Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila
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Nella storia nessuno come la Juventus: ottavo scudetto di fila ROMA – La storia del campionato 2018/2019 può essere definito come un riassunto scritto su poche righe. La Juventus è partita a testa bassa con il piede premuto al massimo sull’acceleratore vincendo le prime otto partite consecutive, e non a caso quindi il 29 settembre aveva già 6 punti di vantaggio. Il 25 novembre cioè due mesi più tardi, i punti in più erano diventati 8 e da quel giorno non sono mai diminuiti. Questo ha tolto ogni speranza agli inseguitori confermando una previsione molto facile: se senza Cristiano Ronaldo i bianconeri avevano già vinto 7 scudetti consecutivi , con il “fenomeno” portoghese in maglia bianconera non avrebbero neanche dovuto cominciare a giocare l’ottavo campionato per vincerlo e così è stato. Ha ragione chi scrive che forse valeva assegnarlo a tavolino, assegnandolo come un “Oscar alla carriera”. Se nel campionato precedente il Napoli di Maurizio Sarri aveva sacrificato presto l’Europa all’Italia, restando ad inseguire lo scudetto quasi fino alla fine, quello di quest’anno con Carlo Ancelotti in panchina ha scelto saggiamente il realismo dei propri limiti pensando soltanto (senza fortuna) all’Europa League. Il risultato è un torneo noiosissimo, ma di questo naturalmente non ha colpa la Juve. L’impatto psicologico, agonistico, finanziario e mediatico di Ronaldo sulla Juve e sull’intera serie A è stato enorme, ma questo lo si poteva immaginare, ma sicuramente non fino a questo punto. Ronaldo ha
scatenato la “caccia” al biglietto in ogni stadio in cui si giocava la Juventus, in una squadra diventata una specie di “Harlem Globetrotters” del calcio, e quando Ronaldo non è stato convocato da Allegri nell’unica volta prima dell’infortunio muscolare, cioè in occasione Genoa-Juventus, gara non a caso persa dai torinesi, il pubblico è quasi insorto con proteste da consumatori buggerati più che da spettatori delusi. Ormai una partita senza Ronaldo in campo, vale meno della metà, ed è anche così che si spiega l’impennata del costo degli abbonamenti della Juventus: se compro il secondo calciatore più importante del mondo, il tifoso poi deve pagare il “giusto” il biglietto per vederlo giocare. Questo l’inevitabile ragionamento del club bianconero. In questa serie cominciata da Antonio Conte e compiutamente realizzata da Massimiliano Allegri, andata ben oltre la storia (non a caso il precedente primato degli scudetti consecutivi già apparteneva alla Juve, ma risaliva agli anni Trenta), l’ottavo scudetto di fila è stato il più facile quanto il settimo era stato invece il più conteso e difficile. I tifosi dell’ Italia avversaria dei bianconeri probabilmente non si sono divertiti, ma i 14 milioni di tifosi della Signora invece non volevano altro, ed adesso si sono già sono concentrati sul numero 10 da conquistare di seguito, giusto per fare cifra tonda… Per certe cose Allegri non è cambiato di una virgola, in questi cinque anni in cui ha fatto la storia della Juventus ma anche nel calcio italiano senza mai atteggiarsi a guru, profeta, divo e nemmeno professore (e come li mal sopporta, i guru, i professori eccetera). Continua a vincere quasi facendo finta che non gli interessi, è la stessa persona smagata che nel 2014 accetto di sedersi sulla panchina di Antonio Conte quando tutti gli suggerivano di non farlo dicendogli “Ma dove vai, hai solo da perderci” e che invece con soave leggerezza,
con quella nonchalance che è in definitiva la sua cifra stilistica, che lo distingue dai più (anzi, da tutti) e che nel tempo ha persino valorizzato ha tracciato la sua strada . Peccato soltanto che non faccia scuola, che in questo periodo non si sia formata una categoria di fedeli seguaci: uno come lui fa bene al calcio, lo rende migliore e quindi sarebbe stato bello che altri cercassero di imitare il suo modo di fare. Purtroppo non è successo. L’acume, la correttezza, la gentilezza e la pazienza con cui Allegri gestisce tutto il contorno ed anche le persone alle sue dipendenze, ovvero i giocatori , sono invece importantissimi valori di riferimento, che però di rado vengono condivisi da altri. Può essere che Allegri abbia un problema: la sua intelligenza è troppo raffinata, troppo sottile, perché possa diventare un fenomeno di massa. È per questo che il giorno in cui lascerà la Juve ed il calcio italiano, probabilmente resterà un vuoto incolmabile. Allegri è una persona seria che non si prende sul serio: è questo il suo segreto e probabilmente la definizione che gradisce di più. Non ha la presunzione di Arrigo Sacchi, o l’arroganza di Luciano Spalletti, in compenso ama lavorare, è affidabile e pretende affidabilità, ha un grande rispetto delle persone e notevole senso del dovere, ma al tempo stesso non si ritiene una sorta di eroe nazionale solamente perché ha vinto qualche scudetto. E’ consapevole di aver contribuito non poco a far fare palate di soldi al club per cui lavora , ed un bel po’ ne ha incassati da parte anche lui, anche se è ben lontano dall’ostentazione del lusso, ma sa anche che tutto quello che fa, nella vita, è nient’altro che occuparsi di pallone: tutto sommato, una cosa futile. Il calcio è un gioco, non un affare di stato: così lo vive lui, e bisogna ammettere che si tratta di una posizione minoritaria, in un mondo così carico di tensioni (per forza, con tutto il denaro che gira e le posizioni di potere che garantisce). La Juventus è una “tirannide” calcistica, ma anche societaria, di cui non si intravede la fine: non a caso #finoallafine è il famoso hashtag
di Andrea Agnelli , che ormai va inteso come la fine degli altri, la fine di una concorrenza che in realtà non esiste più. Juventus con 16 milioni in più grazie alla qualificazione ai quarti di Champions. Spinta al piano di crescita TORINO – La Juventus entra ancora una volta nel G8 della Champions League e si assicura circa 16 milioni di introiti in più, tra premi Uefa e botteghino, proseguendo la corsa europea che, se culminata con la vittoria del trofeo, aggiungerebbe un’altra quarantina di milioni al bottino sin qui incassato. Ma l’impresa di ieri contro l’Atletico Madrid (titolo in Borsa sospeso per eccesso di rialzo, +23% in apertura) offre al club bianconero una ricaduta economica e commerciale ancor più importante della semplice quantificazione degli introiti da Champions: essere rimasti in corsa nella fase calda della competizione, con lo spot della tripletta dell’”icona” Cristiano Ronaldo, dà una forza notevole al piano di crescita quinquennale varato dalla società guidata da Andrea Agnelli. Iniziamo prima dai freddi numeri. L’accesso ai quarti porta alla Juventus 10,5 milioni di introiti come “bonus” qualificazione, oltre a
un milione della quota del market pool dipendente dal numero di partite giocate in Champions e a un altro incasso certo al botteghino dopo il record di 4,9 milioni di ieri (5,5 includendo i servizi di hospitality): in tutto circa 16 milioni. Finora i bianconeri hanno incamerato dalla campagna di Champions 94 milioni come premi Uefa (80 nel 2017-18): 15,3 per la partecipazione ai gironi; 10,8 per i risultati dei gironi; 9,5 per gli ottavi; 10,5 per i quarti; 30 per i risultati sportivi e circa 18 di market pool. Potrebbero arrivare a un massimo di quasi 130 milioni in caso di vittoria, escluso il botteghino. Si tratta di introiti utili per riequilibrare una gestione molto appesantita quest’anno dai costi della campagna acquisti (nel primo semestre gli stipendi sono aumentati del 35%, gli ammortamenti del 47%), in un esercizio che gli amministratori prevedono in perdita al 30 giugno, ma molto influenzato dall’andamento in Europa. Poi ci sono conseguenze non quantificabili al momento, relative alla riuscita del progetto di espansione globale della Juventus. che avrebbe subito un inevitabile rallentamento, rispetto alla tabella di marcia, in caso di precoce eliminazione. Ronaldo doveva servire alla Juventus per migliorare la sua competitività in Champions, cioè arrivare fino in fondo e possibilmente vincerla, e per far impennare di conseguenza il fatturato del club, una volta che fosse stato percepito davvero come una big del calcio mondiale. La tripletta di ieri e la presenza nel G8 vogliono dire tanto, in termini di esposizione del marchio, e sono linfa vitale per le ambizioni industriali della Juventus. Addio a Marella Agnelli vedova dell’ "avvocato" Gianni
di Giovanna Rei Marella Agnelli, vedova dell’Avvocato Gianni Agnelli e zia di Andrea, attuale presidente della Juventus. Donna Marella, nata a Firenze il 4 maggio 1927, si è spenta ieri all’età di 91 anni. Da tempo era malata e le sue condizioni negli ultimi giorni erano peggiorate . Dopo aver seguito gli studi superiori e conseguito il diploma in Svizzera, Marella Agnelli ha frequentato “l’Académie des Beaux-Arts” e quindi “l’Académie Julian” di Parigi. Ha iniziato in seguito la sua attività di fotografa a New York quale assistente di Erwin Blumenfeld. Rientrata in Italia, ha collaborato come redattrice e fotografa per la Condé Nast. Marella designer e collezionista d’arte si era sposata con Gianni Agnelli nel 1953 a Strasburgo. Due i figli della coppia: Edoardo e Margherita, la madre di Lapo, John e Ginevra Elkann. Nel 1977 è stata premiata negli Stati Uniti con l’Oscar del disegno con il premio “Product Design Award of the Resources Council Inc.”. È stata membro dell’International Board of Trustees del Salk Institute di San Diego e dell’International Council del MOMA ( Museum of Modern Art) di New York, oltre a essere vicepresidente del consiglio di amministrazione di Palazzo Grassi a Venezia, nonché presidente de “I 200 del FAI” di Milano e dell’Associazione degli Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea di Torino. E’ stata vicepresidente della Commissione Nazionale dei Collegi del Mondo Unito. Nell’ottobre 2000 è stata insignita del titolo di “Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Nel 1973, su richiesta della famosa fabbrica di tessuti svizzera Abraham Zumsteg, ha realizzato una serie di disegni per tessuti d’arredamento. Ad essa sono seguite le collezioni in Italia per la Ditta Ratti di Como, in Francia per gli Stabilimenti Steiner, negli Stati Uniti per la Martex e numerose collezioni per la Marshall Field’s. Nel 1987 ha pubblicato il best-seller “Giardini italiani“,
nel 1995 “Il Giardino di Ninfa”, nel 1998 “Giardino segreto“, nel 2007 “Ninfa ieri e oggi“. Successivamente nel 2014 “Ho coltivato il mio giardino” e nel 2015 “La Signora Gocà“. Marella Agnelli è stata e rimarrà un’icona di stile, uno dei “Cigni” di Truman Capote, tra le donne più eleganti del mondo, capitata in una vita patinata che però non le ha risparmiato dolore. Come la morte dell’amatissimo figlio Edoardo ma anche le liti in famiglia dopo la morte di suo marito Gianni. Un’unione forte la loro, resistente ai forti scossoni della vita, sigillata il 19 novembre 1953 nel castello di Osthoffen a Strasburgo. La riservatezza è stata una delle grandi forze di questa donna che ha sempre cercato di fare della sua condizione,sicuramente straordinaria, normalità. Il padre di Marella, Filippo Caracciolo Principe di Castagneto, era uno scrittore saggista e diplomatico, è stato Sottosegretario di Governo alla fine della seconda Guerra Mondiale e, successivamente, Segretario Generale del Consiglio d’Europa. La madre, Margaret Clarke, era americana, nata a Peoria, nell’Illinois. Aveva due fratelli amatissimi, Carlo Caracciolo, fondatore nel 1955 insieme a Eugenio Scalfari del gruppo editoriale L’Espresso-La Repubblica e Nicola Caracciolo, storico giornalista, autore televisivo.
Immenso anche il suo amore per gli animali, per la natura e per i giardini di cui è diventata una delle più importanti esperte del mondo. Negli ultimi anni ad avere le sue cure à stato il giardino della sua casa di Aïn Kassimou, “l’occhio della fonte” in dialetto berbero, a Marrakech, dove ha vissuto gran parte del tempo. Una casa amatissima che ha segnato un cambiamento radicale della sua vita, costruita insieme all’architetto Gae Aulenti e all’arredatore e giardiniere Federico Forquet. Nel suo libro biografico e fotografico “Ho curato il mio giardino” (Adelphi editore) scritto insieme alla nipote Marella Caracciolo Chia. , Donna Marella scriveva: “Sapevo che questo progetto mi avrebbe portato conforto”. Marella è stata la moglie ideale di Gianni Agnelli l’uomo considerato il più “potente d’Italia”. Elegante, discreta., disposta ad accettare la sua libertà, sapendo stargli vicina e lontana. Anche lei, come suo marito, parlava inglese fin da bambina. Non rivendicava potere né ruoli pubblici. Trovava pace e rifugio nell’oasi di Villar Perosa, e a Villa Frescot sulla “discreta” collina torinese, amante della cura dei giardini, tifoso della Juventus, sostenitrice dell’istituto oncologico di Candiolo. Molto forte era il legame con sua cugina Allegra, la seconda moglie di Umberto Agnelli. E il rifugio sulla collina torinese, Villa Frescot.
Edoardo Agnelli e Donna Marella Agnelli Donna e personaggio internazionale non soltanto per riflesso del celebre marito, Marella Agnelli ha sempre condotto una vita che non ha offerto spazio e spunti alle cronache mondane se non in qualche occasione esclusiva. Era di casa a New York così come a Sankt Moritz, ma amava molto trascorrere la maggior parte del suo tempo a Torino dove, assieme al marito, frequentava Romilda Bollati di Saint Pierre, Maria Cattaneo, Mariella e Antonio Marocco e pochissime altre persone riservate come lei. Ma l’amica che vede più frequentemente è Evelina Christillin, verso la quale ha un rapporto quasi materno , la moglie di Gabriele Galateri di Genola, alla quale nelle loro passeggiate in collina confessa sovente le pene per lo stato di salute che nel novembre del 2000 portarono al suicidio del figlio Edoardo. Passata la soglia dei settant’anni sono stati i nipoti, John futuro presidente della Fiat, Lapo e Ginevra nati dal primo matrimonio della figlia Margherita con Alain Elkann, a tenerle spesso compagnia . Ma anche Pietro, Sofia, Maria, Anna e Tatiana nati dal secondo matrimonio con Serge de Phalen. La morte del figlio prediletto Edoardo e la malattia del marito che seguirà nel 2003 diradano la sue comparse in pubblico con le tristi eccezioni dei lutti e di quella contesa con la figlia Margherita per una di quelle vicende ereditarie purtroppo molto spesso presenti alla scomparsa dei proprietari di grandi patrimoni. Una m0ntagna di carta giudiziarie che si è andato esaurendo col procedere della malattia accompagnato mano a mano dal giusto riservato silenzio.
Marella Agnelli insieme ai suoi nipoti Elkann Ma tutto ciò non è stato abbastanza per tenersi lontano dal dolore. Il suicidio di suo figlio Edoardo. La rottura con la figlia Margherita con cui era insieme ad assistere l’Avvocato sul letto di morte. Successivamente sarebbe emersa la questione dell’eredità. Ma Marella Caracciolo in Agnelli è sempre rimasta fedele alle indicazioni del marito: la Fiat non era una villa plurifamiliare che potesse essere divisa; bisognava individuare un capofamiglia, garantirne la successione. Questo è stato il ruolo finale di Marella. Vissuto con immensa dignità, eleganza e stile nel silenzio, sino all’ultimo giorno. I funerali si svolgeranno in forma privata. La Città di Torino ha espresso la propria vicinanza alla famiglia Agnelli per la scomparsa della signora Marella. “Nel ricordo di una figura – dice la sindaca Chiara Appendino – che negli anni, per il nostro Paese e non solo, ha rivestito un ruolo importante nel mondo dell’arte e della cultura”. “Con Marella Agnelli – ha detto il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino – scompare una figura illustre che ha accompagnato la storia torinese del 900 con grandissimo garbo. La sua eleganza e la sua riservatezza colpivano, erano impagabili ed ora non posso che fare le mie più sentite condoglianze a John, Lapo, Ginevra e all’intera famiglia“. Anche dalla squadra di famiglia arriva un ricordo: “La Juventus saluta con commozione Donna Marella, che ci ha lasciato oggi. Nata a Firenze,
Marella Caracciolo di Castagneto nel 1953 sposò Gianni Agnelli, e restò al suo fianco fino al 2003, anno della sua morte“. È il pensiero della Juventus nel giorno della morte di Marella Agnelli, vedova dell’Avvocato Gianni Agnelli e zia dell’attuale presidente bianconero Andrea. “La Juventus, in questa triste giornata, è vicina a tutta la famiglia Agnelli, alla quale porge le più sentite e affettuose condoglianze“. E’ maledizione Champions. Vince il Real, la Juve scompare. di Antonello de Gennaro CARDIFF – La Juventus ha perso smarrendo nel secondo tempo la sua migliore caratteristica : la compattezza tattica . Diciamolo con chiarezza, nella finale di Cardiff sono venuti meno gli uomini più importanti. Da Bonucci, a Pjanic ma soprattutto Higuain e Dybala. La squadra bianconera si è disunita sotto gli attacchi di un Real Madrid che voleva portare a casa la coppa e ci è riuscito grazie al solito Cristiano Ronaldo che è stato lasciato un pò troppo solo dalla difesa bianconera . Alla Juventus non è bastato segnare il più bel gol della Champions League, cosi come non è bastato aver condotto e dominato tutto il primo tempo senza aver avuto paura. Tutto questo non è servito perché
alla Juventus è venuto meno qualcosa che era stata una costante per tutta la stagione e che è scomparsa nella notte della finale: la solidità tattica del gruppo, quel meccanismo perfetto di gioco che rendeva in fase difensiva la squadra di Allegri un blocco unico. I primi ad essere i fantasmi di sè stessi, sono stati Higuain e Dybala, i peggiori della Juve in campo, non tanto per non aver concluso nulla nella fase d’attacco, ma sopratutto per il mancato solito contributo offerto alla difesa. Poi è svanito Pjanic, e con lui Khedira, e quindi a quel punto per il Real Madrid infilzare la Juventus è diventata gioco facile facile, trovando di fronte la difesa bianconera che ha smarrito la sua forza ed esperienza. Non era la vera Juventus, quella vista in campo nel secondo tempo della finale contro il Real Madrid ieri sera . Non era mentalmente e fisicamente la stessa squadra che aveva annientato il Barcellona e che per tutta la Campions League ha sempre giocato e vinto in modo esemplare arrivando fino alla finale di Cardiff. E’ stata una brutta copia sbiadito nel momento più importante di tutti e che ha regalato con un paio di sciocchezze il sogno di una stagione intera. Una squadra con un obiettivo così importante e ambizioso non può arrivare a questo appuntamento in simili condizioni psicofisiche . Sopratutto stanca fin dal primo tempo . Non si contano i passaggi sbagliati e le palle perse, soprattutto quelli di Dybala a centrocampo da cui sono scaturiti gol e azioni pericolose del Real Madrid. Un ko limpido a favore del Real e inaccettabile per la Juventus arrivata a Cardiff su un’onda di consensi che probabilmente hanno scaricato mentalmente la solita rabbia e grinta dei giocatori bianconeri. In ogni caso questa Juventus merita l’applauso ricevuto ieri fra le
lacrime nello stadio di Cardiff. Un applauso meritato per una stagione che resta “storica” per il sesto scudetto consecutivo conquistato, per la Coppa Italia vinta e sopratutto per il proprio strepitoso ruolo di marcia in una Champions League che avrebbe meritato un altro risultato. La delusione spesso fa dimenticare i meriti ed i traguardi conquistati, ma sarebbe ingiusto ed ingrato abbandonarsi allo sconforto da parte del popolo bianconero e sopratutto da parte della squadra . Questa finale persa è diversa da quella di Berlino, perché il Real è stato sicuramente più forte, ma non superiore in campo, perché la “vera” Juventus, avrebbe perfino potuto batterlo. La Juventus, ma quella “vera”, potrà riprovarci l’anno prossimo: questo è un “gruppo” fortissimo ce la può fare e ieri sera ha preso un impegno morale con la sua gente arrivata da ogni parte del mondo a sostenerla ed incitarla fino al triplice fischio finale , che la società bianconera dovrà saldare tra dodici mesi.
Onore a mister Allegri quando dice “Sono orgoglioso dei miei ragazzi. L’anno prossimo sarò sulla panchina della Juve. Vogliamo ripartire per fare una grande Champions, vincere lo scudetto ed essere competitivi in Coppa Italia: questa seconda sconfitta in tre anni non ci deve fermare“. Alla fine della partita Andrea Agnelli ha abbracciato uno a uno i giocatori, sul prato di Cardiff, mentre il Real si godeva la Champions. La sconfitta è stata una brutta botta, pure nel punteggio (4-1), soprattutto per chi già aveva perso la finale di Berlino, e così il presidente della Juve ha voluto fare coraggio ai suoi, e lanciare un messaggio: “C’è un sentimento d’orgoglio per aver raggiunto in sette anni una dimensione europea totale – ha detto dinnanzi alle telecamere – ed ho abbracciato tutti i ragazzi. L’anno prossimo dovremo essere ancora più cattivi”. L’obiettivo è quello di crescere ancora: “Dobbiamo farlo, anno dopo anno, giorno dopo giorno. Dobbiamo crescere, perché se in questa competizione sbagli 10, 15 o 20 minuti, la Coppa non la vinci”.
Il presidente Agnelli ha sicuramente capito ieri sera che questa Juventus con due-tre innesti di caratura internazionale può finalmente salire sul gradino più alto nel mondo e conoscendone la sua ambizione e lungimiranza siamo sicuri che la sconfitta di ieri sera porterà quel contributo tecnico di cui la squadra di Allegri ha fortemente bisogno per diventare imbattibile. Rimane indiscutibile sia chiaro, la grande stagione ed una dimensione europea conquistata anno dopo anno dalla squadra bianconera, sui campo di gioco di tutt’ Europa. Tre trofei vinti in quattro anni sono la dimostrazione della dittatura sportiva, tecnica e tattica del Real Madrid: nessuno, da quando la Champions si chiama così era riuscito a portarla a casa due volte di seguito. Ce l’ha fatta il Real di Zinedine Zidane, con la sua umiltà e grazie alle capacità tecniche dei suoi giocatori. Si vince anche con questi doti, e non solo sul campo, la 12ma Champions League. Per la Juventus rimane l’amarissimo ricordo di un’altra sconfitta in finale, che fa più male delle altre precedenti perché nessuno se l’aspettava, sopratutto non così. Ma quando il tuo avversario è più forte di te in tutto, ed ha giocatori in campo come Cristiano Ronaldo che da solo è capace di cambiare una partita, allora c’è poco da dire e ancora meno da fare. Juventus-Real: il mondo si ferma
davanti alla tv. E’ la Champions, bellezza. CARDIFF – Si preannuncia una partita in cui si spezzerà un incantesimo, occorre soltanto aspettare il triplo fischio finale. Per i bianconeri è la nona finale giocata, della quale ne hanno vinto solo due. Di fronte i “galacticos” madrileni che la giocano per la quindicesima volta, inseguendo la vittoria numero 12. Se la Juventus conquisterà la Champions League poterà a casa una coppa attesa da ventuno anni, o se sarà il Real ad alzarla, sarà la prima squadra nell’era della Champions a vincerla per due volte di di seguito. Gli occhi e le parole dei giocatori e dei rispettivi tecnici alla vigilia hanno detto molto. Sarà indimenticabile sa risata irriverente di Dani Alves, collezionista di trofei vinti, il quale ha ricordato al presidente Andrea Agnelli una Ferrari ricevuta in promessa per la vittoria, ma anche le sue punzecchiature al Real Madrid, suo avversario eterno negli anni delle sfide giocate con la maglia del Barça, contrapposto alla freddezza di Sergio Ramos, l’uomo- killer da finale, il quale gli ha replicato dandogli appuntamento alle 20.45 di questa sera. Impossibile non vedere negli occhi di Gigi Buffon , che insegue l’unico pezzo d’argento che gli manca sulle mensole di casa, dopo oltre vent’anni di carriera, la sua voglia matta di vincere la finale, con la quale potrebbe mettere un’ipoteca sul Pallone d’oro grazie al
quale Buffon, che potrebbe raggiungere Jascin, unico portiere premiato dalla giuria, che dall’anno scorso è tornata finalmente ad essere composta esclusivamente da giornalisti. Apprezzabile la spiritualità “zen” di Zidane, equilibrato ed onesto al punto di ammettere che ci potrebbe stare anche una sconfitta contro questa Juventus. Sulla squadra madrilena guidata dadi Zidane incombono sei trappole sotto forma di maledizioni da sfatare. Questi: 1. Mai nessuno, nella storia della moderna Champions, è riuscito a vincerla per due anni di fila. E Milan, Ajax, Juventus e Manchester ci avevano sperato prima di essere bocciate in finale. 2. Dal 2000, nessuna squadra campione del mondo in carica ha poi vinto la Champions. 3. Nella Juve giocano Khedira e soprattutto Higuain, due ex pericolosi. E il Real ha già pagato caro i gol di altri due ex: Morientes nella semifinale contro il Monaco del 2004, Morata nel 2015 quando vestiva proprio la maglia juventina. 4. Le sue ultime 7 Champions il Real le ha tutte vinte in anni pari. L’ultimo dispari fu addirittura il 1959. E ora siamo nel 2017… 5. Sempre dando uno sguardo attento all’albo d’oro, emerge che ogni 7 anni c’è un club italiano che vince. Cominciò il Milan nel 1989 (poi a segno anche nel 1990 e nel 1994), poi toccò alla Juve nel 1996, di nuovo al Milan nel 2003 e all’Inter nel 2010. 6. Al Millennium il Real non vestirà il suo solito «blanco» ma, da squadra sorteggiata in trasferta, vestirà la «camiseta morada», quella
violetta con cui non ha grandi precedenti. Per dire: nella Liga finita da poco ci ha perso tre volte su sette. “È stato un anno fantastico, sarebbe meraviglioso chiuderlo con un triplete, se possibile. Incrociamo le dita. Il Real fa paura, ma noi non abbiamo paura di nessuno e lotteremo per vincere”. Lapo Elkann, presente Cardiff a poche ore dalla finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid. si è “attaccato ai numeri”: “Abbiamo avuto il numero 2 e il numero 6, ora speriamo di chiudere con il numero 3 – ha aggiunto riferendosi alla doppietta in Coppa Italia, al sesto scudetto consecutivo e al possibile tris in Europa – È stato un anno incredibile, speriamo di passare da due a tre. Il giocatore decisivo? Nella Juventus fa la differenza la squadra, non il singolo“. Sono “tutti decisivi”, ha confermato poco dopo suo fratello John Elkann, presidente di Fca ed Exor. Sarà uno spettacolo visto da 350 milioni di spettatori, 200 tv di 128 Paesi che hanno acquistato i diritti. Dall’Afghanistan allo Zimbabwe, da Timor Est a Vanuatu, questa sera la coppa brillerà in diretta in ogni angolo della terra. E’ la Champions, bellezza.
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