Stagione 2019-2020 - Rai Cultura
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Stagione 2019-2020 Auditorium Rai “Arturo Toscanini”, Torino osn.rai.it 1 31 24–25/10 11–12/10 Venerdì 24 Giovedì Venerdì 11 ottobre ottobre2019, 25ottobre Sabato 12 2019,20.00 ottobre2019, 20.30 2019,20.30 20.00 JAMES CONLON direttore MARIANGELA VACATELLO pianoforte ROBERTO RANFALDI violino Beethoven Prokof’ev Beethoven Mendelssohn-Bartholdy Šostakovič
3° GIOVEDÌ 24 OTTOBRE 2019 ore 20.30 VENERDÌ 25 OTTOBRE 2019 ore 20.00 James Conlon direttore Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 Pastorale (1807-1808) Allegro ma non troppo (Lieto ridestarsi di sentimenti all’arrivo in campagna) Andante molto mosso (Scena presso il ruscello) Allegro (Allegra riunione di contadini) Allegro (Tuono e temporale) Allegretto (Canto di pastori. Ringraziamento per il ritorno del bel tempo) Durata: 39’ ca. Ultima esecuzione Rai a Torino: 22 gennaio 2015, Juraj Valčuha __________ Sergej Prokof’ev (1891 - 1953) Sinfonia n. 3 in do minore op. 44 (1928) Moderato Andante Allegro agitato Andante mosso. Allegro moderato Durata: 34’ ca. Ultima esecuzione Rai a Torino: 4 novembre 2016, Juraj Valčuha. Nella foto Sergej Prokof’ev Il concerto di giovedì 24 ottobre e Sergej Eisenstein nel 1943. è trasmesso in diretta su Radio3 Da L’Approdo Musicale per Il Cartellone di Radio3 Suite n. 13 edizione del 1961 e sul circuito Euroradio.
Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 Pastorale L’interminabile dibattito sul significato della Pastorale ha ori- gine nella natura ambigua della Sinfonia. Beethoven s’invaghì del progetto ardito e sperimentale di scrivere una sinfonia in uno stile di mezzo tra l’antico e il moderno, imboccando una strada radicalmente nuova. Era consapevole che non fosse facile afferrare il progetto, e si premurò di aggiungere, nel ma- noscritto usato per la prima esecuzione, avvenuta a Vienna il 22 dicembre 1808, la celebre definizione mehr Ausdruck der Empfindung als Malerey (più espressione del sentimento che pittura). La preoccupazione non era infondata. I critici, infatti, hanno sempre oscillato tra letture di tipo ermeneutico e la ne- gazione di qualsiasi rapporto tra forma musicale e descrizione poetica. Il musicologo americano Owen Jander, per esempio, ha sostenuto di recente la tesi che l’episodio dell’usignolo, della quaglia e del cuculo, nel secondo movimento, raffiguri la profezia dell’imminente sordità. Ma d’altra parte, pur rifiutando tesi così narrative, è lecito ignorare del tutto le didascalie, ac- cantonando ogni elemento non riconducibile direttamente al testo musicale? La Pastorale è articolata in cinque movimenti, ma in effetti si di- vide in due parti chiaramente distinte. La prima metà è formata dai due movimenti iniziali, indipendenti l’uno dall’altro: l’arrivo in campagna e la scena al ruscello. La seconda, invece, com- prende la sequenza degli ultimi tre movimenti, che formano un unico percorso narrativo. La convivenza di uno stile descrittivo e di una scrittura formale implica una dualità della percezione del tempo. I due movimenti iniziali sono composti in forma sonata, il pri- mo molto elaborato e il secondo lento ed espressivo. Pur ac- cumunati dal medesimo clima espressivo, i due movimenti non stabiliscono tra loro alcuna relazione temporale. Potreb- bero esprimere le sensazioni di un’esperienza vissuta nella stessa giornata come a distanza di molto tempo. La musica della seconda parte, invece, racconta una serie di avvenimenti concatenati nel tempo. L’ascoltatore percepisce l’ultima parte
della sinfonia come un’unica vicenda, il cui significato è pie- namente comprensibile solo attraverso le didascalie. La dif- ferenza tra le due parti non riguarda però soltanto il carattere narrativo, ma anche la percezione psicologica del tempo. Solo l’ultimo dei tre movimenti della seconda parte è concepito in forma classica. Il primo, la Riunione dei contadini, è una sorta di scherzo, più di sapore che di forma beethoveniana, mentre la sezione più de- scrittiva della Sinfonia, il Temporale, è scritta in stile del tutto li- bero, teatrale. La forma sonata classica, soprattutto in Beetho- ven, configura una freccia temporale indirizzata a una mèta, in cui il presente si proietta nel futuro in maniera assolutamente volitiva. Nella Pastorale, invece, predomina uno stile segnato dall’uso di forme ripetitive, dall’assenza di forti contrasti te- matici, dall’uniformità della struttura armonica. In altre parole, Beethoven cerca di rappresentare la circolarità del tempo, l’e- terno ritorno del divenire della natura. La differenza di stile cor- risponde a un diverso grado d’identificazione con la figura del protagonista. La prima parte esprime un sentimento elegiaco, che rispecchia il mondo antico, stabile e ben ordinato della campagna. La natura, vista dall’eroe, appare come un luogo sicuro e immutabile, governato da leggi patriarcali. Il caratte- re narrativo della seconda parte, invece, spezza la lenta ruota del tempo. Lo scoppio del temporale determina un’improvvisa accelerazione, catapultando il mondo arcadico della campa- gna in una dimensione drammatica e lacerante. La natura per- turbante di questo episodio è simbolicamente espressa dalla tonalità di fa minore, che rappresenta una radicale rottura con il resto della Sinfonia, interamente avvolta nella distesa tonali- tà di fa maggiore. Ma il mondo elegiaco della prima parte era stato contraddetto anche dallo stile realistico impiegato nella scena del ballo, che raffigura il mondo contadino. La comi- cità dei musicanti, con i loro grossolani errori e la frettolosa, incongrua sovrapposizione di danze, sembra riflettere una deformità morale intervenuta a turbare la purezza dell’antica vita pastorale. Il ritorno della forma sonata nel finale acquista così un senso quasi religioso, apparendo appunto come una rilettura degli antichi culti. Questo aspetto rituale è confermato,
negli abbozzi di Beethoven, da una precedente versione della didascalia che accompagna l’ultimo movimento, in cui si parla di un ringraziamento an die Gottheit, alla divinità. Resta da chiarire qual è il disegno ideale che collega l’inte- ro percorso. Una lettura della Pastorale non può prescindere forse dalla figura di Goethe, che in quegli anni s’intreccia in molteplici forme con il lavoro di Beethoven. Il tentativo della Sinfonia d’interpretare in chiave moderna l’antico genere pa- storale, per esempio, potrebbe corrispondere all’aspirazione goethiana di rinnovare il genere dell’idillio, di cui lo scrittore si era occupato in un testo allora notissimo, Hermann und Do- rothea (1797). Ma certi echi rimandano ad alcune pagine dei Dolori del giovane Werther. In una delle prime lettere del roman- zo (10 maggio), Werther parla della natura con accenti che sembrano evocare immagini della Pastorale: «Una meraviglio- sa serenità, simile a questo dolce mattino di primavera, mi è scesa nell’anima […] Quando la bella valle effonde intorno a me i suoi vapori e il sole alto investe l’impenetrabile tenebra di questo bosco […] e io mi stendo nell’erba alta accanto al torrente […] oh, se tu potessi esprimere tutto questo, se tu po- tessi effondere sulla carta ciò che in te vive con tanta pienezza e tanto calore…». La famosa scena del ballo, cui è legato l’e- pisodio cruciale dell’incontro con Lotte, mostra delle sorpren- denti affinità con la seconda parte della Sinfonia. Werther è invitato a un ballo («I nostri giovanotti avevano organizzato un ballo in campagna al quale ero felice di partecipare anch’io»). Nel mezzo delle danze scoppia un temporale, che spaventa le ragazze e turba l’animo di tutti. Passato il peggio, Lotte e Wer- ther si ritrovano insieme a osservare il paesaggio. «Ci avvici- nammo alla finestra, tuonava ancora lontano, una magnifica pioggia cadeva scrosciando leggera e soave sui campi e un profumo vivificante saliva fino a noi come un soffio di vento pieno di tepore. [Lotte] stava appoggiata sui gomiti e contem- plava la campagna; alzò gli occhi al cielo, poi li rivolse verso di me e vidi che erano pieni di lacrime. Posò la mano sulla mia e disse: -Klopstock! - mi ricordai subito della stupenda ode». La
poesia evocata da Lotte s’intitola Frühlingsfeier (Festa di prima- vera) e rappresenta un testo cardine dell’estetica kantiana del sublime. L’ode di Klopstock termina appunto con una grande preghiera alla divinità (Jehova) dopo un violento temporale, così come l’Allegretto finale esprime la gratitudine commossa verso il Creatore benevolo con accenti e modi (la forma ripeti- tiva del tema, la sua trasformazione in un corale) pervasi da un potente e nuovo afflato religioso.
Sergej Prokof’ev Sinfonia n. 3 in do minore op. 44 Anche la Terza Sinfonia di Prokof’ev è stata considerata molto spesso come musica a programma, scatenando l’indignazi- one del compositore. L’equivoco nasce dal fatto che la Sinfo- nia op. 44 è tratta in gran parte dall’Angelo di fuoco, l’opera più sfortunata di Prokof’ev, che non ebbe mai modo di vedere in scena il suo lavoro. L’angelo di fuoco, un’opera in cinque atti tratta dal romanzo omonimo di Valerij Brjusov, fu un progetto a lungo accarezzato da Prokof’ev, che dopo il fallimento del- le trattative per allestire il lavoro a Berlino nel 1926 gettò la spugna, deluso dai numerosi tentativi falliti di rappresentare la sua opera più ardita e sperimentale, e decise di ricavare dalla partitura una suite sinfonica, o per meglio dire di trasformare la musica dell’opera in una sinfonia per la sala da concerto. Il lavoro fu compiuto in gran parte nell’estate del 1928, dopo un paio d’anni di sostanziale silenzio, sull’onda di un risveglio creativo che porta anche alla composizione del balletto Le Fils prodigue op. 46, l’ultima commissione di Diaghilev a Prokof’ev. La partitura della versione in francese dell’Angelo di fuoco è rimasta nel cassetto dell’editore parigino di Prokof’ev fino al 1952, e fu eseguita postuma in forma di concerto a Parigi nel 1954, mentre per la prima rappresentazione teatrale, in lingua italiana, bisogna aspettare la Biennale di Venezia del 1955, con la direzione di Nino Sonzogno e la regia di Giorgio Strehler. La Terza Sinfonia, invece, metamorfosi puramente strumentale dell’opera, imbottita di esoterismo e di simbolismo visionario, è venuta alla luce a Parigi il 17 maggio 1929 con la direzione di Pierre Monteux. Prokof’ev replicava, a chi lo criticava di aver scritto mu- sica a programma, che le parti dell’opera trasferite nella Sinfonia erano state concepite in forma sinfonica, e che semmai era l’op- era a essere inquinata, per così dire, dalla musica strumentale e non viceversa. La Sinfonia è dedicata al vecchio amico e com- pagno di conservatorio Nicolaj Mjaskovskij, che era consider- ato, per la sua dedizione alla musica strumentale e per il suo grande lavoro pedagogico, una sorta di coscienza musicale di Mosca. Dedicare la Sinfonia a lui significava forse ribadire, oltre alla fraterna amicizia che li legava, il carattere indipendente del lavoro e la natura puramente sinfonica della scrittura.
Detto questo, la Terza è certamente la Sinfonia più drammat- ica scritta da Prokof’ev fino a quel momento, soprattutto a confronto con la corrosiva e avanguardistica Seconda e con l’apollinea Sinfonia classica. Il primo movimento, Moderato, è una forma sonata costruita attorno a tre temi principali, for- temente contrastanti. I primi due sono legati al personaggio di Renata, che nell’opera è posseduta dalle fantasie erotiche suscitate dalla sfrenata passione per il suo stesso angelo cus- tode, che le appariva nelle visioni fin da bambina. La sua dis- perata follia è rappresentata dall’ostinata ripetizione del tema cromatico, mentre l’amore per l’angelo Madiel prende la forma di un’espressiva melodia dei corni, rinforzati in maniera ge- niale dai contrabbassi nel registro acuto. Il terzo tema, invece, è completamente diverso, più calmo e lirico. Nell’opera è lega- to al cavaliere Ruprecht, che s’innamora della sventurata fan- ciulla e vorrebbe aiutarla a ritrovare la serenità. Gli ingredienti per impastare il dramma ci sono tutti, ma il linguaggio dello sviluppo è di natura totalmente strumentale e si aggroviglia in oscuri labirinti contrappuntistici. La musica della parte centrale è tolta quasi di peso da uno degli intermezzi dell’opera, a dimostrazione che forse le af- fermazioni di Prokof’ev non erano infondate. I principali temi dell’opera, infatti, si fondono assieme in un vero e potente movimento sinfonico, il primo veramente riuscito della sua produzione. Il racconto della storia, per così dire, prosegue nel successivo Andante, che mostra la tormentata Renata in cerca di pace in un monastero. Il lato demoniaco dell’opera, tuttavia, emerge sullo sfondo, con una brulicante selva di tremoli e di figure ostinate, solcate di quando in quando da fruscii e sibili misteriosi. Non è altro che una preparazione al selvaggio caos dello scherzo, un Allegro agitato di sconvolgente efficacia. Il riferimento è alla scena degli spiriti dell’Atto II, nello studio del mago Agrippa. Prokof’ev, nella sua autobiografia, pretende di aver trovato ispirazione nel finale della Terza Sonata di Chopin, ma qui la ridda di figure fantasmagoriche è dipinta da un tor- rente sonoro di sbalorditiva ruvidezza orchestrale. Il demone modernista di Prokof’ev prende il sopravvento in maniera im- pressionante, spingendo la sua musica oltre i confini del lin- guaggio tradizionale.
Il Finale, Andante mosso, non è per niente consolatorio, né rasserenante. Al contrario, sprofonda la sinfonia in un cupo scenario di morte e sofferenza, aprendosi con una catastro- fica marcia funebre di violenza mahleriana. Al pianista Svia- toslav Richter, che l’ascoltò nel 1939, fece l’effetto della «fine dell’universo». Non è necessario un riferimento operistico per assistere all’Apocalisse di questo finale, che non cede in alcun momento a un desiderio di distensione. L’unico punto meno brutale è il Poco più mosso in si bemolle minore, in cui il terrore lascia spazio per un breve momento alla tristezza e alla com- miserazione, perfettamente incarnati nel suono dei clarinetti e dell’oboe. Ma la marcia macabra si rimette in moto subito, incalzante e sempre più veloce, verso la nefasta e inesorabi- le conclusione sull’accordo più emblematico delle tragedie umane, il fatale e beethoveniano do minore. Oreste Bossini
James Conlon Il direttore d’orchestra americano è Direttore principale dell’OSN Rai dall’ottobre 2016. È Direttore musicale dell’Opera di Los Angeles. È stato Diret- tore musicale del Cincinnati May Festival (1979-2016) – di cui è oggi Direttore Onorario – Direttore musicale del Ravinia Fe- stival, sede estiva della Chicago Symphony Orchestra (2006- 2015), Direttore principale dell’Opéra de Paris (1995-2004), Direttore generale musicale della Citta di Colonia, dove era a capo della Gürzenich-Orchester e dell’Opera di Colonia (1989- 2002) e Direttore musicale della Filarmonica di Rotterdam (1983-1991). Dal 1976 a oggi ha diretto più di 270 opere al Me- tropolitan di New York e calcato i più prestigiosi palcoscenici internazionali: Teatro alla Scala di Milano, Staatsoper di Vien- na, Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, Royal Opera House di Londra, Teatro dell’Opera di Roma, Maggio Musicale Fiorenti- no e Opera di Chicago. Nel 2016 ha celebrato il decimo anniversario all’Opera di Los Angeles, dove ha diretto opere di 22 compositori diversi e 24 nuove produzioni. Fra i suoi recenti impegni a Los Angeles spiccano la direzione del primo ciclo L’anello del Nibelungo, l’avvio della serie Recovered Voices, la guida delle celebra- zioni per il centenario della nascita di Britten e le esecuzioni di Macbeth di Verdi, Il ratto del serraglio di Mozart, Salome di Strauss e Tosca di Puccini. Nell’ultima stagione ha diretto Carmen di Bizet, Nabucco di Verdi, Candide di Bernstein e Orphée et Euridice di Gluck. In ambito sinfonico, si segnalano inoltre collaborazioni con l’Or- chestre Symphonique de Montréal, la National Symphony di Washington, la New World Symphony di Miami, l’Orchestra Filarmonica Slovena, la Deutsches Symphonie-Orchester Ber- lin, l’Orchestre National de France; la direzione del concerto di Capodanno alla Fenice di Venezia; la partecipazione al Festival dei Due Mondi di Spoleto.
La particolare attenzione riservata ai lavori meno noti di com- positori oscurati dal nazismo gli è valsa diversi riconoscimenti, tra cui il Premio Zemlinsky nel 1999 per aver portato la musica del compositore dimenticato all’attenzione internazionale. Tali sforzi lo hanno condotto inoltre alla creazione della Fondazio- ne OREL e dell’iniziativa Ziering-Conlon alla Colburn School. La sua ricca discografia vanta incisioni per Bridge, Capriccio, Decca, EMI, Erato e Sony Classical, nonché l’assegnazione di quattro Grammy Awards: Best Classical Album e Best Opera Recording 2009 con Ascesa e caduta della citta di Mahagonny di Weill (EuroArts); Best Opera Recording e Best Engineered Album nel 2017 con The Ghosts of Versailles di Corigliano (Pen- taTone). Nel corso della carriera è stato insignito di numerose onori- ficenze: Legion d’Onore (2002) e Cavalierato dell’Ordre des Arts et des Lettres di Francia (2004); Premio di Opera News (2005); Library Lion della Public Library di New York; Meda- glia dell’American Liszt Society (2008); Premio Galileo 2000 (2008); Dushkin Award del Music Institute of Chicago (2009); Lifetime Achievement Award dell’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles (2010); Sachs Fund Prize (2016); dottorati ad ho- norem da parte della Juilliard School, della Chapman Univer- sity e della Brandeis University. Recentemente è entrato a far parte della American Classical Music Hall of Fame. Nel maggio 2018 è stato insignito dell’onorificenza di Commendatore del- la Repubblica Italiana.
Partecipano al concerto Violini primi Violoncelli Controfagotto *Robert Kowalski *Massimo Macrì Bruno Giudice °Marco Lamberti Ermanno Franco °Giuseppe Lercara Marco Dell’Acqua Corni Antonio Bassi Stefano Blanc *Ettore Bongiovanni Constantin Beschieru Eduardo dell’Oglio Gabriele Amarù Lorenzo Brufatto Pietro Di Somma Emilio Mencoboni Irene Cardo Amedeo Fenoglio Paolo Valeriani Aldo Cicchini Michelangiolo Mafucci Patricia Greer Carlo Pezzati Trombe Valerio Iaccio Fabio Storino *Roberto Rossi Martina Mazzon Alessandro Caruana Enxhi Nini Contrabbassi Daniele Greco D’Alceo Francesco Punturo *Gabriele Carpani Matteo Ruffo Antonello Labanca Tromboni Elisa Schack Silvio Albesiano *Joseph Burnam Luca Bagagli Alessandra Avico Antonello Mazzucco Alessandro Belli Violini secondi Pamela Massa Trombone basso *Paolo Giolo Cecilia Perfetti Gianfranco Marchesi Enrichetta Martellono Vincenzo Antonio Valentina Busso Venneri Tuba Pietro Bernardin Matteo Magli Roberto D’Auria Flauti Paolo Lambardi *Dante Milozzi Timpani Isabella Tarchetti Luigi Arciuli *Claudio Romano Daniele Cabassi Percussioni Carlotta Conrado Ottavino Carmelo Giuliano Gullotto Claudia Curri Fiorella Andriani Alberto Occhiena Daniela Godio Emiliano Rossi Marta Violetta Nahon Oboi Anna Pecora *Nicola Patrussi Arpe Cosetta Ponte Sandro Mastrangeli *Margherita Bassani Ilaria Bergamin Viole Corno inglese *Ula Ulijona Teresa Vicentini Matilde Scarponi *prime parti Giovanni Matteo Brasciolu Clarinetti °concertini Nicola Calzolari *Luca Milani Federico Maria Fabbris Graziano Mancini Riccardo Freguglia Alberto Giolo Clarinetto basso Agostino Mattioni Salvatore Passalacqua Davide Ortalli Clara Trullén-Sáez Fagotti Greta Xoxi *Andrea Corsi Martina Anselmo Mauro Monguzzi
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1 RAI NUOVAMUSICA Giovedì 31 ottobre 2019 ore 20.30 RYAN MCADAMS direttore SIMONE DINNERSTEIN pianoforte Charles Ives The Unanswered Question, per orchestra Philip Glass Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra d’archi Andrew Norman Play, per orchestra (Prima italiana) Il Concerto è gratuito per tutti gli abbonati alla Stagione Sinfonica Poltrona numerata: 5€ (in ogni settore) Poltrona numerata Under35: 3€ (in ogni settore) BIGLIETTERIA: Via Rossini, 15 011.8104653 - biglietteria.osn@rai.it - www.osn.rai.it
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