Storie di tango, venerdì a Bolano il grande Arnoldo Foà - Città ...

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      Storie di tango, venerdì a Bolano il grande Arnoldo Foà
      di Redazione
      15 Luglio 2008 – 10:12

      VENERDÌ 18 LUGLIO ore 21.15
      Bolano Piazza Castello
      Storie di Tango con Arnoldo Foà
      Arnoldo Foà voce recitante
      Giuseppe Nova flauto – Rino Vernizzi fagotto
      Giorgio Costa pianoforte
      Pier Franco Cardarelli contrabbasso
      Giampaolo Ascolese batteria
      Ballerini: Marcela Guevara e Stefano Giudice
      Regia: Franco Cardellino – Arrangiamenti: Rino Vernizzi

      Ingresso: euro 10,00 – posto unico
      prevendite al Circolo Fantoni di via Castelfidardo
      cura l’evento la Società dei Concerti della Spezia
      info: 0187 731214 – www.sdclaspezia.itannzone d’autore

      Si può discutere sul tango, ed è quanto facciamo, ma esso racchiude in sé come tutto ciò
      che è autentico, un segreto… Si direbbe che senza i crepuscoli e le notti di Buenos Aires
      non possa nascere un tango e che in cielo ci attende, noi argentini, l’idea platonica del
      tango, la sua forma universale, e che questa specie fortunata abbia, per quanto umile, il
      suo posto nell’universo”.
      Jorge Luis Borges

      STORIE DI TANGO
      “La musica, gli stati di felicità, la mitologia, i volti scolpiti dal tempo, certi crepuscoli e
      certi luoghi, vogliono dirci qualcosa, o qualcosa dissero che non avremmo dovuto perdere,
      o stanno per dire qualcosa; quest’imminenza di una rivelazione, che non si produce, è,
      forse, il fatto estetico”
      Jorge Luis Borges

      L’inizio
      La complicità delle arti, espressa attraverso forme differenti, mantiene in sé la forza e la
      profondità del gesto ispiratore iniziale. La musica e la letteratura poetica, hanno in questo
      senso sempre avuto cammini intrecciati, complici ed antagonisti, supporto vitale
      nell’evidenza di un immaginario narrativo. Il tango è il nostro gesto iniziale, “erotismo ma
      anche eroismo, nonché disperazione, intimità con la volgarità dei suburbi, delle luci
      artificiali e notturne dei larghi viali metropolitani, del reticolo smisurato di strade e vicoli,
      delle suggestioni frammiste e declinanti di un’Europa in esilio che, nell’insieme, forma
      quel proteo chiamato Buenos Aires”. Piazzolla e Borges sono i nostri due cantori, la loro
      amicizia ha creato capolavori, il loro genio ci ha fornito una materia viva, luminosa e
      appassionata.

      Lo Spettacolo

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      L’idea di raccogliere queste due arti in uno spettacolo, nell’alternanza di musica e
      recitazione, si desume dalle premesse, dal desiderio di condensare e promuovere questa
      particolare forza vitale, quanto mai popolare e, per fatti e circostanze diversi, nel vivo
      interesse dell’attualità. La musica inoltre supporta l’intervento del ballo, che in alcuni
      momenti dello spettacolo interviene come ulteriore elemento evocativo e spettacolare.
      Occorrevano a questo punto dei “medium” di questa esperienza, una voce recitante e dei
      musicisti, tali che, attraverso la loro interpretazione, infondessero nuova vita a queste
      passioni. La voce scelta è stata quella di un “grande vecchio” del teatro e delle scene, una
      voce musicale, profonda e inconfondibile, che già nei lontani anni ’60, con le poesie di
      Garcia Lorca, otteneva il Disco d’oro per aver venduto più di un milione di copie: Arnoldo
      Foà. I musicisti sono della più alta e raffinata caratura, un trio affermato sulla scena
      internazionale, con formazione e professionalità classica, ma incline alla creatività delle
      espressioni artistiche contemporanee: Giuseppe Nova, Rino Vernizzi e Giorgio Costa, ai
      quali si aggiungono in questa occasione due raffinati musicisti come Piero Franco
      Cardarelli e Giampaolo Ascolese. I “Tangueiros” dello spettacolo, Marcela Guevara e
      Stefano Giudice, appartengono alla profonda tradizione del tango: la musica e il
      movimento fisico fanno parte delle loro radici, gesto primordiale della loro “genetica”. Le
      liriche sono selezionate da Michele Porzio, figlio di quel Domenico Porzio che curò l’opera
      omnia di Borges in Italia, e che quindi ebbe occasione, non solo di leggere Borges, ma
      anche di frequentarlo, di accostarsi ai più profondi tasselli del suo genio.

      Il Programma
      Jorge Luis Borges
      Prologo

      Astor Piazzolla
      Le Quattro Stagioni in Buenos Aires
      Primavera Porteña
      Verano Porteño
      Otoño Porteño
      Invierno Porteño

      Jorge Luis Borges
      Due poesie inglesi (Two English Poems), I

      Astor Piazzolla
      Oblivion

      Jorge Luis Borges
      Il Tango

      Astor Piazzolla
      Escualo

      Jorge Luis Borges
      Buenos Aires (Ti cercavo una volta nei confini…)

      Astor Piazzolla
      Close your eyes and listen

      Jorge Luis Borges
      Buenos Aires (E ora la città è quasi una pianta…)

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      Astor Piazzolla
      Libertango

      Jorge Luis Borges
      Due poesie inglesi, II

      Astor Piazzolla
      Years of solitude

      Jorge Luis Borges
      I giusti (Los justos)

      Astor Piazzolla
      Adios Nonino

      Arrangiamenti: Rino Vernizzi

      I brani di Jorge Luis Borges sono tratti dalle seguenti opere: L’altro, lo stesso (Prologo,
      Due poesie inglesi, Buenos Aires), La cifra (I giusti) ed Evaristo Carriego (Il tango).

      Jorge Luis Borges
      Maestro della letteratura fantastica, nacque a Buenos Aires nel 1899 da famiglia colta e
      benestante. Avviato dal padre alle lettere, completò gli studi in Europa dove si era recato
      in viaggio con la famiglia: in Italia e in Svizzera, dal 1914 al ’19, quindi in Spagna. Qui
      partecipò al movimento ultraista, nel quale portò la sua conoscenza dell’espressionismo
      tedesco e la sua tendenza al rigore e all’asciuttezza di derivazione anglosassone, elementi
      che ne fecero un elemento di spicco dell’avanguardia letteraria argentina. Antiperonista,
      aderì nel ’62 al Partito Conservatore. Molteplice la sua attività intellettuale, che lui stesso
      definì come “svariate imprese letterarie”: racconti, saggi, traduzioni, conferenze,
      antologie, articoli, oltre all’insegnamento universitario ed alla poesia. Tra i maggiori autori
      della letteratura mondiale del Novecento, è stato destinatario di numerosi premi
      internazionali, tra cui il Cervantes e, in Italia, il Premio Balzan (1982), nonché di numerose
      lauree honoris causa. Colpito già attorno ai quarant’anni da una forma progressiva di
      cecità ereditaria, si spense a Ginevra nel 1986.

      Astor Piazzolla
      è il musicista che più di ogni altro ha contribuito alla diffusione del tango moderno,
      lasciando al suo Paese natale, all’America Latina e al mondo intero, una delle eredità più
      rilevanti e riconosciute nella geografia musicale del XX secolo. Un “visionario” argentino,
      nato nel 1921 a Mar del Plata, che ha studiato in Francia con Nadia Boulanger, e che
      ritornato in patria, dà l’avvio al suo percorso, che partendo dalla tradizione di Carlos
      Gardel e Anibal Troilo, miscela gli ingredienti del jazz e della tradizione classica europea,
      con un’identità personale e una geniale inventiva. Firma oltre 600 composizioni,
      diffondendo e confrontarsi con altri generi e musicisti, da Gary Burton a Gidon Kremer,
      Rostropovich, Accardo, Milva e Gerry Mulligan. Moltissimi i registi ai quali ha firmato la
      colonna sonora, da Rosi a Polanski, a Bellocchio e Solanas. Piazzolla riceve nel 1974 il
      Primo Premio Assoluto dalla critica discografica italiana ed a Los Angeles, nel 1998, vince
      il Grammay Award per Libertango, miglior composizione strumentale dell’anno. Scompare
      a Buenos Aires nel 1992.

      La voce
      Arnoldo Foà, voce recitante

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      I musicisti
      Giuseppe Nova, flauto
      Rino Vernizzi, fagotto
      Giorgio Costa, pianoforte
      Piero Franco Cardarelli, contrabbasso
      Giampaolo Ascolese, batteria

      I tangueros
      Marcela Guevara
      Stefano Giudice
      La regia
      Franco Cardellino

      I CURRICULUM
      Arnoldo Foà
      Attore, regista e commediografo, tra i più importanti in Italia. Intensa e prestigiosa la sua
      attività teatrale. Ha portato sulle scene spettacoli di autori sia classici che contemporanei,
      con registi come Visconti, Strelher, Menotti, Ronconi, e con regie sue. Oltre a opere di
      Shakespeare, Pirandello, Aristofane, Checov, Plauto, Caldwell, O’Neill, ha rappresentato
      anche commedie e drammi suoi: Signori buonasera, La corda a tre capi, Il testimone, e
      Amphitryon toujours, e Oggi. E’ anche regista di opere liriche (Otello di Verdi, Il pipistrello
      di Strauss, Histoire du soldat di I. Stravinskij). Sono celebri le sue dizioni di poesia (Dante,
      Leopardi, Lucrezio, Neruda, Garcia Lorca ecc.), delle quali sono state realizzate
      registrazioni su vinile negli anni ’60 (Disco d’oro per il disco di poesie di Garcia Lorca), e
      recentemente su cd. Ha interpretato più di 100 film, e ha lavorato con famosi registi
      italiani e internazionali, come Pietro Germi, Alessandro Blasetti, Giuliano Montaldo, Orson
      Welles, Joseph Losey, Edward Dmytryk, Nunnally Johnson, Tony Richardson, Christian
      Jacques, Alessandro D’Alatri, Ettore Scola. Tra i numerosi e prestigiosi Premi ricevuti,
      anche il Nastro d’Argento 2004 per il miglior attore non protagonista per il film Gente di
      Roma di E. Scola. Il suo nome è legato ad alcune delle più importanti e famose produzioni
      della Televisione Italiana, tra cui Capitan Fracassa, La freccia nera, Il giornalino di
      Gianburrasca, Nostromo, Il Papa Buono. Arnoldo Foà è inoltre pittore, scultore e
      giornalista, e ha pubblicato due romanzi, La costituzione di Prinz e Le pompe di Satana, e
      una raccolta di poesie, La formica. E’ da poco uscito per i tipi della Gremese il suo ultimo
      libro, dal titolo Recitare. I miei primi 60 anni di teatro.

      Giuseppe Nova
      Il Washington Post ha definito “affascinante” la sua esecuzione nella capitale statunitense,
      altre critiche attestano “interpretazione illuminata…” (il Giornale) oppure “autentico
      spettacolo di virtuosismo” (la Gazzetta del Sud) e ancora “l’arte musicale nella sua
      perfezione” (Nice Matin). Considerato uno dei più rappresentativi flautisti italiani della sua
      generazione, allievo di Maxence Larrieu, dopo studi in Italia e Francia (Conservatorio
      Superiore di Lione) ha esordito nel 1982 come solista con l’Orchestra Sinfonica della RAI.
      Di qui l’inizio di una brillante carriera che lo ha portato a tenere concerti in Europa, Stati
      Uniti, Giappone, Cina. Uno dei didatti più richiesti, già docente di Conservatorio,
      all’Accademia di Pescara, alla Scuola di Saluzzo ed Assistente al Conservatorio Superiore
      di Ginevra, ha tenuto Master in tutto il mondo. Insegna stabilmente presso la Fondazione
      Musicale di Aosta e la Fondazione Arts Academy in Roma. Collabora con Yamaha per i
      miglioramenti dello strumento, attualmente alterna un flauto d’oro ed uno di ebano,
      costruiti appositamente per lui. La rivista giapponese The Flute gli ha dedicato la sua
      “Special Interview”. E’ del 2006 l’uscita del CD con le Sonate di Mozart in distribuzione

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      mondiale per Camerata Tokyo. È stato inserito nel volume Il Flauto Traverso (Italia, EDT),
      tra “gli interpreti che si sono imposti alla fine del secolo […] solisti con carriera
      internazionale.”

      Rino Vernizzi
      Personaggio di spicco nella vita musicale italiana, è stato primo fagotto nelle più
      importanti orchestre nazionali. Ha svolto attività solistica con direttori quali Sinopoli,
      Giulini, Masur, Marriner, Oren, Spivakov, Gatti, collaborando anche in formazioni
      cameristiche con i musicisti più prestigiosi. Musicista innovativo, la sua attività è
      freneticamente tesa ad esplorare tutto il panorama musicale non solo europeo,
      affiancandosi a musicisti di tendenze e di estrazioni culturali diverse. Invitato nei più
      importanti festival e rassegne musicali, si è esibito in tutto il mondo. Autodidatta, ha
      perfezionato i suoi studi di pianoforte e composizione, dedicandosi a svariate esperienze
      musicali (avanguardia e musica elettronica). Al suo attivo numerose sono le incisioni
      discografiche. Sulla scena internazionale è tra i pochi fagottisti che svolgono attività in
      campo jazzistico: proprio in questo ambito i suoi ultimi cd: Etnoart Jazz Bassoon , “Golberg
      Jazz” Play Bach Paganini, Baby Boom, The quartet seasons e Storie di tango (omaggio a
      Borges e Piazzolla) hanno ottenuto un ampio consenso dalla critica. Imminente l’uscita dei
      nuovi lavori Jazz Frame e Pulses, nei quali presenta le sue composizioni.

      Giorgio Costa
      Diplomatosi sotto la guida di Occelli con il massimo dei voti al Conservatorio Verdi di
      Torino nel 1977, segue corsi di perfezionamento con Alberto Mozzati e con Fausto Zadra
      all’Ecole Internationale de Piano di Losanna. Nel 1980 partecipa ai corsi dell’Accademia
      Chigiana di Siena, nella classe di Riccardo Brengola. Il desiderio di ampliare i suoi
      orizzonti di riferimento lo spinge a frequentare, dal 1985, i corsi di Fenomenologia della
      musica tenuti da Sergiu Celibidache all’Università di Magonza. Nel 1988 prende parte alla
      Master Class di Murray Perahia a Firenze. Solista e camerista, spazia dai clavicembalisti ai
      contemporanei, con particolare riguardo ai grandi autori dell’età romantica. La sua attività
      concertistica diviene intensa, riscuotendo consensi di pubblico e di critica, ha infatti preso
      parte a tourné in tutta Europa e Giappone. La critica ha scritto: “lo straordinario
      virtuosismo esercitato sulla tastiera e la duttilità del sentimento che ridesta il suono dallo
      spartito” (da Stadt Remagen); “Giorgio Costa ha saputo esprimere nel modo migliore la
      sua grande capacità di immedesimarsi con il compositore” (a proposito di Beethoven,
      Chopin e Brahms, da Suddeutschte Zeitung). “Con Beethoven e Chopin il pianista torinese
      ha dato prova di signorilità interpretativa esponendo le proprie ragioni musicali con una
      verità artistica calibrata” (La Provincia). Ha effettuato diverse registrazioni per la RAI ed è
      docente al Conservatorio di Novara. Nova, Vernizzi, Costa, alcune critiche
      …l’interpretazione ha affascinato il pubblico… un dialogo condotto con genialità… il trio di
      Donizetti ci conduce in una vera atmosfera di sogno… Nürtinger Zeitung, Germania
      ….l’arte musicale nella sua perfezione… pura meraviglia per questa musica che ha
      provocato quattro richiami da parte di un pubblico conquistato e entusiasta… peccato per
      coloro che non erano presenti… Nice Matin Francia

      Giampaolo Ascolese
      Dopo aver collaborato con i migliori jazzisti italiani, nel 1980 si è recato a Boston al
      Berklee College of Music; nel 1990 si è diplomato in percussioni al Conservatorio A.
      Casella dell’Aquila, iniziando anche un’attività nell’ambito della musica classica e
      contemporanea. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche della
      RAI e di MEDIASET. Sia in orchestra che come solista ha inciso circa quaranta tra album e
      CD, ha partecipato a più di cento festival jazz sia nazionali che internazionali. Ha suonato

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      con i più grandi musicisti americani, tra cui Chet Baker, Lee Konitz, Barney Kessel,
      DonCherry, Lou Bennet, Gary Bartz, Bobby Watson, Roland Hanna, Christian Escoudè,
      Jack Walrat, Sal Nistico, Steve Grossman, Art Farmer, Jhonny Griffin, Ray Briant, Curtis
      Fuller, Kay Winding. Collabora con il pianista Mike Melillo, con il quale ha inciso quattro
      CD, tra cui uno che vede la partecipazione di Chet Baker. Ha inoltre inciso con Steve
      Grossman e Gary Smoulyan. Si è esibito in tutto il mondo. Apprezzato didatta, pubblica
      due metodi e insegna attualmente alla St. Louis Jazz Academy di Roma.

      Piero Franco Cardarelli
      Contrabbassista, diplomatosi son il massimo dei voti, si affaccia sulla scena musicale con
      spiccata personalità. Strumentista versatile, svolge da subito un’intensa attività
      concertistica nella musica classica, contemporanea e jazzistica, dove viene segnalato dalla
      critica. Si perfeziona presso l’Accademia Chigiana e l’Accademia di Santa Cecilia. Suona
      con Gary Karr e Franco Petracchi. E’ componente dell’ Orchestra dell’ Accademia di Santa
      Cecilia e del gruppo da camera I Filarmonici di Roma diretto da Uto Ughi. Ha svolto
      attività didattica in qualità di docente presso alcuni conservatori italiani. Partecipa a
      festival e rassegne musicali in Italia e all’estero. In campo jazzistico ha collaborato con i
      più noti musicisti italiani. Ha fatto parte del quintetto di tango dell’argentino H. U.
      Passarella. Al suo attivo numerose sono le incisioni discografiche.

      Marcela Guevara
      Appartiene alla nuova generazione di ballerini di Tango Argentino. Nata in Argentina,
      inizia a ballare Tango nel 1995 con il grande Maestro Pedro Monteleone dal quale
      apprende la tecnica e l’interpretazione che caratterizzano il suo stile. Nonostante la sua
      giovane età propone nel suo Tango, caratterizzazioni tipiche della Milonga di Buenos
      Aires. Nel 1997 inizia la sua carriera di ballerina professionista e di insegnante a Buenos
      Aires dove si esibisce in numerose milonghe. In Argentina, è protagonista degli spettacoli
      “Milonga” e “Sexi Tango”. Nel 1997 balla con la grande orchestra di Raul Parentela.
      Sempre nel 1997, viene chiamata, per la prima volta, da scuole ed associazioni europee
      per sviluppare work shop ed esibizioni di Tango. Poco tempo dopo apre una scuola di
      tango in Italia ed inizia le diverse attività di divulgazione della cultura del Tango
      Argentino: conferenze; corsi speciali di tecnica; preparazione di coreografie per spettacoli,
      stage e approfondimenti. Ha partecipato hai più importanti Festival internazionali. Nel
      2001 con l’opera di Piazzolla “Maria de Buenos Aires”, sempre diretta da Rudolf Werten,
      balla nei Teatri di Londra e Hong sempre con l’orchestra diretta da Juan Jose Mosalini.E’
      intervenuta nei seguenti programmi televisivi:La vita in diretta RAI 2, Passioni RAI 2,
      Maurizio Costanzo Show CANALE 5, Cento Vetrine CANALE 5.

      Stefano Giudice
      Si avvicina al Tango Argentino nel 1996. Ha studiato con i più importanti maestri e
      ballerini argentini dai quali ha appreso e formato il proprio stile di ballo. Nel 1999 dopo un
      lavoro di approfondimento a Buenos Aires, inizia la sua attività professionale di ballerino e
      insegnante. Nel 2000 partecipa al Festival di Vignale Danza nello spettacolo “Confini”
      prodotto dal Teatro Nuovo di Torino. E’ protagonista nello spettacolo “Apriti Tango” in
      scena al Teatro Piccolo Regio di Torino (2000) ed in alcuni altri palcoscenici piemontesi. Si
      esibisce al Teatro Alfieri di Torino con lo spettacolo “I sogni di Alice” ballando con
      l’orchestra Quintettango. Nel 2001 balla sulle musiche dell’Orchestra Tango Seis, diretta
      dal Maestro argentino Gilberto Pereyra, al Teatro Stabile di Arese (Milano). Nel 2001 è’
      protagonista di una scena di tango girata dalla RAI per la fiction “Regina”.

      Un ricordo di Borges
      di Michele Porzio

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      È insolito ritrovare nei versi di Borges l’intenerimento, la confessione sentimentale,
      l’irraggiarsi sulla pagina di quella mestizia densa, acre e pagana che ci rende familiare il
      tango. Tempo addietro Giorgio Costa mi chiese di operare una scelta di versi borgesiani
      che s’intonasse alle musiche di Piazzolla. Compito meno facile del previsto. Facile me lo
      prefiguravo in quanto, essendo io il figlio di quel Domenico Porzio che curò l’opera omnia
      di Borges in Italia, il poeta argentino ebbi occasione non solo di leggerlo ma anche di
      conoscerlo di persona e di trascorrere con lui alcune giornate inobliabili. Riguardando
      tutte le sue poesie e molte delle prose, invece, constatai come il velo del pudore quasi
      ovunque giungesse a smussare le accensioni della passionalità, in specie amorosa: i due
      English Poems configurano una rara ed efficace eccezione alla regola. S’intende che il
      tango non è solo erotismo ma anche eroismo, nonché disperazione, intimità con la
      volgarità dei suburbi, delle luci artificiali e notturne dei larghi viali metropolitani, del
      reticolo smisurato di strade e vicoli, delle suggestioni frammiste e declinanti di un’Europa
      in esilio che, nell’insieme, forma quel proteo chiamato Buenos Aires. E va altresì ricordata
      la diretta presenza, nelle pagine di Borges, della musica in quanto arte subliminale, arcana
      fata che offre una conferma alla nostra resa di fronte all’inesplicabile tragedia della vita. Al
      termine del racconto La muraglia e i libri, nel definire l’essenza dell’arte, non a caso
      Borges scioglie un inno alla a-semanticità della musica (il che, per inciso, pare un’indiretta
      conferma del primato della poesia nell’insieme della sua produzione): “La musica, gli stati
      di felicità, la mitologia, i volti scolpiti dal tempo, certi crepuscoli e certi luoghi, vogliono
      dirci qualcosa, o qualcosa dissero che non avremmo dovuto perdere, o stanno per dire
      qualcosa; quest’imminenza di una rivelazione, che non si produce, è, forse, il fatto
      estetico”. Queste parole, immortali per la flagrante verità in esse riposta, rivelano perché
      Borges affermasse di non commuoversi all’ascolto di alcuna musica se non del tango e
      della milonga. Il tango s’alimenta proprio di tale opaca confusione di sguardi, luoghi e
      colori, che si scioglie davanti al nostro cuore senza ammettere al desiderio la parola che
      per anni o per l’esistenza tutta aspettiamo di udire e che moriremo, in solitudine, senza
      aver mai ricevuto. Di qui il senso di gloriosa resa al dolore cantato dal tango, che quindi
      non può avere, precisa Borges, un’importanza “musicale” in senso stretto: “Musicalmente,
      il tango non deve essere importante; la sua unica importanza è quella che gli attribuiamo.
      La riflessione è giusta, ma senza dubbio la possiamo applicare a qualsiasi cosa. Alla nostra
      stessa morte, per esempio, o alla donna che ci disdegna…”. Il compito del tango sembra
      oltrepassare i limiti della sfera estetica per offrirci, accanto alla “resa” nostra al destino, la
      prefigurazione di altri destini incompiuti, solo intravisti o immaginati; appunto
      l’”imminenza di una rivelazione che non si produce”: un resto che ci sfugge e che non
      cessa però, per nostra fortuna, di dispiegarsi nelle sue melodie. Non solo il tango, ma
      anche le più riposte cadenze del fatto letterario, per Borges si declinavano sotto il segno di
      questa stella mesta ed eppur lucente. Ne ebbi conferma durante i tre giorni che passai con
      lui e con mio padre, a Roma nel marzo del 1982, in occasione del conferimento al poeta del
      Premio Balzan per la letteratura. La sua cultura enciclopedica soverchiava il ventunenne
      che io ero allora; cercavo come potevo di intessere qualche conversazione non indegna di
      tanto interlocutore. Alternavamo l’inglese all’italiano; talora cadeva qualche parola in
      latino, in greco o in cinese antico. Delle cose che appresi e gli dissi in quei giorni, però, la
      più importante non afferisce alla sfera della “cultura” bensì a una più vasta, esistenziale e
      creativa. Ci trovavamo all’aeroporto di Fiumicino: era il momento del congedo, per me e
      per mio padre, da quello spirito illuminato di poesia e ancor più, se possibile, da un tratto
      di aristocratica timidezza, che ora ripartiva per l’Argentina. Mio padre s’allontanò per
      alcuni minuti insieme all’accompagnatrice di Borges per sbrigare le formalità dei biglietti
      (all’epoca lo scrittore era già da molti anni completamente cieco). Io, per alcuni minuti
      lasciato solo con lui, stavo peggio che se avessi dovuto salutare per sempre una fidanzata,
      perché avvertivo con quale uomo avevo a lungo intrecciato la mia conversazione. E allora

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      gli ricordai che nel suo libro Finzioni c’è un racconto, Pierre Menard, autore del
      “Chisciotte”, che ritengo tra i più ammirevoli. Anche questo racconto, azzardo oggi, è un
      canto d’amore mascherato. Vi si immagina di uno scrittore dei nostri giorni, Menard, che
      desidera scrivere non un altro “Don Chisciotte” ma quello stesso, appunto, di Cervantes,
      risalente a tre secoli prima. Idea in apparenza assurda, no? E invece non è affatto assurda.
      Perché tutti noi, ogni giorno, creiamo dal nulla qualcosa che in apparenza già esiste – per
      esempio sedendoci al pianoforte a interpretare, cioè a far esistere la musica – e questo
      “qualcosa” torna e essere creato, per la prima, unica e irripetibile volta, sotto le nostre
      dita. Il Don Chisciotte di Menard, del pari, è altra cosa dall’antico poiché vive nell’animo di
      un altro uomo e le stesse pagine, altrove e da altri scritte, altro divengono. Ma ciò attiene
      al senso “letterario” del racconto, mentre a me preme il senso personale e quindi profondo
      dell’accaduto, non quello “ufficiale”. Per cui confidai a Borges di ritenere le più
      commoventi le circostanze accidentali, i particolari realistici e fin squallidi – se vogliamo,
      da periferia tangheira – inseriti nel racconto. Mi stupiva che entro un’idea così astratta, un
      vortice metafisico di due libri identici che si sdoppiano a distanza di secoli per l’intervento
      di mani diverse ma concordi, si affermasse che a Menard, con “i suoi quaderni a quadretti,
      le sue nere cancellature […] verso sera piaceva andare a camminare per i sobborghi;
      soleva portar seco un quaderno, e farne un allegro falò”. Rievocai dunque il dettaglio del
      falò dei quaderni. E lui: l’ho scritto because I did it. L’ho scritto perché l’ho fatto io. Sono
      io, disse, colui che ha tentato di ordire il libro perfetto senza riuscirvi. Restai a bocca
      aperta, preso da un senso di vertigine. Si sarà intuito che io stesso, in quel preciso istante,
      mi sentii condannato, a vita, a essere un altro Menard. L’altoparlante, intanto, chiamò il
      suo volo. Che aggiungere? Ormai eravamo su un altro piano. Dissi: “Borges, per me lei è
      un amico”. Vidi il disegno, tra le rughe verticali del volto canuto, di un delicato imbarazzo;
      ma subito la bocca s’allargò a paterno sorriso: Yes, a friend, a very old friend… e nel dirlo
      lasciò che l’aggettivo very, quasi un’eco del sostantivo friend, s’inoltrasse nel vago di un
      tono veggente e malinconico – ma non privo di una tenue speranza, che per pudore non
      rivelerò. Un amico, però molto anziano. Morì nel 1986; credo risentirne la voce nel tango.

      ingresso: € 10,00, posto unico

Citta della Spezia                                 -8/8-                                         10.09.2021
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