OLIMPIADI DI FILOSOFIA - XXVII EDIZIONE A.S. 2018-2019 - LE PROVE DEGLI STUDENTI
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OLIMPIADI DI FILOSOFIA XXVII EDIZIONE A.S. 2018-2019 Istituto IIS “Cremona” di Milano sezione Liceo scientifico LE PROVE DEGLI STUDENTI 1
INDICE Le tracce p. 3 Risultati p. 5 Le prove p. 7 Bellada Laura - The right way to success p. 7 Brusasco Luca - L’imposizione dell’avere nella società capitalista p. 9 Colombo Alessandro - Rifiuto del soggetto: vivere la contraddizione dell’essere parlante p. 12 Dall'Aglio Andrea - La nostra arte è una preghiera p. 14 Gallo Andrea – Una terza via p. 16 Ragusa Isabella - L’importanza dell’io p. 18 Maniacco Francesca - A deliberate life p. 20 Marchesi Sara - Conosciamo il valore della vita? p. 21 Maugeri Federico - Le corrette intuizioni dogmatiche della filosofia p. 23 Micheli Alice - Get rid of the unnecessary things p. 25 Puglisi Beatrice - Decartes: discovering truth by destroing certainties p. 26 Nicola Tacchini - In viaggio verso di noi p. 27 2
LE TRACCE Il giorno 25 gennaio 2019 presso l’Istituto IIS “Cremona” di Milano, sezione Liceo scientifico, CODICE MECCANOGRAFICO MIIS02600Q, si è svolta la Selezione d’Istituto delle Olimpiadi di Filosofia – XXVII Edizione, anno scolastico 2018-2019. LA COMMISSIONE DI VALUTAZIONE era composta dai seguenti docenti: Paola Balotta, Fabrizio Fontana, Alessandro Montrasio, Alessandro Pascale. Gli studenti che hanno partecipato alle prove hanno potuto scegliere, per ogni ambito linguistico, tra le seguenti tracce selezionate dalla Commissione. LINGUA ITALIANA 1. AMBITO GNOSEOLOGICO È ridicolo negare una verità evidente, così come affaticarsi troppo a difenderla. Nessuna verità sembra a me più evidente di quella che le bestie son dotate di pensiero e di ragione al pari degli uomini: gli argomenti sono a questo proposito così chiari, che non sfuggono neppure agli stupidi e agli ignoranti. David Hume, Trattato sulla natura umana, 1740 2. AMBITO ETICO-POLITICO L’aut-aut tra avere ed essere non è un’alternativa che si imponga al comune buon senso. Sembrerebbe che l’avere costituisca una normale funzione della nostra esistenza, nel senso che, per vivere, dobbiamo avere oggetti. Inoltre, dobbiamo avere cose per poterne godere. In una cultura nella quale la meta suprema sia l’avere — e anzi l’avere sempre più — e in cui sia possibile parlare di qualcuno come una persona che “vale un milione di dollari”, come può esserci un’alternativa tra avere ed essere? Si direbbe, al contrario, che l’essenza vera dell’essere sia l’avere; che, se uno non ha nulla, non è nulla. Erich Fromm, Avere o essere?, 1976 3. AMBITO ESTETICO Ogni poesia è misteriosa; nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere. Jorge Luis Borges, L'invenzione della poesia. Le lezioni americane, 1967 4. AMBITO TEORETICO Forse ai nostri giorni l'obiettivo non è quello di scoprire che cosa siamo, ma di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire quello che potremmo essere. Michel Foucault, Perché studiare il potere: la questione del soggetto, 1985 3
LINGUA INGLESE 1. EPISTEMOLOGICAL AREA Ignorance more frequently begets confidence than does knowledge: it is those who know little, not those who know much, who so positively assert that this or that problem will never be solved by science. Charles Darwin, The descent of man, 1871 2. ETHICAL AND POLITICAL AREA To compose our character is our duty, not to compose books, and to win, not battles and provinces, but order and tranquility in our conduct. Our great and glorious masterpiece is to live appropriately. All other things, ruling, hoarding, building, are only little appendages and props, at most. Michel de Montaigne, Essais, 1588 3. AESTHETIC AREA I went to the woods because I wished to live deliberately, to front only the essential facts of life, and see if I could not learn what it had to teach, and not, when I came to die, discover that I had not lived. I did not wish to live what was not life, living is so dear; nor did I wish to practise resignation, unless it was quite necessary. I wanted to live deep and suck out all the marrow of life, to live so sturdily and Spartan-like as to put to rout all that was not life, to cut a broad swath and shave close, to drive life into a corner, and reduce it to its lowest terms. Henry David Thoreau, Walden or life in the woods, 1854 4. THEORETICAL AREA In order to seek truth, it is necessary once in the course of our life, to doubt, as far as possible, of all things. René Descartes, Principles of philosophy, 1644 4
RISULTATI PER LA SEZIONE A IN LINGUA ITALIANA Numero di studenti partecipanti 35 Maschi 21 Femmine 14 La Commissione di valutazione ha steso la seguente graduatoria a seguito del punteggio riportato dai candidati: 1. Dall'Aglio Andrea, voto 9,5 - VD liceo, ambito 3 2. Tacchini Nicola, voto 9,5 – IVB liceo, ambito 4 3. Ragusa Isabella, voto 9 – VA liceo, ambito 2 4. Magro Margherita, voto 9, VA liceo, ambito 2 5. Maugeri Federico, voto 9, IIIG liceo, ambito 1 6. Montrasio Nicolò, voto 8,5, IIIC liceo, ambito 4 7. Colombo Alessandro, voto 8,5, VC liceo, ambito 4 8. Brusasco Luca, voto 8,5, VD liceo, ambito 2 9. Gallo Andrea, voto 8,5, VD liceo, ambito 2 10. Marchesi Sara, voto 8,5, VB liceo, ambito 2 11. Francheschi Filippo, voto 8,5, IIIC, ambito 4 12. Di Fronzo Andrea, voto 8,5, VA, ambito 2 13. Brandi Luca, voto 8, IIIE, ambito 2 14. Barsanti Emma, voto 8, IIIF, ambito 4 15. Billo Andrea, voto 8, IIIF, ambito 1 16. Montanari Irene, voto 8, IIIC, ambito 2 17. Passera Alessandro, voto 7,5, VF, ambito 4 18. Tarzia Arianna, voto 7,5, VB, ambito 1 19. Tosto Beatrice, voto 7,5, VC, ambito 2 20. Tasso Virginia, voto 7,5, IVD, ambito 2 21. Salgarollo Emanuele, voto 7,5, IIID, ambito 1 22. Gabbini Alessandro, voto 7,5, VA, ambito 2 23. Bertocci Melissa, voto 7,5, IVB, ambito 4 24. Weisz Mattia, voto 7,5, IVF, ambito 1 25. Morando Andrea, voto 7,5, VA, ambito 2 26. Trizzino Morgana, voto 7, VA, ambito 4 27. Frailich Susanna, voto 7, IVD, ambito 2 28. Patron Luca, voto 7, VC, ambito 4 29. Ferrari Edoardo, voto 7, IIIC, ambito 2 30. Olivito Annalisa, voto 7, IVF, ambito 4 31. Bracchi Benedetta, voto 6,5, IIIH, ambito 2 32. Padullazzi Sara, voto 6,5, IIIC, ambito 2 5
33. Fedeli Marco, voto 6,5, IIIE, ambito 1 34. Guidi Simone, voto 6,5, ambito 2 35. Pistoia Alessandro, voto 6,5, IVG, ambito 1 Alla Selezione regionale parteciperanno, pertanto, i seguenti due studenti: Dall'Aglio Andrea, liceo scientifico, classe VD Tacchini Marco, liceo scientifico, classe IVB PER LA SEZIONE B IN LINGUA STRANIERA Numero di studenti partecipanti 17 Maschi 5, Femmine 12 La Commissione di valutazione ha steso la seguente graduatoria a seguito del punteggio riportato dai candidati: 1. Maniacco Francesca, voto 8,5, 3C liceo, ambito 3 2. Bellada Laura, voto 8,5, 4F liceo, ambito 2 3. Campaner Vittoria, voto 8, 4C liceo, ambito 4 4. Fasulo Flavia, voto 7,5, 5C liceo, ambito 3 5. Micheli Alice, voto 7, 3C liceo, ambito 3 6. Artese Alessandra, voto 7, 3F liceo, ambito 4 7. Puglisi Beatrice, voto 7, 4D liceo, ambito 4 8. Stilinovic Mattia, voto 7, 5D liceo, ambito 3 9. Spellecchia Pietro, voto 6,5, 3E liceo, ambito 4 10. Lukis Vittoria, voto 6,5, 4D liceo, ambito 2 11. Velicogna Alice, voto 6,5, 5C liceo, ambito 3 12. Mangoni Benedetta, voto 6, 3C liceo, ambito 4 13. Lanzarotta Edoardo, voto 6, 3G liceo, ambito 2 14. Napoletano Lorenzo, voto 6, 3E liceo, ambito 2 15. Bazzini Federica, voto 6, 5B liceo, ambito 3 16. Pozzi Elena, voto 6, 5G liceo, ambito 3 17. Scarioni Giuseppe, voto 6, 5F liceo, ambito 3 Alla Selezione regionale parteciperanno, pertanto, i seguenti due studenti: Maniacco Francesca, liceo scientifico, classe IIIC, lingua inglese Bellada Laura, liceo scientifico, classe IVF, lingua inglese 6
LE PROVE Dopo aver visionato e corretto le prove, la Commissione ha ritenuto utile e opportuno che gli elaborati venissero digitalizzati e diffusi pubblicamente, così da offrire uno spaccato interessante delle non banali riflessioni svolte dalle nuove generazioni. Si è chiesto quindi agli studenti di partecipare, in maniera facoltativa, al progetto, digitalizzando i propri scritti. Quelle che seguono sono le produzioni, corrette nei refusi grammaticali e ortografici ma inalterate nei contenuti, presentate in ordine alfabetico, di coloro che hanno aderito all'iniziativa. 7
BELLADA LAURA THE RIGHT WAY TO SUCCESS [classe IV F - ETHICAL AND POLITICAL AREA] Nowadays most of the people think that happiness is being rich or famous, we aim at becoming influential, at making something significant, not just for ourselves, but to be remembered in the future. Sometimes ambition gets too far and we lose control: in a world that is changing very fast, we try to find our way to be successful by exploiting all the new resources. I reckon that we became so ambitious also because of the society we live in: we are surrounded by famous people who got very popular without having done anything special: we think we can be so lucky too. Seeking glory, sometimes we forget what is actually significant in life; paying attention just to unnecessary values, we don’t care about more remarkable things, which are essential for our lives. Relationships, health and culture are becoming less and less important and we think we could live alone, if it means that we will be famous. Michel De Montaigne, a French philosopher who lived during the 16th century, believed that our duty, as humans, is to build our personality and not to win, whatever our battle is. The only conquest men should make, is to find and understand themselves: to do what they like just because they know that they will be happy and not in order to obtain something from that action. Montaigne invited everyone to a continuous research on human life. Following Socrate, he was always looking for questions and not for answers. According to Montaigne, this constant doubting is the only way to find out who we are and what we want. The philosopher thought that men should stay away from what could cause them trouble: for this reason he decided not to get married and he left his political career, which his father forced him to begin. His thought was similar to the one of another philosopher, who lived during the Hellenistic Age: Epicuro. They were for a kind of hedonistic life: both of them thought that the purpose of a man is pleasure but, according to Epicuro, this pleasure was just an absence of pain, while for Montaigne it was a life full of happiness. The French philosopher believed that one of the most important things was friendship. Many other philosophers, for example Aristotele and Epicuro, thought that friends were important to be happy. Montaigne in his “Essais” wrote a lot about Etienne De La Boétie. They met in 1557 in Bordeaux Parliament and their friendship became famous as one of the strongest in the whole history. So we can be happy also without a lot of money, for example friendship may make us happy. I agree with Montaigne because I think that, before aiming for glory and power, we should be able to enjoy every single day of our life: in order to do that, we should have around the people we love, we should be in good health and have a good education, briefly we should do what we like doing. 8
I think this because the values that, according to the philosopher, are just “little appendages” can be lost very easily. Someone is convinced that a man can be happy by having a lot of money and being very popular, but could this person still be happy without those simple values mentioned before? Moreover, to get glory or money, people are ready to do everything: in order to reach their purpose, they sometimes don’t have any scruple. These people are so blinded by desire, that they may be ready also to act against the law. Even if they don’t always do illegal activities, it happens more frequently that they act against morality. Glory is dangerous because it makes you do actions you couldn’t even imagine. Etienne De La Boétie, Montaigne’s best friend, supported this thesis in his political essay “Le Contr’un”, which was published by Montaigne after the author’s death. He said that ambition may make a person become a “voluntary slave” of the people who help this person to get what he is looking for. But how much are they willing to pay? They pay with their own freedom, because they become addicted to glory. Furthermore it is really hard to obtain these things once, if the ambitious don’t reach their aim, they will become stressed and they might end up with nothing. To sum up, in my opinion a person, before seeking power, should care about what a human life is based on: if, by living his life properly and following moral precepts, a man becomes successful or rich, he will enjoy this event even more than someone who got the same result by struggling with himself. In the past, people weren’t so interested in those “appendages” and their concentration was on necessities and more accessible goods. Many philosophers in the past (the first one has been Pythagora, from ancient Greece) were for an ascetic life, devoid of any pleasure and any comfort; in their view, money and success were seen as enemies. I am not so extreme: I would just like that people didn’t become obsessed with ambition and I think that everyone could live a happy life with just what he is able to get. If we use our rationality, we won’t have to be reminded how to be happy. Aiming to what is within our limits is our way to success because, as Montaigne though, a man shouldn’t aspire to what he can’t get. 9
BRUSASCO LUCA L’IMPOSIZIONE DELL’AVERE NELLA SOCIETÀ CAPITALISTA [classe V D - AMBITO ETICO-POLITICO] La scelta della facoltà universitaria, di importanza tale da determinare l’indirizzo dell’esistenza, è il classico esempio di conflitto tra “essere” ed “avere”, ove il vincolo della sicurezza economica post universitaria può surclassare il desiderio dello studente. Nella società contemporanea, il rapporto tra “avere” ed “essere” non è di reciproca esclusione, bensì di subordinazione in un rapporto di causa effetto del secondo rispetto al primo. In tale sede il saggio si propone di analizzare parallelamente all’analisi di Erich Fromm, la realtà attuale, in cui il sistema economico determina il suddetto rapporto di inferiorità dell’essere rispetto all’avere. Non da ultimo, si propone una riflessione sull’ingiustizia di un ordinamento eccessivamente capitalista. La base delle nostre istituzioni, la Costituzione, sembra essere in contraddizione con quanto affermato, evidenziando l’importanza dell’essenza dell’individuo. L’articolo 1 recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Tale asserzione implica che il cittadino è determinato non dai beni posseduti, bensì dal proprio mestiere che contribuisce allo sviluppo materiale e spirituale della comunità. L’intera carta costituzionale ribadisce questo principio, limitando le disuguaglianze economiche affinché ogni cittadino possa coltivare la propria essenza. La Costituzione, tuttavia, è il tentativo di uniformare la realtà ai suoi principi nel lento e delicato processo democratico. La legge non esemplifica il reale, libero da qualsiasi sovrastruttura edificata dalla società. In effetti, riprendendo il pensiero di Karl Marx, le dinamiche sociali e la storia sono determinate esclusivamente dalla struttura economica. È il Capitalismo, non lo Stato, che determina il percorso predefinito, nonché la meta, di ogni singolo individuo: “l’avere sempre più” che Fromm riporta nel suo “Avere o essere?” del 1967. Dal precedente ragionamento si conclude che: “L’aut-aut tra avere ed essere non è un’alternativa che si imponga al comune buon senso”. Il Capitalismo è la trappola che impone una sostanziale identità tra essere ed avere, vincolando la realizzazione personale al successo economico. Secondo Max Weber questo sistema sociale nasce con la religione calvinista che collegava l’ottenimento del Paradiso al successo economico e all’operosità della persona. È una concezione che, una volta separata dal sentimento religioso, ha dimostrato una mostruosa aridità, decretando l’inferiorità di coloro che possiedono meno. Riflettendo sempre sui contenuti filosofici di Marx, si sviluppa un meccanismo morboso per cui il lavoro diventa alienante, cioè non volto alla manifestazione della propria essenza; al contrario, applicando il pensatore tedesco in un contesto più attuale, esso diventa strumento per l’ostentazione smodata di dannunziana memoria che sottomette la vera essenza ai beni posseduti e all’apparenza. I pochi individui liberi da questo meccanismo perverso, sono ugualmente prigionieri del lavoro, quando il denaro diventa l’unica chiave d’accesso ai propri desideri altrimenti irrealizzabili. Come sostiene Pirandello, viviamo nelle prigioni del lavoro e della famiglia in cui la nostra essenza è completamente taciuta. La mia personale posizione, in relazione agli effetti del Capitalismo, sostiene con decisione la scorrettezza e l’ingiustizia del sistema. La realizzazione dell’individuo non può coincidere con 10
l’arricchimento economico, limitato al singolo, bensì al contributo fornito alla propria società di carattere ontologico: è l’essenza, cioè il nostro operato e il nostro lavoro, che si inserisce nell’Aufhebung dell’umanità di hegeliana memoria. Lo Stato, pur essendo sovrastruttura, ha il dovere di intervenire sulla società con azioni di aiuti di carattere economico che tutelino l’individuo nella manifestazione del proprio essere. In Europa questo tentativo è rappresentato dal Welfare State che sostiene il tessuto sociale svincolando la persona dagli eccessi di disuguaglianza del Capitalismo. La grande sfida dell’Italia (come ogni democrazia occidentale) è il miglioramento dei servizi già esistenti verso una totale abolizione del triste vincolo esistenziale costituito dall’avere per essere. 11
COLOMBO ALESSANDRO RIFIUTO DEL SOGGETTO: VIVERE LA CONTRADDIZIONE DELL’ESSERE PARLANTE [AMBITO TEORETICO] Dai sofisti in poi, al centro della speculazione filosofica si è imposto l’uomo: l’uomo in quanto soggetto e centro di gravitazione definito e unitario. In assenza del questionarsi sul come l’uomo è definito dalle cose esterne, la riflessione filosofica ha ragionato sempre all’inverso, ovvero chiedendosi come l’uomo definisce il mondo e la società. Quest’attitudine ha raggiunto un apice con la filosofia cartesiana: «cogito, ergo sum»; il pensiero dunque garantisce l’unità e la definizione del soggetto. Non si può tuttavia affermare ciò senza esaminare cosa significhi pensare. Nel pensiero, infatti, s’insinua una struttura, che in quanto condizione necessaria e sufficiente dello stesso non è possibile ignorare: il linguaggio. Come accennato, il linguaggio fonda il pensare stesso, si può anzi affermare conseguentemente che esso determini la differenza tra uomo e animale. Infatti, con l’uso del linguaggio, con la parola pensata, è vanificata quell’identità tra azione e pensiero (in questo caso non-pensiero), cosicchè l’azione s’infrange e si riflette sullo specchio del linguaggio e crea la possibilità di pensare l’azione, ovvero quella capacità di razionalizzare e programmare questa in vista di un fine, da Hobbes proprio definita “ragione”. Tuttavia, il linguaggio è sempre subito dal soggetto, mai inventato; il bambino impara a parlare dall’ambiente circostante, non crea nessuna parola. Ciò vale a dire che il soggetto, appena diventa tale, ovvero essere parlante/pensante, è ingabbiato nel linguaggio proveniente dalla società; quest’ultima, dunque, produce il suo pensiero, quindi la sua soggettività. Il pensare, che in Cartesio diventava «dunque sono», si risolve in una bolla che la società ha costruito e ha fatto costruire, illudendo il soggetto d’essere libero di muoversi e nascondendone i limiti: per questo credere di possedere il linguaggio, credere di avere una schiera di significanti al servizio del pensiero è un errore. È il linguaggio stesso che, attraverso il suo uso, definisce il soggetto. Alla luce di ciò si può accettare il detto cartesiano solo presupponendo che il linguaggio/pensiero non appartenga al soggetto: il soggetto è fondato dal sapere di pensare, dall’essere cosciente del pensiero, ma quest’ultimo non gli appartiene. Ricadere nell’errore d’indicare il soggetto come essenza, significa consegnarsi a una libera definizione della soggettività da parte della società. L’atteggiamento dello «scoprire che cosa siamo» è strettamente legato a questa passività. Sebbene «scoprire» rimandi a un’attività conoscitiva positiva, «che cosa siamo» presuppone ancora una prospettiva essenzialista del soggetto, diramantesi dal soggetto verso le “cose”; richiama a un’analisi del soggetto dal suo interno, un movimento che, cercando la profondità, ignora i limiti senza i quali esso sarebbe impossibile. Da scoprire, necessariamente, è invece in che modo si è e si è stati, ovvero prendere consapevolezza delle vie attraverso cui, tramite il linguaggio, la società produce soggettività in serie, ricercando la standardizzazione; ma questa scoperta deve costituire un immediato rifiuto del soggetto in quanto prodotto sociale e portare a un tentativo di autoproduzione della soggettività. «Immaginare e 12
costruire quello che potremmo essere» significa dunque cercare vie di fuga, che però possono essere trovate solo avendo presente i limiti del mondo, che, d’accordo con Wittgenstein, sono i limiti del linguaggio. Cercare vie di fuga si risolve dunque nel vivere la contraddizione dell’essere parlante, cioè del linguaggio: allo stesso tempo fondatore della differenza ontologica tra essere umano e animale e reclusore di ogni pensiero umano, apertura verso il possibile e costantemente sua chiusura. 13
DALL'AGLIO ANDREA LA NOSTRA ARTE È UNA PREGHIERA [classe V D - AMBITO ESTETICO] Ogni cosa vivente è, come afferma Schopenhauer, pervasa da un'irrazionale bramosia di vita, senza la quale cesserebbe di vivere. Questo desiderio è dio, il desiderio allo stato puro il quale, poiché desiderare è mancare e mancare è prerogativa di ciò che è finito e materiale, si materializza, ovvero decade, si polarizza in un “non-Io” che gli permette di desiderare. Dunque l'uomo (come tutti gli esseri viventi) è in virtù di questo desiderio di vita e, com'è normale, tenta di raggiungere la vita nella sua purezza, ovvero quand'è ancora un'idea, e lo fa attraverso l'arte. Fabrizio De André, nella canzone “le storie di ieri” canta così: “Mussolini ha scritto anche poesie/ i poeti che starne creature/ ogni volta che parlano è una truffa”, questa affermazione spinge a riflettere su chi sia poeta e cosa egli scriva. Certamente la poesia non è riducibile a semplice abilità tecnica: molti aridi filosofi hanno scritto opere immense che certamente non li hanno resi poeti. “la poesia è misteriosa”, la filosofia è quella che disciplina, che svela i misteri e che, nel suo metodo, prevede la razionalità (ricerca libera, critica e razionale). La poesia non ha alcuna velleità di spiegazione della realtà ma, come riteneva il più romantico degli idealisti, Schelling, è l'anello che congiunge spirito e materia, tra idea e realtà, la poesia rappresenta. Per questo motivo, nonostante la presenza di avanzati strumenti scientifici, l'arte rimane l'unico modo che ha l'uomo per concepire dio nella sua forma più pura, prima che decada e diventi materia. Lo stesso Kant, nella “critica della ragion pura”, spiega quanto sia inutile tentare di andare oltre nello spiegare razionalmente la realtà: il metafisico è un settore in cui la logica naufraga; sarebbe come tentare di spiegare il moto dei pianeti affidandosi unicamente alle sacre scritture (citando Galilei). L'unico strumento valido per la contemplazione di dio è l'arte come rappresentazione di una sensazione irrazionale ed intraducibile matematicamente. Ed è proprio l'assenza di univocità che la rende assoluta, la poesia è rappresentazione di qualcosa che si manifesta in modi molto diversi tra i singoli soggetti ma allo stesso tempo è presente in ognuno di essi ed apre dunque ad infinite interpretazioni. Per questo la poesia è sempre vera, poiché nasce dall'assoluto (dio) e lo rappresenta e la pluralità dei punti vista che la interpretano la rendono universale: non è mai oggettiva, quindi mai finita, anzi, la somma delle soggettività è proprio ciò che le dà pienezza. “nessuno sa interamente cosa gli è stato concesso di scrivere” proprio per questo suo carattere relativo; così ogni umo che ha letto “l'Infinito” ne ha svelato un aspetto nuovo che nemmeno lo stesso Leopardi avrebbe potuto immaginare, ovvero ha stimolato quel desiderio che in Leopardi si manifestava in un modo e nei lettori in un altro. Lo stesso Mercury (cantante dei Queen), affermò in un'intervista di scrivere canzone prima di comprenderne il significato. Questo carattere illogico, mutevole e variegato della poesia, e dell'arte in generale, le attribuisce un valore maggiore di una qualsiasi formula fisica, poiché la formula limita, oggettivizza, spiega, nessuno può opporsi alla formula, nessuno la può avvertire in modo diverso da quello “giusto”: o è razionale o è falso. La poesia è l'unico tipo di enunciato che varia per ogni persona ma rimane sempre vero. Con questo non intendo proporre alcun canone stilistico, men che meno dichiarare quale sia la finalità dell'arte, al contrario vorrei demolire sia il primo che il secondo. Da sempre autori e filosofi hanno provato ad incanalare la poesia in un percorso chiaro, definendo i caratteri necessari e la finalità dell'arte, ma la verità è che l'arte è fine a sé stessa e piuttosto sarebbero da indagare le cause che la scatenano. Tutti i poeti, dagli stilnovisti agli ermetici, 14
nonostante stili e fini diversi, scrivevano poiché spinti dal loro intimo desiderio irrazionale, quando vengano sollecitate le loro diversissime sensibilità. Per questo Mussolini poteva essere un poeta, nonostante risulti difficile credere che un uomo capace di quelle atrocità fosse anche artista: la sensibilità è diversa per ognuno di noi ma, dal sentimento della gloria all'amore angosciato per la natura, ha lo stesso valore. Così quando De André utilizza la parola “truffa” si riferisce a questa ambigua vastità interpretativa, che diventa vastità semantica quando provoca nei lettori le più disparate emozioni, è una truffa perchè inganna, non dà certezze e non si può dimostrare. Questo è il mistero della poesia, la rappresentazione più pure dell'irrazionale tensione umana all'infinito, lo sforzo che si compie per scrutare e raggiungere la intima essenza, il desiderio irrazionale, la forza dirompente della vita che, in ogni caso, tende con più vigore a sé stessa. 15
GALLO ANDREA UNA TERZA VIA [AMBITO ETICO-POLITICO] IL ‘900 E LA DISTRUZIONE DELL’ESSERE Considerando la nostra esistenza, cosa ci definisce? È questo il quesito che Erich Fromm si e ci pone. La riflessione dello studioso tedesco, derivante da un’attenta analisi del mondo contemporaneo, si focalizza sullo scarto tra essere e avere con in definitiva una preminenza del secondo sul primo. Ed effettivamente nel momento in cui si osserva l’andamento della storia umana negli ultimi due secoli risulta difficile non concordare con questa posizione. Si è progressivamente verificato, in particolare nel ‘900, un crollo delle fondamenta stesse dell’essere che risulta essere un principio incapace di determinarsi in maniera univoca. Basti pensare agli studi di Freud e all’effetto dirompente che hanno avuto: là dove prima l’uomo riteneva di avere il pieno controllo (nella sua mente) dopo la rivoluzione della psicoanalisi anche quest’ultimo baluardo è crollato davanti all’immensità del sub-conscio. Siamo ben più di quello che riteniamo di essere. Ma ogni ambito del sapere umano venne investito da questa demolizione. Nelle scienze, grazie alla teoria della relatività, gli stessi assi cartesiani dello spazio e del tempo perdono valore mentre in letteratura il relativismo raggiunge l’apice nelle figure di Svevo e Pirandello. L’essere non è più in grado di definire la nostra identità. Proprio sulla figura di Pirandello intendo concentrare la mia riflessione, in correlazione con il pensiero economico dominante ancora oggi, il capitalismo. LE MASCHERE E L’INDIVIDUALISMO CAPITALISTA 200 anni di predominio borghese hanno certamente portato a delle evoluzioni, o degenerazioni a parer mio, del pensiero capitalista. La base di questa ideologia è sempre stata l’individualismo ma negli ultimi tempi questa tendenza ha raggiunto l’apice. Ma come si collega questa visione con quanto precedentemente affermato? Molto semplicemente il capitalista, per giunger al proprio obiettivo, accetta la scomposizione del proprio essere e si prepara ad indossare una “maschera” pirandelliana. Gli uomini più influenti del globo, i modelli quindi per tutti gli altri, hanno abbandonato la ricerca dell’essere. E a cascata il mondo segue. Inoltre l’individualismo risulta essere una sorta di corazza dietro cui, tramite alienazione direbbe Marx, il capitalista è in grado è in grado di relazionarsi unicamente con sua persona, ignorando la vastità che lo circonda.. ma ecco che subentra un nuovo aspetto ed è proprio questo a determinare la preminenza dell’avere: l’egocentrismo umano e la sua brama di primeggiare. E nel momento in cui è venuta meno la centralità dell’essere, le armi per ergersi al di sopra degli altri risultano essere i beni e, conseguentemente, le opere. Perché anche in mezzo al caos relativista e alla fine del pensiero antropocentrico (“Maledetto Copernico” affermava Pirandello) l’uomo cerca di perdurare il più a lungo possibile. Ma il “popolo” loda la cosiddetta persona da “un milione di dollari” solo ed esclusivamente fino a quando ha la possibilità di spendere effettivamente quel denaro. L’accelerazione avuta dalla storia umana ha reso inoltre effimere le opere, dato che gli eventi tendono a venir dimenticati molto più velocemente al giorno d’oggi. E quindi con il tempo e la morte anche l’ultimo tentativo di affermazione dell’uomo, il primato dell’avere e la relegazione dell’essere si rivela vacuo e incapace di soddisfare le ambizioni dell’umanità. 16
L’INDIVIDUALISMO INTROSPETTIVO E LA LEZIONE DI KANT Con il crollo anche dell’avere l’uomo si trova privo di principi su cui determinarsi. Ma questo non è accettabile dal momento che proprio sulla domanda “Chi sono?” la nostra specie ha costruito millenni di ragionamento. Cercherò quindi di individuare una terza via che possa risolvere questa spinosa questione. Partendo dal fatto storico che relega, purtroppo, il comunismo a utopia e l’avere a condizione necessaria per essere (ma non sufficiente), gli uomini dovrebbero concentrarsi su un’analisi introspettiva individuale del proprio Io. Per risolvere il dilemma del relativismo occorre recuperare la lezione di Kant su fenomeno e noumeno. La ricerca di noi stessi dovrebbe quindi concentrarsi su quegli aspetti di sé che risulta in grado di comprendere. Partendo d queste fondamenta saremo in grado di costruire una percezione dell’essere magari parziale, ma solida nei campi che analizza. Andrebbe inoltre abbandonata ogni pretesa di trovare un’essenza universale, limitandoci a focalizzare la nostra attenzione su noi stessi, l’umanità vivrebbe quindi in un’illusione individualista ma piena, unica ancora per sopravvivere alla deriva che la storia, da troppo tempo ormai, sembra aver intrapreso. 17
RAGUSA ISABELLA L’IMPORTANZA DELL’IO [AMBITO TEORETICO] “Forse ai nostri giorni l’obiettivo non è quello di scoprire che cosa siamo ma di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire quello che dovremmo essere.” A mio parere, questa affermazione di Michael Foucault, filosofo e sociologo francese delinea perfettamente la società di oggi. Tutto ha inizio nel ‘900 con l’avvento della seconda rivoluzione industriale durante la quale si verifica il processo di massificazione della società, dovuto al cambiamento del sistema lavorativo capitalista (sistema Taylorista), nella quale l’uomo ricopre una funzione monotona e ripetitiva che non ha nessun valore in sé ma che è utile alla realizzazione del prodotto finale. Questo priva l’uomo, diventato strumento utile alla produzione(scopo) e trascurandone i diritti e la dignità (fini), dei propri valori individuali. Cambiano così i tempi della società, il ruolo dell’individuo ma anche le relazioni tra gli uomini ; infatti si giunge dalle relazioni comunitarie vere a relazioni contrattuali, di convenienza come sostiene il sociologo tedesco Max Weber. L’uomo vede così crollare le proprie certezze del mondo contadino tradizionale ritrovandosi disperso nelle città; è quindi insicuro e preferisce non porsi domande trovando sicurezza nel lavoro e nei beni materiali. Nasce di conseguenza l’uomo massa che segue ordini affinchè la catena produttiva o burocratica risulti efficiente e funzionante. Forse conviene rifiutare la propria essenza in modo tale da essere escluso da eventuali responsabilità attuando così un processo di razionalizzazione e deresponsabilizzazione. L’indifferenza può essere rischiosa tanto che Anna Harendt nella “Banalità del male” attribuisce a questo atteggiamento la causa dello sterminio di milioni di ebrei. Si sono verificati però progressi nella tutela dell’individuo da allora; ad esempio John Stuart Mill nel “Saggio sulla libertà” riconosce l’importanza del singolo che va stimolata e preferita alla produttività statale. Ribadisce infatti la necessità della libertà di parola e di stampa che già sussistevano, ma teorizza anche la libertà morale, nell’agire a discapito del potere dello Stato che non dovrebbe essere esercitato sulla sfera del singolo e che dovrebbe intervenire esclusivamente quando si riscontra il coinvolgimento di più uomini. Queste riflessioni rappresentano il punto di partenza delle costituzioni liberali odierne nelle quali vengono definiti i diritti dell'uomo su cui si deve sorreggere lo Stato (a differenza dello stato etico teorizzato da Hegel). Mill sottolinea inoltre l'essenzialità dei geni o degli eretici i quali contrapponendosi a verità assolute o leggi inducono al progresso. Nonostante ciò, la nostra è una società frenetica dominata dai tempi del lavoro, dal progresso, comprendente anche attività di svago che induce il cittadino, il quale è sempre occupato e non è nelle condizioni di riflettere, a porsi sempre meno domande riguardo le questioni esistenziali Come sosteneva il filosofo Pascal, l'uomo è distratto dal divertissement, ovvero dalle sue attività quotidiane e monotono di lavoro e di divertimento, da non sentire l'esigenza e il bisogno di interrogarsi sulla propria funzione in relazione all'infinità che lo circonda. 18
Bisognerebbe così, per prima cosa, iniziare a porsi domande sullo scopo della propria esistenza così come esortava ai suoi concittadini Socrate, filosofo greco, il quale pone l'importanza sull'io e attraverso la maieutica stimola a partorire individualmente le proprie certezze e verità dettate dalla coscienza: la virtù. Anche se l'uomo non può avere certezza su quale sia e se ci sia uno scopo nella sua vita, lo può costruire tramite la continua messa in dubbio (scetticismo cartesiano) delle proprie convinzioni in modo da formare un'autocoscienza ovvero la consapevolezza di sè, della propria funzione in relazione alla totalità (Hegel) la quale distingue l'uomo da un uomo massa. Questa costituisce il punto di partenza ben saldo per compiere scelte per il proprio futuro che non si baserà su felicità e benesseri passeggeri dettati dalla società, ma sui valori interiori scoperti e riconosciuti dal singolo. E' necessario così prendersi carico delle proprie responsabilità dato che l'"uomo è fabbro del proprio destino". Al contrario non è così obbligatorio rinunciare ai propri desideri conducendo una vita ascetica, fatta di rinunce e sacrifici per riscoprire se stessi, anche se sarebbe meglio, come insegna Epicuro, soddisfare i bisogni naturali necessari per non cadere nella tentazione del desiderio e del soddisfacimento di questo, bensì risulta utile stabilire una gerarchia prioritaria valoriale dopo essersi esaminati a fondo. Potrebbe aiutare l'esercizio della ragione nell'esaminare la propria anima tramite la filosofia e la religione, le quali propongono risposte esistenziali non obbligatoriamente definitive, che possono costituire tappe nel raggiungimento della (nostra) verità in modo da poter sfruttare al meglio il presente a vantaggio del futuro dato che capire chi siamo è la base per capire chi vogliamo essere e diventarlo; solo in questo modo possiamo avere un ruolo attivo nel mondo. In caso contrario si navigherebbe in un mondo di incertezze interiori senza una meta lasciandosi trasportare. 19
MANIACCO FRANCESCA A DELIBERATE LIFE [classe III C - AESTHETIC AREA] ‘I wished to live deliberately…. and not, when I came to die, discover that I had not lived’ H.D.T. We never stop. We never think about how we are living, we just do, we just live. We try to accept what comes to us and we try to make the best out of it. But if you stop for a moment, and you think about it, even if we are deeply convinced that our life is ours, we often lead a passive life. Our society is founded in a way that everyone’s goal is to find a job, take part in social life, give a contribution and build a family, have kids. And these kids will go through the same exact process. We don’t take big decisions in our lives, we just live. And that is life how we know it. Even if we deny it, we are homologated. I mean, sure, people have different jobs and different life-styles, but essentially that’s how we live. The people outside this scheme are seen as loners, weirdos. So the question is: are we really living how we should? Every day is pretty much the same as the one before. The main thing we do is just working. That would be ok, if everyone loved their job, but almost no one does. In fact the real moment of happiness is when we go back home and we can do whatever we like with whoever we like. So, is doing whatever we want to do the key to a happy life? It might be, but we can’t always do what we like. We can’t because we don’t have the time and because we can’t afford a life with only outcomes. And that is why the quote: ‘Money doesn’t make happiness’ is kind of controversial. I mean, money doesn’t actually buy happiness, but it gives you time, and it gives safety and opportunities. I don’t want to sound as if I was saying that money is the only way to live deliberately, but probably it’s the easiest. Because it takes courage to live in a free way without a safety-net. It’s not impossible, but it’s not going to be easy. And the people who manage to do it, these people who balance a working life with a ‘living’ life are very few, and very talented. But what does living deliberately even mean? One might say that it means to lead a life of learning, travelling, embracing nature, meeting different cultures and new traditions. Or as Henry David Thoreau says in the quote, one way to suck out all the marrow of life, is by fronting only the essential facts of life. So by leading a simple life but without resignation, in a fully sturdily way, one might say to truly have lived. Surely to live a full life you have to be different, you have to be strong and brave enough to break the chains, break free from fixed patterns. Throw away your homologated life and begin a new one. Many are afraid of death, few are afraid to discover they had not lived. And not many are brave enough to make a change, because our life now is easier. That’s how it is, that’s how it has always been, we can’t do anything about it, can we? 20
MARCHESI SARA CONOSCIAMO IL VALORE DELLA VITA? [AMBITO ETICO-POLITICO] “Si direbbe (…) che l’essenza vera dell’essere sia l’avere; che, se uno non ha nulla, non è nulla.” Tale affermazione di Erich Fromm pare una verità assoluta se calata nel contemporaneo, con la quale è difficile trovarsi in disaccordo. Per cominciare, però, è necessario definire cosa vuol dire “avere nulla”, proseguendo, poi, nel comprendere il valore di una vita in quanto espressione dell’esistenza. Infine, capire se l’avere sia una naturale funzione dell’esistenza, cioè se l’accumulare oggetti appartenga alla natura dell’uomo, o se appartenga semplicemente al contesto in cui l’individuo è inserito. È possibile non avere nulla? Probabilmente no. Ciò che è reale è l’avere poco, o addirittura lo stretto necessario per vivere. Persino il proletario della seconda metà dell’Ottocento possedeva qualcosa: la sua prole, appunto e la forza-lavoro. Come sostenuto da Karl Marx, l’operaio guadagnava il necessario per vivere sino al giorno seguente. Certamente era poco, ma perché considerarlo nulla? Un uomo seppur senza abiti ha il suo corpo; senza casa ha la sua famiglia; senza denaro può avere intelligenza e dignità. Marx, infatti, condannava il capitalismo non solo perché concedesse poco, ma anche perché rendeva la vita del proletario solo lavoro in cui egli si annullava. Sebbene il senso comune faccia credere che chi ha poco, non ha nulla bisognerebbe forse ricredersi. Nella società odierna è il profugo a non avere “nulla”. Eppure, anche senza casa, senza patria egli ha una vita da difendere. Ci si dimentica, infatti, che la persona esiste ugualmente sebbene abbia poco. È infatti la vita che ci fa esistere, in una specie di tautologia non del tutto scontata. Certamente Cartesio con il suo “cogito ergo sum” non sarebbe pienamente convinto di ciò, sostenendo soltanto la realtà del pensiero. Però se si abbraccia una concezione più materialistica si può proseguire considerando che è necessario vivere per essere. Ciò è evincibile dal film “In time” di Andrew Nicol. Egli propone una società in cui la valuta è il tempo. Il denaro scompare e i beni vengono acquistati con il tempo della propria vita. Ciò è esaustivo in quanto fa capire che l’importante non sia avere, accumulare, ma vivere. Possedere molte cose, macchine, aziende non ha valore se il tempo finisce o viene rubato. Ciò che si ha non vale a nulla se non lo si può vivere. Che senso ha “avere”, se non lo si può sfruttare a pieno? Qualcuno potrebbe contestare dicendo che farebbe di tutto per diventare Chiara Ferragni, una donna che “vale un milione di dollari”. Questo qualcuno, però non si rende conto che l’eccesso di avere è inutile, perché non potrà mai essere sfruttato completamente. Perciò qual è, il senso dell’accumulare? Da “In time” si nota quanto l’unico valore reale sia la vita stessa. Frase che potrebbe sembrare banale, ma risulta a me vera dopo aver fatto un’esperienza in Madagascar. Ho vissuto giorni senza cellulare e senza comprare nulla di più rispetto a quanto già avessi. Ho cercato di capire se si piò vivere con poco, e se fosse possibile solo in un luogo povero, come il Madagascar. Nel villaggio tutti erano poveri uguali. Però si notavano, no erano trasparenti. 21
Non chiedevano nulla, nemmeno sapevano di avere poco, perché non erano mai andati oltre quel villaggio. In una città africana, però, si possono vedere macchine moderne accanto ad un carretto; grattacieli seguiti da capanne. Eppure, solo in quel luogo i poveri chiedevano l’elemosina ai turisti e i dipendenti pubblici mance o regali. Ciò a dimostrare che la logica dell’accumulo è naturale nell’uomo che ha invidia, e quest’ultima è scaturita dal confronto. Rousseau sosteneva che l’uomo allo stato di natura fosse in perfetto equilibrio tra bisogni e cose possedute. Nonostante ciò l’essere umano tende a migliorarsi e perciò a progredire da quello stato iniziale. Tale istinto di perfettibilità, però, non è inteso in senso quantitativo, ma qualitativo. Cioè, uno sviluppo che permetta di avere migliori condizioni e non più oggetti. Perciò l’identità tra essere e avere non è una caratteristica naturale dell’uomo e nemmeno di un determinato periodo storico-sociale. Essa nasce dal confronto tra uomini ed è cominciata con un eccesso di accumulo degli oggetti. Si può dunque dedurre che in una società in cui si ha molto, il poco sembrerà sempre nulla. L’identità tra essere e avere è talmente radicata e scontata che nulla, nemmeno un milione di euro, basterà mai. Si crea così un circolo vizioso rende l’accumulo, considerato il mezzo della nostra affermazione, il principale responsabile della nostra alienazione. Si conosce il valore degli oggetti, ma non quello della nostra vita, senza la quale non esisteremmo. Se capissimo tale valore probabilmente faremmo una scelta diversa tra l’essere e l’avere. 22
MAUGERI FEDERICO LE CORRETTE INTUIZIONI DOGMATICHE DELLA FILOSOFIA [classe III G - AMBITO GNOSEOLOGICO] Il rapporto tra l’uomo e le altre specie animali è oggetto di riflessione profonda non soltanto per il piacere della conoscenza, fine a se stesso, bensì anche per le conseguenze che esso può provocare nel concreto. Affrontata la lettura del brano di David Hume proposta, mi sento in accordo solo in parte. Per giudicare imparzialmente e a pieno delle mie facoltà il brano, ritengo sia doveroso valutare anzitutto la base argomentativa e, successivamente, le tesi del filosofo scozzese. Di seguito proporrò un primo ed un secondo argomento, e una controargomentazione del secondo; terminerò il mio testo con una conclusione. Benché io sia parzialmente in accordo con Hume, le sue tesi sono attaccabili da più punti di vista, a causa della scarsezza argomentativa con cui sono sostenute. Questi, infatti, definisce ridicolo affaticarsi troppo a difendere una verità evidente ma non espone le motivazioni necessarie a definirla tale. Dal momento che il filosofo ritiene che una verità sia evidente perché sostenuta da motivazioni chiare, ed essendo in questo caso i due aggettivi poc’anzi citati sinonimi, le sue affermazioni sono sostanzialmente delle tautologie. L’ambito in cui si inserisce l’estratto è quello della gnoseologia, nonché della filosofia della scienza; di conseguenza, gli argomenti a favore della tesi dovrebbero appartenere al medesimo ambito, ma così non è. Questa carenza espositiva mi induce a classificare il testo come dogmatico, anziché filosofico o scientifico. Il dogmatismo emerge anche dall’arroganza utilizzata da Hume per esporre i suoi argomenti, dovuta probabilmente alle scarse conoscenze scientifiche del ‘700; in merito, Bertrand Russell qualificava i dogmatismi come “arroganti”. L’autore definisce stupide o ignoranti le persone che non concordino con lui, perché incapaci di comprendere argomenti particolarmente chiari. Nuovamente emerge la carenza nella struttura argomentativa precedentemente sottolineata. Gli argomenti infatti non sono così chiari, poiché non vengono presentati. Come diretta conseguenza di questo dogmatismo ciascuno potrebbe pensare in modo contrario ad Hume, argomentando che le verità sedicentemente evidenti non lo sono affatto. Ad esempio, contrariamente a quanto proposto dallo studioso, ritengo che sia corretto mettere in discussione le sue credenze in nome di una scienza priva di preconcetti. Dall’ analisi sopracitata e con le conoscenze scientifiche di cui siamo dotati oggi, per mezzo dell’incedere del tempo, posso dire di essere d’accordo con le credenze animalistiche del filosofo scozzese. A tal proposito, l’avvento della teoria evoluzionistica e gli studi seguenti effettuati sulla base di questa hanno permesso di comprendere che l’istinto da cui sono mossi gli animali è prodotto della ragione. Le ricerche hanno anche mostrato che la maggior parte degli animali, ad esclusione dei cefalopodi e di pochi altri, hanno un cervello meno sviluppato di quello umano. Alla luce di queste scoperte scientifiche ritengo necessario riflettere su cosa intendesse dire Hume con “le bestie sono dotate di pensiero e di ragione al pari degli uomini”. Nel caso in cui volesse dire che sia gli uomini, sia gli animali sono dotati di intelletto, gli dò ragione; altrimenti, nel caso in cui intendesse dire che questi hanno le stesse facoltà intellettive, gli studi mostrano che non si può essere d’accordo. A partire da queste due interpretazioni, che credo essere equiprobabili, penso che il grado di intelligenza media di una specie non sia un parametro sufficiente per giudicarla. Gli animali appartenenti a tale specie sono in un certo senso succubi dell’evoluzione, giacché essa è dovuta non solo a fattori biologici, ma anche ambientali. Non essendo pienamente responsabili della 23
loro essenza, reputo che tutti gli animali abbiano la stessa dignità e debbano essere trattati allo stesso modo. Chi non sostenesse questa posizione, dovuta alle mie interpretazioni del testo di Hume, attribuirebbe una dignità diversa a ciascun animale, basata sul suo grado di intelligenza. Questo potrebbe portare l’uomo a non rispettare gli animali, ad interferire con i processi evolutivi e a produrre, talora, conseguenze catastrofiche per la Terra. Un esempio è quello dello sterminio delle balene, operato dai Paesi orientali – primo tra tutti il Giappone – a tal punto da compromettere il corretto funzionamento dell’ecosistema marino. Bisognerebbe altresì riflettere su una questione trattata da Aristotele: soffrirebbero di più gli animali maltrattati o noi uomini, colpevoli dei maltrattamenti? Come evidenziato dagli studi scientifici menzionati ad inizio paragrafo, l’uomo ha un’intelligenza superiore a quella di molti animali. Per tale motivo è anche in grado di percepire un numero maggiore di emozioni, e più fortemente. Sostengo perciò che soffriremmo più noi dell’animale inerme, vittima della nostra efferata perfidia. Esplicitate queste considerazioni, rifiuto interpretazioni diverse rispetto a quelle da me sostenute e, conseguentemente, gli esiti disastrose a cui potrebbero condurre. Concludo riepilogando i tratti essenziali della mia trattazione. Sebbene la base argomentativa dell’estratto sia scarsa, le intuizioni di Hume sono corrette. Se si pensa che la maggior parte degli animali, benché intellettualmente inferiori, abbiano la stessa dignità dell’uomo, possono essere scampate numerose catastrofi ambientali ed ecologiche. Penso che anche di fronte ad un disaccordo, le persone che si approccino in modo differente dal mio a questi temi, dovrebbero ragionare come suggerito dal filosofo greco Protagora, cioè in funzione dell’utile. Per utile intendo ciò che non danneggia noi esseri umani, il pianeta e le specie animali che con noi lo popolano. A fronte di questo principio di giudizio, penso che si possa sanare ogni contrasto. 24
MICHELI ALICE GET RID OF THE UNNECESSARY THINGS [AESTHETIC AREA] How many times do we try to live another life? How many hours do we spend on Instagram or on another social media? Is this real life or is it just a way to distract ourselves from the real priorities ? Our life is full of things that prevent us from living the essential facts of life. Try to remove them and you will start living. Henry David Thoreau, a famous American poet of the nineteenth century, in “Wolden or life in the woods” says that if you do not want to discover, when you’re coming to die, that you haven’t lived, you have to reduce all that isn’t life to its lowest terms. He discovered that when he went to the woods. I did that too. Last summer I spent two weeks in a camp where we could use our smartphone only twenty minutes every day. In this way, I have found out that when I could not use it, my life was more enjoyable and real. I had to face trouble and I could not take refuge in my “ other life “. I understood that it does not matter how many followers or likes you have, but how many real friends. I realized the importance of friendship and trust. I have started to live. In those moments where I could use my phone, I have found myself lost in the fake world of social media where you share everything you do and like. It seems wonderful to build your own world and to live at the same time two different lives, but the problem is that one is fake and the other one is real. You must be careful to not mix them up. So, at the beginning, the “Fake world” was my shelter, but now it is a monster. It is hard to run away from him, because it’s everywhere, it’s difficult to defeat him, because it’s strong and it attracts you. But social media are not the only enemies, there are a lot of other things that prevent us from living, and maybe the only way to get rid of them is to go to the woods and at the end we all may start to live. 25
PUGLISI BEATRICE DECARTES: DISCOVERING TRUTH BY DESTROING CERTAINTIES [THEORETICAL AREA] Truth has always been one of the cardinal points of the philosophical research. The desire of knowing what, in our lives, is actually in accord with facts or reality, has involved philosophers from the Ancient Greek to nowadays. One of the philosophers who principally reflected on this subject is Decartes, also known as Cartesio: his main idea was that, in order to seek truth, it is necessary to doubt of everything, as far as possible: the things which you cannot doubt of are certainly true. In my opinion, this is one of the most effective ways to demonstrate what is true, as it uses the process of destroying every seeming certainty by only asking simple and elementary questions. At the beginning this process seems to be extreme, because we recognise that great part of the things we thought were obviously true, at least are not an absolute truth. That is the moment when we realise that we can actually doubt of all things we see and feel. Decartes affirms that the only certain truth we discover by using this process of destroying is that if you have the capacity of thinking, you are, you exist: “Ego cogito, ego sum” (Decartes). It may seem to be reductive for a human that his only certainty is to exist and consequently to think. The human is the most complicated and complex nature-created machine, so is it possible that his truths are just this few? Would it be possible to live without any material truth, or to live in a world where you know that not everything you see is true? In my opinion, this is not possible, because there are things you have to assume to be true, even if you know they actually are not. This is necessary because the material world we inhabit does not necessarily coincide with reality, were truth reigns: perfection does not belong to our world. Even Decartes put this question on himself, as he realised that living his material life while doubting of material things was quite impossible and was certainly going to drive him crazy. In order to solve this problem, he established a series of rules to follow in everyday life while applying his doubting process. Truth’s research is a complex process, which involves the totality of our minds; the desire of knowing what is true touches us so deeply that we cannot resist from approaching this process of research, which drives us into an interesting journey through reality, that could be very different from how we imagine. 26
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