SPEGNI QUEL TELEFONO - Edizioni Piemme

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SPEGNI
                                         QUEL TELEFONO

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AZZURRA NOEMI BARBUTO

                       SPEGNI
                    QUEL TELEFONO
                                           Prefazione di
                                         Vittorio Feltri

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Pubblicato per

                                            da Mondadori Libri S.p.A.
                                     © 2018 Mondadori Libri S.p.A., Milano
                              Published by arrangement with Delia Agenzia Letteraria

                                              ISBN 978-88-566-6816-2

                                              I Edizione ottobre 2018

                                 Anno 2018-2019-2020 - Edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

                         Stampato presso ELCOGRAF S.p.A. - Stabilimento di Cles (TN)

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Alla mia nonna Antonietta,
                                         che se avesse avuto lo smartphone,
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Prefazione
                                         di Vittorio Feltri

                   Questo libro di Azzurra Noemi Barbuto ridà ai
                   telefonini, o smartphone, o iPhone, o samsung,
                   o uauei (si pronuncia così la versione cinese del
                   marchingegno), la loro dignità di strumenti, ri-
                   mettendoli al loro posto. Siamo noi i loro padroni,
                   e non il contrario. Servono a comunicare qualcosa
                   di noi al prossimo e viceversa, sono un comodo
                   prolungamento della voce e dell’orecchio, non
                   un’intercapedine maleducata tra noi e la realtà.
                   Ci mettono sotto il naso l’enciclopedia Treccani
                   senza bisogno di arrampicarsi con la scaletta in
                   libreria. Ci avvertono di notizie gravi o facete.
                   Guai se, come sta accadendo ogni giorno di più,
                   essi diventano gli stalker totalitari della nostra
                   esistenza già di per sé grama.
                      L’Autrice, con una prosa rapida ed elegante,
                   non propone la messa al bando dei cellulari quasi
                   fossero la peste. Ne riconosce l’utilità. Senza an-
                   nunciare l’apocalisse, propone una serie di vac-

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cinazioni salutari per non farsene divorare. In-
                    dica sentieri nella giungla per evitare di farsi
                    mordere dal serpente a sonagli di queste crea-
                    ture senz’anima, che avvelenano la nostra gior-
                    nata invece di adempiere alla loro funzione di
                    simpatici elettrodomestici. Con cura meticolosa
                    ma evitandoci la pedanteria dei moralisti, Az-
                    zurra consegna al lettore qualcosa di più di un
                    galateo formale. Consegna regole di buona edu-
                    cazione. Ci introduce in un mondo dove prevale
                    il rispetto per l’altro e per noi stessi. Basta poco.
                    Dire qualche volta di no. Spegnerlo. Silenziarlo.
                    Oppure applicare prudenza e decoro. A proposito
                    di fotografie intime, messaggi vocali, WhatsApp
                    o Facebook, basta un po’ di finezza d’animo per
                    non farsi divorare da queste bestie artificiali. Sa-
                    pendo che esse ci somigliano. Se cerchiamo di
                    essere migliori noi, lo saranno anche queste sca-
                    tolette elettroniche, e magari si seminerà il buon
                    esempio per gli altri.
                        Il compito è urgente. Ci riguarda persino in-
                    timamente.
                        Qualche tempo fa, in una tavolata di colleghi,
                    ahimè tutti più giovani ma non per questo meno
                    inutili di me, volli essere spiritoso, correggendo

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i costumi della compagnia. Tutti o quasi infatti
                   esponevano il cellulare in vista, in connessione
                   perenne con il mondo di cui non gliene importava
                   in realtà un fico secco, venendone ricambiati. Al-
                   cuni tra gli astanti sfoggiavano una fibbia o fer-
                   maglio bianchi o gialli, in tinta con le stanghette
                   degli occhiali, che strizzava i lobi dell’orecchio
                   a uso d’auricolare. Eccetto un paio di anziani ri-
                   noceronti, tra i quali me medesimo, cronisti, edi-
                   torialisti, modisti, direttori di qualsiasi sesso an-
                   che complicato davano più retta all’accidente che
                   gli appariva sul display (e se non si chiama così,
                   pazienza) che alle peraltro non gradevoli facce
                   e voci che, abbandonando il macchinario web,
                   cercavano di entrare nel campo uditivo e visivo
                   altrui. Impresa vana. Questa è una situazione che
                   tutti abbiamo vissuto e in cui inciampiamo quoti-
                   dianamente. Dovunque: a casa, in treno, qualche
                   volta – mi dicono – anche in chiesa e in funivia.
                   Torno però alla mia tavolata.
                      Il ristorante aveva apparecchiato il desco
                   comme il faut, tre o quattro bicchieri di varie fogge
                   cadauno, una serie di posate collocate secondo le
                   disposizioni dell’alta Corte di giustizia dell’Onu
                   o di Masterchef, che sono ormai la stessa cosa.

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Ciascun commensale era dentro la sua campana
                    di cristallo elettronico, compressi nella quale si
                    facevano talvolta gesti e si emettevano bollicine
                    come subacquei. Avrei voluto rovesciare il ta-
                    volo, ma pensai che non se ne sarebbero accorti,
                    o avrebbero cercato subito su internet la conferma
                    in tempo reale di un terremoto nelle vicinanze.
                    Decisi allora di usare il sarcasmo, prendendomi
                    la soddisfazione di svergognare i maleducati im-
                    mersi nel loro mondo separato. Dissi con tono
                    studiatamente odioso, il che mi riesce con una
                    certa naturalezza: «Scusate, ma secondo il gala-
                    teo, il cellulare dove si posa sul tavolo? A sinistra
                    oltre le forchette, o alla destra dei coltelli, oppure
                    tra il piatto e i bicchieri, o magari sul piattino al
                    posto del pane che non si deve mangiare se no
                    ingrassa?». Mi aspettavo visi rossi di vergogna, o
                    almeno rosé, e uno spegnimento unanime dell’at-
                    trezzo. Persino supposi che qualche fanatico mi
                    rovesciasse in testa la caraffa dell’aperitivo con
                    il prosecco e la frutta, urlandomi: «Fatti i mes-
                    saggini tuoi». Invece uno di loro, elegante e azzi-
                    mato, mi precisò: «Interessante questione. Hanno
                    imperversato su alcuni blog discussioni sull’ar-
                    gomento. Prevale l’idea di collocarlo alla destra

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dei coltelli». Dopo un istante di compiaciuto si-
                   lenzio, ripresero tutti le consuete attività virtuali.
                      Mi sono arreso a quel punto alla decadenza
                   della specie umana. La prevalenza del telefo-
                   nino fa rima con l’altra antica prevalenza: quella
                   del cretino. Più probabilmente coincidono. Lo
                   strumento della comunicazione si è ridotto in
                   quest’epoca balorda a pretesto per fuggire da chi
                   ti è vicino, alibi per scansare gli occhi del pros-
                   simo. Non vale più neppure l’invito all’esame
                   di coscienza. Io credo che alla coscienza costoro
                   farebbero un selfie, se ce l’avessero o risorgesse
                   per un disgraziato errore come una zombie dalla
                   memoria delle chiamate perse.
                      Questo libro fa rinascere due speranze. Una
                   grande: e che cioè faccia scuola, e invada come
                   una corrente di acqua pura le torbide pozze di
                   internet. Una più piccola, ma che può funzionare
                   come salvagente: adottare noi questo vademecum
                   per la sopravvivenza.
                      Aggiungo un ulteriore consiglio a quelli forniti
                   con saggezza e arguzia da Azzurra Noemi Bar-
                   buto. Non lo dà perché non ha abbastanza espe-
                   rienza di mondo: la giovane scrittrice per sua for-
                   tuna non ha mai avuto a che fare con incartamenti

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giudiziari. In essi le intercettazioni telefoniche
                    la fanno da padrone. Con le nuove normative le
                    conversazioni che non hanno interesse per l’ac-
                    cusa non sono trascritte. Ma i messaggini sono
                    riportati tutti e integralmente. Non ci sono santi.
                    Gli sms sono una maledizione eterna. Pertanto,
                    se dovete esagerare in espansività amorose, di-
                    telo, soprattutto fatelo, ma non scrivetelo.

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Introduzione

                   Che la litigiosità fosse una delle caratteristiche
                   peculiari di noi italiani, focosi e appassionati,
                   già lo sapevamo, ma che il cellulare ci abbia ad-
                   dirittura peggiorati lo ignoravamo. Secondo il
                   rapporto Global Mobile Consumer Survey 2016
                   di Deloitte, siamo il Paese europeo in cui si bi-
                   sticcia più spesso per il telefonino. A discutere
                   non è solo il 27% delle coppie, ma anche il 27%
                   dei figli, i quali, sentendosi trascurati, se la pren-
                   dono con i genitori per la loro abitudine di stare
                   sempre incollati al display. Se consideriamo che
                   il 93,1% degli abitanti della penisola è munito
                   di telefono mobile, secondo i dati contenuti nel
                   rapporto Italia dell’Eurispes riferiti all’anno 2016,
                   intuiamo che milioni di battibecchi si potrebbero
                   evitare se solo acquistassimo un minimo di edu-
                   cazione nell’uso di codesto strumento.
                      Insomma, ciò di cui abbiamo bisogno è sempre
                   lui: il caro buon vecchio galateo, sebbene moder-

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nizzato e adattato ai nuovi marchingegni della
                    tecnologia e al loro utilizzo.
                       Le regole basilari del bon ton da tenere presenti
                    quando impugniamo il nostro amato smartphone
                    non sono state ancora codificate, quindi prove-
                    remo a farlo noi in questo modesto manuale, par-
                    tendo da un incontrovertibile assunto di base,
                    un’ammissione necessaria: siamo diventati cel-
                    lulare-dipendenti. E questo ci rende anche dei
                    gran cafoni.
                       Essendosi tramutato in una sorta di appen-
                    dice artificiale del nostro corpo, ci siamo scordati
                    quale sia lo scopo fondamentale del telefonino:
                    trasmettere comunicazioni concise ed estempo-
                    ranee. Per le chiacchiere inutili, i pettegolezzi
                    noiosi, le ciance tediose, le lagne insopportabili,
                    hanno inventato l’ora del tè parecchi secoli fa e
                    quella dell’aperitivo più di recente.
                       Adesso spegnete quel dannato telefonino. E
                    buona lettura.

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Capitolo primo
                                          Le telefonate

                                     Cosa fare e cosa non fare
                                     durante quelle in uscita

                      È un istinto naturale a doverci condurre al ri-
                   spetto dell’altro. Qualcuno lo chiama “tatto”,
                   altri “garbo”. Fatto sta che quando questo è de-
                   ficitario le nostre relazioni si complicano e noi
                   veniamo indicati come degli insopportabili rom-
                   piscatole. Ecco allora che viene in soccorso il ga-
                   lateo, norme di buona educazione che ci portano
                   alla pacifica convivenza. Esso dissipa ogni dubbio
                   circa il comportamento più opportuno, corretto
                   e conveniente da adottare in qualsivoglia circo-
                   stanza. La regola di base me la ripeteva la mia
                   amata nonna quando ero piccina: «Non fare agli
                   altri quello che non vuoi sia fatto a te».
                      Applicatela anche quando state al telefono. E
                   non sbaglierete mai.
                      Quando vi accingete a chiamare qualcuno, che

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sia sull’apparecchio mobile o fisso, date un’oc-
                    chiata all’orologio e desistete dal vostro malsano
                    proposito qualora fosse mattino presto, o sera
                    tarda, nonché durante orari che normalmente
                    sono deputati ai pasti o al riposo.
                       Potete permettervi di importunare all’ora sa-
                    cra in cui ci si mette a tavola o dopo le 20 solo le
                    persone più strette. L’unico strappo alla regola
                    che vi è concesso è la chiamata al 118 se sta per
                    venirvi un infarto.
                       Va da sé che più siete legati al destinatario
                    della chiamata da un rapporto amicale o fami-
                    liare, più vi è consentita l’eccezione, ma a patto
                    che ciò che dovete comunicare abbia un certo
                    valore o una certa urgenza. Se volete sentire la
                    vostra mamma o il vostro babbo, o qualsiasi al-
                    tro congiunto, solo per ricordargli che li amate,
                    potete comporre il loro numero quando vi pare,
                    perché le vostre parole saranno più che gradite.
                       Astenetevi invece dal farlo se il vostro animo
                    in quel momento è malevolo e voi avete soltanto
                    qualcosa da recriminare, da discutere, o da rim-
                    proverare. Neanche il vincolo di sangue ci au-
                    torizza ad arrecare noia e dispiacere, turbando
                    l’umore altrui.

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A ogni modo, siano le vostre comunicazioni
                   concise. Non usate arzigogolati giri di parole, ma
                   andate dritti dritti al punto. La vostra chiarezza
                   sarà apprezzata dall’interlocutore, soprattutto se
                   egli si trova impegnato in qualche attività.
                      Sarebbe opportuno, non appena Tizio risponde,
                   salutare e presentarci, se si tratta del primo con-
                   tatto e sappiamo quindi che l’altro non ha regi-
                   strato il nostro numero. Anche successivamente
                   è il caso di pronunciare il proprio nome, senza
                   dare per scontato che sempre Tizio ci abbia inse-
                   riti nella sua rubrica digitale, a meno che costui
                   non sia un amico, il fidanzato, la sorella, e così via.
                      Attraverso la cornetta il viso non si vede, am-
                   messo che non si tratti di una videochiamata della
                   quale ci occuperemo più avanti, tuttavia è impor-
                   tante “sorridere”. Esiste una sorta di sorriso non
                   visibile, ma comunque percepito, che si riflette
                   nel nostro tono di voce e fa intuire a chi ascolta
                   la nostra predisposizione positiva nei suoi con-
                   fronti. Il che porta l’interlocutore ad assumere a
                   sua volta un atteggiamento affabile e ricettivo.
                      Dal momento che utilizzando il cellulare cor-
                   riamo il rischio di importunare il destinatario
                   della chiamata in qualsiasi situazione e in ogni

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luogo si trovi, è bene porgere la domanda di rito:
                    «La disturbo?», o «Ti disturbo? Puoi parlare?».
                    Ci regoleremo in base alla sua risposta.
                       È chiaro che, qualora egli ci informasse che in
                    quel frangente è un po’ indaffarato ma disponi-
                    bile ad ascoltarci, ci toccherà essere ancora più
                    sintetici nell’esposizione di ciò che abbiamo da
                    trasmettere.
                       Se dovessimo essere rimandati a più tardi,
                    congediamoci con gentilezza, senza insistere né
                    sentirci offesi.
                       Nulla è più fastidioso dell’essere costretti a
                    stare incatenati al telefono mentre il gatto scappa
                    di casa, il piccolo piange perché è precipitato dal
                    cavalluccio a dondolo e l’arrosto sta bruciando.
                    Dunque, non prendetela troppo sul personale e
                    accettate il fatto che il mondo non gira intorno a
                    voi e che ognuno ha una vita.
                       Non fate squillare il telefonino altrui a vuoto.
                    Basteranno tre o quattro trilli. Insistere, attac-
                    carsi all’apparecchio, richiamare più e più volte
                    nella speranza che qualcuno risponda saranno
                    operazioni utili solo a innervosirvi, a farvi per-
                    dere tempo e a rendervi disperati agli occhi del
                    chiamato nel momento in cui questi, ripreso il

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cellulare tra le mani, troverà decine di chiamate
                   perse tutte a vostro nome. Ne vale la pena? Per-
                   ché fare gli sfigati?
                      In effetti, è altresì probabile che il chiamato vi
                   stia ignorando volontariamente. Ancora di più,
                   in questo caso, ostinarsi non ha alcun senso. Vi
                   renderete solo insopportabili occupando la linea
                   e impedendo altre operazioni che di solito si svol-
                   gono con il proprio smartphone.
                      Una vera cafonata è chiamare con il numero
                   privato, ossia nascondendo il proprio riferimento
                   telefonico, sia persone con le quali non siamo
                   in confidenza, che penseranno che abbiamo in-
                   teresse a farci vivi quando ci pare e piace risul-
                   tando irreperibili per il tempo restante, sia coloro
                   con cui coltiviamo rapporti stretti, che sospette-
                   ranno – lecitamente – che noi riteniamo che ci
                   stiano evitando e dunque che gli abbiamo teso
                   una sorta di bieco tranello al fine di costringerli
                   a interloquire con noi.
                      Se davvero abbiamo sentore del fatto che qual-
                   cuno non abbia voglia o piacere di parlarci, la
                   cosa migliore da fare è esaudire questo deside-
                   rio di non interfacciarsi senza imporre la nostra
                   presenza a ogni costo.

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