L'estetica cinematografica e la filosofia del/nel cinema - Paolo Quintili
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L'estetica cinematografica e la filosofia del/nel cinema Paolo Quintili quintili@lettere.uniroma2.it
il significato storico del cinema • Un tema di grande interesse, nella storia della cultura occidentale, è la nascita del cinematografo, com'è noto in Francia (1895), in coincidenza con lo sviluppo dell'intuizionismo di Bergson, della fenomenologia trascendentale di Husserl e con la parallela affermazione della "nuova psicologia" della forma (Gestalt). • Si tratta di tre eventi epocali che non vengono a coincidere per caso.
Il cinematografo e la Mobilisation infinie • Il secolo XX si apre con il consolidamento di una caratteristica peculiare della Modernità: la "mobilizzazione infinita" (P. Sloterdijk). • La Modernità è ontologicamente un puro essere-verso-il-movimento, in perpetua trasformazione. • Il cinematografo, in quanto arte della scrittura di immagini in movimento, esprime in modo eminente l'avvento di questo carattere-valore storico della mobilizzazione.
G. Deleuze e M. Merleau-Ponty • Due filosofi più vicini a noi, Gilles Deleuze (1925-1995) e Maurice Merleau-Ponty (1908- 1961) hanno svolto delle analisi molto acute sulla natura filosofica dell‟opera cinematografica in rapporto alla filosofia stessa, alle radici del pensiero occidentale. • Deleuze è autore di due scritti sul cinema: L‟image mouvement – Cinéma 1 (1983) e L‟image-temps – Cinéma 2 (1985). • Merleau-Ponty ha dedicato alla settima arte un saggio di grande rilievo : Le cinéma et la nouvelle psychologie (1945), conferenza tenuta all‟Institut des hautes études cinématographyques.
Bergson e l‟image mouvement • Uno dei primi temi che Deleuze affronta in L‟image-mouvement è quello della natura del movimento, problema classico della filosofia. • Nel farlo, si confronta con tre tesi di Henri Bergson (1859-1941), formulate nelle due opere contemporanee alla nascita del cinematografo : Matière et mémoire (1896) e L‟Evolution créatrice (1907). • 1a tesi : i quattro generi di movimento (kìnesis) individuati dalla scienza aristotelica erano: 1/ traslazione; 2/ generazione; 3/cambiamento quantitativo; 4/cambiamento qualitativo.
La metafisica del moto • La rivoluzione scientifica del „600 segna la “caduta” dei generi qualitativi della kinesis, per lasciar spazio al solo moto meccanico di traslazione. • La metafisica del moto, in Occidente, nondimeno oscilla costantemente tra sostanza e flusso. In contropartita alla perdita dei moti qualitativi, la nuova scienza ha istituito il dualismo tra una res cogitans sostanziale (anima, mente ecc.) e un flusso fenomenico materiale, proprio del mondo della fisica, misurabile in termini matematici. • Ecco il dualismo: anima e meccanismo, idee e movimenti, facoltà della coscienza e leggi del corpo.
Il movimento-durata • Il rinnovamento dei paradigmi di pensiero, occorso con l‟Illuminismo, ha condotto a nuova formulazione delle conoscenze sulla vita, la storia della vita, lo psichismo, il cervello, la memoria, l„atomo ecc. • Il cinematografo è entrato in scena, un secolo dopo, precisamente nel momento in cui quel dualismo iniziava a vacillare in modo definitivo, ossia nel momento di una “crisi storica della psicologia”. • E‟ il momento in cui, con la nuova psicologia, il mondo entrava nella coscienza. Il movimento entrava dentro la coscienza interna del tempo, in quanto durata.
Il movimento reale • Ecco la prima tesi di Bergson, presa in esame da Deleuze: • “Non si può ricostituire il movimento con posizioni nello spazio o con istanti nel tempo, cioè con delle „sezioni‟ immobili… Tale ricostituzione si fa solo congiungendo con le posizioni o con gli istanti l‟idea astratta di una successione, di un tempo meccanico, omogeneo, universale e ricalcato dallo spazio, lo stesso per tutti i movimenti”. • Conclusione: “Si oppongono allora due formule irriducibili: „movimento reale -> durata concreta‟, „sezioni immobili + tempo astratto‟ “. (L‟immagine-movimento, Milano, 1984, pp. 13-14). Il movimento e l‟istante.
La natura dell‟istante • 2a tesi: L‟evoluzione creatrice (1907) chiama “illusione cinematografica” quell‟errore di concetto, proprio del pensiero occidentale (fin dall‟età di Zenone), di ricostituire il movimento con istanti o posizioni giustapposti. • Ma ci sono due modi per farlo, l‟antico e il moderno. Per gli antichi il movimento rinvia ad elementi intelligibili, Forme o Idee che sono esse stesse immobili ed eterne. • Per ricostituire il moto, si coglieranno allora tali forme nel momento più prossimo alla loro attualizzazione in una materia-flusso. • Sono potenzialità che passano all‟atto solo incarnandosi in una materia. • L‟istante è un elemento formale trascendente, “una posa”, osserva Deleuze, che s‟incarna nella materia. • “Il movimento così concepito sarà dunque il passaggio regolato da una forma all‟altra, cioè un ordine delle pose o degli istanti privilegiati, come in una danza” (ivi, p. 16).
Istanti privilegiati e istanti qualsiasi • La dinamica del moto degli antichi, secondo Bergson, disegna lo schema seguente: • Forma (archè) -> punto culminante (acmè) -> termine finale (tèlos). Questi periodi del moto sono “riempiti” dal passaggio (metaxù) da una forma a un‟altra. • Secondo Bergson, il pensiero antico erige a momenti essenziali o istanti privilegiati i punti della triade che esprimono l‟insieme del fatto nel linguaggio. • La Rivoluzione scientifica moderna, osserva Deleuze: • “E‟ consistita nel ricondurre il movimento non più a degli istanti privilegiati, ma all‟istante qualsiasi. Anche a costo di ricomporre il movimento, non lo si ricomponeva più a partire da elementi formali trascendenti (pose), ma a partire da elementi materiali immanenti (sezioni) [coupes]. • L‟astronomia e la fisica moderne si sono costituite così, attraverso un‟analisi sensibile delle sezioni materiali del movimento, invece che attraverso la sintesi intelligibile delle forme del moto (archè, acmè tèlos, metaxù).
Il cinema, l‟ultimo della stirpe moderna delle arti • Osserva acutamente Deleuze: • “Ovunque, la successione meccanica di istanti qualsiasi sostituiva l‟ordine dialettico delle pose (…). Il cinema sembra essere appunto l‟ultimo nato di questa stirpe evidenziata da Bergson. Si potrebbe concepire una serie di mezzi di traslazione (treno, auto, aereo…), e parallelamente una serie di mezzi di espressione (grafica, foto, cinema…): la macchina da presa apparirebbe allora come un meccanismo di scambio, o piuttosto un equivalente generalizzato dei movimenti di traslazione” (ivi, p. 17). • Il cinematografo (alcuni teorici insisteranno su questa denominazione) è come la scatola magica che “riproduce il movimento in funzione del momento qualsiasi, cioè in funzione di istanti equidistanti scelti in modo da dare l‟impressione di continuità” (ibidem). • Il cinematografo riscrive la realtà nella coscienza…
Movimento e cambiamento. • 3a tesi. E‟ un terzo punto di vista sul cinema. • Per la seconda tesi il cinema può essere definito come “il sistema che riproduce il movimento riportandolo all‟istante qualsiasi” (ivi, p. 18). • In questa tesi s‟afferra pure l‟essenza tecnica del cinematografo (e la sua “illusione”), ma in essa non s‟offre alcun interesse dal punto di vista artistico. • L‟arte sembrava doversi legare a una sintesi più alta del movimento e “restare legata alle pose e alle forme che la scienza aveva ripudiato. Ci troviamo proprio nel cuore della situazione ambigua del cinema come „arte industriale‟: non era né un arte né una scienza” (ivi, p. 19). • In questione, nell‟analisi del movimento d‟immagini, è il ruolo che vi gioca il cambiamento. 3a tesi.
Il tutto, o la durata • Nella prospettiva della terza tesi, il cinematografo si presenta come l‟arte della rappresentazione del cambiamento, nelle immagini della coscienza. L‟arte della rappresentazione e della produzione del nuovo. • Gli antichi si riproponevano di pensare l‟eterno, i moderni sono i paladini del divenire, del cambiamento, legato alla mobilizzazione infinita. • Osserva dunque Deleuze, leggendo Bergson: • “Non soltanto l‟istante è una sezione immobile del movimento, ma il movimento è una sezione mobile della durata, cioè del Tutto o di un tutto. Ciò implica che il movimento esprime qualcosa di più profondo del cambiamento nella durata o del tutto (…). Ciò che costituisce problema è da una parte questa espressione, dall‟altra questa identificazione tutto- durata” (ivi, p. 20). • Eccoci giunti alla definizione del cinematografo come arte dell‟espressione (o scrittura) di un tutto-durata, tramite immagini-movimento. Una nuova arte…
L‟espressione artistica di un tutto temporale • Nel primo capitolo di L‟image-mouvement, Deleuze ha messo a fuoco i concetti-chiave della nuova arte, tramite Bergson: • “Il movimento è una traslazione nello spazio. Ora, ogni volta che vi è traslazione di parti nello spazio, c‟è anche cambiamento qualitativo in un tutto (…). Un animale si muove, non gratuitamente, ma per mangiare, per migrare ecc. Si direbbe che il movimento suppone una differenza di potenziale e si propone di colmarla”. • “Se considero astrattamente delle parti o dei luoghi, A e B, on capisco il movimento che va dall‟uno all‟altro. Ma io sono in A, affamato, e in B c‟è del cibo. Quando ho raggiunto B e dopo aver mangiato, ciò che è cambiato non è soltanto il mio stato, è lo stato del tutto che comprendeva B, A e tutto ciò che c‟era tra essi (…). Il movimento rinvia sempre a un cambiamento” (ivi, pp. 20-21).
Il tutto come l‟Aperto… • I sistemi temporali dinamici, propri della coscienza, e gli equivalenti cinematografici della loro rappresentazione in un tutto (più o meno artistico), sono sistemi aperti. • Cosa vuol dire ciò? Cosa vi è implicato ? • Bergson, nella sua terza tesi, presenta dunque l‟analogia seguente: • Sezioni immobili/movimento = movimento come sezione mobile /cambiamento qualitativo. L‟Aperto tutto dell‟esperienza. • Il primo rapporto esprime un‟illusione, la quale si risolve nel rapporto di destra, esprimente la realtà. Ecco l‟operazione artistica del cinema.
Pan-visualismo e fenomenologia • Partiamo dalla conclusione di Deleuze, a proposito del cinematografo, che si riassume in tre capi: • “1) non vi sono soltanto delle immagini istantanee, cioè sezioni immobili del movimento; 2) vi sono immagini-movimento che sono sezioni mobili della durata; 3) vi sono infine immagini-tempo, cioè immagini-durata, immagini-cambiamento, immagini- relazione, immagini-volume, aldilà del movimento stesso…” (ivi, p. 24). • Tocchiamo qui un pan-visualismo, per così dire, dal quale si procede poi ad abbozzare una vera e propria nomenclatura concettuale del linguaggio cinematografico, o della percezione in generale. • Tale approccio ha un precedente illustre nella Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty.
Il tutto non può essere “dato” • Deleuze rileva, sulla scia di Bergson, che nell‟opera cinematografica il tutto non può essere dato: ad es. di un‟esistenza narrata in un film non si può dar conto mai in modo integrale. Perciò: • “Se il tutto non può essere dato, ciò avviene perché esso è l‟Aperto, e spetta a lui cambiare senza tregua e far sorgere qualcosa di nuovo, insomma durare. „La durata dell‟universo deve essere una sola cosa con la latitudine di creazione che può trovarvi posto‟. Tanto che ogni volta che ci si troverà davanti a una durata o in una durata, si potrà concludere con l‟esistenza di un tutto che cambia, e che è aperto in qualche parte”. • Per Bergson la durata è identica alla coscienza, che è apertura su un tutto in evoluzione. • L‟ “evoluzione creatrice” è quel “registro aperto in cui s‟iscrive il tempo”. • Il cinematografo è l‟arte che dà meglio conto di come e cosa vi può essere scritto nel registro.
I due aspetti del moto • Concludendo l‟analisi filosofica dei fondamenti del cinematografo, Deleuze si sofferma sulla questione della natura del tutto in movimento. In questo s‟individuano due aspetti. • L‟essere in relazione (oggettivo) e la durata (soggettivo). L‟opera cinematografica riunisce in sé entrambi e li “riconcilia” artisticamente: • “Al termine di questa terza tesi, ci troviamo in effetti su tre livelli: 1) gli insiemi o sistemi chiusi, che si definiscono attraverso oggetti discernibili o parti distinte; 2) il movimento di traslazione, che si stabilisce tra tali oggetti e ne modifica la rispettiva posizione; 3) la durata o il tutto, realtà spirituale che non cessa di cambiare secondo le sue relazioni proprie” (ivi, pp. 23-24).. • Deleuze riconosce all‟opera, nella rappresentazione del moto, questi tre livelli come livelli interagenti che si aprono gli uni agli e sugli altri.
Immagini-movimento e immagini-tempo • Ecco dunque messa a fuoco da Deleuze la caratteristica peculiare del cinema, come dell‟arte che meglio esprime la realtà propria dell‟epoca della mobilizzazione infinita: • “Col movimento il tutto si divide negli oggetti e gli oggetti si riuniscono nel tutto: e, tra loro, per l‟appunto, „tutto‟ cambia. Possiamo considerare gli oggetti o le parti di un insieme come sezioni immobili; ma il movimento si stabilisce tra queste sezioni, riporta gli oggetti o le parti alla durata di un tutto che cambia, esprime dunque il cambiamento del tutto nei confronti degli oggetti, è esso stesso una sezione mobile della durata”. • Per Deleuze la “tesi tanto profonda” del primo capitolo di Materia e memoria è dunque la concettualizzazione meglio riuscita dell‟essenza dell‟arte cinematografica.
Fenomenologia e cinema • La Phénoménologie de la perception (1945) esce nello stesso anno della conferenza sul cinema. • Il cinema è un “caso” utile a MP per illustrare le proprie idee, un oggetto ideale per chiarire il valore della percezione sensibile, dal punto di vista fenomenologico. • La direzione d‟analisi è simile a quella seguita da Deleuze, ma svolta in senso inverso. L‟intenzione non è quella di definire un linguaggio concettuale del cinema, sulla base del suo radicamento nella cultura filosofica occidentale, bensì quella di trovare, nel cinema, il motivo per chiarire alcuni problemi essenziali della filosofia della percezione. • Il mondo è sempre “già là” per la percezione. Gli oggetti della percezione sono degli interi, dei pieni semantici cui il soggetto deve ritornare (zu den Sachen selbst!), per coglierne il senso e vivere un‟esperienza autentica del mondo. • Il cinema offre a MP un esempio di “tutto” estetico- temporale pieno, che soddisfa le condizioni di un‟esperienza autentica…. CINEMA -> SENSO.
Cos‟è “avere un‟esperienza”? • Lo sfondo della riflessione di MP è quello della nouvelle psychologie, cioè la psicologia della Gestalt (forma). • I capisaldi: a differenza della psicologia fisiologica, che analizza le parti minimali della senzazione, misurandone i parametri, la Gestalt prende in esame le configurazioni globali del senso che prendono gli oggetti sottoposti all‟attenzione dei soggetti percipienti. • Noi percepiamo sempre degli interi e non delle parti o “sensazioni” isolate, secondo regole precise (es. gli “oggetti ambigui” : IMMAGINI). • La percezione si presenta dunque in un insieme e in una serie significativa che costituisce la forma del senso. • L‟esperienza percettiva è concepita come una serie di insiemi semantici portatori di un senso individuale in rapporto all‟io percipiente, in contesto intersoggettivo (il problema della propriocezione e dell‟allocezione).
Le leggi della Gestalt • Ecco le cosiddette Leggi dell'organizzazione della forma • (C. von Ehrenfels , M. Wertheimer) : • 1. Legge della vicinanza, per la quale quanto minore è la distanza, nello spazio e nel tempo, che separa gli oggetti di un insieme, tanto più grande sarà la tenndenza a percepire quegli oggetti che appartenenti a un'unità. • 2. Legge della similarità, per cui all'interno di un insieme costituito da più elementi, si manifesterà la tendenza a raggruppare gli elementi che sono maggiormente simili tra loro. • 3. Legge del destino comune, che afferma la tendenza a percepire come appartenenti a un unico oggetto le cose che si muovono insieme, allo stesso tempo e nella stessa direzione. • 4. Legge della direzione: se un modello continua nella stessa direzione di un altro, i due modelli verranno percepiti come appartenenti alla stessa unità. • 5. Legge della forma chiusa, per la quale si tende a percepire come appartenenti a un'unità coerente gli oggetti disposti secondo figure chiuse, regolari, simmetriche.
Moi et Autrui • Le configurazioni globali di senso offerte alla percezione (che è sempre permeata di corporeità), assumono in ogni caso un valore affettivo, passionale. • Significativa è la questione della percezione di sé (propiocezione), in rapporto all‟oggetto e all‟altro io (Autrui). • In effetti, quando ci trasferiamo sul piano di questa percezione complessa, l‟oggetto proprio del percepire non è più una “cosa”, bensì un agire, un comportamento e il concatenarsi del suo insieme, carico di senso. • Il cinema presenta allo spettatore questo preciso genere di “oggetti”. Eventi, azioni, comportamenti, che investono lo spettatore nella loro storia. • Tali oggetti prendono il loro senso globale in un preciso rapporto di relazione affettiva. • Nel cinema, è attraverso il montaggio che si costruiscono queste configurazioni di senso soggettivo.
Critica della psicologia “classica” • MP osserva : «Gli psicologi d‟oggi fanno notare che l‟introspezione, in realtà, non mi dà quasi niente. Se tento di studiare l‟amore o l‟odio con la pura osservazione interiore, trovo solo poche cose da descrivere: qualche angoscia, qualche palpitazione di cuore, insomma dei turbamenti banali che non mi rivelano l‟essenza dell‟amore né dell‟odio». • « Ogni volta che arrivo a delle osservazioni interessanti, è per il fatto che non mi sono accontentato di coincidere con il mio „sentimento‟; è perché sono riuscito a studiarlo come un comportamento, come una modificazione dei miei rapporti con l‟altro e con il mondo; è perché sono giunto a pensarlo nel modo in cui penso il comportamento di un‟altra persona della quale mi trovo ad essere il testimone…». • L‟amore non esiste come sentimento ma come gesto. La struttura del cinema come arte si regge su questa regola della rappresentazione degli affetti. • Dirà J. Cocteau, nel film di R. Bresson, Les Dames du Bois de Boulogne: «Il n‟y a pas d‟amour, il n‟y a que des preuves d‟amour».
Una filosofia delle emozioni corporee • MP rimarca il fatto che il senso di un‟azione è comprensibile ben prima che questo si possa esprimere attraverso il linguaggio (infanti). • Dunque tale senso è come aderente ad un corpo/mente che lo agisce in una condotta specifica: • «E‟ necessario respingere qui quel pregiudizio che fa dell‟amore, dell‟odio o della collera delle “realtà interiori” accessibili a un solo testimone, colui che le prova. Collera, vergogna, odio, amore non sono dei fatti psichici nascosti nel più profondo della coscienza altrui; sono dei tipi di comportamento ovvero degli stili di condotta visibili dall‟esterno. Sono su quel viso o in quei gesti e non nascosti dietro ad essi». • La psicologia ha iniziato a svilupparsi solo il giorno in cui ha rinunciato a distinguere il corpo dalla mente, in cui ha abbandonato i due modi correlativi dell‟osservazione interiore e della psicologia fisiologica. (…) Fare della psicologia della collera, è cercare di fissare il senso della collera, significa domandarsi quale ne è la funzione in una vita umana e, in qualche modo, a che cosa serve».
Un uomo “gettato nel mondo” • Cosa ci fa vedere dunque – come ci farà vedere il cinema - la nuova psicologia ? • «In una maniera generale, la nuova psicologia ci fa vedere nell‟uomo non un intelletto che costruisce il mondo, ma un essere che vi è gettato e vi è attaccato come per un legame naturale. Di conseguenza essa ci rinsegna (réapprend) a vedere questo mondo con il quale siamo in contatto con tutta la superficie del nostro essere, mentre la psicologia classica lasciava da parte e abbandonava il mondo vissuto, per quel mondo che l‟intelligenza scientifica riesce a costruire». • Ecco che il cinema interviene a sottolineare questa necessità, per l‟uomo “gettato” nel vortice della mobilizzazione infinita, di rivedersi, di conoscersi da una prospettiva autentica di relazione, con sé e con gli altri. • Il fine : inventare un nuovo modo di sentire e di essere al mondo. Il cinema, perciò, apparve fin da subito un‟arte rivoluzionaria. Il montaggio ne è la chiave.
L‟esperienza di Kuleshov e Pudovkin (1922) • MP al proposito fa menzione di una “celebre esperienza” di montaggio compiuta negli anni ‟20, da Pudovkin e Kuleshov, prima dell‟avvento del sonoro (1926). • I cineasti rivoluzionari erano, insieme a Ejzenstein, i firmatari del Manifesto sul contrappunto audiovisivo, in cui ponevano le basi tecniche delle forme di espressione del senso cinematografico (l‟unità di suono e immagine nel senso). • Pudovkin e Kulechov mostrano come il senso affettivo delle immagini si realizza nella serie dei montaggi che si succedono temporalmente sullo schermo [ESEMPIO : film].
Il montaggio e il senso • I registri montano insieme tre sequenze formate da gruppi di due inquadrature successive. • L‟idea si può riassumere così: il valore di un piano e di una serie di inquadrature dipende dalla loro posizione nel montaggio. • In altre parole; la maniera in cui i piani sono concatenati influenza la maniera con la quale lo spettatore li percepisce e li interpreta. • Nella prima sequenza, è inquadrato in primo piano un piatto di minestra e, in successione, è inquadrato l‟attore Mosjukin; • Nella seconda, è inquadrata una bara con una bambina morta, seguita dall‟inquadratura dello stesso attore, con lo stesso volto; • Nella terza inquadrata c‟è una languida figura femminile stesa su un divano, seguita dal medesimo volto di Mosjukin.
Il senso affettivo delle immagini in movimento • L‟ “effetto Kuleshov” produce dunque una declinazione affettiva diversa della stessa inquadratura (in movimento) di Mosjukin, a seconda di quale inquadratura lo segue. • Abbiamo questa serie di sequenze: • 1 : Piatto– Mosjoukine - fame 2 : Cadavere – Mosjoukine – tristezza, gravità 3 : Donna – Mosjoukine – desiderio. • Osserva MP : “Il senso di un‟immagine dipende dunque da quelle che la precedono nel film, e la loro successione crea una nuova realtà che non è la semplice somma degli elementi impiegati. R. Leenhardt aggiungeva in un eccellente articolo, che occorreva ancora far intervenire la durata di ciascuna immagine: una durata breve conviene al sorriso divertito, una durata media, al viso indifferente e una durata lunga all‟espressione dolorosa” (p. 17).
Il ritmo cinematografico • Il montaggio crea, attraverso la concatenazione temporale delle immagini movimento, un nuovo mondo, parallelo a quello reale, che obbedisce a delle nuove regole. • Un mondo che ha un suo ritmo, scandito dalle immagini mobili. • Ecco la definizione del ritmo cinematografico che offre MP, seguendo il critico Leenhardt (Esprit, 1936): • « “Un ordine delle visioni (vues) tale che, per ciascuna di quelle visioni o „piani‟ si dia una durata tale che l‟insieme produca l‟impressione ricercata, con il massimo d‟effetto”. C‟è dunque una vera e propria metrica cinematografica, la cui esigenza è molto precisa e imperiosa. “Vedendo un film, provate a indovinare l‟istante in cui un‟immagine che ha dato il suo „pieno‟, passa, deve finire, essere sostituita (…). Imparerete a conoscere quel malessere al petto prodotta da una visione troppo prolungata che „frena‟ il movimento o quella deliziosa ,intima acquiescenza, quando un piano „passa‟ esattamente in un altro…” (…).» • «Il film appare come una forma estremamente complessa all‟interno della quale delle azioni e delle reazioni estremamente numerose si esercitano in ogni momento, le cui leggi restano da scoprire e finora sono state soltanto indovinate dal fiuto o dal tatto del registra che manipola il linguaggio cinematografico come l‟uomo della strada manipola la sintassi, senza pensarci espressamente».
Mondo o forma temporale • Perché dunque il cinema è diventato l‟arte maggiore del nostro tempo, tanto pervasiva, anche nelle forme più basse e degenerate (TV, trash ecc.) ? Non è difficile da comprendere. • Il film, osserva MP (e con lui Deleuze), estende e potenzia (o indebolisce, nel caso del trash) il nostro mondo d‟esperienza, attraverso il coinvolgimento in realtà esistenziali-esperienziali allargate dalla fantasia del montatore, registra, sceneggiatore ecc. • Il film, appunto, è l‟arte collettiva, plurale per definizione. Un registra da solo non potrebbe far nulla, e non fa nulla di fatto, senza una buona sceneggiatura, senza un buon fotografo, un buon montatore ecc. ecc. Rari sono i casi di cineasti “totali” (Fellini, Antonioni, Kurosawa) che fanno quasi tutto l‟essenziale da soli. • Il mondo del film è dunque un mondo altro e universale, che si affianca al mondo reale, contrastandone l‟impero, indirizzandolo in un senso, cospirando con esso o contro di esso.
Il dialogo del film • Nella parte conclusiva della conferenza, MP si pone alcune domande essenziali: • Con quali materiali determinanti lavora il film, oltre evidentemente le immagini in movimento? • L‟assemblaggio audiovisivo è uno di tali momenti determinanti, che implica anche una precisa teoria del dialogo (e dei silenzi) sullo schermo. • MP. sulla scia di André Malraux (Verve, 1940) mette a fuoco tre generi di dialogo nelle arti del racconto : • 1/ Il dialogo d‟esposizione (le circostanze); • 2/ Il dialogo di tono (Proust, il dettaglio); • 3/ Il dialogo di scena, quello adottato nel cinema (p. 19), che ci presenta il vero dibattere e confrontarsi dei comportamenti dei personaggi visibili e agenti sullo schermo. • E‟ una delle virtù maggiori del cinema quella di concertare il sonoro e l‟immagine, il dialogo e i silenzi, densi di senso, legati alla fotografia mobile delle inquadrature. • Il cinema lavora su questo doppio piano dell‟audio-visivo e sul contrappunto (Ejzenstein) tra i piani. Il ruolo della musica : realizzare una «rottura d‟equilibrio sensoriale».
Il significato del film • La domanda conclusiva di MP sul cinema riguarda il suo stesso senso, in quanto opera d‟arte: • «Che significa, che vuol dunque dire il film ? Ciascun film racconta una storia, cioè un certo numero di eventi che mettono alle prese con dei personaggi e che possono anche essere raccontati in prosa, come lo sono, in effetti, nella sceneggiatura, dalla quale il film è tratto. Il cinema parlando, con il suo dialogo a volte invadente, completa la nostra illusione». • «Il problema che incontriamo qui, l‟estetica l‟ha già incontrato a proposito della poesia o del romanzo. C‟è sempre, in un romanzo, un‟idea che si può riassumere in qualche parola, una sceneggiatura che sta dentro poche righe. C‟è sempre in un poema allusione a delle cose o a delle idee (…)». • «L‟arte del romanzo consiste nella scelta di ciò che si dice e di ciò che si tace, nella scelta delle prospettive (quel capitolo sarà scritto dal punto di vista del tale personaggio, quell‟altro dal punto di vista di un altro), nel tempo variabile del racconto (…). Nella stessa maniera , c‟è sempre nel film una storia e spesso un‟idea (…), ma la funzione del film non è di farci conoscere i fatti o l‟idea. Kant dice conprofondità che nella conoscenza l‟immaginazione lavora a vantaggio dell‟intelletto mentre nell‟arte è l‟intelletto che lavora a vantaggio dell‟immaginazione».
Il «cinegramma» • MP termina sull‟elaborazione di un concetto molto chiaro del lavoro del cineasta: la creazione di «emblemi sensibili» in movimento, in grado di farci esperire (non conoscere) artisticamente il senso di un tutto temporale. E‟ il germogliare di significati che restano come seppelliti nell‟agire quotidiano degli uomini. • Li potremmo chiamare, con termini nostri, dei cinegrammi: le «idee che sono rese allo stato nascente, che emergono dalla struttura temporale del film, come in un quadro dalla coesistenza mobile delle sue parti». • «L‟idea o i fatti prosaici stanno là solo per dare al creatore del film l‟occasione di cercar loro degli emblemi sensibili e di tracciarne il monogramma sensibile e sonoro. Il senso del film è incorporato al suo ritmo come il senso di un gesto è immediatamente leggibile nel gesto, e il film non vuol dire altro che se stesso». • «E‟ la felicità dell‟arte del mostrare come qualcosa si mette a significare, non con l‟allusione a idee già formate e acquisite, ma per mezzo della disposizione temporale o spaziale degli elementi». • Il film è composto da cinegrammi, o elementi interi di senso, che si mettono appunto a significare per noi spettatori, allargando (per noi inconsapevolmente) i confini delle nostre esistenze e esperienze.
Cinema e uomo. La sovra- realtà • MP, come farà di li a poco André Bazin (1918-1958), cineasta e critico fondatore dei Cahiers du Cinéma, s‟azzarda a definire una precisa relazione tra cinema e essere umano, afferrati entrambi nel loro rapporto problematico con la realtà, nel tentativo di dar conto di un‟ontologia («che cos‟è ?») del film. • «Un film significa che una cosa significa: l‟uno e l‟altra non parlano a un intelletto separato dal mondo, ma s‟indirizzano alla nostra facoltà di decifrare tacitamente il mondo o gli uomini e di coesistere con loro». • Il cinema ci consente di percepire il minimo passaggio, le «minime cose » dell‟esistenza, che si perdono nel fluire indifferenziato del tempo oggettivo delle cose. • «E‟ vero che nella vita, nel corso ordinario della quotidianità, noi perdiamo di vista quel valore estetico della minima cosa percepita. E‟ vero anche che nel reale la forma percepita non è mai perfetta, c‟è sempre del mosso, delle sbavature e come un eccesso di materia». • «Il dramma cinematografico, ha per dir così, una grana più fine del dramma della vita reale, accade in un mondo più esatto del mondo reale. Ma alla fine è grazie alla percezione che possiamo comprendere il significato del cinema: il film non si pensa, si percepisce…».
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