STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI

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STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI

   Foodmakers                                                  STORIE E CONSIGLI
                                                               PER TRASFORMARE
                                                                   UNA PASSIONE
                                                                    IN UN LAVORO

Introduzione di Simonetta Pattuglia
Prefazione di Antonio Belloni
STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI

   I NUOVI

Foodmakers
  Introduzione di Simonetta Pattuglia
      Prefazione di Antonio Belloni
STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
Angelo Maci                Tommaso Mazzanti              Nunzio Coraggio                      Giovan Battista Basile
Cantine Due Palme          All’antico Vinaio             Aperitivo Leopoli – Ucraina          Azienda Agricola Biologica Basile
www.cantineduepalme.it     www.allanticovinaio.com       www.facebook.com/aperitivopastabar   www.basilessa.it

Mila Vuolo                 Giorgia Cinquemani e Simone   Pierpaolo Difranco                   Umberto Bottiglieri
Azienda Agricola Vuolo     Salvadori – Bistrò96          Cantina Dirupi                       Civicotredici
www.milavuolo.it           www.bistro96milano.it         www.dirupi.com                       www.facebook.com/BarCivicotredici/

Alessio Mogliani           Davide Maggi                  Vincenzo Ferrieri                    Markus Mutschlechner
Caseificio Fiordilatte     Cesarine                      Cioccolatitaliani                    Delicatessen
www.fiordilattemilano.it   www.cesarine.com              www.cioccolatitaliani.it             www.ristorantedelicatessen.com

Massimiliano Balestreri    Pedro Hernandez               Francesco Piccolo                    Marco Picchioni
El Buscia                  El Caminante                  Fondo Montebello                     Q.B. Gelato
www.elbuscia.it            www.elcaminante.it            www.fondomontebello.com              www.qbgelato.it
STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
Serena Bino                 Alberto Paolini             Claudio Affinati             Francesca Guastella
I Baccalà                   Nun                         Affinati                     Pastificio Irma
www.ibaccala.it             www.nunmilano.com           www.panformsrl.it            www.pastificioirma.it

Claudio Garosci             Luigi Galimberti            Roberto di Pinto, Pasquale   Guglielmo Stagno d’Alcontres
Presso                      Sfera Agricola              e Martina Ventura – Sine     Straberry
www.presso.it               www.sferaagricola.it        www.sinerestaurant.com       www.straberry.it

Silvia Barbato              Filippo Gambassi            Andrea Laganga               Francesca Giorgetti
Teatro7                     Terra di Siena              @Maremmacheciccia            Tuttelespeziedelmondo
www.teatro7.com             www.terradisienasalumi.it   www.andrealaganga.it         www.tuttelespeziedelmondo.it

Deborah e Astrid Esposito   Martina Camporeale          Marco Gualtieri              Andrea Bagnolini
@smak_italiano              Zerobriciole                Seeds&Chips                  Assobirra
                            www.zerobriciole.com        www.seedsandchips.com        www.assobirra.it
STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
© 2020 Editoriale Delfino Srl
     Via Aurelio Saffi, 9 - 20123 Milano
     Tel. 02.9578.4238
     www.editorialedelfino.it

     Prima edizione 2020

     I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo
     (microfilm, copie fotostatiche compresi), sono riservati per tutti i Paesi.
     Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con sistemi elettronici, meccanici o altro senza l’autorizzazione scritta
     dell’Editore.
     L’Editore rimane inoltre a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche non identificate, nonché per
     eventuali involontarie omissioni ed inesattezze.

     Direttore editoriale: Onelio Onofrio Francioso

     Fotocomposizione: Myriam Masiero - Padova
     Stampa: Mediagraf SpA - Noventa Padovana (PD)

     Finito di pubblicare nel mese di Aprile 2020
     Prodotto interamente realizzato in Italia
     Editoriale Delfino: da sempre sostenitrice del Made in Italy

                 SSION
     MADE WITH PA

     Codice ISBN: 978-88-945183-3-7

IV   Editoriale Delfino
STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
Alle polpette di nonna Maria
                       Alle frittelle di nonna Gioconda
                       Alle fragole di nonno Umberto
                     Alle liquirizie di nonno Pasquale
                      All’olio, le olive, le marmellate e
                     mise en place di mamma Carla
                    Alle prime colazioni di papà Luigi
               All’amaro De Giorgi di nonno Alfredo
                               Alle mandorle di zia Zina
                           Alle pesche di zio Umberto
                              Alle castagne di zio Enzo
                                  Alle mele di zio Beppe
                              Ai mandarini di zio Enrico
                                  Al grano di zio Vittorio
           Alla Pasta alla Norma di Maria Concetta
                        All’arte di ricevere di Raffaella
                 Alle insalate del presidente Michele
                          Al risotto di Luca e Caterina
                 Alle prescrizioni salutari di Maurizio
                            Alla Bagna càuda di Paola
          Alle lasagne tradizionali di nonna Lucia e
                        alle lasagne innovative di Lori
                               Alla polenta di Mariuccia
                           Ai tortellini in brodo di Argia
                             Ai cachi di Umberto Maria
                                         Al vino di Alfredo
         Alle conserve Via Rafi 1 di Mario e Nicola
         Alle diete di Maria Francesca (la seguirò!!)
          Agli Spaghetti alla Nerano di Maria Paola
                   Alle frittate di maccheroni di Gina
         Ai pranzi domenicali di Francesco e Silvia
                        Al Gâteau di patate di Marina
  Alla passata di pomodoro di Andrea e Antonella
                        Alla faraona ripiena di Patrizia
                          All’olio del Salento di Biagio
        Alle “Ricette 4.0 di Serena (sì, funzionano!)
e…alle pappe che preparerò per la mia Giulia Maria

                                                              V
STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
VI   Editoriale Delfino
STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
Presentazione
                      di Pasquale Maria Cioffi *
UN LIBRO CHE AVREI VOLUTO LEGGERE PRIMA

Avvertenza per i lettori: questo non è solo un libro. Quello che avete tra le vostre mani è un racconto col-
lettivo di progetti di vita, di esempi di imprese possibili racchiusi nella prima guida dedicata interamente a
coloro che hanno deciso di “tramutare i loro sogni in qualcosa di commestibile”.

Scoprirete nuovi imprenditori che hanno in precedenza lavorato, o studiato, in settori disparati e che hanno in
comune unicamente il loro non nascere come imprenditori del mondo cibo e bevande.

Nelle pagine che seguono troverete consigli, esempi e raccomandazioni che riguardano aspetti molto di-
versi tra loro, in quanto derivano dalle esperienze e conoscenze di persone che provengono da realtà lavorative,
formative, storie e percorsi di vita differenti, ma che sono tra loro accomunate dall’aver deciso di divenire, in
un preciso momento della loro esistenza, degli autentici Foodmakers.

Questo testo non ha la pretesa di darci soluzioni, ma può aiutarci a riflettere prima di avviare o proseguire
un’avventura lavorativa che può̀ mettere seriamente in gioco la nostra esistenza e quelle di chi ci circonda. È un
libro che io stesso avrei voluto leggere “prima”: avrei probabilmente evitato una serie di errori commessi
come imprenditore nella ristorazione.

L’idea di un libro su “I Nuovi Foodmakers” è nata in un campo di mais nel mezzo del Parco Agricolo Sud
Milano. Rimasi affascinato dall’imponenza di una trebbiatrice. Ne avete mai vista una, da vicino, e siete mai saliti
nella cabina di guida? È meglio di una dream car. Ferdinando Cornalba, un elegante e visionario foodmaker -
imprenditore agricolo milanese, mi propose: “Dato che ti piace così tanto questa trebbiatrice, al momento della
trebbiatura ti invito a farla con me”. E così fu. Per un’intera notte, con dei fari con cui si sarebbe potuto illuminare
uno stadio, musica rock “a palla”, aria condizionata “polare” e un frigo pieno di bibite ghiacciate. Alle prime luci
dell’alba, quando la vicina Milano cominciava a svegliarsi, il lavoro era terminato. “Ferdinando, è stato per me
un’esperienza straordinaria, grazie. Quello che ancor più̀ mi sorprende è vedere tutti i tuoi collaboratori tornare

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STORIE E CONSIGLI PER TRASFORMARE UNA PASSIONE IN UN LAVORO - A cura di PASQUALE MARIA CIOFFI
a casa con il sorriso” – “Pasquale, sai qual è il mio vero sogno?” – “Guardando l’azienda agricola Cornalba mi sembra
       che tu lo stia realizzando” – “Il mio sogno è che la domenica sera tutti i miei collaboratori, dopo aver trascorso una bella
       giornata con i loro amici e familiari, rientrando a casa possano affermare: ”. – “Cosa intendi?” – “Il
       mio obiettivo è che arrivino a considerare il lavoro, pur essendo il nostro un impegno faticoso, non una ,
       ma un’attività da affrontare ogni giorno con entusiasmo e passione”.

       Il termine passione è ricorrente all’interno delle interviste che troverete nelle prossime pagine insieme ad altre parole chiave
       come: tenacia, costanza, conoscenza dei processi, forte professionalità, visione, correttezza, attenzione ai
       particolari, dedizione, resilienza, qualità, concretezza, sacrificio, ostacoli, non abbattersi e sorriso.

       Gli Esperti che siamo riusciti a coinvolgere in questo libro ci ribadiscono che oltre la passione servono competenza,
       consapevolezza, perseveranza e dedizione al lavoro. Tantissimo lavoro, ma spesso da solo non è sufficiente nemme-
       no quello. Ci sono sempre innumerevoli rischi e non si può̀ ignorare l’esistenza del “fattore c...” la fortuna. Quella fortuna
       che aiuta non tanto gli audaci, ma soprattutto chi sa lavorare per essere pronto a coglierla.

       Tre consigli che derivano dalla mia personale esperienza: 1) alcune occasioni si possono ripresentare, ma anche no!
       il meglio è adesso; 2) fidarsi è bene, perché in qualcuno dobbiamo avere fiducia, ma dobbiamo riporre la nostra fiducia in
       chi ha saputo meritarsela 3) non fidarsi è ancora meglio: va prestata grande attenzione, quasi maniacale, al controllo dei
       numeri, ai conti, alle previsioni precise dei tempi dei pagamenti e ai prospetti realistici delle entrate.

       Dobbiamo essere sempre pronti ad affrontare la “grandine” pur portando sempre “il sole in tasca”. Per giungere a quel
       “Finalmente è lunedì”, ben prima di metterci in gioco bisogna aver acquisito gli strumenti e i valori per svolgere al
       meglio la nostra parte, in modo limpido, etico e socialmente responsabile.

       Mi auguro di incontrare molti di voi “in campo”, appena prima di un’alba, una luminosa alba che sarà̀ la nostra.

       Buona strada, buona semina e buon raccolto a tutti.

VIII   Editoriale Delfino
* Pasquale Maria Cioffi
Imprenditore e professionista negli ambiti della comunicazione e relazioni istituzionali, marketing e innovazione d’impresa,
sul piano nazionale e internazionale. Abilitato alla professione di Dottore Commercialista e Revisore dei conti. È partner della
società di consulenza aziendale EuroMediolanum, fondatore di Mifaccioimpresa, Impresafacendo e della rete di professio-
nisti della comunicazione Stracomm. Socio professionista FERPI - Federazione Relazioni Pubbliche Italiana. Vicepresidente
di Confindustria Ucraina. Autore e curatore di diversi saggi, tra le sue ultime pubblicazioni “La Lezione di Expo, Comunicare
con i Grandi eventi- da Milano 2015 a Dubai 2020” (2017); “Baggio: Periferia a chi!? - Viaggio alla scoperta della Milano
multicentrica” (2019).
www.stracomm.it; www.mifaccioimpresa.it; www.euromediolanum.com; www.confindustriaucraina.com.ua/;
info@pasqualemariacioffi.com

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X   Editoriale Delfino
Introduzione
                                       di Simonetta Pattuglia *
Il Food, settore agroalimentare ed enogastronomico, fra passato e futuro, fra prodotti, servizi e brand

Troppo a lungo l’Italia si è quasi vergognata che il settore agro-alimentare fosse il settore “tipicamente” italiano. Il
sistema produttivo italiano negli anni, in altre parole, ha mostrato una coerenza perversa nel privilegiare, eviden-
ziare e comunicare altri comparti del settore Made in Italy piuttosto che il primario agricolo, quello storicamente
italiano, anche nella sua componente di allevamento che, tuttora, nel secolo della quarta rivoluzione industriale,
pone e vive problematiche di cui proprio non si parla (ad esempio, la gestione della fauna selvatica o degli animali
predatori) nella corrente cronachistica e spesso neanche nelle pagine economiche1.
L’Italia ancora invece si caratterizza per un importante settore primario e di trasformazione alimentare che, pur-
troppo, quest’ultimo, pezzo a pezzo, sta perdendo perché conquistato da aziende di altri paesi che maggiormen-
te sanno proteggere la propria industry (ad esempio, la Francia ma anche la Spagna2), paesi più forti di noi anche,
come si suole dire, nel “fare sistema”. Spiace molto non perché si sia campanilisti ma perché si tratta della vera
produzione italiana tipica, molto più della moda o del lusso in generale, anche questi ormai divenuti quasi del tutto
francesi, o del solo settore dei macchinari industriali3.
L’agro-alimentare di produzione e trasformazione – in breve - è e resta il tipico settore in cui si esprime il migliore
e più distintivo Made in Italy. Per troppo tempo abbiamo forse pensato di eccellere anche in altri settori in cui
invece non riusciamo perché ingenti sono le barriere all’entrata, basti pensare al settore tecnologico, dei device,
dei servizi e delle piattaforme mediatiche, ad altissimo valore aggiunto, ritrovandoci ad un certo punto indietro e
con tanto tempo perso nella corsa competitiva.
Food, Wine e Co. è il brand del nostro migliore prodotto formativo universitario, di ricerca e di evento, sul settore
agroalimentare ed enogastronomico che, giunto alla ottava edizione nel novembre 2019, valorizzando il nostro
heritage italiano e la nostra legacy (Figura 1).
La Food Experience, oggi, proprio per l’accezione legata alla sperimentazione che le persone vivono e sentono,
è in grado di riassumere stilemi, concetti e tematiche di marketing e comunicazione attorno al settore nel suo
complesso.

1
  Raramente viene posta a conoscenza del grande pubblico l’esistenza di questa piaga endemica in alcuni territori italiani in cui i cosiddetti “animali predatori”, ad esempio
i cinghiali, costituiscono un reale e serio pericolo non solo per le persone ma anche per gli altri animali e per le piantagioni in cui si trovino a dimorare e pascolare. Più
volte il presidente della Confederazione Italiana Agricoltori, Dino Scanavino, lo ha sottolineato non ultimo durante il Food Wine & Co. tenutosi a fine novembre 2018.
2
  Una delle ultime aziende cedute ad un gruppo straniero è stata la storica produttrice del Gianduiotto Pernigotti (sin dal 1860) ceduta dalla famiglia Averna nel luglio 2013
al gruppo Turco Toksoz, una conglomerata che va dal dolciario, al farmaceutico, all’energetico. Gruppo che, peraltro, a fine 2018 ha annunciato di chiudere l’impianto
di Novi Ligure (Alessandria).
3
  Nel luglio 2017, Deloitte nel suo Report sull’Innovazione ha attribuito alla moda il 3% del PIL nazionale, al turismo altrettanto, ai macchinari industriali il 6,5%, all’auto-
mobilistico il 5% e ben il 7% al settore agroalimentare.

                                                                                                                                                                                    XI
Fig. 1 – Food Wine & Co – Edizione 2018

      Il settore, nell’ultima decina d’anni, ha di fatto intercettato alcuni grandi temi che possiamo vedere riassunti nella Figura 2.
      Nel 2018, si è assistito all’esplodere proprio del concetto di experience, fondante nel marketing dei servizi, non solo dei
      prodotti, che ci accompagnerà nel futuro sempre maggiormente verso lo studio, la progettazione e l’implementazione del-
      la customer experience da parte dei brandi di tutti i settori industriali. Viviamo oggi infatti pienamente calati nel cosiddetto
      “marketing dell’esperienza”.

      Fig. 2 – Le tematizzazioni di marketing e comunicazione del cibo e affini (2012-2018)

XII   Editoriale Delfino
L’Italian Food - come macro-settore industriale che contempla anche vini, spiriti, birre, nonché tutto ciò che vi può essere
di affine - è di successo perché sta sposando sempre più le evoluzioni innovative del marketing avanzato: intendendo il
marketing online, lo web marketing, l’e-commerce – aggiungendo anche il marketing e la pubblicità emozionali - che stan-
no cominciando davvero ad aiutare l’intera filiera tipica italiana.
Tanto infatti della vendita, della distribuzione, della comunicazione attorno al cibo oggi succede online. Non si assiste co-
munque e fortunatamente – fenomeno che invece si immaginava all’inizio dell’era digitale - al tramonto dei negozi fisici.
Gli stessi grandi operatori over the top, la stessa Amazon e prima ancora Ebay, aprono oggi negozi fisici negli Stati Uniti,
e in altre aree del mondo, o comprano intere catene – come ha fatto Amazon acquisendo la catena americana di prodotti
bio, vegan e integrali, Whole Foods, nel 2017 per 13.7 miliardi di dollari – per assicurarsi il touch point fisico principale, di
contatto e di distribuzione, che è ancora il punto vendita. L’operatore cinese AliBaba ha già lanciato questa strategia anche
in Italia. La fisicità dunque del punto vendita, e dei suoi operatori in carne ed ossa, non è sconfessata dallo web marketing,
anzi, la fisicità dovrà rendersi esperienziale e resterà un caposaldo del sales management del futuro. A maggior ragione nel
settore food. L’esperienzialità emerge – in un customer journey che rappresenta plasticamente il nuovo modo di concepire
il processo decisionale d’acquisto - e si entrerà e uscirà dal negozio internet come e durante il frequentare il negozio fisico.
È altrettanto certo che un consumatore su dieci nel mondo mangerà “Italian Food” nei prossimi anni secondo i dati Fede-
ralimentari (2017); entro il 2020, per Nielsen, la parola d’ordine sarà “sostenibilità nei campi e nel mare”, entro il 2025 lo
shopping online crescerà di cinque volte e rappresenterà il 20% del mercato totale avendo un giro d’affari di 100 miliardi
di dollari; non ci sarà quello che si temeva perché i giganti dell’e-commerce avranno bisogno di showroom, punti vendita
metropolitani, luoghi di franchising molto raffinato.
Assai importante e fondamentale, vista sotto qualsiasi prospettiva – economica, tecnica, di marketing e comunicazione
- sarà sempre più la qualità della materia prima e sempre maggiore il focus su come si debba riprendere a produrre l’italian
food, sconfiggendo l’italian sounding, anche proteggendo i brand tipicamente italiani.
Al di là di quelli che sono i grandi brand industriali del largo consumo, assistiamo contemporaneamente alla predominanza
dell’approccio salutistico, di wellness, nel tentativo di far diventare il cibo tutto migliore dunque più “democratico” invece
che soltanto il cibo ottimo, controllato, premium price o di lusso inevitabilmente dedicato a fasce di consumo agiate e
altospendenti.

E noi crediamo che questo stia accadendo supportati dalla lettura di una serie di trend che chiameremmo di “responsabilità
nutrizionale”. A livello globale, si staglia un nuovo orizzonte di significato per l’industria alimentare: nel periodo 2012-2014,
ad esempio si è avuto un +5% relativamente agli “healthy snacks” (acqua, frullati giornalieri, frutta, bevande per sportivi, the,
ortaggi, yoghurt); -1% “semi-healthy” (pane, cereali, barrette, succhi, popcorn e affini); +2% per i cosiddetti cibi “indulgent”
(ossia permissivi, tolleranti, “coccolanti” la persona, come soft drink, chips, cioccolato, dolci e biscotti).

In una recente ricerca Nielsen4 gli intervistati hanno dichiarato nel 25%-40% dei casi (dipende dal Paese) di essere disposti
a pagare un prezzo maggiorato (premium price) per acquistare prodotti nutrizionalmente più corretti ed ipocalorici. Questo
porterà le imprese a livello globale a: ridurre i pacchi multipli e la grammatura extra delle confezioni giganti, cd. “formato
famiglia”, come oggetto di promozione; produrre prodotti ipocalorici e più corretti a livello nutrizionale nel settore alimentare
grazie al bio. Emergerà potentemente il concetto di esperienzialità e di coinvolgimento del consumatore-cliente.

Anche trainato dall’enfasi sulla nuova alimentazione, come sulla dieta mediterranea, cresce a livello comunicativo e me-
diatico a livello globale l’espressione del Made in Italy più di quanto produttivamente esso cresca di per sé. Diremmo che
cresce più la sua share of voice piuttosto che la sua market share. Cresce molto a livello di immagine e di reputazione tutto

                                                                                                                              XIII
ciò che sembra essere italiano e che si assume essere italiano: le nostre etichette sono di fatto una percentuale molto
      minore di quanto non ci sia una sorta di italian washing o sounding, ossia di quanto non si faccia passare per italiano un
      prodotto che italiano non è.

      C’è ancora molto da fare in tal senso e ciò facilita il mercato per nuove professionalità sempre più adatte alle esigenze del
      settore. Esiste ormai un mercato del lavoro nel quale vengono richieste figure di marketing, di comunicazione digitale, di
      sales, di accounting, e non solo e non più solamente agronomi, enologi, figure tecniche fondamentali che però debbono
      poter lavorare fianco a fianco con i nuovi manager senza pensare di snaturare il proprio lavoro!

      Anche il mercato del lavoro, infatti, è un ambito da approfondire. Circa un paio di anni fa, la cronaca enfaticamente parlava
      di settore agroalimentare come se una massa di giovani stessero tornando al mestiere del contadino o dell’imprenditore
      agricolo. Si è purtroppo trattato di una mera bolla mediatica. Sicuramente c’è stato uno “sdoganamento” del settore: tanti
      – anche brillanti laureati in economia – hanno cominciato a vedere il settore agricolo come un ambito in cui valorizzare la pro-
      pria preparazione in funzione di un apprezzabile ingresso nell’imprenditoria o nel management. Ma che ci sia una crescita
      esponenziale nel settore dell’agricoltura, questo non lo dichiara nessuno degli operatori in sedi serie e accreditate (Figura 3).

      Fig. 3 – Andamento dell’occupazione (dati Ismea su Eurostat, 2018)

      Venendo al fatturato del settore, secondo i dati Ismea 2018, anche qui fuori ancora dall’enfasi mediatica, come si può
      vedere nelle figure 4 e 5, in realtà non siamo proprio esattamente i primi. Tanta Europa produce e vende più di noi nell’a-
      groalimentare ma tutta l’Europa ci guarda perché abbiamo brand di punta, prodotti di punta – immaginiamo il prosciutto
      di Parma, il Parmigiano Reggiano, il Tartufo d’Alba o i potentissimi vini italiani. Per noi la “democrazia alimentare” è però
      anche la diffusione quantitativa dei nostri prodotti di migliore qualità sul mercato di massa a prezzi abbordabili ma rispettosi
      di tutta la filiera.

      4
          Nielsen Europe Insight Global, Gennaio 2015.ettore agroalimentare.

XIV   Editoriale Delfino
Figg. 4 e 5 – Italia ed Europa nell’andamento dell’agroalimentare (dati Istat e Ismea, 2018)

Perdurano delle debolezze dimostrate dai dati qui esposti: l’italian sounding è un fenomeno tuttora molto presente, come
dicevamo, ed è ancora non sufficientemente sanzionato. L’Italia lo subisce, tante norme che presidiano il settore vengono
violate a livello internazionale senza che l’apparato normativo sposti ancora molto nello scenario (Figura 6).

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Fig. 6 – I numeri del mondo dell’italianità. La segmentazione delle caratteristiche (Dati Osservatorio Immagine, 2018)

      Comunque l’Italia, e l’Europa di converso, protegge e ci protegge poco (Figura 6). Ci sono forme comunicative che, non
      paradossalmente, producono maggiori effetti. Ad esempio la protezione Unesco, a livello di comunicazione, con la dirom-
      penza della sua esposizione fa di più per la protezione concreta del territorio, dei suoi prodotti e della loro qualità: alcuni
      territori e alcuni operatori preferiscono istruire la pratica Unesco per proteggere i propri prodotti. Penso al grande successo
      con la Pizza Napoletana divenuta “patrimonio immateriale dell’umanità” nel 2017 attraverso l’azione di Alfonso Pecoraro
      Scanio che, con la sua Fondazione Univerde, con l’Associazione Pizzaiuoli Napoletani, la Coldiretti e altre realtà, ha guida-
      to l’operazione tesa al riconoscimento mondiale del nostro prodotto per eccellenza, piuttosto che cercare di proteggerlo
      secondo i canonici disciplinari.

      Fig. 6 – Numero di riconoscimenti DOP/IGP/STG registrati – Totale dell’Ue 28 e dell’Italia (Ismea, 2018)

XVI   Editoriale Delfino
Fig. 7 – Export-Import rispetto alla produzione – Grado di apertura dell’agroalimentare Ue28 e Italia (Ismea, 2018)

Fig. 8 – La nostra quota di mercato e le quote di mercato dell’Italia per comparto (Ismea su dati Comtrade, 2018)

Quando la comunicazione strategica è ben realizzata, anche a livello di sistema nazionale e globale, può addirittura indiriz-
zare il futuro di interi comparti produttivi.
Se poi andiamo a leggere i fondamentali, il Made in Italy dal punto di vista del fatturato, delle revenue, che è un punto di
vista interessante per chi fa management, risulta un po’ gonfiato (Figura 9). Il clima di fiducia ne è utile interprete (Figura 9).

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Fig. 9 – Indice del clima di fiducia e sue componenti (Ismea, 2018)

        La produzione è cresciuta nel 2018 di +1,7% sul 2017, il fatturato del settore ammonta a 132 miliardi di euro, il nostro export a
        31,9 miliardi con un import di 22 miliardi, le vendite sono al +0,8% a valore e -1% nei volumi. Da lato del consumatore, la fidu-
        cia rimane ancora modesta. Il recupero dell’occupazione significa ancora lavoro prettamente precario. La crescita di capacità
        di acquisto non alimenta sufficientemente i meccanismi di spesa. Emerge inoltre una netta polarizzazione dei consumi, con
        crescite contemporanee dei segmenti low cost e premium con conseguente pericoloso impoverimento del segmento medio.
        La comunicazione attorno al settore, e la copertura che i mass media ne danno, è invece imponente. Solo a titolo esem-
        plificativo la riportiamo nella Figura 10.

        Fig. 10 – La comunicazione e i media “tradizionali” sul comparto. Alcuni articoli usciti nel 2018

XVIII   Editoriale Delfino
Se poi passiamo alla fenomenologia mediatica social, è tutto un proliferare di food porn: tanti tag e tanti top trend ovunque
nel mondo convergono sul cibo (Figura 11). Tanto da creare un’associazione di idee e di immagine che ci fa pensare che
il settore si sia allargato, vedendolo sempre più come, e collegato con, l’entertainment che veicola se stesso riferendosi
spesso al cibo e alle gourmandise lussuose, oppure come il turismo che già da tempo si gemella con il cibo e con i vini. Le
“Strade del Vino friulane” ne sono solo uno dei tanti esempi italiani.

Fig. 11 – I social media sul comparto (2018)

Oggi, quando parliamo di cibo, parliamo spesso di “esperienza”. Non è un tema nuovo. Pine e Gilmore, a più riprese dal
1999 in poi, e per primi, ci hanno spiegato con grande efficacia che oggi per veicolare qualsiasi prodotto o qualsiasi servizio
lo si debba “addizionare” di capacità di coinvolgimento verso il consumatore-target (Figura 12) che, nel marketing, vuol
dire distintività, differenziazione e premium price, comunicazione. Altrimenti il prodotto resta sugli scaffali, fisici o digitali che
siano, ed anche il servizio sarà spiazzato da concorrenti più vicini, come si suole dire, al consumatore-cliente.

Siamo arrivati a questa fase, e lo stanno sperimentando anche i media. Tutti i maggiori brand oggi, e a maggior ragione nel
settore agroalimentare ed enogastronomico, cercano di configurare un “prodotto esperienziale”. Tentano di seguire questo
mega-trend anche i brand non di lusso, i brand dedicati al mass market. Parliamo di prodotti (e di servizi) che in televisione
non avrebbero audience significative e che invece in un’opportuna e innovativa forma comunicazionale via web o anche
semplicemente meno convenzionale sono in grado di attrarre e coinvolgere tanti consumatori soprattutto appartenenti alle
nuove generazioni, Millennials e Generazione Zeta5.

                                                                                                                                  XIX
Fig. 12 – Welcome to the “experience economy” (Pine & Gilmore, 1999)

     GfK Eurisko nella ricerca “I consumi degli Italiani”, pubblicata all’indomani della grande crisi economica del 2008-2012,
     aveva già evidenziato la crescita del cluster dei consumatori che facevano dell’esperienza una delle polarizzazioni principali
     del loro comportamento e della loro scelta d’acquisto. Che cosa viene considerato di reale valore oggi dai clienti? Perché
     si è disposti a pagare lo stesso bene o servizio a prezzi notevolmente superiori (fascia premium price o addirittura luxury)
     purché abbia determinate caratteristiche e sia consumabile in una particolare ambientazione?

     Nella nuova economia la semplice produzione di beni e servizi non è più sufficiente, come ben si evince dalla Figura 12,
     sono invece le esperienze, vissute o comunicate, quindi percepite, offerte al consumatore-cliente che fanno la differenza
     e che costituiscono il fondamento della creazione di valore. L’esperienza diviene dunque un qualsiasi evento memorabile
     che impegni sul piano personale il consumatore nell’atto stesso della scelta e del consumo, talvolta addirittura sin dalla
     fase della ricerca dell’informazione (l’efficace ZMot-Zero Moment of Truth di Google e McKinsey) e per tutto il suo viaggio
     nella decisione (customer journey).

     L’esperienza peraltro è ipso facto “unica”: tutti noi quando viviamo un’esperienza, ci assorbiamo, immaginate quando gu-
     stiamo un pasto o facciamo turismo, o assistiamo ad una performance…sentiamo personalmente il brivido – sempre che
     l’esperienza sia positiva! Ne scaturisce un effetto derivante da uno strumento di one-to-one marketing, personalizzato. Si
     tratta di un’esperienza “tagliata” su di noi. Non pensiamo minimamente di partecipare ad una massa che vive più o meno
     la stessa esperienza. Ci sentiamo unicamente coinvolti. Che sia una massa, che si sia un profilo, dei buyer o delle perso-
     nas. Ci sentiamo personalmente chiamati dal brand: oggi è il tuo compleanno perché non usi questo coupon? Visto che

     5
      Pattuglia S. (2019), “Marketing e Millennials: Analisi e strategie di marketing e comunicazione per attrarre e conquistare i giovani consumatori”, in AA.VV., (a cura di A.
     Valeri), Millennials e Cultura nell’era digitale. Consumi e progettualità culturale tra presente e futuro, XI Rapporto Civita, Marsilio editore, Venezia.

XX   Editoriale Delfino
prediligi questo prodotto, perché non provi quest’altro?, stabilendo un contatto in una forma di personal marketing che ci
coglie fisicamente anche se è su piattaforma digitale. All’esperienza si pensa individualmente. Dal lato delle aziende e dei
brand, riguarda di fatto un segmento condiviso da centinaia di migliaia di persone.
Il cibo è nel contempo entertainment, intrattenimento e uso piacevole del tempo libero; il cibo è anche un piacere della vita
che coinvolge tante persone e le stratifica in segmenti d’acquisto. Il cibo è fortemente identitario, quindi, è condivisione di
un’identità con gli altri individui accomunati da analoghi predilezioni o interessi: i food addicted vanno dai semplici amatori di
una scampagnata a coloro che girano il mondo in cerca di delicatezze culinarie o che comprano e cucinano e frequentano
continuamente corsi di formazione via via sempre più raffinati fino agli esperti e ai professionisti veri e propri.

Il cibo è però anche co-creazione, ossia la sensazione che non ci sia uno scambio freddo, ma che ci sia uno scambio
caldo ed avvolgente per sé e per gli altri, Immaginate i calici alzati in gruppo nelle pubblicità di vini e champagne o cucine
ben arredate in cui i membri della famiglia si ritrovano per preparare insieme piatti succulenti! È anche spesso esperienza
dell’ostentazione. C’è chi ostenta nel senso di raccontare con enfasi ciò che consuma e che condivide con gli altri e nei
luoghi che frequenta: nelle forme digitali, il passaparola è uno strumento potente, e questo risulta essere fondamentale.
L’esperienza è dunque sentire, provare, pensare, agire, relazionarsi con.

Riassumendo è: unicità, personalizzazione, intrattenimento, media, condivisione, co-creazione, ostentazione, passaparola.

In ultima istanza, dunque, il cibo è esperienza, brand, comunicazione.

L’esperienza del cibo risulta quindi codificata come intrattenimento, come educazione all’uso, come immersione estetica,
come evasione, sia attiva sia passiva. Quindi si pensa, si prova, si agisce.

A livello di ricerca e di consulenza internazionale si è convinti che l’esperienza si trasformi in soddisfazione (KPMG, 2019)6
e quanto la soddisfazione si trasformi in fiducia, in attrazione-fedeltà ed in passaparola. Che sono le parole chiave che i
brand, tutti i giorni, pronunciano nelle loro normali riunioni di comunicazioni e di marketing. Ossia “Viviamo su una base
di soddisfazione, miriamo alla fedeltà del cliente, del consumatore del lettore, dobbiamo creare l’engagement eccetera
eccetera eccetera”.

Alla base di questi processi continui e costanti oggi viene collocato il cosiddetto heritage – il patrimonio valoriale nello spa-
zio e nel tempo - che per il cibo e per il vino e tutta l’enogastronomia in generale è un fattore di forte impatto e che è il nuovo
ulteriore portato delle economie esperienziali. Nell’economia esperienziale sembrava potesse piacere la superficie estetica
e ludico-ricreativa dei prodotti e dei servizi. Invece è la profondità valoriale di caratteristiche e significati che prende vigore7.

Le ricerche infatti ci dicono che non è possibile fare un buon marketing esperienziale se non si ha per le mani un prodotto
che abbia una storia: in questo caso, una “history” e non una “story”. Longevo dunque non per il semplice passaggio del
tempo, banalmente, ma un prodotto che nel tempo abbia saputo costruire valore. Se ci si crede, si sta estraendo valore
per sé, per il proprio brand, per quello dell’azienda che lo produce e per i suoi stakeholder, dai consumatori ai clienti, ai
collaboratori e ai partner, ai referenti istituzionali.

Heritage in realtà è valore, è storia, è identità. Le parole sono chiare: autenticità, credibilità, fiducia. Al centro di questo peri-
metro valoriale, e alla base della piramide di Maslow, c’è il cibo; queste parole – autenticità, credibilità, fiducia – si adattano

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perfettamente ad esso.
       Autenticità come unicità, verità, qualità e stile, originalità, genuinità (Leigh et al., 2006). L’autenticità già nella sua etimologia
       greca e latina veicolava un concetto di affidabilità.

       Beverland nel 2005 pubblica sul Journal of Business Research, una delle maggiori riviste internazionali di ricerca sul ma-
       nagement, uno studio intitolato “The real thing: Branding authenticity in the luxury wine trade” e individua 6 attributi della
       “autenticità della marca” applicata al settore dell’agro-alimentare ed in particolare a quello dei vini: a) heritage e pedigree,
       b) consistenza stilistica, c) qualità, d) relazione con il territorio, e) metodo di produzione, f) caratteristiche commerciali.

       Individua così l’heritage che è qualità e stile, relazione autentica con il territorio che produce una data materia prima. Tutto
       questo può essere usato per studiare il food e si adatta bene al settore del lusso alimentare in grande espansione che
       ricomprende vini, spumanti e champagne, prodotti speciali (tartufi, fois gras, crostacei, caviale, ecc. ecc.). Oggi tutte le
       multinazionali del lusso, cui appartengono spesso anche aziende di trasformazione agroalimentare, cercano di sottolineare
       nelle proprie forme comunicative esattamente questi valori di appartenenza identitaria e territoriale.

       Quello che però si richiede a questo tipo di marketing è la coerenza rispetto alla promessa. Marketing esperienziale non
       vuol dire diffondere profumo (artificiale) di pane fresco in una panetteria! Questa è una visione antiquata di sensorialità ed
       esperienzialità. In realtà, si tratta di mantenere la promessa autentica fatta al consumatore. Il settore food, in generale,
       tende a e deve mantenere la promessa. A maggior ragione proprio perché stiamo parlando di cibo e dunque di nutrizione.
       La customer experience che già per Pine e Gilmore nel 2007 era fatta di esperienza ideale, soggettiva ed attuale, trova
       nella autenticità del brand il suo punto di sublimazione assoluta.

       Il caso del vino italiano - dopo lo scandalo del metanolo nel 1986 – è emblematico. Al momento della grande crisi reputa-
       zionale e di perdita delle quote di mercato ci si rese conto che da quel momento in poi o si sarebbe stati in grado di man-
       tenere le promesse che i diversi brand facevano attraverso la comunicazione o non si sarebbe più riusciti a sopravvivere.
       Da allora si ebbe di fatto la riscossa del buon vino italiano sino ad arrivare addirittura a superare in qualità e in gradimento
       l’offerta francese.

       Il marketing esperienziale mette a regime tutti questi elementi che, di fatto, sottolineano più le caratteristiche proprie del
       prodotto, fatte di qualità tecnica e relazionale e di essenza identitaria, che gli elementi e i piani di comunicazione approntati
       per promuoverlo. Si tratta di un marketing davvero “olistico”.

       Quella del food è oggi una industry “integrata”, asset strategico dell’economia italiana e di quella di molti altri paesi euro-
       pei ed extra, che si serve di strumenti e piattaforme di marketing innovativo e digitale. È fatta di nuovi prodotti come di
       co-marketing, di branding, di storytelling e di content marketing, di ideazione e gestione degli eventi – basti pensare ad
       EXPO 20158 come ai numerosissimi festival e fiere – di marketing digitale e di social media marketing, di marketing espe-
       rienziale come di comunicazione ed entertainment, come di cosiddetto shopper-tainment.
       La convergenza dell’industria del cibo e della sua fruizione con l’industria dell’intrattenimento è fra le più evidenti. Si è pas-
       sati dai semplici luoghi di vendita (le fiere e le esposizioni universali di inizio secolo scorso) e consumo fuori casa (ristoranti,
       caffetterie, hotel, ecc.) alle nuove forme di shopping (festival, centri commerciali, outlet), alle forme intrattenitive basate su
       location specifiche caratterizzate dall’integrazione con musica, cinema, performing arts, editoria, piattaforme gaming, etc.
       L’integrazione risulta massiccia anche con le piattaforme di e-commerce come di comunicazione digitale in un settore

XXII   Editoriale Delfino
ancora in grandissima espansione in tutto il mondo e soprattutto nei paesi emergenti9.

La questione interessante è che in questi anni si parla molto diffusamente di customer journey, di “viaggio” del consumatore
che non conosce e poi inizia a conoscere, quindi sceglie, compra, usa e nel fare tutto questo commenta e rilascia opinioni
costantemente sulla piattaforma web soprattutto mobile e social. Un grande ruolo in questa dinamica comunicativa tipica
delle nuove piattaforme è oggi attribuito agli stakeholder intermedi. Quindi ha un ruolo determinante non solo la comunica-
zione tradizionale, quella pubblicitaria e promozionale., ancora molto importante per il settore.

Fig. 13 – Il customer experience journey

Una grande attività è svolta dagli intermediari, certamente da quelli commerciali, ma sempre di più da quelli della parola, del
commento, dell’opinione. E questo nello web è cruciale: parliamo infatti di influenzatori (influencer) che agiscono, talvolta
spontaneamente, talvolta su committenza, per indirizzare le scelte altrui lungo tutto il percorso del customer journey e per
determinarne sempre più frequentemente l’atto di scelta e di consumo (Figura 14).

6
  KPMG, L’eccellenza nella Customer Experience, supplemento ad Harvard Business Review, n.9/2019
7
  Beverland M.B. (2005), “Crafting brand authenticity: the case of luxury wines”, Journal of Management Studies, vol. 42, n. 5.; Beverland M.B. (2006), “The ‘real thing’: branding authen-
ticity in the luxury wine trade”, Journal of Business Research, vol. 59, n. 2; Beverland M.B., Farrelly F.J. (2010), “The quest for authenticity in consumption: Consumers’ purposive choice
of authentic cues to shape experienced outcomes”, Journal of Consumer Research, vol. 36, n. 5; Napoli J., Dickinson J., Beverland M.B., Farrelly F. (2014), “Measuring consumer-based
brand authenticity”, Journal of Business Research, vol. 67, n. 6.
8
  Pattuglia S. (2017), “Expo 2015: come i megaeventi costruiscono valore” in AA. VV, a cura di P.M. Cioffi, La lezione di EXPO. Comunicare con i grandi eventi. Da Milano 2015 a Dubai
2020, Guerini e Associati, Milano.

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Fig. 14 – Il “Food experience journey”

       Il settore food peraltro oggi è interpretato come forte contributore anche al delinearsi di un forte country branding, parte-
       cipando alla creazione di un vero brand di territori e anche di un intero Paese. Il cibo è cultura dei territori, ne è patrimonio
       storico ed economico, è persone. È turismo, esportazioni ed investimenti, è governance10.

       Il settore agroalimentare e le sue estensioni, quello che oggi possiamo chiamare settore food meno specificatamente ma
       forse più in proiezione di un futuro di industrie integrate, è in grado pertanto – e necessita – di mettere a sistema i “nodi”
       di una fittissima rete fatta di individui, operatori, imprese, istituzioni.

       Il food è territorio e il territorio compie questo miracolo! Ci spiace, di fatto, ancora constatare che per questo settore dal
       luminoso passato e da un altrettanto roseo (a guardare le possibili previsioni) futuro, non ci sia la sensazione, tranne che
       in alcune aree del nostro Paese, dell’esistenza del “sistema Italia”. Ossia di un sistema “olistico” attorno al cibo, che è
       fatto di processi e di prodotti sublimi, spesso racchiusi nell’etichetta del Made in Italy, di industria qualificata e di artigia-
       nato pregevole, di turismo e intrattenimento, di nuovo marketing e comunicazione anche digitale, di relazioni e di eventi
       memorabili, di cultura dei territori e degli operatori pubblici, privati e no profit, di ambiente e sostenibilità, di nutrizione e di
       stile di vita responsabili.

       9
         Nel 2023 il mercato Entertainment & Media mondiale varrà 2.602 miliardi di US$ rispetto ai 2.111 miliardi di US$ del 2018 CAGR +4,3% (Fonte: PWC, Global Entertainment & Media
       Outlook 2919-2023, Giugno 2019). Cfr. Pattuglia S.
       (2012) “Marketing, experiential communication ed entertainment come fattore di successo in impresa”, in Cerruti C. (a cura di), Internazionalizzazione e innovazione, Aracne.
       10
          Anholt S. (2010), Places: Identity, Image and Reputation, Palgrave MacMillan.

XXIV   Editoriale Delfino
*Simonetta Pattuglia, Insegna Advanced Marketing, Sales Management e Marketing, Comunicazione e Media alla Facol-
tà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. È il Curatore di “Food Wine & Co.”, iniziativa di formazione e
divulgazione, giunto all’Ottava Edizione con il titolo “Food Brand. Quando il cibo si fa marca” (9-11 novembre 2019, Roma).
Coordina l’indirizzo di Marketing & Sales nel Corso di Laurea Specialistica in Business Administration; dirige il Master in
Economia e Gestione della Comunicazione dei Media e il Master in Marketing e Management dello Sport. Ha al suo attivo
numerose pubblicazioni.
www.economia.uniroma2.it/faculty/13/pattuglia-simonetta

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XXVI   Editoriale Delfino
Prefazione
                             di Antonio Belloni *
                                                                                    “Mollo tutto e apro un ristorante.
                                                                               Anzi no, mi licenzio e vado a produrre
                                                                                          marmellate in campagna”.
                                                                                                             Anonimo

Per quale tic mentale, quando si pensa a un’evasione dai problemi quotidiani e una nuova avventura di vita, si
fruga sempre nel grande cesto del food? E perché questo cestone è così grande da darci l’idea che contenga
un’idea per tutti? Qual è l’ingrediente che poi trasforma questa pazza idea in un progetto ambizioso? E cosa può
far crescere questo progetto, nato individuale, fino a renderlo un’impresa con un bel fatturato e alcuni dipendenti?
E dopo qualche anno, come si guida questa impresa, consolidata e robusta, tra le onde alte e improvvise della
globalizzazione, i cui ostacoli non sono più solo la logistica locale o la burocrazia nazionale?

C’è un racconto asettico sull’evoluzione complessiva del mondo delle imprese che si muove freddo tra i numeri
dei rapporti Istat, poi ci sono tanti piccoli racconti singoli, e ognuno lascia una sua traccia umana indelebile: c’è il
groppo in gola di quando si registra finalmente il proprio marchio, la gioia sudata della prima consegna, la preoc-
cupazione del primo accredito del mutuo, la responsabilità infinita dei primi stipendi pagati, la soddisfazione del
primo prodotto sul bancone della grande distribuzione, e la foto sui social con il primo cliente estero…mentre si
pensa “mi pagherà?”.

Il piccolo-grande gioco dell’impresa è questo. Comincia con tanto coraggio e molta irresponsabilità, e finisce con
un pensiero quotidiano che la notte, su quel maledetto cuscino, non va mai a riposare. È un processo naturale
comune a tutti quelli che ci provano: il miraggio esce dal cassetto, finalmente; prende la forma di un progetto, più
spesso di un legno storto, con un budget, non sempre di un business plan, che si traduce in un investimento,
quello sì, sempre rischioso; poi si inizia a navigare, altrettanto spesso perdendo la rotta, smettendo gradualmente
di segnarsi i punti cardinali e di osservare i venti, abbandonando la promessa di quella precisione dell’inizio, che
a un certo punto va a farsi benedire. Infine, ci si guarda in faccia e si scopre che da quella passionaccia è saltato
fuori un lavoro.

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Gli ingredienti segreti

         L’Italia offre opportunità e spazio in tanti settori, quasi tutti noti – lo sanno da tempo anche gli stranieri, clienti e concorrenti
         – che ci osservano con malizia. Ma perché questo tuffo nel rischio prende spesso la strada del food? Perché solo il food
         consente un’espressione di creatività assolutamente libera ed accessibile. “Mollo tutto e apro una rubinetteria. Anzi no,
         mi licenzio e vado a produrre guarnizioni in teflon per valvole a sfera” farebbe un altro effetto; all’inizio di una grande storia
         di riscossa personale non funzionerebbe. Mentre il food segna una profonda discontinuità con qualsiasi vita precedente
         e consegna a tutti l’idea che vi si possa immergere per la prima volta, imparare a nuotare e diventare campioni, senza
         portarsi dietro il fardello o l’eredità dei decenni di esperienza del nonno o le fatiche del padre.

         È chiaro, leggere I leoni di Sicilia (di Stefania Auci, Editrice Nord, 2019) ci rafforza: vivere una storia che parte da lontano
         e diventa un’avventura tramandata da generazioni ci rassicura e ci convince a costruire qualcosa che durerà nel tempo.
         Ma col food si può partire da zero. E in tanti lo fanno, molti si schiantano e moltissimi guadagnano, creano posti di lavoro,
         trovano grandi soddisfazioni di vita.

         Nel food italiano riposa la creatività dei secoli, ma si può esprimere anche una fantasia improvvisa che poco prima era
         congelata sotto il metro di ghiaccio di un’altra attività. E questa creatività nazionale è spinta da un istinto imprenditoriale
         piuttosto estremo, talvolta disordinato; così confuso che si trovano imprese con un codice di riferimento “biciclette e
         motocicli” che oggi producono “illuminazione di design”, ed è tutto vero, il padre produceva biciclette e oggi il figlio fa
         ottime lampade, ma non ha cambiato il codice Ateco che aveva registrato il padre: l’eredità ha tramandato l’istinto, non il
         prodotto. Ma non fa niente, si parte con un’idea e si finisce chissà dove.

         Il grande circo del food globale

         Capacità, innata anche se rudimentale, e conoscenza, spesso diffusa, sono gli elementi base dell’accessibilità, quelli
         dannatamente italiani che portano a trasformare il cibo da una passione a un lavoro; ma ce ne sono anche all’esterno,
         nell’aria che respiriamo. Uno di questi, il più frizzante, è l’epica del successo portato dai talent show, delle emozioni che
         arrivano ad ogni like su Instagram, dello storytelling in provetta, e dei tutorial su YouTube. Là fuori c’è un grande tendone
         sotto cui lo spettacolo del cibo va in scena ogni giorno, pompa il marketing e la comunicazione nelle loro forme più nuove,
         convoglia investimenti in tv e sul web, costringe i nuovi e vecchi imprenditori a spogliarsi per un attimo le etichette e i menù,
         e a mettersi addosso la faccia da selfie e la posa da Facebook.

         Per entrare nel grande circo globale del food serve anche questo. E si manifesta qui, in tutta la sua contraddizione, il pa-
         radosso degli ultimi arrivati: chi arriva tardi ha una marcia in più, sa usare i nuovi strumenti tecnologici, le piattaforme che
         portano all’altro capo del pianeta senza muoversi.

         E nel circo della Foodeconomy il grande ballo di EXPO 2015 ha fatto la sua parte: ha costretto centinaia di imprese, fino
         a quel momento assolutamente vergini, a sporcarsi le dita sullo schermo degli smartphone, costruire siti di eCommerce,
         pianificare campagne coraggiose, investire i primi soldi per farsi vedere dal mondo, anche solo per sei mesi, e per entrare,
         sgomitando, nel racconto globale del cibo che va in onda ogni giorno.

XXVIII   Editoriale Delfino
Nuovi strumenti e vecchie necessità

Scoprire che il cibo non è più sulla lingua ma sotto gli occhi di tutti è stata un’esperienza formativa. Certo si sono spesi soldi
nuovi, perché era la prima volta, e freschi, perché erano stati raccolti da poco, per qualcosa di finalmente immateriale. Chi
mai pensava che un nome-brand-logo fosse da migliorare, proteggere, diffondere? Chi mai si aspettava, con una foto, di
farsi vedere da migliaia di persone in un solo istante? Chi mai credeva che la fisicità di un evento – altro che mondo virtua-
le… – fosse una maniera utile per concretizzare il rapporto con nuovi e vecchi clienti?

ln questa esperienza la tecnologia ha favorito una fantastica serendipity. Ha permesso l’incontro casuale tra il food e settori
lontani come il turismo, l’editoria, la televisione e la moda, e l’ha accompagnato verso nuove modalità di consumo, in un
momento magico. Ancora una volta il cibo si è rivelato il contesto in cui è più immediato testare le innovazioni, parlare con
il consumatore, coinvolgerlo chiedendogli informazioni su gusto, abitudini, emozioni.

Strumenti tecnologici nuovi hanno così regalato altrettante nuove occasioni di produzione e commercializzazione, ma sono
arrivate anche due altre sorprese a movimentare il tutto. Una buona dose di stress, subito volto in positivo, è arrivata dalle
ultime due crisi che hanno imposto risparmio e parsimonia, anche e soprattutto nelle scelte sul cibo, alle fasce meno ab-
bienti del mercato. Una condizione che molte nuove imprese hanno saputo mettere al centro del loro modello, puntando
sull’ottimizzazione degli spazi, dei tempi dei trasporti e della logistica, cercando di innestare un po’ di efficienza in un settore
non sempre ben organizzato.

Più di recente è arrivata anche la richiesta di sostenibilità a portare nuovi impulsi al cambiamento, dove anche le fasce di
consumo più elevate, affrontando il cibo con un nuovo spirito, più responsabile, sono di stimolo per chi vuole fare impresa
nel settore.

Dalla famiglia al management

In Italia il food può avere un valore segnaletico e istruttivo, perché spiega abbastanza bene i pregi e i difetti dell’impresa
nazionale, svela, anche nelle esperienze più nuove, abitudini calcificate e mancanze tramandate: ci si butta spesso senza
pianificare, non ci si chiede quale sia il proprio mercato (C’è? È l’Italia o l’estero?), si dimentica di studiare la concorrenza,
anche se magari si è dotati di un fantastico sito e di tonnellate di click a disposizione. Quale tesoro dobbiamo estrarre,
quindi, dalle esperienze d’impresa più riuscite? Ci deve interessare quel periodo – parliamo di anni – che divide il momento
del lancio, l’inizio, con il momento in cui si conquista la stabilità, data da una dimensione adeguata al mercato, un pacchetto
di clienti diversificato ed una struttura adatta alla conservazione e allo sviluppo di entrambi.

Tutte le imprese italiane, più o meno intensamente e dolorosamente, vivono la loro sindrome del prodotto. Passano attra-
verso la presunzione di avere quello migliore di tutti, di possedere la qualità, pur vera, oppure la posizione (geografica o di
mercato) migliori. Mentre i clienti cambiano gusti e abitudini, i concorrenti copiano, le materie prime aumentano di prezzo
e diminuiscono in quantità, loro camminano guardando per terra con abnegazione ed orgoglio, con il loro prodotto, il mi-
gliore di tutti. In questo momento magico basta il prodotto, non serve la comunicazione, non serve il servizio post-vendita
– dell’assistenza si occuperanno gli altri, non importa come lo vesti (il packaging) e non serve nemmeno come lo chiami (va

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benissimo tutelarsi con Doc – IGP – Made in Italy, anche se all’estero non sanno se Roma è a nord o a sud di Milano…).
      Quel momento magico può durare anni, e può causare miopia e finire in cecità.

      Tutte le imprese italiane, più o meno litigiosamente, vivono anche la sindrome della famiglia. Cominciano con un fondatore
      e suo padre, oppure con sua sorella o con il cugino, oppure la cognata. E per un momento pensano che il padre, la sorella,
      il cugino e la cognata siano i migliori soci possibili, i migliori manager possibili, ed abbiano tutto ciò che serva, sempre in
      quel momento, per far funzionare l’azienda. Anche quel momento magico può durare anni, e può causare ugualmente
      miopia e finire in cecità.
      In entrambi i casi, il tempo che occorre per trasformare la miopia in cecità (che coincide sempre con la fine dell’avventura)
      non è determinabile con precisione; spesso non è breve, ma sicuramente prevede un dispendio, se non l’esaurimento, di
      energie fisiche, mentali e soprattutto economiche.

      All’inizio ci chiedevamo chi ce la fa, e come. Chi ha capito sin da subito che famiglia e prodotto aiutano, ma non bastano.
      E il food è pieno di esempi positivi. Dal produttore di panettoni che ha prestato al packaging ed alla comunicazione un po’
      della sua ossessione per la qualità, fino al ristoratore che ha esteso al catering la sua propensione a fare un ottimo servizio,
      o alla piattaforma distributiva che ha raccolto i migliori professionisti senza badare a nazionalità e linea di parentela. Chi
      oggi distribuisce il food con mezzi nuovi, chi comincia dopo aver realizzato studi importanti, chi raduna intorno al proprio
      progetto managerialità eccellenti o introduce nuove modalità di consumo, chi riduce le porzioni per consentire assem-
      blaggi o assaggi in modo più naturale, ha capito che oltre al prodotto e alla famiglia ci sono la conoscenza dei numeri, dei
      tempi e dei metodi di fruizione del prodotto, dell’efficienza necessaria a eliminare ogni ostacolo che si mette tra lui e i clienti.

      Un buon inizio

      Dalle esperienze raccontate in questo libro arriva un segnale forte e positivo, proprio da questi fronti tutt’ora aperti. Gran
      parte di chi oggi comincia la sua strada nel food ha ben chiari tutti gli aspetti, positivi e negativi, di questi due elementi,
      famiglia e prodotto, allora porta in dote al proprio progetto una buona conoscenza, uno studio approfondito e assai poca
      improvvisazione. Finalmente il food sta smettendo di essere il regno dei dilettanti.

      Si comincia già con un occhio all’estero, con un buon nome, con compagni di viaggio scelti con precisione per le loro
      caratteristiche professionali, con la consapevolezza che per sopravvivere servano buone dimensioni o il presidio efficace
      di un mercato unico, e per crescere serviranno soldi – non più quelli di family&friends con cui si è cominciato, ma probabil-
      mente quelli di un settore private equity sempre più goloso di food retail – e le energie per andare e moltiplicarsi.

      Il cibo non è più un Eldorado dove c’è spazio per tutti. Si produce in provincia, si sperimenta in città, ma si combatte nel
      mondo una guerra continua, fatta di dazi, innovazione, competizione. Dove vincono i migliori, come sempre.

XXX   Editoriale Delfino
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