Le finestre (e le porte) nel progetto degli edifici

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Le finestre (e le porte) nel progetto degli edifici
Paolo Bettini
                             http://www.unich.it/progettistisidiventa/

             Le finestre (e le porte) nel progetto degli edifici

  Se esistesse una gomma da masticare "per architetti", la cosa più difficile sarebbe
non tanto gonfiarci dei palloncini a forma di case, quanto praticarvi poi delle apertu-
re… Così afferma la strip di Maaik (20/10/2006) che vedete qui sotto.

   Mettere le aperture attraverso cui passare, guardare, prender aria e luce è effettiva-
mente un problema, uno dei tanti che si presentano quando si progetta. A Kahn di-
spiaceva quasi doverle fare, le aperture. Preferiva tutto sommato un bel muro pieno.
Dice infatti nel 1950 di fronte agli imponenti resti murari dell'antica Roma: Il muro ha
fatto del bene agli uomini: li ha protetti con il suo spessore e la sua forza. Ma ben pre-
sto, il desiderio di guadare fuori ha indotto gli uomini a praticare dei fori nelle muratu-
re. Il muro ne ha sofferto e ha detto: «Cosa mi stai facendo? Ti ho protetto, ti ho fatto
sentire sicuro e tu ora mi fori!».1
   Eppure dover forare l'involucro dovremmo considerarlo una manna, una grandissima
chance: i fori con relativi serramenti sono fra gli elementi più efficaci e vitali di cui di-
sponiamo nel disegnare l'edificio. Che goduria decidere come farli, di che forma, di che
dimensione, in che rapporto fra loro e con gli altri elementi della facciata!
   Questo è il mio compito di oggi: illustrarvi una serie di esempi concreti di come i
progettisti dispongono le aperture, cercando di capire i perché delle loro scelte, adot-
tando un certo numero di chiavi interpretative, in parte poco usuali nella critica archi-
tettonica. Prima chiave: l'antropomorfismo.

  ANTROPOMORFISMO
  Facciate come "facce". Niente di strano: fin dall'antichità abbiamo proiettato noi
stessi sul mondo, sulle cose. Per spiegare, interpretare, quel che non capivamo. Il vec-
chio vizio di metterci al centro dell'universo, di considerarci misura di tutte le cose.
  Così fin da piccoli disegniamo le case con la porta al centro, come una bocca, le fi-
nestre ai lati, come due occhi, e sopra la fronte (il "frontone") e il tetto come capelli…

  1 Cit. in Maria Bonaiti, Architettura è. Louis Kahn, gli scritti, Electa, Milano 2005 2° (2002), p. 104.
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   Per inciso, il camino (immagine a destra) finisce spesso ortogonale al tetto, a dimo-
strazione che l'esterno della casa è vissuto dai bambini come qualcosa di completa-
mente scisso dalle necessità/funzioni interne.

  Non solo vediamo le facciate come facce: gli attribuiamo pure dei sentimenti. Qui di
sorpresa, sconcerto, timore…
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  Qui invece, alla pacifica casa-donna capellona bene in carne, alla Botero, attribuiamo
forse un'ottusità quasi bovina…

   In certi casi lo stesso progettista vuol dare sembianze umane alla facciata. È il caso
di Kazumasa Yamashita per la sua casa-studio a Kyoto (1973-74), con occhi-finestra
spalancati e molto umani, completi come sono di iride e sclera bianca. Peraltro, vedi a
destra, l'avevano già fatto nel medioevo…
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   FREUD
   Porte come bocche e finestre come occhi, dunque. Ma non solo. Freud ci ha fatto ca-
pire che le porte potevano rappresentare ben altre aperture corporee, altrettanto e più
interessanti… Peccato che gli architetti Freud non lo studiano, non l'hanno mai preso
in considerazione. Tanto da essersi inventati il razionalismo proprio negli anni in cui
Freud scopriva che le nostre scelte, lungi dall'essere pienamente razionali, coscienti,
sono pesantemente influenzate dall'inconscio. Invece per gli altri artisti il sesso è sem-
pre stato moneta corrente. Se lo eliminassimo da pittura, scultura, letteratura e cine-
ma, cosa resterebbe di queste arti? Mentre gli architetti hanno pensato di poterne fare
a meno, quasi fosse un ingrediente trascurabile della loro attività progettuale.
   Bene. Freud dice che, nei sogni, le porte della casa e delle singole stanze sono sim-
boli della vagina femminile… La chiave per aprirle è il corrispondente simbolo maschi-
le.2 Osserva inoltre che nella letteratura ebraica, la rappresentazione della donna come
casa, ove la porta sta per l'orifizio genitale, è molto diffusa. Ad esempio l'uomo si la-
menta, nel caso di mancata verginità, di «aver trovato la porta aperta». D'altronde, in
tedesco, gli orifizi del corpo si chiamano esplicitamente «Leibespforten», cioè porte del
corpo.3
   Insomma porte come simboli onirici dell'organo sessuale femminile. Nei sogni le
porte significano quello. Ma pure da svegli, perché colui che veglia e colui che sogna
sono sempre la medesima persona.4

   Se n'è ricordato nel 2009 il progettista del nuovo ingresso al Lux Fràgil Club, locale
alla moda nel porto di Lisbona.

  2 Sigmund Freud, Introduzione alla psicanalisi, Boringhieri, Torino 1989 2a (1969), p. 142.
  3 Ivi, p. 147.
  4 Sigmund Freud, Interpretazione dei sogni, in Opere, Sansoni, Milano 1993, vol. II, p. 400 nota.
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   E se n'è ricordato l'insospettabile Adolfo Coppedè (1871-1951), il minore dei tre
fratelli. Bisogna dire che era favorito dal tema: l'ingresso all'harem del Palazzo Reale di
Bagdad (1934). E lui c'è andato giù pesante, rappresentando realisticamente una vagi-
na, circondata da due file di peni sull'attenti, insomma eretti…

   SIMMETRIA, DUALITÀ
   Un corollario dell'antropomorfismo è la simmetria. Siamo convinti di essere simme-
trici e dunque abbiamo fatto, nel tempo, moltissimi edifici simmetrici.
    C'è da dire che la simmetria del corpo umano è solo approssimativa, soprattutto
all'interno: il cuore è al centro ma pende a sinistra, il fegato sta tutto a destra, l'intesti-
no è ficcato dentro la pancia in qualche modo, come in una valigia fatta in fretta e fu-
ria. Inoltre degli organi binati (arti, occhi, reni ecc.) uno domina sull'altro, funziona
meglio dell'altro. Si direbbe che l'evoluzione non si sia decisa fra simmetria e asimme-
tria. Certamente quel che si vede è più simmetrico, più ordinato, più colorato di quel
che resta all'interno, invisibile. E ciò perfino nel corpo di animali privi di occhi! Riman-
do chi volesse approfondire ai bellissimi libri di Portmann sull'argomento5.
   Qui mi limito a qualche considerazione sul fatto che le facciate simmetriche più co-
muni hanno un numero dispari di aperture (tre, cinque…), così che lungo l'asse media-
no, di simmetria, al centro della facciata, non ci caschi un pieno (una spalla di muro,
una parasta, una colonna), ma una fila verticale di vuoti, cominciando dalla porta d'in-
gresso al piano terra.
   Perché questa preferenza? Un critico inglese, Trystan Edwards (1884–1973) - qui da
noi poco conosciuto, ma del quale ho interamente tradotto il libro Architectural Style
(1929) in www.unich.it/progettistisidiventa/traduzioni.html - lo attribuisce al fatto che
il pieno al centro distruggerebbe l'unitarietà della facciata, dividendola in due metà. E
lui, Edwards, come tanti altri, considera l'unitarietà un "valore", per cui tutto ciò che la
disturba va combattuto.

  5 Adolf Portmann, Le forme degli animali, Feltrinelli, Milano 1960; Id., Le forme viventi, Adelphi, Milano
1989.
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   Io la vedo in modo diverso. Ho imparato da Venturi6 ad apprezzare la contradditto-
rietà e dunque anche le facciate simmetriche nelle quali siano compresenti un numero
pari e un numero dispari di parti.

   Per spiegarmi meglio vi mostro due facciate che si trovano nella Bruder-Konrad-
Platz di Altötting, in Baviera (poco distante da quel Marktl am Inn dov'è nato papa Ra-
tzinger). La chiesa di Sant'Anna, dietro, ha la facciata dispari e pertanto risulta facil-
mente unitaria. Invece la Franziskanerhaus, davanti, con le sue quattro finestre, secon-
do Edwards potrebbe incappare nel peccato di dualità. Dunque il progettista corre ai
ripari sovrapponendo ai primi due piani pari un enorme frontone con un numero di-
spari di finestre.
   Il risultato è un edificio "complesso e contraddittorio", direbbe Venturi (che ben co-
nosce i libri di Edwards). La parte duale non è da considerare un errore, ma un qualco-
sa di fatto apposta per poterlo poi "risolvere", raggiungendo un'unità difficile, e più
appetitosa in quanto tale.

  6 Robert Venturi, Complessità e contraddizioni nell'architettura, Dedalo, Bari 1980.
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   Analogamente Plečnik nel cimitero di Žale a Lubiana (del 1936-40: dieci anni dopo
la Savoye!) mette un'enorme colonna proprio al centro della facciata, di fronte alla por-
ta d'ingresso. Poi affida al timpano superiore – invisibile nella foto - il compito di riu-
nificare la facciata, risolvendone la (pericolosa, secondo Edwards) dualità. Crea il pro-
blema per poi dimostrare di saperlo risolvere.

   Pure Venturi nella Guild House di Philadelphia (1960-64) pone al centro della faccia-
ta, a terra, un tozzo colonnone (ipertrofico, caricaturale) di fronte alla porta d'ingresso,
sormontato da una fila di esili setti murari. Poi affida il compito di riunificare il tutto
alla grande finestra a lunetta dell'ultimo piano e ad altri elementi coniugati rispetto
all'asse centrale.
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   COSMESI
   Sul volto umano (soprattutto femminile), gli occhi e la bocca ci appaiono sempre
inadeguati7 e perciò urgentemente bisognosi d'interventi cosmetici che li rendano più
grandi, più luminosi, più brillanti, più sexy. Ci comportiamo in modo analogo con le
aperture della facciata. Ne nasce tutta una serie di aggiunte decorative, bidimensionali
(pittoriche) e tridimensionali (plastiche), irresistibilmente attratte dalle aperture. Ne ve-
diamo sotto due esempi, a Siviglia e Bolzano.

  7 Cfr. Bernard Rudofsky, Il corpo incompiuto. Psicopatologia dell'abbigliamento, Mondadori, Vicenza
1975.
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   Un allargamento apparente delle aperture viene ottenuto anche sovrapponendole a
una superficie di colore e materiale diverso (e più pregiato) rispetto al resto della fac-
ciata. Lo fa Venturi nella Guild House, quando inserisce l'ingresso entro una fascia
estesa a tutta la facciata di mattoni ceramicati bianchi.

   E lo fa Carlo Scarpa a S. Sebastiano, affiancando alla misera porticina d'ingresso una
seconda porta finta e poi placcando con lastre di orsera (traforata in corrispondenza
delle esistenti finestrine) il resto della facciata, fino allo spigolo sul canale. Adegua così
la dimensione apparente della porta d'ingresso alla sua importanza funzionale.

  Non mancano ovviamente i precedenti storici, come la vivace "bandiera" decorativa
entro cui è inserito il portone di S. Stefano a Firenze, bandiera di richiamo esattamente
dimensionata sullo stretto vicolo attraverso cui è visibile dalla via principale, a due
passi dal Ponte Vecchio.
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  STROMBI
  Quando le decorazioni plastiche intorno alle aperture crescono di dimensione, as-
sumono facilmente un ruolo utilitario oltreché cosmetico-decorativo. La funzione non
disprezzabile è quella di riparare dalla pioggia tanto l'infisso quanto chi ne fa uso.
  La soluzione più semplice - ma funzionalmente meno efficace - è lo strombo, o
sguincio, cioè la svasatura dello stipite verso l'esterno, comunissima nelle porte delle
chiese.

   Qui a Mosteiro, in Portogallo, il portale strombato è elemento principale, anzi unico,
della facciata. Si capisce: far avvicinare la gente, farla venir dentro, è il primo passo per
far proseliti. I dentelli dello smusso, arricchiti con figure allegoriche umane o animali,
tralci di vite (simbolo di vita) o altro, sono collocati nel punto di massima visibilità per
chi entra: l'effetto comunicativo è assicurato. Per aumentare il numero dei dentelli non
hanno esitato a ispessire fortemente il muro nella zona dello strombo.

  Ancora più efficace l'enorme strombo, vero e proprio scavo, nella facciata churrigue-
resca (1764) di Santa Maria a San Sebastián.
11

   Gli equivalenti moderni si sprecano: qui la clamorosa "tromba" d'ingresso al Kruishe-
ren Hotel di Maastricht, insediatosi dal 2005 nel grande convento gotico dei Frati Cro-
ciferi. Da noi, in Italia, difficilmente l'avrebbero permesso…

  La libreria Coiffard a Nantes, addobbata da Métalobil per il Natale 2006.
12

   Oltre alle porte, pure le finestre vengono corredate da strombi. Negli ultimi anni so-
no proliferate soluzioni in cui gli strombi, accostati uno all'altro, vanno a coprire l'inte-
ra facciata. Due esempi qui sotto.

  Il primo è il Palácio da Justiça a Gouveia, in Portogallo, di Barbosa e Guimarães
(2003-11). Davanti una fila di bambini coi loro bravi cappellini in testa, in gita con le
maestre.

  Il secondo è la residenza per studenti QUBIC ad Amsterdam, degli HVDN (1998-
2005). Altri studenti vengono ospitati nella vicina nave dismessa «Rochdale One», di
cui s'intravvede a sinistra la prua, ormeggiata sul fiume Ij.
13

  Un unico strombo può coprire l'intera facciata: un "meme" (un modo di fare, un tipo
formale, anzi l'insieme di istruzioni per realizzarlo8) oggi molto popolare. Il primo
esempio è stato probabilmente lo Schaulager a Münchenstein, fuori Basilea, di Herzog
& De Meuron, 2003.

  Ne sono seguiti molti altri, come il Kongresszentrum a Davos, di Heinrich Degelo,
del 2008-10.

   8 Per il concetto di "meme architettonico" rimando a http://www.unich.it/progettistisidiventa/REPRINT-
INEDITI/Bettini-DARWIN-E-L-ARCHITETTURA.pdf.
14

  Anche in Italia: la Chiesa della Resurrezione a Sesto San Giovanni, di Cino Zucchi,
2005-11.

   Talvolta incorniciate nel grande strombo proliferano le forme più varie: qui l'Audito-
rium di Teulada-Moraira, in Spagna, di Francisco Mangado, 2004-11.

LEGATURE
Se le aperture ci appaiono troppo piccole rispetto alla facciata, possiamo tentare di le-
garle fra loro per dargli maggior forza.
15

   Qui ad Altötting, in Baviera, probabilmente le finestre preesistevano, nate da neces-
sità interne. Chi ha ridisegnato la facciata ha tentato di legarle fra loro in un unico di-
segno simmetrico. Evidentemente considerava la simmetria un valore.

  Le legature più comuni sono quelle fra la porta d'ingresso e la finestra che le sta so-
pra. I casi più clamorosi sono barocchi e rococò: qui il Real Hospicio di Pedro de Ribera
(1721-26), oggi Museo della storia di Madrid; e il Palacio del Marqués de dos Aguas a
Valencia, di Hipólito Rovira (1740), oggi Museo della ceramica.
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   Oppure si legano in verticale le finestre. Qui, a Varsavia, stanno a coppie entro pan-
nelli grigi, separati da paraste giganti. Poi però la scenetta centrale, con i pescatori in-
tenti a catturare la sirena, introduce un collegamento orizzontale, sia pur secondario,
fra i pannelli… Così l'insieme risulta piacevolmente contraddittorio.

  Esempio analogo di legatura fra finestre sovrapposte in un edificio déco a Princeton,
NJ. Gli infissi e i pannelli (goffrati, per dargli il momento resistente che li rende meno
deformabili) sono in alluminio o altra lega leggera moderna.
17

   La Merchants' National Bank, a Grinnell nell'Iowa, di Louis Sullivan (1914) mi dà mo-
do d'introdurre un argomento che affronterò meglio fra poco: quello del diverso trat-
tamento delle due facce, esterna e interna, dell'infisso. All'esterno Sullivan mira – per
attirare i clienti - a enfatizzare l'ingresso, collegando la porta al rosone soprastante at-
traverso un sofisticato marchingegno decorativo. All'interno invece il rosone perde im-
portanza e la stessa porta tende a mimetizzarsi nel rivestimento parietale ligneo, quasi
che i clienti, per uscire, debbano faticare a trovarla.
18

   Louis Kahn, nell'Indian Institute of Management di Ahmedabad (1962-74), accorpa
le aperture e le arretra, per nasconderle nell'ombra dei grandi fori monumentali.

  Analogamente Mario Botta nella casa Robbiani a Massagno (1979-82), dove i tre
piani prendono luce dal grande finestrone rotondo.
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   Si può legare la porta a una finestra laterale: qui la boutique Christa Metek a Vienna,
di Hans Hollein, 1966-67.

   E due antecedenti storici: l'ingresso art déco di una casa in rue du Lac a Bruxelles e
la fronte di una bottega nello Stradun di Dubrovnik.
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  ENTRARE vs USCIRE
  Poco fa, parlando della banca di Sullivan, facevo notare come la porta d'ingresso, vi-
sta dall'altra parte, quando diventa porta di uscita, viene trattata in modo assai diver-
so. In altri casi, tanto la faccia esterna è ricca, curata, decorata, rispettosa di chi le si
appropinqua, e tanto la faccia interna è lasciata al grezzo, priva di decorazioni e finitu-
re accurate. È come se l'architetto dicesse: se entri nel mio edificio hai diritto a essere
accolto col massimo degli onori; se te ne vai, non hai diritto che alla riprovazione, allo
scorno, alla pernacchia.

  Un esempio eclatante è il cancello d'ingresso (e di uscita) alla loggetta sansovinesca
(1537–46), realizzato da Antonio Gai due secoli dopo (1733–42). Mentre da fuori go-
diamo di una lavorazione inappuntabile delle figure bronzee, l'altro lato (a destra) è la-
sciato al grezzo. Ve ne fornisco anche una foto ravvicinata.
21

   Mi chiedo, vi chiedo: perché abbiamo privilegiato la funzione dell'entrare sulla fun-
zione dell'uscire? Abbiamo fatto bene? No, ci dicono gli studi condotti da Kahnemann
(poi Nobel per l'Economia nel 2002) e Twersky sull'effetto della fase finale sulla memo-
rizzazione d'una esperienza. I due psicologi hanno interrogato automobilisti in uscita
dall'autostrada, dopo che avevano fatto 20 minuti di coda. Certe file iniziavano veloci e
poi rallentavano fin quasi a fermarsi, altre iniziavano lente per poi velocizzarsi. Ebbe-
ne, queste ultime, pur durando esattamente 20 minuti come le altre, venivano memo-
rizzate come meno spiacevoli e addirittura più brevi delle altre. La parte finale dell'e-
sperienza era evidentemente quella che lasciava la traccia più durevole nella memoria.
   Ciascuno di noi, ripensando alle storie sentimentali che ha vissuto, converrà che le
fasi finali – serene o burrascose, pacifiche o violente - le hanno segnate nella memoria
che ne conserviamo, indipendentemente da come si erano svolte in precedenza.
   Gli architetti dovrebbero tenerne conto, come fanno gli scrittori e i registi cinemato-
grafici, ben consci dell'importanza del lieto fine sulla memoria che i lettori e gli spetta-
tori conserveranno del loro libro o film. Anche gli architetti dovrebbero fornire a chi la-
scia i loro edifici un lieto fine, magari iniziando dal ridenominare "ingresso-uscita"
quel vano che adesso chiamano solo "ingresso"…

   SPARPAGLIARE
   Oltre all'antropomorfismo e derivati (simmetria) ci sono ovviamente molti altri modi
di disporre le aperture. L'unico che riesco a mostrarvi, a conclusione della mattinata,
prevede che vengano sparpagliate sulla facciata in modo casuale, irregolare, disordi-
nato. O addirittura sgarrupato, per far uso del gustoso termine napoletano reso famo-
so da Io speriamo che me la cavo9.

  La soluzione è vecchia quanto l'umanità. È ad esempio presente nella necropoli di
Pantalica, forse perché le varie porte-finestre sono state aperte in tempi diversi, nei
punti in cui la pietra era più lavorabile, o dove servivano. Ma è la solita banale spiega-
zione funzional-tecnologica. Può darsi invece che gli antichi pantalichesi, o come dia-
volo si chiamavano, preferissero proprio le dimensioni variabili alle costanti, il non alli-
neamento all'allineamento.

   9 Marcello D'Orta, Io speriamo che me la cavo. Sessanta temi di bambini napoletani, Oscar Mondadori,
Milano 1990.
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   Comunque sia, le aperture sparpagliate (qui in un esempio svizzero) sono rimaste
relegate per secoli all'architettura "spontanea", o "senza architetto"10.

  Finché nel 2002-06 i SANAA realizzano a Essen la Zollverein School of Management
& Design. Su quel severo cubo bianco di 35 metri di lato avviene un'improvvisa, prepo-

   10 Bernard Rudofsky, Architecture without architects, Doubleday & Co., New York 1964 (parzialmente
tradotto in Casabella, 297, 1965, p. 84); Id., Le meraviglie dell'architettura spontanea, Laterza, Bari 1979.
23

tente e matura “eruzione cutanea” del meme delle aperture sparpagliate rimasto laten-
te per secoli. Da allora è diventato virale, infettando ovunque migliaia di edifici (o me-
glio di progettisti). Eccone in chiusura qualche esempio.

  Casa Oresen a Hokkaido, Giappone, di Shinichiro Akasaka, 2014.

  Casa a Gojar, Spagna, di Elisa Valero, 2013.
24

  Charcoal House a Toronto, di Reza Aliabadi, 2010; casa Wolf a San Pedro, Cile, di
Pezo+von Ellrichshausen, 2005-07.

  Youth Centre nella new town di Qingpu (Shanghai), dell'Atelier Deshaus, 2009-12.
25

  Grande magazzino mobili a Teheran, dello studio Bonsar, 2005.

   Casa Garbald a Castasegna, di Miller+Maranta, 2001-04; New Art Exchange a Not-
tingham (la contea di Robin Hood), di Hawlkins+Brown, 2004-09.
26

Casa d'appartamenti in Pappelallee a Berlino, di Busmann+Haberer, 2008.

Infermeria a Laongo, Burkina Fasu, di Amédé Kéré, 2013.
27

  Anche su pareti curve: a Stoccolma un asilo d’infanzia con la pianta a forma di ana-
cardo, di Tham e Widegaard, 2007-10.
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