AMBROGIO LORENZETTI e SIMONE MARTINI - Virginia Gavazzi Barbara Carrus Vittoria Viganò Chiara Basilico
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AMBROGIO LORENZETTI e SIMONE MARTINI Virginia Gavazzi Barbara Carrus Vittoria Viganò Chiara Basilico
AMBROGIO LORENZETTI Biografia Ambrogio Lorenzetti nasce a Siena, nel 1290 circa. Con lui si conclude la grande stagione artistica senese del XIV secolo. Le notizie sulla sua vita sono poche e imprecise. Sebbene influenzato dalla pittura senese, Ambrogio, però, si accosta agli stilemi giotteschi. Vasari sembra preferirgli il fratello Pietro, mentre il Ghiberti ne loda capacità, umanità e saggezza, ponendolo al di sopra di Simone Martini La prima opera accreditata di Ambrogio risale al 1319. Si tratta di una Madonna con bambino dipinta per la chiesa di Vico l'Abate, piccola località nei pressi di Firenze. Da questa data in poi si può supporre che Ambrogio, pur provenendo da Siena, lavori in Firenze. Sappiamo che ricoprì anche importanti cariche politiche: nel 1327 viene immatricolato nell'Arte dei Medici e degli Speziali. Ambrogio, dunque, lavora assiduamente a Firenze e nella sua città natale, spesso in collaborazione col fratello Pietro. La sua reputazione di pittore risulta essere ottima e la critica accredita una forte influenza della pittura di entrambi i Lorenzetti sia in patria che fuori. Nel 1347, l'anno prima della morte avvenuta nella terribile peste del 1348, Ambrogio viene eletto membro del Consiglio dei Pacieri di Siena, carica che probabilmente gli viene conferita per la sua fama di grande pittore. Con Duccio Di Buoninsegna e Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti completa la triade del grandissimi della pittura di Siena. Produsse un'arte assai pacata, quasi filosofeggiante; in Ambrogio non si scorge nessuna traccia dell'ascendente di Duccio. Fu dotato di una singolare e spiccatissima personalità artistica, più unica che originale, e di un instancabile spirito di ricerca, sorretto da una inesauribile fantasia creativa, che gli consentì di dare forme sempre nuove ad ognuna delle sue opere. Gli elementi architettonici sono tuttavia notevolissimi nella sua pittura e, anche se costruiti più con mezzi fantastici che puramente matematici, vanno sempre più coordinandosi, per raggiungere infine un rigore prospettico capace di ottenere notevoli
effetti di profondità atmosferica, come è particolarmente evidente nelle opere più tarde. Ne produsse una grandissima quantità anche nei centri più lontani dello Stato Senese. Ambrogio fu per due volte a Firenze, e durante il primo soggiorno venne marginalmente influenzato dall'arte di Giotto, che ebbe un certo peso sul suo primo periodo di attività, al quale seguirono composizioni più preziose e ricche di ornamenti. Del 1319 è la «Madonna» di S. Angelo a Vico l'Abate, presso Firenze. Di epoca difficilmente precisabile (1320-1340 circa) e la tavola della «Madonna del Latte» nel Seminario Arcivescovile di Siena. L'artista eseguì per la Chiesa di S. Procolo a Firenze molte opere, delle quali, gran parte andate perdute(1330-32 circa); di esse restano quattro «Storie di S. Nicola» e un trittico, il tutto conservato nella Galleria degli Uffizi. Del 1330 circa è la «Maestà» nel Palazzo Comunale di Massa Marittima. Ambrogio eseguì anche molti lavori nel Convento e nella Chiesa di S. Francesco a Siena, dove, intorno al 1331, realizzò il bellissimo affreschi del «S. Ludovico da Tolosa che si congeda da Bonifacio VIII». In quest’ultimo, Ambrogio ci fornisce una eloquente e vivissima rappresentazione della società aristocratica del tempo, attraverso i gesti e i costumi dei personaggi, ognuno dei quali mostra di avere una propria e ben marcata individualità; per questo carattere di minuziosa ma spontanea riproduzione della realtà storica, l'opera anticipa, in certo qual modo, gli affreschi del «Buongoverno». La Pinacoteca Nazionale di Siena racchiude una quantità notevole di opere di Ambrogio di grandissimo valore; da ricordare una «Madonna con Bambino, Angioli e Santi», in cui lo splendore e la purezza dei colori, e la finezza delle decorazioni, rendono l'opera un capolavoro di squisita delicatezza; Del 1337-39 sono i celeberrimi affreschi del «Buono e Cattivo Governo» nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena. Non si può esitare a definire questa vasta rappresentazione, che più di ogni altra ha dato fama all'artista, come un vero e proprio capolavoro universale. L'insieme dell'opera, e certe figure caratteristiche, come la splendida rappresentazione allegorica de «La Pace», hanno giustamente fatto intravedere in Ambrogio un precursore della nuova mentalità prerinascimentale. L'opera è di capitale importanza per tutta la pittura successiva e si segnala per il colore, per la dinamicità dei personaggi, per la prospettiva, posti in forme del tutto nuove e originali. Ma a parte il valore intrinseco, l'affresco ha un'importanza fondamentale come documento storico, in quanto viene considerato come il primo dipinto puramente paesaggistico dell'intera storia della pittura, e può essere visto anche come una
rudimentale mappa del territorio senese del tempo. Gli affreschi sono inoltre una «fotografia» della Siena del tempo; è fortemente suggestivo ammirare la minuzia di particolari con la quale Ambrogio Lorenzetti rappresenta la vita in città e in campagna, mentre sul tutto aleggia un alto sentimento civico e morale, per capire appieno il quale, tuttavia, occorre fare alcune considerazioni. Non ci si meravigli, infatti, di trovare, negli affreschi del «Buon Governo», i malandrini impiccati alle porte della città. Bisogna intanto tenere presente che, al momento della realizzazione dell'opera, la potenza economica e commerciale di Siena aveva raggiunto il suo apice, così come il suo sviluppo demografico (Siena, con le «masse», cioè i territori di campagna che si estendevano fino a 10-12 chilometri dal perimetro murario, sfiorava i 200.000 abitanti). Ora, è evidente che i reggitori del Comune cercassero con ogni mezzo di far durare un simile stato di grazia, anche usando il pugno di ferro contro i disturbatori del quieto vivere. Quindi, secondo questo criterio morale, la «Pace» altro non era che il perfetto ordinamento della società, ed in questo senso ne parlava, proprio in quel tempo, Marsilio da Padova nel suo «Defensor Pacis»; in definitiva, si poteva anche fare la guerra per difendere questo tipo di «Pace». Dopo la realizzazione di questi affreschi, Ambrogio eseguì altre importanti opere, come la «Presentazione di Gesù» (1342), oggi conservata agli Uffizi, e soprattutto la tavola della «Annunciazione» (1344) proveniente dal Palazzo Pubblico di Siena, attualmente nella Pinacoteca della stessa città, che è anche la sua ultima opera conosciuta. Nelle sue opere più tarde Ambrogio, pur non alterando il carattere fantastico della sua arte, introduce alcune novità nelle costruzioni prospettiche e torna a dare forme ampie alle sue figure, rivestendole di uno splendido fasto decorativo. Conservate nella Pinacoteca di Siena troviamo anche alcune opere, tanto piccole per dimensioni quanto grandi per importanza artistica. Si tratta di due tavolette rappresentanti una «Città sul mare» (forse Talamone), e un «Castello sulla riva di un lago». I due dipinti costituiscono un «unicum» in tutta la pittura europea del Medioevo e del primo Rinascimento; si tratta infatti di pitture di «paesaggio puro».
Madonna di Vico l'Abate Con molta probabilità ricevette la prima formazione nella bottega di Duccio di Buoninsegna, così come era accaduto per Simone Martini. La pittura di Ambrogio era in questa fase di esordio caratterizzata da un solido approccio di stampo giottesco, ben diverso dalle sinuose raffinatezze di Simone Martini che allora dominavano la scena senese. Un esempio del suo primo stile è la Madonna col Bambino di Vico l'Abate (firmata, 1319), oggi al Museo di San Casciano, rigidamente frontale e di una presenza statuaria e possente; il solido e spigoloso trono ligneo irrigidisce ancora maggiormente la ferma presa di Maria sul bambino, e l'unica concessione fuori schema è il vivace bambino che si agita e scalcia come un vero infante. La tempera raffigurante la Madonna col Bambino è concordemente attribuito dalla critica ad Ambrogio Lorenzetti e fu realizzato nel 1319. Il trono su cui siede la Madonna è rivestito da una decorazione cosmatesca di reminescenza romanica, ma è impostato prospetticamente nello spazio, il che, unitamente alla monumentalità del corpo di Maria, ha fatto mettere in relazione la tavola con la pittura fiorentina. E' stato di contro osservato che non si tratta in realtà di un'immagine costruita volumetricamente e
scientemente inserita nello spazio, quanto di una figura dalle forme molto allargate, delineate nettamente e campite di colori; del resto anche la frontalità del volto e la sua rigidità sono ben lontani dall'umanità di certe Madonne di Giotto, si pensi alla Madonna di Ognissanti, realizzata pochi anni prima. Se la posa della Vergine è quella canonica, come lo sono le vesti (il manto blu notte sulla tunica rossa, secondo la tradizione bizantina), il Bambino non è raffigurato come l'incarnazione di Dio, nel consueto atto benedicente e con gli attributi relativi alla sua essenza sovrannaturale, ma come un infante reale con le nudità sommariamente avvolte dal drappo rosso, vigoroso e vivace, con gli occhi espressivi rivolti alla Madre, in netto contrasto con la rigidità e con lo sguardo fisso di questa. Ambrogio Lorenzetti, uno dei maggiori pittori senesi del Trecento, fu straordinariamente aperto ad ogni genere di stimolo culturale, elaborando ogni esperienza in modo personale: se la monumentalità della Madonna e la concretezza dei corpi tradiscono un'incontestabile influenza giottesca, che si rivela anche nel modo in cui viene arretrata la spalliera del sedile, così da ottenere un effetto di profondità spaziale, la sua matrice senese è evidente nella fitta decorazione che appiattisce lo schienale del trono, nei colori vividi e nelle linee di contorno che definiscono e sintetizzano le figure. Ambrogio, inoltre, dimostra di non essere estraneo neanche alla precedente tradizione duecentesca, recuperandola nell'arcaica ieraticità della Vergine e in certi dettagli, quali il "maforion" che le ricopre il capo e alcune lumeggiature tracciate sul manto. A Firenze Storie di San Nicola, 1332 circa Sviluppò una maggiore vena narrativa, come negli Episodi della vita di San Nicola agli Uffizi (1332 circa), dove costruì complesse architetture nelle quali svolgere la narrazione, evitando anche l'innaturale convenzione di sfondare le pareti per mostrare ciò che avviene nelle stanze. Per esempio nella scena di San Nicola che resuscita il bambino strozzato dal demonio, il bambino protagonista è raffigurato quattro volte in altrettanti momenti successivi, che si svolgono nei due piani di un edificio: il pian terreno è aperto da un arcone, mentre il piano superiore è visibile
tramite una loggia. In queste scene inoltre il fondo oro è ormai quasi abolito, con l'architettura che occupa quasi tutto lo sfondo. Rientro a Siena A Siena, dove nel frattempo il Martini era partito per Avignone (1336), quindi è più facile ottenere importanti commissioni, infatti nel 1337 e nel 1340 sono documentati i pagamenti per lavori al Duomo di Siena e al Palazzo Pubblico. In particolare per il governo comunale aveva realizzato un perduto disco girevole del Mappamondo (dal quale prese il nome la Sala del Mappamondo dove aveva lavorato Simone Martini), e soprattutto il suo capolavoro nella sala del Consiglio dei Nove: le due Allegorie ed effetti del Buono e Cattivo Governo, dispiegati su tre pareti opposte per una lunghezza complessiva di circa quattordici metri ciascuno, più i sette metri e settanta dell' Allegoria del Buon Governo sul lato breve della sala. Fu uno dei primi messaggi di propaganda politica in un'opera medievale.
Simone Martini Indicato talvolta anche come Simone Senese (Siena, 1284 – Avignone, 1344), è stato un pittore e miniatore italiano, considerato indiscutibilmente uno dei maestri della scuola senese e sicuramente uno dei maggiori e più influenti artisti del Trecento italiano. La sua formazione avvenne, probabilmente, nella bottega di Duccio di Buoninsegna. La sua opera degli esordi risente, infatti, degli stilemi artistici dell'artista. A soli quattro anni dalla collocazione della Maestà del Duccio sull'altare maggiore del Duomo di Siena, Martini dipinge un'altra Maestà. E' il 1315 e l'affresco viene collocato nel Palazzo pubblico di Siena. Martini è ancora molto giovane, ma sicuramente è già un pittore qualificato, tanto da aver ottenuto un incarico di una certa importanza. Nel 1321, l'affresco verrà ritoccato dallo stesso autore, per motivi di restauro ma anche per ammodernare alcune caratteristiche che egli, evidentemente, trova desuete. Un documento del 1317 attesta il pagamento in favore di un Simone cavaliere da parte di Roberto d'Angiò. E' quasi certo che egli fosse il Martini, che firma una tavola rappresentante San Ludovico di Tolosa (fratello di Roberto) che incorona il d'Angiò. In quegli anni il pittore attende alla complessa decorazione (comprendente affreschi e vetrate) della cappella di San Martino, nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi. Considerata la più alta espressione dei valori cortesi e cavallereschi, la cappella rappresenta un perfetto connubio tra valori religiosi e laicità, aprendo la via ad un'arte che pone l'attenzione sul terreno e sull'uomo. Nel 1319 la presenza di Martini è attestata a Pisa, dove dipinge un polittico per la chiesa del convento di Santa Caterina. Dagli anni venti in poi il pittore e la sua bottega producono molti altri politici di pregio, oggi disseminati in numerose città del mondo, da Orvieto a Boston, a Cambridge. Molti documenti dimostrano un continuo rapporto lavorativo con la città di Siena. Del 1328 è l'affresco dedicato a Guidoricco da Fogliano, conquistatore di Montemassico, opera che fronteggia la Maestà nel Palazzo pubblico. Nel 1333 Martini è a Firenze, dove dipinge l'Annunciazione (oggi agli Uffizi). Negli anni successivi, probabilmente a partire dal 1339, il pittore si trasferisce ad Avigone, dove trascorrerà il resto della vita. Egli lavora presso la corte papale di Benedetto XII, producendo opere in gran parte perdute. Fa eccezione un polittico dedicato a Napoleone Orsini. Martini è il primo artista a portare oltralpe gli stilemi artistici italiani. In tal senso la sua presenza in Francia è di fondamentale importanza per aver contribuito alla nascita di un gotico internazionale, che si diffonde grazie
all'opera dei miniatori. Martini è anch'egli miniatore, se ne conserva infatti, il frontespizio di un manoscritto di Virgilio con note di Petrarca. Il pittore muore ad Avignone nel 1344. L'affresco di Guidoriccio da Fogliano Nel 1330 tornò a lavorare al Palazzo Pubblico di Siena, affrescando nella sala del Mappamondo, sul lato opposto della Maestà di circa quindici anni prima, lo straordinario Guidoriccio da Fogliano all'assedio di Montemassi, per celebrare la presa dei castelli Sassoforte e Montemassi da parte del condottiero assoldato dai senesi. In questa famosa opera cui si mescolano un'ambientazione fiabesca con un acuto senso della realtà, il condottiero è l’immagine allegorica della potenza senese, e il paesaggio circostante ha un valore simbolico, con elementi tipici della guerra (steccati, accampamenti militari, castelli), senza alcuna figura umana. Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano all'assedio di Montemassi, affresco 968x340 cm, Sala del Mappamondo, Palazzo Pubblico, Siena
Altre opere a Siena Annunciazione degli Uffizi, 305x265 cm. La raffinatissima ed enigmatica Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita, eseguita per la chiesa di Sant'Ansano, sempre a Siena, e oggi visibile agli Uffizi di Firenze. È questa una delle opere più vicine al gotico transalpino che l'Italia abbia conosciuto. L'immagine si svolge tutta in un raffinato gioco di linee sinuose in superficie (nonostante il suggerimento spaziale affidato al trono disposto obliquamente). La Vergine si ritrae chiudendosi il manto, in una posa che è in bilico tra paurosa castità e altera ritrosia.
MAESTÀ 1313-1315 La sua prima opera datata è la Maestà, dipinta nel 1313-1315 (ritoccata nel 1321) nella sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena, dove si trova tutt'oggi. Si tratta di un'opera di un pittore sicuramente già maturo e affermato, fosse solo per il prestigio di una commissione pubblica così importante; fra le opere precedenti attribuitegli, la "Madonna con il bambino" , conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Siena costituisce un importante elemento di studio, anche in virtù del rapporto di Simone con la cultura gotica: si faccia un confronto fra la testa del bambino e le sculture di Marco Romano nel duomo di Cremona. Il grande affresco (970x763 cm) è una sorta di omaggio alla Maestà del Duomo di Siena di Duccio di Buoninsegna, dalla quale riprende l'impostazione (Maria e il Bambino al centro seduti su un trono, teoria simmetrica di santi ai due lati con in primo piano i protettori della città), anche se fin da quest'opera Simone mostra di differenziarsi dalla pittura a lui precedente per la squisita commistione di delicatezze e raffinatezze gotiche: la Madonna è più austera, aristocraticamente distaccata (non guarda lo spettatore), il trono cuspidato e il baldacchino da cerimonia rimandano a un gusto cortese di sapore transalpino. Diverso è anche il carattere delle due Maestà: eminentemente religiosa quella di Duccio, carica di significati morali e civici quella di Simone, commissionata dal governo dei Nove Signori in Siena. Anche la disposizione dei santi non segue una successione paratattica come in Duccio, ma corre invece lungo delle linee diagonali parallele che convergono in profondità dando un'illusione spaziale in prospettiva di sapore giottesco. Del tutto assente è in Simone
quell'horror vacui che sembra caratterizzare la Madonna duccesca: nella Maestà di palazzo pubblico ritroviamo altresì ampie porzioni di cielo azzurro. Da Giotto riprende inoltre la solidità del chiaroscuro, ma la gamma cromatica di Simone, affascinato dagli smalti e dalle oreficerie d'oltralpe, è più ampia e dotata di velature e passaggi più morbidi. Inoltre sia il disegno del trono, simile a uno di quei reliquiari "architettonici" tipici dell'epoca,, sia la novità della punzonatura (stampigliatura di motivi a rilievo tramite la pressione di "punzoni") delle aureole e dei fondi oro rimandano all'oreficeria senese del XIV secolo, uno dei campi artistici più vicini alla cultura gotica francese dell'epoca. Si tratta di un'opera dalla complessità compositiva, tecnica e semantica incredibili. Simone Martini lavorò all'affresco in più fasi: iniziò la maestà presumibilmente nel 1312- 13, continuò il lavoro fino a circa due terzi della superficie, salvo poi abbandonarla (molto probabilmente per recarsi ad Assisi, in cui attendeva la cappella di San Martino) per completare la parte inferiore, oggi assai deteriorata a causa della tecnica adottata, principalmente pittura a secco, solo successivamente: è interessante notare, lungo la cornice illusionistica, il segno di ripresa del lavoro, caratterizzato dall'uso di punzoni differenti e da incongruenze nella resa dei modiglioncini, particolarmente evidenti, questi, nel lato destro. Nel 1321 Simone è chiamato nuovamente a metter mano al proprio lavoro per la "raconciatura" di alcune porzioni d'affresco; vennero completamente rifatte in questo periodo le teste della Madonna, del Bambino, di Sant'Orsola e Caterina d'Alessandria, dei due angeli offerenti, dei Santi Ansano e Crescenzio.
La cappella di San Martino nella Basilica Inferiore di Assisi Investitura di San Martino (dettaglio dei musici), affresco (1317 circa), Basilica inferiore di Assisi Prima del 1317 iniziò il ciclo di affreschi con le Storie di San Martino nell'omonima cappella della Basilica inferiore di Assisi, dove si poté confrontare con altri maestri fiorentini di scuola giottesca allora attivi nel cantiere assisiate. Simone si aggiornò in alcuni elementi (solida intelaiatura architettonica realistica, gioco illusionistico di luci ed ombre con attenzione alle vere fonti di luce), ma non si adeguò passivamente alla scuola fiorentina, anzi è chiara una divaricazione tra il suo modo di dipingere e quello giottesco a partire dallo stesso tema dei dipinti: non le storie di un santo popolare come San Francesco, ma un raffinato santo cavaliere, del quale Simone sottolineò alcuni aspetti cortesi della leggenda. Per esempio nella famosa scena dell' Investitura di San Martino, l'azione è ambientata in un palazzo, con i musici di corte magnificamente abbigliati e con un servitore con tanto di falcone da caccia in mano. Il contesto di Simone è più fiabesco e assolutamente notevole è lo studio realistico dei costumi e delle pose; l'individuazione fisionomica nei volti (soprattutto in quelli naturalistici dei musici) non ha pari in tutta la pittura dell'epoca, Giotto compreso.
Alla corte di Roberto d'Angiò San Ludovico di Tolosa che incorona il fratello Roberto d'Angiò, 1317, tempera su tavola, 138x200 cm, Museo di Capodimonte, Napoli Nel luglio 1317 venne chiamato a Napoli da Roberto d'Angiò, che lo nominò cavaliere (assegnandogli una pensione annua) e gli commissionò una tavola celebrativa, San Ludovico di Tolosa che incorona il fratello Roberto d'Angiò, oggi conservato a Capodimonte, Napoli. Questa opera è un'icona profana, la prima del genere in Italia, che segna un preciso tema politico del momento: proprio quell'anno Ludovico di Tolosa venne canonizzato; essendo egli stato fratello maggiore di Roberto, quindi destinato al trono di Napoli, Ludovico aveva abdicato in favore del fratello per dedicarsi a vita religiosa; ecco dunque che Roberto voleva con questo dipinto creare un manifesto politico che legittimasse il suo potere. La pala ha anche un primato, cioè quello di essere il primo sicuro ritratto nella pittura italiana di un personaggio vivente (Roberto d'Angiò). Nella predella Simone dipinse cinque storie con ambientazioni in una prospettiva intuitiva di matrice giottesca, calcolata approssimativamente secondo il punto di vista di un osservatore che si ponga davanti in posizione centrale.
Avignone Poco dopo aver eseguito quest'opera (probabilmente 1336) Simone partì per Avignone, alla corte di Benedetto XII, dove eseguì degli affreschi per la chiesa di Notre Dame de Doms, tra i quali quello di San Giorgio e il Drago, oggi perduto, ma che viene descritto dalle fonti come splendido. Ad Avignone Simone conobbe il poeta Francesco Petrarca. Leggenda vuole che proprio il Martini abbia ritratto Laura, come celebrano i versi di due sonetti del Petrarca stesso. L'opera è oggi perduta (alcuni pensano comunque che i versi si possano riferire invece a Simone da Cremona, miniatore attivo a Napoli dal 1335 circa, ma è più probabile l'ipotesi del Martini): « Ma certo il mio Simon fu in paradiso, Onde questa gentil donna si parte; Ivi la vide e la ritrasse in carte, Per far fede quaggiù del suo bel viso » (Il Canzoniere, Per mirar Policleto a prova fiso) Oltre a ciò Simone miniò per l'amico letterato anche il frontespizio di un codice con le opere di Virgilio commentate da Servio (Biblioteca Ambrosiana, Milano). In questa fine rappresentazione Servio, il commentatore di Virgilio, scosta la tenda per mostrare il sommo poeta, mentre nella scena sono presenti un pastore, un contadino e un soldato, come metafora dei temi pastorali, bucolici ed epici cantati nell'opera. Figura 1Frontespizio del Commento di Servio a Virgilio, 1340, miniatura, Ms. S.P. 10/27, 20x29,5 cm, Biblioteca Ambrosiana, Milano L'ultima opera datata di Simone (e oggi conservata a Liverpool) è il Ritorno di Gesù fanciullo dalla disputa nel tempio (1342), dove compare un tema curioso e inedito: San Giuseppe che rimprovera il divino fanciullo, dopo la disputa.
BIBLIOGRAFIA Senesi da ricordare - Marco Falorni Pietro e Ambrogio Lorenzetti – Giovanna Ragionieri Simone Martini e la pittura gotica a Siena Dizionario biografico degli italiani Wikipedia
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