscenza e la comprensione delle problematiche di difesa e sicurezza, sia presso il vasto pubblico che verso opinion leader di riferimento. Più in dettaglio, il Centro: ● effettua studi e ricerche di carattere strategico politico-militare; ● sviluppa la collaborazione tra le Forze Armate e le Università, centri di ricerca italiani, stranieri ed Amministrazioni Pubbliche; ● forma ricercatori scientifici militari; ● promuove la specializzazione dei giovani nel settore della ricerca; ● pubblica e diffonde gli studi di maggiore interesse. Le attività di studio e di ricerca sono prioritariamente orientate al soddisfacimento delle esigenze conoscitive e decisionali dei Vertici istituzionali della Difesa, riferendosi principalmente a situazioni il cui sviluppo può determinare significative conseguenze anche nella sfera della sicurezza e difesa. Il Ce.Mi.S.S. svolge la propria opera avvalendosi di esperti civili e militari, italiani e stranieri, che sono lasciati liberi di esprimere il proprio pensiero sugli argomenti trattati.
CENTRO ALTI STUDI CENTRO MILITARE PER LA DIFESA DI STUDI STRATEGICI Marco Massoni La crisi e i conflitti dei Paesi dell’Africa Saheliana. La priorità per un’eventuale azione nazionale ed europea (Codice SMD AL-SA-10
La crisi e i conflitti dei Paesi dell’Africa Saheliana. La priorità per un’eventuale azione nazionale ed europea NOTA DI SALVAGUARDIA Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali l’autore stesso appartiene. NOTE Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte. Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici Direttore Amm. Div. Mario Caruso Vice Direttore - Capo Dipartimento Relazioni Internazionali Col. A.A.r.n.n. Pil. (AM) Marco Francesco D’Asta Progetto grafico Massimo Bilotta - Roberto Bagnato Autore Angelo Socal Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa Centro Militare di Studi Strategici Dipartimento Relazioni Internazionali Palazzo Salviati Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma tel. 06 4691 3205 - fax 06 6879779 e-mail caporelint.cemiss@casd.difesa.it Chiusa a novembre 2016 ISBN 978-88-99468-58-3
INDICE SOMMARIO ........................................................................................................................................ 7 ABSTRACT ....................................................................................................................................... 11 CAPITOLO 1 ..................................................................................................................................... 15 L’Africa Occidentale quale hub dei traffici illeciti verso l’Europa ......................................... 17 La polarizzazione della conflittualità lungo il 16°Parallelo Nord .......................................... 20 CAPITOLO 2 ..................................................................................................................................... 25 I principali Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) e al Daesh nel Sahel e in Africa Occidentale .................................................................................................................................. 25 o Al Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI) .............................................................................. 26 o Al-Mourabitun ......................................................................................................................... 27 o Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO) ................................ 27 o Ansardine ................................................................................................................................ 28 o Boko Haram e l’Avanguardia per l’Aiuto dei Musulmani in Africa Nera (ANSARU) .... 28 o Fronte di Liberazione di Macina (FLM) ............................................................................... 29 o Daesh o Al Qaida? ................................................................................................................. 30 CAPITOLO 3 ..................................................................................................................................... 32 Iniziative regionali ....................................................................................................................... 32 o Il Processo di Tamanrasset:................................................................................................. 32 o Il G5 Sahel .............................................................................................................................. 33 CAPITOLO 4 ..................................................................................................................................... 37 Le Nazioni Unite e il Sahel ........................................................................................................ 37 o L’Inviato Speciale per il Sahel del Segretario Generale delle Nazioni Unite ................ 37 o La Strategia Integrata Regionale dell’ONU per il Sahel .................................................. 38 CAPITOLO 5 ..................................................................................................................................... 41 La crisi del Mali ........................................................................................................................... 41 o Il Colpo di Stato in Mali e l’irredentismo Tamashek dell’Azawad ................................... 42 o L’Azawad e i Tuareg .............................................................................................................. 42 o L’intervento internazionale: AFISMA, Servalo e Barkhane ............................................. 43 o La Missione Multidimensionale Integrata di Stabilizzazione delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) ............................................................................................................................. 44 o Le conseguenze regionali e continentali della crisi maliana ........................................... 46 CAPITOLO 6 ..................................................................................................................................... 50 Gli orientamenti dell’Italia nella gestione delle crisi in Africa e nel Sahel .......................... 50 Un nuovo concetto strategico dell’Italia per l’Africa e il Sahel ............................................. 50 CAPITOLO 7 ..................................................................................................................................... 54 L’Unione Europea e il Sahel ..................................................................................................... 54 o La Strategia per la Sicurezza e lo Sviluppo nel Sahel dell’Unione Europea ................ 54 o Il Piano d’Azione Regionale dell’Unione Europea per il Sahel (2015-2020) ................ 56 5
o Il Processo di Khartoum ........................................................................................................ 57 o Forme di finanziamento della Strategia e del Piano d’Azione UE ................................. 59 o Le missioni europee nel Sahel nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) .................................................................................................................... 61 EUCAP SAHEL Niger ....................................................................................................... 61 EUCAP SAHEL MALI ....................................................................................................... 62 EUTM MALI........................................................................................................................ 63 o Il Rappresentante Speciale dell’UE per il Sahel (RSUE) ................................................ 63 o Il Gruppo di Contatto per il Sahel (Piattaforma Bamako) ................................................ 64 o L’evoluzione dei rapporti dell’Unione Europea con Burkina Faso, Ciad, Mauritania e Niger ......................................................................................................................................... 65 Burkina Faso ...................................................................................................................... 65 Ciad ..................................................................................................................................... 66 Mauritania ........................................................................................................................... 68 Niger .................................................................................................................................... 71 o Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni e il Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per l’Africa ............................................................................................................................... 73 CONCLUSIONI................................................................................................................................. 75 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................... 77 SITOGRAFIA .................................................................................................................................... 79 NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE .......................................................................... 82 6
SOMMARIO Dopo una rigorosa definizione della regione del Sahel dal punto di vista geografico, climatico, storico e antropologico, la ricerca mette in luce la preoccupante sovrapposizione delle storiche criticità della regione con le nuove minacce che si sono venute sviluppando nel corso dell’ultimo decennio. I cinque Stati saheliani oggetto di approfondimento sono quelli del Sahel centro-occidentale: Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. La scelta è ricaduta intenzionalmente su questi Paesi, non soltanto perché rappresentano l’embrione di una nuova organizzazione regionale – il G5-Sahel – con cui l’Unione Europea ha deciso d’intrattenere un partenariato incoraggiante, ma anche perché la presenza del terrorismo islamista, il massimo fattore destabilizzante dell’intero scacchiere, si concentra esclusivamente in questa sub-regione, senza ledere, se non di riflesso, i rimanenti Stati saheliani. Al banditismo locale e ai traffici leciti e illeciti (stupefacenti, esseri umani, armi, ecc…), che da sempre hanno caratterizzato le rotte del Sahara e del Sahel, da alcuni anni a questa parte si è aggiunta l’introduzione del fondamentalismo islamico, mediato dall’arrivo d’ideologie integraliste provenienti dal Medio Oriente in generale e dal Golfo Persico in particolare, le quali mirano a radicalizzare un Islam invece tradizionalmente tollerante e aperto presente in tutta la macroregione dell’Africa Occidentale e del Sahel, minando le fondamenta di società fragili e d’istituzioni politiche deboli. La conflittualità di matrice medio-orientale ha aperto un nuovo fronte, polarizzandosi lungo il 16° Parallelo Nord, allo scopo di consolidare una zona franca terroristica tra Africa Mediterranea e Africa Sub-Sahariana. A partire dal 2007 lo scacchiere in oggetto ha visto agire quasi indisturbati una pletora di Attori Non-Statali, denominati Movimenti Associati al Al Qaida (MAAQ) ossia: Al Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI), nota anche come Al Qaida in Africa Occidentale (AQWA), Al- Mourabitun, Ansardine, Il Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale noto anche come Movimento Monoteista per il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO), il Fronte di Liberazione di Macina (FLM), Boko Haram, e l’Avanguardia per l’Aiuto dei Musulmani in Africa Nera (ANSARU). Si tratta di sigle terroristiche legatesi in un primo momento ad Al Qaida e ora in parte più prossime al Daesh. In realtà è in corso uno scontro intestino foriero di scissioni interne fra i MAAQ tanto nel Sahel quanto fra gli Shebaab somali. Fa eccezione Boko Haram in Nigeria, il quale invece chiese e ottenne nel 2015 il riconoscimento da parte del Daesh, 7
divenendo così ufficialmente la prima e unica organizzazione terroristica africana che ne faccia esplicito riferimento. L’arco d’instabilità conseguente coincide interamente con il Sahel: parte dall’Oceano Atlantico, passa per l’Africa Centrale e per il Golfo di Guinea, fino a congiungersi con il Corno d’Africa Allargato ovvero fino all’Oceano Indiano, pressoché senza soluzione di continuità. Lo spillover della caduta del regime libico di Gheddafi ha provocato un’accelerazione delle crisi prima latenti nei Paesi del Sahara e del Sahel, con il concreto rischio di trasformarsi nell’epicentro dello scontro seppure con scopi localistici cioè più legati a dinamiche politiche interne che latori di prospettive e aspirazioni globali. In questo senso si propone la lettura della crisi maliana, che, antesignana di scenari geopolitici pericolosamente ripetibili in tutto lo scacchiere, ha messo in scena tutti gli aspetti caratterizzanti le criticità dell’area: sottosviluppo, disoccupazione giovanile, irredentismi e rivendicazioni territoriali su base etnica e debolezza delle istituzioni. Il caso della dichiarazione d’indipendenza nel 2012 da parte dei movimenti di liberazione tuareg, alleatisi a tal proposito con i fondamentalisti dei MAAQ, del sedicente Stato dell’Azawad, corrispondente alle regioni settentrionali del Paese, il golpe, il conseguente conflitto intra-statale, l’intervento militare francese con l’Operazione Servalo, il dispiegamento di una missione di peacekeeping dell’ONU (MINUSMA), il rientro nell’alveo democratico per mezzo di elezioni libere con osservatori internazionali, il difficile dialogo politico con gli indipendentisti del nord, il debole accordo di pace, la perdurante situazione d’insicurezza che si diffonde a macchia d’olio anche nelle regioni meridionali inizialmente non toccate dalla crisi, a causa del diffondersi del terrorismo di matrice islamica, sono tutti elementi paradigmatici della tipologia di rischio che anche gli altri Stati saheliani corrono, a meno di una risposta concertata, di respiro regionale e multidimensionale alle rispettive crisi nazionali. La seppur tarda reazione alla crisi sahelo-sahariana da parte della comunità internazionale si sta comunque esprimendo attraverso iniziative di dimensione nazionale (singoli Stati), regionale (organizzazioni regionali e iniziative ad hoc), continentale e globale (organismi internazionali e intergovernativi competenti). Agli inizi del Duemila due iniziative ebbero una buona riuscita – la Pan Sahel Initiative e la Trans-Saharan Counter-Terrorism Initiative – finalizzate al rafforzamento delle capacità delle forze di sicurezza di Mali, Mauritania, Ciad e Niger in una prima fase e in una successiva anche di Algeria, Burkina Faso, Marocco, Nigeria, Senegal e Tunisia. Un’altra interessante iniziativa di carattere regionale è stato il Processo di Tamanrasset, voluto da Algeria, Mali, Mauritania e Niger, costituito da un Quartier Generale Operativo 8
Congiunto degli Stati Maggiori (Joint Military Command – JMC) e da un Centro di Intelligence sul Sahel, al fine di coordinare la raccolta delle informazioni, per arginare il terrorismo e il crimine transnazionale nella regione saheliana, ma le rivalità nazionali degli Stati promotori non hanno prodotto ancora risultati soddisfacenti. Nel secondo decennio del Duemila, a causa del rapido peggioramento della situazione, una ulteriore pletora di attori si sono conseguentemente impegnati a seguirne sempre più attentamente l’evoluzione, dando vita a iniziative nuove e a specifici ruoli, spesso pianificando altrettante strategie per la gestione delle crisi, la stabilizzazione e lo sviluppo socio-economico del Sahel: le Nazioni Unite, l’Unione Europea (UE), l’Unione Africana (UA), il Gruppo di Contatto della Piattaforma Bamako, il Ministero degli Esteri italiano con la figura dell’Inviato Speciale per il Sahel e l’apertura dell’Ambasciata in Niger, la Banca Africana di Sviluppo, la Banca Islamica di Sviluppo, la Banca Mondiale, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO-ECOWAS), la Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara (CEN-SAD), il G5-Sahel, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, l’Organizzazione Internazionale della Francofonia, l’Unione del Maghreb Arabo (UMA-AMU), la Danimarca, gli Stati Uniti e la Francia. Il gran numero esistente di strategie per il Sahel in sé però non necessariamente né immediatamente conduce ai risultati attesi, poiché l’interazione e il coordinamento fra esse non sono ancora ottimali. L’Italia ha ricoperto un ruolo chiave durante il momento più acuto della crisi maliana, allorché Romano Prodi fu nominato Inviato Speciale del Segretario Generale dell’ONU per il Sahel (ottobre 2012 – gennaio 2014). La finalità era di raccogliere il consenso degli stakeholder nella più ampia implementazione della strategia integrata regionale per il Sahel dell’ONU, privilegiando gli aspetti legati alla sicurezza, alla governance, all’aiuto umanitario e allo sviluppo. Durante il suo incarico Prodi si spese alacremente, affinché una visione strategica di lungo periodo attecchisse presso la comunità internazionale sensibile alla causa dello sviluppo sostenibile del Sahel attraverso l’implementazione della sua idea di un Fondo Globale per il Sahel. Per quanto riguarda l’Unione Europea, la sua Strategia per il Sahel (2011) e il relativo Piano d’Azione (2015-2020) sono la base di ogni altra azione intrapresa da Bruxelles nella regione. La Strategia dell’Unione Europea si declina secondo quattro linee programmatiche: sviluppo, buon governo e risoluzione dei conflitti interni; azioni politiche e diplomatiche; sicurezza e Stato di diritto; contrasto dell’estremismo violento e dei fenomeni di radicalizzazione. 9
Parallelamente a questo l’UE nel 2013 ha istituito la figura del Rappresentante Speciale dell’UE per il Sahel (RSUE), e avviato tre missioni nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) e cioè dal 2012 l’EUCAP Sahel Niger con l’obiettivo di combattere il terrorismo e la criminalità organizzata; dal 2015 l’EUCAP Sahel Mali, allo scopo di sostenere le forze di sicurezza interne del Mali nel garantire l’ordine costituzionale e democratico, mettendo in atto le condizioni per una pace duratura e il mantenimento del controllo territoriale da parte dello Stato; dal 2013 la missione di formazione EUTM Mali finalizzata alla ricostruzione delle Forze Armate del Mali, così da soddisfare le loro esigenze operative, di comando e controllo e di logistica. L’annosa ricerca e la difficoltosa individuazione per Bruxelles di un interlocutore regionale affidabile, con cui intessere un dialogo politico di alto livello, è finalmente sfociata nell’identificazione del gruppo regionale G5-Sahel (formalizzatosi a dicembre 2014 e composto da Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Ciad), in breve tempo divenuto l’attore principale per la realizzazione dei programmi strategici europei nel Sahel. Il Partenariato rafforzato EU–G5-Sahel è destinato a essere per i prossimi anni il luogo d’eccellenza per l’implementazione delle linee d’indirizzo euro-africane a proposito del crisis management nel Sahel. Aver preferito il relazionarsi a un gruppo di Paesi, anziché dedicarsi esclusivamente ai rapporti bilaterali con i singoli Stati coinvolti, dimostra l’esigenza di un dialogo assai articolato sotto il profilo della sicurezza e dello sviluppo, che solo una risposta di portata regionale può assicurare almeno nelle intenzioni. È crescente l’interesse internazionale per un’area che fino a pochi anni fa era considerata geopoliticamente marginale e strategicamente insignificante, che sta entrando sempre più nell’agenda dei key player internazionali, fra cui l’Europa e l’Italia. La scommessa di lungo termine è che lo scacchiere latore di crisi croniche più prossimo all’Europa, articolato da nord a sud lungo l’asse strategico euro-africano che attraversa il Sahel, il Sahara, il Maghreb e il Mediterraneo, grazie alle iniziative di stabilizzazione prima e di sviluppo poi, possa trasformarsi presto in un asset strategico senza discontinuità ovvero in un’opportunità reciproca per l’Italia, l’Africa e l’Europa. 10
ABSTRACT After a rigorous definition of the Sahel region from the geographical, climatic, historical and anthropological point of view, the research highlights the worrying overlap of ancestral criticalities of the region along with the new threats that have developed over the last decade. The five Sahelian countries being examined are those of Central-Western Sahel: Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania and Niger. The choice falls intentionally on these States, not only because they represent a new regional organization in its early stages (i.e. the G5-Sahel), which the European Union has decided to entertain a promising partnership with, but also because the presence of Islamist terrorism that is the most destabilizing factor across the whole area is exclusively concentrated in such sub-region, without affecting, if not indirectly, the neighbouring Sahelian countries. To local banditry and legal and illicit trafficking (drugs, human beings, weapons, etc.), which have always characterized the routes of the Sahara and the Sahel, most recently Islamist radicalization has been spreading all over, mediated by the arrival of hardliner ideologies in general from the Middle East and in particular from the Persian Gulf, which are intended to radicalize a rather traditionally open and tolerant Islam present throughout the macro-region of West Africa and the Sahel, thus undermining the foundations of still fragile societies and weak political institutions of the area. Hence, the Middle East state of conflict has opened a new front, polarized along the 16th Parallel North, in order to consolidate a terrorist enclave between Mediterranean Africa and Sub-Saharan Africa. Since 2007, a plethora of Non-State Actors (NSAs), labelled as Al Qaeda Associates Movements (AQAM), has been going almost undisturbed across the Sahel, namely: Al Qaida in the Islamic Maghreb (AQIM), also known as Al Qaeda in West Africa (AQWA), Al-Mourabitoun, Ansar Dine, the Movement for Oneness and Jihad in West Africa (MOJWA), also known as the Movement for Unity and Jihad in West Africa (MUJWA), the Macina Liberation Front (FLM), Boko Haram, and the Vanguard for the Protection of Muslims in Black Africa (ANSARU). All of them are terrorist groups that at first had linked to Al Qaeda and now are partly closer to the Daesh. Actually, several inner divisions occur, harbinger of further internal splits among the AQAMs in the Sahel and the Shebaab in Somalia as well. The only exception is that of Nigerian Boko Haram, which instead, in 2015, has officially pledged allegiance with the Daesh, making it the first and only African terrorist organization making explicit reference to it. 11
The resulting arc of instability coincides entirely with the Sahel strip, starting from the Atlantic Ocean, through the Gulf of Guinea and Central Africa, until it joins with the Great Horn of Africa, which means until the Indian Ocean’s shore, virtually seamless. The spillover of the fall of Gaddafi’s Libyan regime has accelerated the break-up of the until then only latent crisis in the Sahel-Saharan countries, with a real risk of becoming the epicentre of the conflict although with localist purposes that is more related to internal political dynamics, rather than portraying global aspirations. According to this reading, the Malian crisis it is presented as the forerunner of dangerously repeatable geopolitical scenarios throughout the zone, having performed all the factors of such critical area: underdevelopment, youth unemployment, irredentism and territorial claims based on ethnicity and weak institutions. The following circumstances have revealed the paradigmatic risks that are likely to be run by other Sahelian countries, unless a coordinated, regional and multi-dimensional response to their dormant and potential crisis is not provided in due course: in 2012, some Tuareg liberation movements had self- proclaimed the State of the Azawad, corresponding to the northern regions of Mali, having allied in that regard with the fundamentalists to achieve their goal; the resulting intra-state conflict together with the coup d’état, the consequent French military intervention by means of the Operation Serval to stem the outbreak, the deployment of a UN peacekeeping mission (MINUSMA), the return to democratic through free and fair elections internationally monitored, the difficult political dialogue with the north separatists, the later weak peace agreement, the continuing lack of security that is spreading like wildfire in the southern regions not previously affected by the crisis provoked by the terrorism. The albeit late reaction to the Sahel-Saharan crisis by the international community is carried out through a number of initiatives at national (States), regional (regional organizations and ad hoc initiatives), continental and global (international and intergovernmental organizations) levels. During the first decade of the millennium, the more visible programmes were those of US on the one hand, the Pan Sahel Initiative and the Trans-Saharan Counter-Terrorism Initiative, and on the other a regional one, the Tamanrasset Process. The former were aimed at strengthening the capacity of security forces of Mali, Mauritania, Chad and Niger in the first phase and the second also of Algeria, Burkina Faso, Morocco, Nigeria, Senegal and Tunisia. The latter, commissioned by Algeria, Mali, Mauritania and Niger, was made of a Joint Military Command (JMC) and an Intelligence Centre on the Sahel, in order to coordinate 12
the collection of information, to stem terrorism and transnational crime over the Sahelian region, but national member States rivalries have not produced tangible nor effective results so far. In the second decade of the millennium, due to the rapid deterioration of the situation, several actors have committed themselves to follow more closely its evolution, giving birth to new initiatives and specific roles, through many strategies oriented to the crisis management, the stabilization and the socio-economic development of the Sahel: the United Nations (UN), the European Union (EU), the African Union (AU), the Contact Group of the Bamako Platform, the Italian Ministry of Foreign Affairs with its Special Envoy for the Sahel and the opening of the new Embassy in Niger, the African Development Bank, the Islamic Development Bank, the World Bank, the Economic Community of West African States (ECOWAS), the Community of Sahel-Saharan States (CEN-SAD), the G5-Sahel, the Organization of Islamic Cooperation, the International Organisation of La Francophonie, the Arab Maghreb Union (AMU), Denmark, the United States and France. Yet, the large number of existing strategies dedicated to the Sahel, in itself does not necessarily nor immediately leads to the expected results, since the interaction and the coordination between them is not yet optimal. Particularly, Italy has played a key role during the most acute moment of the Malian crisis, when Romano Prodi was appointed Special Envoy of the UN Secretary-General for the Sahel (October 2012 – January 2014). The purpose was to obtain the stakeholders consent in the wider implementation of the United Nations regional integrated strategy for the Sahel, mainly focusing on aspects related to security, governance, humanitarian aid and development. During his assignment, Prodi promoted a strategic long-term vision take root especially within that part of the international community more easily moved to the cause of sustainable development in the Sahel through the implementation of his idea of a Global Fund for the Sahel. As for the European Union, the EU Strategy for the Sahel (2011) and its Regional Action Plan (2015-2020) are the basis for all further actions undertaken by Brussels. Actually, the European Union Strategy is declined according to four pillars: development, good governance and internal conflict resolution; political and diplomatic actions; security and rule of law; contrast of violent extremism and radicalization. Parallel to this, the EU in 2013 has set up the position of the EU Special Representative (EUSR) for the Sahel, and launched three missions under the Common Security and Defence Policy (CSDP): since 2012, the EUCAP Sahel Niger, in order to combat terrorism and organized crime; since 2015, the EUCAP Sahel Mali, in order to support the internal 13
security forces of Mali by ensuring the constitutional and democratic order and putting in place the conditions for a lasting peace and the maintenance of territorial control by the State; since 2013, the training mission EUTM Mali, aimed at rebuilding the Armed Forces of Mali, as well as to meet their operational needs, in terms of command and control and logistics too. The long-standing search for Brussels of a reliable regional partner in the Sahel, with which to develop a high-level political dialogue, has finally resulted in the identification of the regional group named G5-Sahel (born in December 2014 with Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania and Niger) that has rapidly become the core regional actor for the realization of the European strategic objectives in the area. The EU-G5-Sahel strengthened partnership is meant to be for the next coming years the place of excellence for the implementation of the Euro-African guidelines about the crisis management in the Sahel. The choice of relating to a group of countries, rather than exclusively giving room to bilateral relations with pertinent individual countries, demonstrates the need for the establishment of a much more structured dialogue with an appropriate interlocutor in terms of security and development that, at least in theory, only a region-wide response stakeholder can ensure. As a matter of fact, the international interest for the Sahel is growing, an area which until a few years ago was considered geopolitically marginal and strategically insignificant. On the contrary, it is entering more and more on key international players’ agenda, including Europe and Italy. The long-term gamble for Europe to be taken is that the closest theatre to its shore delivering chronic and persistent crisis, structured from north to south along the Euro-African Strategic Axis – crossing the Sahel, the Sahara, the Maghreb and the Mediterranean – through the necessary stabilization and development initiatives, with no discontinuities or in a mutual opportunity for Italy, Africa and Europe will soon turn into a Euro-African Strategic Asset. 14
CAPITOLO 1 Il Sahel Lungo oltre cinquemila chilometri e largo mille il Sahel è un territorio semi-arido di transizione bio-geografica ed eco-climatico, delimitato a Nord dal deserto del Sahara e a Sud dalla Savana. La parola araba sahil significa letteralmente costa, perché descrive per analogia la vegetazione della savana in cui ci si imbatte subito a ridosso dei limiti delle sabbie sahariane. La fascia saheliana, estendendosi dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso, dove ha per estremi le Isole di Capo Verde ad Ovest e l’Eritrea ed il Sudan ad Est, attraversa Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria e Ciad. Il Sahel 15
Distante dall’Italia solamente duemila chilometri in linea d’aria, la fascia del Sahel è una zona di confine fra il deserto settentrionale e la savana meridionale e coincide simbolicamente e culturalmente con la African Belt, cioè con quell’incolmabile solco identitario tra Africa Bianca e Africa Nera ovvero tra le popolazioni arabe e berbere islamiche sunnite (pastori nomadi) da un lato e quelle africane nere islamiche sufi (agricoltori stanziali) dall’altro. L’economia saheliana è di sussistenza e si basa sull’allevamento e sull’agricoltura, ma la desertificazione in atto condiziona la vita nella regione sovente stretta tra carestie, ricorrenti crisi alimentari e malnutrizione. Sono notevoli le risorse minerarie a cavallo tra Sahel e Sahara, come ad esempio le miniere del Air in Niger e del Adrar degli Ifoghas in Mali, ambedue territori tuareg, lo sfruttamento delle quali è sempre stato cagione di tensioni. Storicamente il Sahel fu il centro dei grandi regni saheliani dell’Africa Occidentale, quali l’Impero di Kanem, l’Impero del Ghana o Wagadou, l’Impero del Mali, l’Impero Wolof, l’Impero Songhai, i Regni dei Mossi, il Sultananto del Darfur, l’Impero Wassalou o Mandinka, il Sultanato di Sennar, l’Impero Wadai, l’Impero Kaabu, Il Regno Denanke, l’Impero Bornu e l’Impero Bambara o Bamana o di Ségou. Contribuiscono inoltre alla precarietà e all’impoverimento del Sahel dal punto di vista politico-istituzionale la Fragility & Failure, poiché le regioni sahariane e saheliane sono quelle dove minore è la capacità di controllo del territorio da parte delle autorità centrali. In effetti le più recenti conflittualità africane manifestatesi nel resto del Continente insistono sulla fragilità delle frontiere e sulla fatica di alcuni Governi centrali a esercitare la propria sovranità su importanti fette di territorio, che, lasciate in balìa degli eventi, diventano oggetto d’interesse di Attori Non Statali (Non-State Actors – NSAs) sempre più interessati, per la propria sopravvivenza e agenda politica, a legarsi al terrorismo internazionale. Proprio questa è stata l’astuzia dei qaidisti, i quali hanno saputo approfittare della liminarità di queste regioni e del conseguente abbandono da parte dei rispettivi Governi, per introdurvisi pervicacemente. Infatti dal 2007 nel Sahel e in particolare nel Mali settentrionale è stabile la presenza di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e di altre sigle collegate, che, facendo dell’ubiquità in questa zona grigia la sua migliore arma, è riuscita a trapiantarsi in luoghi che le sarebbero stati alieni, qualora fosse stata posta per tempo, da parte della comunità internazionale, l’attenzione necessaria allo sviluppo del Sahel mediante le opportune misure di Nation Building, in grado di garantire una risposta multipla per la pace e la sicurezza a livello nazionale, regionale, continentale, internazionale e transnazionale. 16
L’Europa e l’Italia temono a ragione la crescente insicurezza sviluppatasi nella banda sahelo-sahariana mediante i tentativi di destabilizzazione nel Sahel soprattutto per mano dei terroristi filoqaidisti o pro-Daesh. Questa subregione si è repentinamente trasformata nell’epicentro delle crisi di tutta la macroregione comprendente l’Africa Settentrionale e l’Africa Occidentale fino al Golfo di Guinea, a causa del diffondersi e del radicarsi del terrorismo e dei traffici illeciti nonché della loro crescente interdipendenza, favorendo e rendendo almeno inizialmente coese diverse organizzazioni criminali, molte delle quali riconducibili ad Al Qaida nelle terre del Maghreb Islamico (AQMI), così da destabilizzare i precari equilibri interni dei Paesi dell’area e le delicate, quanto decisive, transizioni democratiche avviate in parte anche dalle primavere arabe come in Tunisia ad esempio. L’Africa Occidentale quale hub dei traffici illeciti verso l’Europa L’Africa Occidentale L’Africa Occidentale e il Sahel sono aree geopoliticamente diverse, le quali tuttavia per molta parte si sovrappongono strategicamente l’una con l’altra, evidenziando per un verso 17
lo strettissimo rapporto tra la discontinuità insieme antropologico-culturale e ambientale e per l’altro l’innegabile prossimità geografica esistente tra il Sahel e i restanti Paesi dell’Africa Occidentale che si trovano al di sotto di questo. Inoltre occorre distinguere l’Africa Occidentale geografica da quella economico-politica, che coincide con la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS-CEDEAO) 1 seppure con qualche eccezione. Infatti se la Mauritania, pur avendo contribuito in un primo momento alla sua costituzione, preferì poi ritirarsi dalla CEDEAO, in quanto si percepisce più come un Paese arabo che come uno Stato africano strictu sensu, anche il Camerun, ubicato più in Africa Occidentale che in Africa Centrale, non fa tuttavia parte della CEDEAO, bensì della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (CEEAC-ECCAS). Ancora, gli Stati Uniti da un punto di vista strategico usano distinguere la regione saheliana dell’Africa Occidentale (Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Mali, Mauritania, Niger e Senegal) da quella dei Paesi rivieraschi del Golfo di Guinea a sud (Guinea-Bissau, Guinea, Sierra Leone, Liberia, Costa D’Avorio, Ghana, Togo e Benin). Ad ogni modo non possono non darsi sovrapposizioni d’appartenenza, principalmente a causa dell’arbitrarietà sottostante la delimitazione dei confini e la demarcazione delle frontiere in Africa, sulle quali si sono venuti edificando i successivi raggruppamenti sub-regionali, rappresentati dalle Comunità Econcomche Regionali (RECs). 1 La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO-ECOWAS) è una delle otto Comunità Economiche Regionali (RECs) riconosciute dall’Unione Africana (UA). È dotata di una piena capacità d’intervento politico e militare (vedasi in particolare la Commissione affari politici, pace e sicurezza), che potenzialmente ha le capacità per intervenire con il dispiegamento della propria forza d’intervento regionale, l’Ecowas Standby Force (ESF). Infatti ai sensi dell’Articolo 45 dei Protocolli Addizionali sulla Democrazia e la Good Governance, la CEDEAO non può restare impassibile, ma deve sempre fornire una risposta adeguata alle crisi derivanti da cambiamenti non costituzionali dei governi degli Stati membri. 18
La CEDEAO Ebbene durante gli ultimi quindici anni il Sahel e l’Africa Occidentale sono diventati il centro di smistamento dei traffici clandestini e il cuore del network terroristico fondamentalista. I proventi dei traffici illeciti (migranti, droga, armi, sostanze tossiche, automobili rubate, sigarette, ecc…), sovente subappaltati al banditismo locale, e i generosi riscatti elargiti dai Governi europei, per ottenere il rilascio dei loro cittadini vittime di rapimenti, perlopiù concentrati nel Sahel centro-occidentale, costituiscono fondamentali fonti di finanziamento per il terrorismo. Le nuove rotte della droga che incrociano questi territori destano particolare preoccupazione, anche perché accrescono il consumo e l’assuefazione alle sostanze stupefacenti nei territori che attraversano, prima di giungere alla destinazione finale, contribuendo così alla destrutturazione delle società del Sahel e dell’Africa Occidentale già gravate dal sottosviluppo e dall’impoverimento endemico: l’eroina prodotta in Asia arriva in Europa attraverso la Somalia e il Sahel, mentre la cocaina, proveniente dal Venezuela o dalla Colombia, segue la rotta transatlantica occidentale, che, giungendo in Guinea- 19
Bissau, attraversa la Mauritania e il Marocco, prima di essere smerciata nei mercati europei. Parallelamente a questa traiettoria se ne è aperta una seconda, per cui piccoli aeroplani2 carichi di droga, sempre provenienti dal Sudamerica, atterrano oramai direttamente in piste di fortuna nel Sahel, spesso in territorio maliano oppure a Nema, nella Mauritania sud-orientale ai confini con lo stesso Mali. La polarizzazione della conflittualità lungo il 16°Parallelo Nord Il Sahara e il Sahel I movimenti legati ad Al Qaida e al Daesh stanno concentrando la propria capacità di proiezione tattica nel Sahara e nel Sahel, territori fra i più difficilmente gestibili del pianeta per dimensioni e condizioni climatiche. 2 Molto noto fu il caso del cosiddetto Avion Cocaine, per cui nel novembre 2009 un Boeing 727-200, adoperato dai narcotrafficanti, precipitò durante la fase di decollo nei pressi della città di Tarkint, nel Mali settentrionale. L’aeromobile, che effettuava voli tra la Colombia e il Mali con equipaggio nigeriano, era immatricolato in Arabia Saudita, ma noleggiato in Venezuela e con una licenza scaduta registrata a Bissau. 20
Il tentativo di polarizzazione in corso è l’apertura di un fronte meridionale della conflittualità mediorientale lungo una direttrice sud-nord, che è particolarmente preoccupante per l’Italia e l’Europa. Anche alla luce delle repentine trasformazioni avvenute nei Paesi arabi, è auspicabile che l’Africa Occidentale, il Golfo di Guinea e il Sahel nelle loro rispettive sovrapposizioni politiche e strategiche siano considerate in maniera più incisiva e con una prospettiva di lungo periodo sia da Roma sia da Bruxelles. In questo senso occorre assicurare una formazione continuativa e costante sotto forma di capacity building delle forze messe in campo dagli Organismi subregionali, regionali e continentali – G5-Sahel3, CEDEAO e Unione Africana – e del loro supporto e nello stesso tempo investire in maniera nuova, autentica e trasformativa nei processi di democratizzazione dei Paesi della subregione, approfittando del clima di cambiamento che le società civili africane interessate intendono manifestare. Difatti non è più il tempo di portare avanti una desueta politica del divide et impera, che poteva essere ancora concepibile ai tempi della Guerra Fredda, che non intenda lasciare alcuno spazio all’ownership4 africana. Non è casuale che il Coordinatore del Controterrorismo del Consiglio dell’Unione Europea, Gilles De Kerchove 5 , sostenga che l’UE debba investire in formazione e nella creazione di alternative praticabili alla crescente filiera criminale nel Sahel, la quale basa tra l’altro la propria legittimazione nel risentimento inespresso degli abitanti e delle etnie locali. La conflittualità d’origine mediorientale, spostandosi verso sud-ovest cioè dall’Asia all’Africa, ha trovato un suo nuovo epicentro nel Sahel, dove l’apertura di un inedito fronte di amplissimo raggio reca con sé conseguenze imprevedibili. Da tale inedita polarizzazione della conflittualità lungo il 16° Parallelo Nord, che coincide con la fascia saheliana, in un gioco di azione-reazione, è oramai in corso uno stravolgimento della geopolitica regionale, allo scopo di evitare il consolidamento di una zona franca terroristica tra Africa Mediterranea e Africa Sub-Sahariana. Di fronte alla crescente influenza di Al Qaida nel Sahara e nel Sahel gli Stati Uniti hanno inizialmente collaborato principalmente con Algeri, peraltro nettamente contraria alla propensione dei Governi europei di cedere alle richieste qaidiste per la liberazione dei loro ostaggi, e oggi sono più direttamente coinvolti con operazioni negli Stati saheliani. È risaputo che l’Algeria, il vero convitato di pietra dello scacchiere, si percepisca sempre più accerchiata dalle manovre della comunità internazionale, e quindi costretta a intervenire nell’area. 3 Infra. 4 Ownership: spetta alle autorità degli Stati africani individuare le priorità d’intervento e le modalità secondo cui conseguirle, esercitando così appieno la propria sovranità su tutto il territorio nazionale. 5 Nel 2007 Bruxelles ha nominato Coordinatore del Controterrorismo del Consiglio dell’Unione Europea il francese Gilles De Kerchove. 21
La creazione nel 2007 del comando americano per il continente africano (AFRICOM) dimostra il nuovo valore strategico dell’Africa per Washington, motivato dell’espansione del terrorismo, della presenza cinese e della sicurezza per gli approvvigionamenti energetici in Africa. Per quanto concerne il Sahel e il Sahara gli USA, aldilà delle attività classificate, dei sorvoli e delle operazioni mirate con droni, realizzarono due specifici programmi di grande visibilità: la Pan Sahel Initiative (PSI) e la Trans-Saharan Counter- Terrorism Initiative (TSCTI), entrambe finalizzate al rafforzamento delle capacità delle forze di sicurezza di Mali, Mauritania, Ciad e Niger in una prima fase e successivamente anche di Algeria, Burkina Faso, Marocco, Nigeria, Senegal e Tunisia. La lotta al terrorismo da parte di Washington nel Sahel e nel Sahara è realizzata quindi attraverso operazioni militari dirette e l’addestramento delle forze di sicurezza, come nel caso delle esercitazioni Flintlock 10 in Burkina Faso, con addestramenti tattici condotti anche in Senegal, Mali, Mauritania e Nigeria. 22
La CEN-SAD La spregiudicata autonomia finanziaria ed economica dell’ingombrante politica del regime libico di Gheddafi e la sua disinvoltura mal si adattavano alle concorrenziali pretese egemoniche sul resto dell’Africa di altri player. Prove dell’attivismo libico a livello continentale sono state il robusto sostegno politico e finanziario a numerosi regimi africani e, nel 2009, la Presidenza di turno dell’Unione Africana, Organizzazione che veniva finanziata profusamente dalle casse libiche nonché l’inarrestabile ruolo di leadership regionale esercitato mediante il controllo da parte di Gheddafi dell’organizzazione regionale CEN-SAD – Comunità degli Stati Sahelo-Sahariani 6 – ruolo peraltro manifestato 6 Cfr. www.censad.org - La Comunità degli Stati Sahelo-Sahariani si propone come obiettivo di operare in piena collaborazione con le altre organizzazioni economiche regionali e con l’Unione Africana, per rafforzare la pace, la stabilità e la sicurezza dell’area e promuovere lo sviluppo economico e sociale dei Paesi membri. La CEN-SAD è stata istituita nel febbraio 1998 a seguito di un’apposita Conferenza istitutiva tenutasi a Tripoli. Ne sono Stati parte: Benin, Burkina Faso, (Capo Verde), Ciad, Comore, Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Gibuti, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, (Guinea Equatoriale), Kenya, Liberia, Libia, Mali, Marocco, Mauritania, Niger, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo (RDC), São Tomé e Príncipe, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Togo e Tunisia. Per raggiungere gli obiettivi di fondo, la Comunità (sarebbe meglio che la nota fosse tutta nella pagina precedente) intende creare un’unione economica molto stretta, attiva nei settori agricolo, industriale, culturale, sociale e dell’energia; eliminare tutti gli ostacoli che impediscono la libera circolazione di beni, capitali e persone, il commercio estero e gli investimenti e favorire invece le comunicazioni, i trasporti e la creazione di infrastrutture. Sono Organi della Comunità: la Conferenza dei Capi di Stato dei Paesi membri; il Consiglio Esecutivo; il Segretariato Generale; la Banca sahelo-sahariana (costituita con capitali libici) per l’investimento e il commercio e infine il Consiglio Economico, Sociale e Culturale. La CEN-SAD si riunisce una volta all’anno in seduta ordinaria o, straordinariamente, su richiesta del Presidente di turno della Conferenza dei Capi di Stato. 23
grazie anche alle sue mediazioni in diverse aree di crisi nel Sahel, come in Mali, in Ciad- Sudan, in Mauritania e in Darfur negli Anni Novanta. Non sorprende pertanto la destabilizzazione della Libia favorita da interessi esterni al Paese. Lo spillover della caduta del regime libico di Gheddafi e la conseguente acquisizione di parte del suo arsenale dal jihadismo globale, ha provocato un’accelerazione alle crisi prima latenti nei Paesi del Sahara e del Sahel, trasformandosi in un nuovo santuario per l’internazionale islamista. Una delle preoccupazioni maggiori della comunità internazionale è che prenda forma un nuovo fronte unico lungo l’arco dell’instabilità della faglia sahelo-sahariana, in grado di elevarne il livello della minaccia, soprattutto se l’ISIS libico7 si legasse alla setta islamista di Boko Haram, con l’obiettivo teorico di creare una continuità territoriale fra il Nord-Est nigeriano e il Sud libico gestita da attori non-statali jihadisti, sulla falsariga di quanto già accaduto in Medio Oriente tra Siria e Iraq con il Daesh. Una delle principali minacce provenienti dalla Libia meridionale è proprio il Fezzan in generale e il sud-ovest della Libia in particolare, confinante con il Niger e il Ciad, una sorta di territorio solo in apparenza di nessuno, dal momento che invece i traffici illeciti di quest’area sono oggetto della rivalità fra i Tebou e i Tuareg. Peraltro dopo Boko Haram in Nigeria anche il Corno d’Africa vede farsi avanti i primi accoliti pro Daesh: Al Shebaab non è stato sconfitto e continua a finanziarsi attraverso il terrorismo internazionale, con esazioni e taglieggi locali non solo nelle campagne, ma anche nelle città. In particolare dal 2016 è operativo un nuovo gruppo jihadista somalo, con basi di addestramento probabilmente nel Puntland, che ha commesso un primo attacco contro le truppe della Missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM): si tratta del Fronte dell’Africa Orientale (Jahba East Africa), un’ala scissionista degli Shebaab somali contraria all’allineamento con Al Qaida e vicina al Daesh. 7 Lo Stato Islamico in Libia è una formazione capeggiata da Abu al-Mughirah al-Qahtani, che disporrebbe di circa cinquemila uomini. 24
CAPITOLO 2 I principali Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) 8 e al Daesh nel Sahel e in Africa Occidentale Il radicalismo o fondamentalismo islamico affonda le sue radici tanto nel salafismo, con la pretesa di ritornare all’autenticità originaria dell’Islam, quanto nel wahabismo saudita, espressione anch’esso di una lettura ispirata alla purezza delle origini islamiche. Ambedue le letture dell’Islam sono in contrasto con l’Islam moderato come pure con l’occidentalizzazione delle culture e del mondo, di cui la globalizzazione è soltanto l’ultima delle sue molteplici manifestazioni. Il wahabismo e il salafismo sono però completamente estranei ai Paesi del Sahel, dove è in atto un tentativo di proselitismo, fondato su una lenta penetrazione nel tessuto sociale delle popolazioni locali, volto alla legittimazione della sua presenza altrimenti esogena, giacché l’Islam saheliano è di tipo sufi, dunque particolarmente moderato. Relativamente agli obiettivi di Al Qaida in Africa i fondamentalisti affermano che nessuna ideologia occidentale, di destra o di sinistra, potrà mai consentire all’Islam di ritrovare la perduta grandezza e che il rinascimento arabo dovrà necessariamente passare attraverso il ritorno all’identità religiosa delle origini ed alla creazione di un’unica Umma dei fedeli, capace di federare un’unione panaraba senza confini che non siano quelli della fede. Nella regione sahelo-sahariana è stato fatale non aver prestato attenzione per tempo alle latenti tensioni preesistenti, che rischiano sempre più di diventare il pretesto per rivendicazioni separatiste il più delle volte velleitarie, con il pericolo della replicabilità in Paesi vicini caratterizzati da somiglianze geopolitiche strutturali di questi fenomeni, tali da assumere la forma di potenziali criticità regionali, quali ad esempio la frammentazione sociale lungo l’asse del tribalismo e dell’opposizione fra laici/secolari e religiosi/fanatici da un lato e il collasso dell’idea di Stato-Nazione dall’altro lato. In aggiunta è opportuno riflettere sulla rilevante frammentazione politica e sociale esistente in tutto il Sahel tra le popolazioni arabo-berbere del nord e quelle nere del sud lungo l’asse del tribalismo, dell’etnicismo e dell’alienamento etnico reciproco. In questa fase, pur mantenendo ai propri vertici solo algerini e mauritani, le varie sigle dei Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) tendono a reclutare sempre più a sud presso etnie musulmane non arabe, bensì africane, prima non incluse nel processo di radicalizzazione, quali Peul, Songhai, Mossi e Bambara, solitamente in competizione fra loro, ovverosia gruppi umani abitanti il Mali meridionale, il Niger, la Nigeria settentrionale e 8 AQ-Associated Movements (AQAM) / Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) è una sigla ombrello dei gruppi affiliati ad Al Qaida e al Daesh operanti nel Sahara-Sahel. 25
il Burkina Faso. Si osserva un irradiamento delle ideologie provenienti dal Golfo Persico attraverso il reclutamento che avviene senza particolari difficoltà presso chi, non avendo nulla da perdere, è alla ricerca di alternative all’impoverimento e allo stato di abbandono in cui è stato lasciato sopravvivere per colpa dell’assenza di adeguate politiche di sviluppo. La diffusione a macchia d’olio di queste filiali a sud del Sahel nella savana tropicale, un fatto nuovo e allarmante al tempo stesso, corrisponderebbe a una globalizzazione del jihadismo africano, che però pare mantenere fermi i propri scopi di tipo locale secondo la maggior parte degli analisti. Al Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI) Lo scopo finale di Al Qaida nel(le terre del) Maghreb Islamico (AQMI) o Al Qaeda in West Africa (AQWA) 9 è instaurare un califfato islamico dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso, approfittando dell’inospitalità del Sahel e dall’inabitabilità del Sahara. AQMI è sorta come emanazione del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) algerino, allorché tra la fine del 2006 e il 2007 l’emiro Abdelmalek Droukdel proclamò che avrebbe inteso estendere il campo d’azione all’intero Maghreb, così da minacciare l’Europa e i suoi interessi. Adesso in carcere in Algeria, Amari Saifi, altrimenti noto come Abderrazak El- Parà, era stato l’anello di congiunzione tra il GSPC e Al Qaida. L’algerino Mokhtar Belmokhtar, detto “Mister Marlboro” (dato per morto in un bombardamento nel novembre 2016 nella Libia meridionale), ha in seguito abbandonato AQMI, per diventare il leader di Al- Mourabitun. Un altro importante capo di AQMI, Abou Zeid, rimase ucciso in uno scontro con le forze militari francesi e ciadiane nel 2013 nel Mali settentrionale. L’attuale leadership con circa duecento effettivi è esercitata dall’Emiro del Grande Sahara, Yahya Abou Al Hammam. I componenti di AQMI contraggono matrimonio con le popolazioni tuareg – berbere e non arabe – del Sahel, con la finalità ben precisa di mescolarsi indissolubilmente ad esse, operando così una trasformazione ideologica e antropologica ai propri fini. Questa strategia di lungo periodo sta cominciando a dimostrarsi efficace, dal momento che il terrorismo trova terreno fertile, là dove non vi siano alternative valide alle aspettative di libertà, futuro e sviluppo, che notoriamente nel Sahel sono sempre state disattese. Si tratta della medesima situazione di quanto avviene nella Nigeria settentrionale, dove sta imperversando Boko Haram. AQMI nel Sahel è presente in Niger, Ciad, Mali e Mauritania, ma la rete terroristica sta prendendo facilmente piede anche in Senegal. Più precisamente AQMI, che può compiere 9 Al Qaeda in West Africa (AQWA) è un’etichetta alternativa con cui talora AQMI si fa chiamare a sud del Maghreb. L’attuale leadership con circa duecento effettivi è esercitata dall’Emiro del Grande Sahara, Yahya Abu al-Hammam. 26
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